Capitolo n. 44 - zen
Jude stava
sorseggiando un tè alla menta, con aria fiacca.
Era un orario più
consono all’aperitivo, ma le sue abitudini british erano ben radicate, come la
dedizione all’alcol, di cui spesso aveva abusato negli anni d’oro della sua
carriera.
“Che combini UK
buddy?”
“Ehi ciao Colin …
come ti gira?” – rispose biascicando la frase e guardandolo di sguincio.
“Miseria Jude …” –
mormorò spiacevolmente stupito l’irlandese.
“Miseria e nobiltà!”
– rise sguaiato – “La prima è qui davanti a te, mio dolce amico, mentre l’altra
è nella nostra suite, a dormire … dormire, dormire, non fa altro da quando
siamo arrivati” – concluse depresso – “… e temo sia un sonno artificiale, sai
Colin?” – e lo fissò, più lucido, anche nella sua asserzione convinta su
Downey.
“Senti andiamocene da
qui, magari sali da noi”
“Per carità ahahah A
fare cosa? Forse per assistere allo spettacolino della famigliola felice,
allargatasi di recente?” – ed estraendo una bottiglietta dalla tasca del
cardigan ampio e sgualcito, come il suo volto, Jude tracannò l’ennesimo
goccetto.
“Cristo andiamocene
Jude, prima che arrivi il resto della tribù!” – e prendendolo per un braccio, Colin
lo trascinò verso gli ascensori, senza più badare alle sue proteste colorite.
Tom si fece una
doccia rapida.
Quando tornò in
cabina, Geffen era già rivestito e pronto ad andarsene.
“E’ quasi ora di cena
… Scendete al nostro tavolo, insieme a Chris ed ai ragazzi di Quantico?” –
chiese l’uomo sorridendo, mentre si allacciava l’orologio costoso, dono di
Jared in occasione di un Natale precedente.
“Onestamente Glam,
non ci tengo a mangiare accanto a Matt. Ci guarda tutti con sospetto ed astio,
mi spiace dirtelo.” – rivelò, per poi ammutolirsi.
Temeva di avere
urtato il suo paziente speciale, ma sbagliava.
“Tommy io … Devo come
sanare un debito con Matt e mi sono cacciato in un casino … ecco” – e deglutì a
vuoto.
Il terapista gli si
sistemò a fianco, scrutandolo fisso.
“Sii più chiaro …”
“Non ci riesco Tom,
non è nelle mie possibilità, al momento almeno.”
“Hai bisogno di
aiuto?”
Geffen sorrise
imbarazzato – “Sono maggiorenne e vaccinato, non esageriamo” – e si alzò
brusco.
“Dove vai?” – chiese
smarrito il giovane.
“Da qualche parte …
là fuori.”
Spencer morse il
cuscino, ripetutamente.
Derek stava spingendo
forte, il suo sesso andava ingrossandosi ad ogni gemito di quel ragazzino
saccente e sensuale.
L’agente di colore
manteneva ormai da un’ora quell’incessante ritmo.
Dapprima aprendogli
le gambe, dopo averlo baciato e morso, tra la bocca, il mento, il collo, poi di
nuovo la bocca e la lingua, la lingua succosa di Spencer, poi girandolo di
forza, per ridurlo a carponi, dominando ogni sua fibra, ogni cellula glabra e
ricettiva, che faceva letteralmente impazzire Morgan.
Arpionò le spalle di
Reid, con i propri artigli voraci, come i suoi denti, piantati tra le scapole,
pronti a retrocedere, lasciando il posto ad un’umida scia, come quella che
stava colando tra le cosce bianche ed esili di uno Spencer in totale estasi.
Quando gli crollò
addosso, gli addominali di Derek aderirono così saldamente al dorso di Spencer,
da fargli credere che non si sarebbero separati mai più.
Gli venne dentro per
la terza volta, forse la quarta, Reid aveva perso il conto, la ragione,
l’anima.
Se solo gli fosse
importato qualcosa di quell’annullarsi: non voleva nient’altro dalla vita.
Lo aveva deciso:
definitivamente.
La scusa di salutarlo
era plausibile.
Lasciare che gli
mostrasse le proprie cicatrici, quasi un’urgenza, per il senso di colpa, che
Geffen sentiva salirgli dallo stomaco.
Denny era bellissimo
ed indifeso, nella penombra della sua stanza, adagiato sul letto, con al fianco
Glam, che lentamente finiva di spogliarlo, dopo avere seguito con una carezza
lieve, l’arabesco sgraziato ed irregolare, segno doloroso di quell’attentato
sanguinario a Port au Prince, rimasto nelle sue carni e sulla sua pelle.
Geffen si insinuò
lentamente, scendendo in lui come un fiume caldo e rigoglioso, anche per come
lo baciava, per la gioia che Denny avvertiva pervaderlo.
Si sentiva
desiderato, quasi … amato.
Fuori nevicava.
“Bevine ancora Jude”
Farrell gli spinse la
tazza di caffè sotto il naso, provocando nell’amico un conato di vomito.
“Devo … devo andare
in bagno … cazzo!” – e vi si precipitò, lasciando Colin e Jared attoniti e
delusi per quella sorta di tunnel, all’interno del quale, Jude e Robert non
riuscivano ancora a vedere la luce.
“Io comprendo che lo
stiano facendo per Camilla …” – disse flebile Jared, appoggiandosi alla spalla
di Colin, piegato sopra il divano, dov’era seduto con il marito.
“E’ assai più
complicato Jay …”
“Sì, Cole, certo …”
“Solo che si sta
trasformando in un’agonia, capisci?” – e lo guardò, sconvolto.
Bussarono.
Era Robert.
“Jude è qui?” – fu la
prima cosa che disse, senza neppure salutare Jared, affrettatosi ad aprirgli.
“Ciò che ne resta …”
– replicò il cantante, facendosi da parte.
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