Capitolo n. 30 - zen
Tim chiuse la
valigia, sedendosi poi sul letto, stancamente.
Kevin arrivò: aveva
ricevuto il suo messaggio.
“Ciao … cosa stai
facendo?” – chiese con un’incertezza poco credibile.
Tim scrollò le spalle
– “Torno a Los Angeles, scusami” – spiegò, senza guardarlo.
“Scusarti per cosa?” –
chiese con gentilezza il bassista, inginocchiandosi davanti a lui e
prendendogli i polsi, assorto negli occhi del giovane, di un grigio brillante e
liquido.
“So che per te non è
semplice Kevin … Anzi, è terribile, soprattutto per Glam e non voglio
rimproverarti o fare scenate, capisco che tu voglia stargli accanto, per
sostenere Lula … Io adoro quel cucciolo e tu lo sai, però mi sento fuori posto,
in una maniera ingestibile”
“Tu hai avuto
pazienza, un mare di pazienza Tim …”
“Sono accaduti fatti
tragici, imprevedibili … Voi siete due genitori stupendi” – una lacrima gli
rigò il volto.
Kevin lo strinse,
commuovendosi a propria volta.
Si distese poi tra le
sue gambe, baciandolo con una malinconica disperazione.
Fecero l’amore a
lungo, ma infine Tim prese il suo bagaglio e se ne andò, senza alcun addio, ma
neppure un arrivederci.
Robert riattaccò.
Sorrise a malapena.
“Camilla ti saluta …”
Jude annuì – “Stasera
la richiamo … Hai fatto colazione?” – domandò cingendolo alle spalle, mentre
Downey era affacciato al balcone della suite, in quell’albergo alveare distante
dalla fondazione e presumibilmente sicuro.
“Un caffè … Lo so che
non basta” – si schernì.
“Non voglio sgridarti
Rob, ma devi nutrirti e …” – ingoiò amaro – “Devi andare da Glam e spiegargli
ciò che provi, aiutandolo come meglio riesci”
L’americano si girò, impressionato
per quell’asserzione.
“Jude sei generoso e
non so quanto mi meriti la tua solidarietà”
“E’ il minimo … Cosa
dovrei fare? Una delle persone a cui tieni maggiormente sta attraversando l’inferno
e vedo come ogni tua parola lo solleva e gli dà gioia Robert …” – sorrise triste
–“Per primo ne sono testimone: tu sei una fonte inesauribile di energia, di
conforto … sei così altruista amore … tu sei …”
Downey lo baciò,
intenso, caldissimo.
Law perse i battiti
del cuore, in una folata di vento alzatosi improvviso e carico di profumi
esotici: l’oceano si increspava di verde e celeste, lo stesso delle sue iridi
colme di devozione ad un compagno meritevole e speciale.
Voleva dirglielo, ma
il tempo delle parole sembrava terminato.
Tornarono tra le
lenzuola, per appartenersi senza alcun fantasma tra loro: era meraviglioso
crederci.
“Denny mi odia”
Tomo fissava il
vuoto, seduto su di una panchina, nel parco antistante il centro Geffen.
Shan si tolse i ray
ban, accarezzandogli la schiena rigida, come il resto del croato, dopo una
notte insonne.
“Forse un giorno
potrete recuperare il vostro rapporto, come è accaduto con Christopher …” –
disse a fatica il batterista.
“Non è questo, sai? I
miei errori si sono ripetuti ed ho calpestato dei cuori fantastici, che mi
hanno donato amore, senza condizioni, che non mi hanno mentito Shannon” – lo guardò,
secco.
“Come invece ho fatto
io … giusto?” – ribatté inerme.
“Quante persone abbiamo
distrutto per capire che volevamo stare ancora insieme, eh? Forse Rice non è un
esempio di correttezza, ma lui non ha mai smesso di amarti e poi Josh … Josh
era unico, educato, ti rispettava!” – quasi inveii, rialzandosi di scatto.
Shan si contrasse,
come se un dolore non quantificabile gli stesse stritolando l’anima.
“A … a cosa ti serve
questo, ora?” – balbettò, lambendo il gomito destro di Tomo, che tornò finalmente
a sedersi.
Le dita di Lula
sembravano perdersi nel palmo di Geffen.
L’uomo sorrise, liberando
l’ennesimo, silenzioso pianto.
“E’ … è così piccolo …
e non riesco ad aiutarlo, come dovrei”
“Glam …”
La voce di Jared era
ugualmente frantumata da una desolazione impotente: aveva raggiunto il
capezzale del bimbo in sedia a rotelle, scortato da Colin e Kevin, che erano
tornati in mensa per dare un aiuto al resto dei volontari.
“So che stanno
facendo il possibile …” – e gli diede una carezza sulla testolina riccioluta e
morbida.
Pamela gli lavava di
continuo i capelli con uno shampoo secco fatto apposta per chi era in quelle
condizioni, cambiandolo con cura e provvedendo a sterilizzare il peluche Brady,
da cui Lula non si sarebbe separato mai.
Era come un atto
scaramantico, nella speranza che avvenisse un miracolo.
“Glam dovresti
riposare …”
“Sogno di lui …
spesso cose tremende … voi che piangete, fiori ovunque …”
“Sei suggestionato
dagli ultimi eventi …”
Glam lo fissò – “Dai
funerali, intendi? Perché è da questo che sono ossessionato, da quel giorno in
cui dovrò dirgli addio, se Lula non dovesse farcela”
Jared si sporse
abbracciandolo più forte che poteva.
“Non dirlo neppure
per scherzo!” – sibilò impaurito da quell’evenienza alquanto logica e spietata.
“Jared sono a pezzi …”
– singhiozzò, senza staccarsi – “E la sua voce … del mio cucciolo, sembra
seguirmi, chiamarmi … ha bisogno di me …”
Il tracciato cardiaco
sul monitor cambiò suono.
Glam e Jared non se
ne resero conto, finché a quell’impulso elettronico non si sovrappose qualcosa
di più importante.
“Papà …”
L’ossigeno sembrava
avere folgorato le cellule di Lula, che spalancò le palpebre – “Papà …?”
“LULA!!”
I medici accorsero,
somministrandogli addirittura un blando sedativo: il cuore del bambino si era
rianimato con un vigore inspiegabile.
Un’energia
sconosciuta lo aveva ridestato da un sonno, che appariva senza fine.
Lula era tornato.
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