giovedì 3 gennaio 2013

ZEN - CAPITOLO N. 30



Capitolo n. 30  -  zen


Tim chiuse la valigia, sedendosi poi sul letto, stancamente.
Kevin arrivò: aveva ricevuto il suo messaggio.
“Ciao … cosa stai facendo?” – chiese con un’incertezza poco credibile.
Tim scrollò le spalle – “Torno a Los Angeles, scusami” – spiegò, senza guardarlo.
“Scusarti per cosa?” – chiese con gentilezza il bassista, inginocchiandosi davanti a lui e prendendogli i polsi, assorto negli occhi del giovane, di un grigio brillante e liquido.
“So che per te non è semplice Kevin … Anzi, è terribile, soprattutto per Glam e non voglio rimproverarti o fare scenate, capisco che tu voglia stargli accanto, per sostenere Lula … Io adoro quel cucciolo e tu lo sai, però mi sento fuori posto, in una maniera ingestibile”
“Tu hai avuto pazienza, un mare di pazienza Tim …”
“Sono accaduti fatti tragici, imprevedibili … Voi siete due genitori stupendi” – una lacrima gli rigò il volto.
Kevin lo strinse, commuovendosi a propria volta.
Si distese poi tra le sue gambe, baciandolo con una malinconica disperazione.
Fecero l’amore a lungo, ma infine Tim prese il suo bagaglio e se ne andò, senza alcun addio, ma neppure un arrivederci.


Robert riattaccò.
Sorrise a malapena.
“Camilla ti saluta …”
Jude annuì – “Stasera la richiamo … Hai fatto colazione?” – domandò cingendolo alle spalle, mentre Downey era affacciato al balcone della suite, in quell’albergo alveare distante dalla fondazione e presumibilmente sicuro.
“Un caffè … Lo so che non basta” – si schernì.
“Non voglio sgridarti Rob, ma devi nutrirti e …” – ingoiò amaro – “Devi andare da Glam e spiegargli ciò che provi, aiutandolo come meglio riesci”
L’americano si girò, impressionato per quell’asserzione.
“Jude sei generoso e non so quanto mi meriti la tua solidarietà”
“E’ il minimo … Cosa dovrei fare? Una delle persone a cui tieni maggiormente sta attraversando l’inferno e vedo come ogni tua parola lo solleva e gli dà gioia Robert …” – sorrise triste –“Per primo ne sono testimone: tu sei una fonte inesauribile di energia, di conforto … sei così altruista amore … tu sei …”
Downey lo baciò, intenso, caldissimo.
Law perse i battiti del cuore, in una folata di vento alzatosi improvviso e carico di profumi esotici: l’oceano si increspava di verde e celeste, lo stesso delle sue iridi colme di devozione ad un compagno meritevole e speciale.
Voleva dirglielo, ma il tempo delle parole sembrava terminato.
Tornarono tra le lenzuola, per appartenersi senza alcun fantasma tra loro: era meraviglioso crederci.


“Denny mi odia”
Tomo fissava il vuoto, seduto su di una panchina, nel parco antistante il centro Geffen.
Shan si tolse i ray ban, accarezzandogli la schiena rigida, come il resto del croato, dopo una notte insonne.
“Forse un giorno potrete recuperare il vostro rapporto, come è accaduto con Christopher …” – disse a fatica il batterista.
“Non è questo, sai? I miei errori si sono ripetuti ed ho calpestato dei cuori fantastici, che mi hanno donato amore, senza condizioni, che non mi hanno mentito Shannon” – lo guardò, secco.
“Come invece ho fatto io … giusto?” – ribatté inerme.
“Quante persone abbiamo distrutto per capire che volevamo stare ancora insieme, eh? Forse Rice non è un esempio di correttezza, ma lui non ha mai smesso di amarti e poi Josh … Josh era unico, educato, ti rispettava!” – quasi inveii, rialzandosi di scatto.
Shan si contrasse, come se un dolore non quantificabile gli stesse stritolando l’anima.
“A … a cosa ti serve questo, ora?” – balbettò, lambendo il gomito destro di Tomo, che tornò finalmente a sedersi.


Le dita di Lula sembravano perdersi nel palmo di Geffen.
L’uomo sorrise, liberando l’ennesimo, silenzioso pianto.
“E’ … è così piccolo … e non riesco ad aiutarlo, come dovrei”
“Glam …”
La voce di Jared era ugualmente frantumata da una desolazione impotente: aveva raggiunto il capezzale del bimbo in sedia a rotelle, scortato da Colin e Kevin, che erano tornati in mensa per dare un aiuto al resto dei volontari.
“So che stanno facendo il possibile …” – e gli diede una carezza sulla testolina riccioluta e morbida.
Pamela gli lavava di continuo i capelli con uno shampoo secco fatto apposta per chi era in quelle condizioni, cambiandolo con cura e provvedendo a sterilizzare il peluche Brady, da cui Lula non si sarebbe separato mai.
Era come un atto scaramantico, nella speranza che avvenisse un miracolo.
“Glam dovresti riposare …”
“Sogno di lui … spesso cose tremende … voi che piangete, fiori ovunque …”
“Sei suggestionato dagli ultimi eventi …”
Glam lo fissò – “Dai funerali, intendi? Perché è da questo che sono ossessionato, da quel giorno in cui dovrò dirgli addio, se Lula non dovesse farcela”
Jared si sporse abbracciandolo più forte che poteva.
“Non dirlo neppure per scherzo!” – sibilò impaurito da quell’evenienza alquanto logica e spietata.
“Jared sono a pezzi …” – singhiozzò, senza staccarsi – “E la sua voce … del mio cucciolo, sembra seguirmi, chiamarmi … ha bisogno di me …”
Il tracciato cardiaco sul monitor cambiò suono.
Glam e Jared non se ne resero conto, finché a quell’impulso elettronico non si sovrappose qualcosa di più importante.
“Papà …”
L’ossigeno sembrava avere folgorato le cellule di Lula, che spalancò le palpebre – “Papà …?”
“LULA!!”

I medici accorsero, somministrandogli addirittura un blando sedativo: il cuore del bambino si era rianimato con un vigore inspiegabile.
Un’energia sconosciuta lo aveva ridestato da un sonno, che appariva senza fine.
Lula era tornato.



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