domenica 13 gennaio 2013

ZEN - CAPITOLO N. 33



Capitolo n. 33  -  zen


Geffen rientrò nel suo ufficio verso mezzanotte.
Aveva vagato per Port au Prince, provando a chiamare decine di volte quel numero sconosciuto, senza esito.
Le parole del messaggio lo stavano tormentando ed appena varcata la soglia, lo ricompose.
Ebbe un sussulto, sentendo un bip provenire dall’unico angolo rimasto buio, in quella stanza arredata scarnamente.
Qualcuno accese la lampada da lettura, posizionata accanto alla poltrona sulla quale stava seduto.
“Matt …?!”


Robert aveva preparato un tè, sull’aereo di Meliti.
Ne porse una tazza a Jude, allungato su di un divanetto, davanti al mega schermo, che rimandava le immagini di un film in bianco e nero.
“Bevi questo tesoro … ti farà sentire meglio” – gli disse dolce, scrutandolo.
“Nemmeno un miracolo …” – replicò asciutto, lo sguardo fisso su quelle scene cariche di malinconia.
Robert gli diede una carezza, dalla tempia allo zigomo, premendo il pollice sinistro su quel volto ancora bellissimo ed abbronzato dal sole di Haiti.
“Ti amo Judsie …” – disse strozzato dalla commozione.
L’addome di Law ebbe un fremito visibile da sotto la camicia attillata.
Aveva perso molto peso durante la separazione dal marito e, con un minimo di esercizio fisico e nuoto, aveva riacquistato una forma invidiabile.
L’avvenenza era divenuta l’ultimo dei suoi valori: egli non si sforzava minimamente, come in passato, per piacere a Robert.
Voleva il suo amore per altri valori, espressi in maniera insufficiente, forse offuscati da un’innata presunzione dell’inglese, tipica per un compagno più giovane dell’altro, in una coppia come la loro.

“Rob lasciami in pace …” – disse mesto, sfiorando con i polpastrelli gelidi gli avambracci nudi di Downey, che indossava una t-shirt sgualcita, sui pantaloni di una tuta rubata al consorte.
Un tentativo di respingerlo così debole, da non convincere nessuno dei due.
“Posso tenerti sul petto Jude … Posso abbracciarti …?” – chiese timido, infilando l’indice nella scollatura di quella casacca bianca, aperta a metà.
“Rob”
“Non riesco a non toccarti, non ci riesco proprio” – e sentendo una lacrima rigargli la pelle, Downey incollò le loro labbra, ovviando al momentaneo rifiuto di quelle di Jude, con una lieve pressione, bocca a bocca, finché la sua non si schiuse, dilatandosi appassionata, mentre i rispettivi corpi si aggrovigliarono con urgenza e naturalezza sconvolgenti.

Era da tanto che Robert non gli faceva l’amore in quel modo, totalitario, quasi oppressivo, ma che permetteva a Jude di sentirsi libero ed orgoglioso di appartenergli.
Avrebbe dato la vita all’uomo, che solo in quell’istante stava finalmente pensando a lui, mentre lo scopava febbrilmente, senza più il fantasma di Geffen tra loro.
Forse era soltanto una battaglia vinta, in una guerra, che si preannunciava ancora lunga: Law se la fece bastare, come ogni goccia di Robert, che lo inondava, colando tra le sue gambe, come una pioggia bollente e salvifica, per entrambi.


“Ciao Glam” – Matt gli sorrise – “Certo il comitato d’accoglienza non è proprio il massimo”
Il suo tono era deciso oltre che sarcastico, mentre faceva ciondolare nella mano destra una grande busta gialla.
“Come hai fatto ad entrare qui?” – chiese ostile.
“La porta era aperta … E poi ho dato una mano in cucina, c’è sempre tanto bisogno, soprattutto ora che i tuoi ragazzi sono un po’ … acciaccati” – e sul finire la sua voce divenne come una cantilena insopportabile.
Geffen fece pochi passi verso di lui, palesemente alterato dalla sua presenza e da ciò che stava immaginando ci fosse in quell’involucro.
“Fermati lì, avvocato” – gli impose secco, aprendo quella cartellina e rivelandone il contenuto.
“Vediamo un po’ cosa c’è qui Glam … Mmmm sai che sei fotogenico? Un bell’uomo, anche se in questi scatti non sei al meglio … Tutto sporco di … sangue?” – e ridacchiò, mostrando un sacchetto di plastica, in cui era custodito un lembo di quella casacca, che Geffen pensava di avere distrutto.
“Dovresti cambiare liquido infiammabile … In ogni caso ho conservato anche lo straccio gettato nei cassonetti, quello è davvero fradicio, strano tu non l’abbia bruciato con il resto … La sequenza è nitida, ho speso una fortuna in un aggeggio per i primi piani … Tu che esci dal palazzo di Mendoza, poi ti pulisci le mani, poi butti il cencio di cui sopra … e ti avvii alla spiaggia”
Glam si guardò intorno, strizzando poi le palpebre e chiudendo i pugni.
“Stai calmo grand’uomo … Qui lo spettacolo prosegue con te senza vestiti … Poi di nuovo vestito” – rise fragoroso – “… infine piromane … con poco avvenire, meglio se aspettavi che tutto fosse ridotto in cenere … La stessa fine che vorresti far fare a me, giusto Glam?” – e lo puntò.
“Cosa diavolo vuoi?!”
“Ho … parecchie opzioni, però … Le conoscerai diciamo domani mattina, adesso dormici sopra, pensa al tuo Robert, volato via come una farfallina dispettosa: nel parcheggio eravate così carini, con lui che si poneva l’odioso quesito: è un mostro oppure no? Aahahahhah”


Jared la cambiò con cura.
Colin filmava la scena, per poi inviarla ai figli in quel di Los Angeles, dove la loro già nutrita prole attendeva di coccolare la nuova principessa di casa.
“Flo fai piano, non te lo ruba nessuno” – Leto rise, baciandole la testolina e notando quanto fosse golosa di latte ed attenzioni, durante la poppata notturna.
“Sei stanco …?” – chiese Farrell, notando un certo pallore sul volto bellissimo del cantante dei Mars.
“Le mie energie sono ancora latitanti Cole … eppure” – lo fissò – “… vorrei tanto fare l’amore con te, per celebrare questo meraviglioso arrivo … Le nostre vite si sono arricchite ulteriormente … Grazie” – e si commosse.
Colin lo strinse forte, cullandolo, mentre Jared faceva lo stesso con la loro Florelay, che protestò con un rigurgito, per poi sorridere serena.


Lula si svegliò appena Glam entrò nella sua stanza.
“Papà …” – lo chiamò assonnato, tendendogli le braccia sottili.
“Ciao tesoro … sei la cosa più bella che ho visto da stamattina, sai?” – arrise ai suoi occhi grandi, sforzandosi di sembrare tranquillo, ma con Lula non funzionava.
“Qualcuno ti ha fatto arrabbiare papi?” – e nel domandarglielo, il bimbo gli fece spazio.
Geffen si distese, distrutto dalla frustrazione e pensieri oscuri su quanto gli stava accadendo: era tutto così assurdo.

“Risolverò ogni cosa, Lula, te lo posso garantire”
“Sei davvero … mmm inc”
“Lula!”
Soldino di cacio rise.
“A proposito papà, sai chi è venuto a trovarmi? Zio Matt!” – esclamò entusiasta.
“Cosa …?”
“Zio Matt, papi …”
“Sì, sì certo ho capito. Perdonami Lula, ora devo andare, ma ti manderò papà Kevin ok?” – gli disse dolce.
“Okkei …”

Appena oltre la soglia, Glam aprì la lista delle chiamate effettuate, selezionando l’ultima.
Matt bofonchiò un – “Sì, pronto …?” – forse senza neppure guardare chi lo cercasse a quell’ora tarda.
“Sono io e ti devo parlare, accidenti!” – sbottò Geffen, aspro ed esasperato, raggiungendo a passo veloce il proprio hummer nel parcheggio della fondazione.
Riattaccò senza andare oltre: l’acido gli saliva dallo stomaco, corrosivo come ogni percezione verso quel ricatto annunciato.
Doveva finire: e subito.






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