Capitolo n. 33 - zen
Geffen rientrò nel
suo ufficio verso mezzanotte.
Aveva vagato per Port
au Prince, provando a chiamare decine di volte quel numero sconosciuto, senza
esito.
Le parole del messaggio
lo stavano tormentando ed appena varcata la soglia, lo ricompose.
Ebbe un sussulto,
sentendo un bip provenire dall’unico angolo rimasto buio, in quella stanza
arredata scarnamente.
Qualcuno accese la
lampada da lettura, posizionata accanto alla poltrona sulla quale stava seduto.
“Matt …?!”
Robert aveva
preparato un tè, sull’aereo di Meliti.
Ne porse una tazza a
Jude, allungato su di un divanetto, davanti al mega schermo, che rimandava le
immagini di un film in bianco e nero.
“Bevi questo tesoro …
ti farà sentire meglio” – gli disse dolce, scrutandolo.
“Nemmeno un miracolo
…” – replicò asciutto, lo sguardo fisso su quelle scene cariche di malinconia.
Robert gli diede una
carezza, dalla tempia allo zigomo, premendo il pollice sinistro su quel volto
ancora bellissimo ed abbronzato dal sole di Haiti.
“Ti amo Judsie …” –
disse strozzato dalla commozione.
L’addome di Law ebbe
un fremito visibile da sotto la camicia attillata.
Aveva perso molto
peso durante la separazione dal marito e, con un minimo di esercizio fisico e
nuoto, aveva riacquistato una forma invidiabile.
L’avvenenza era
divenuta l’ultimo dei suoi valori: egli non si sforzava minimamente, come in
passato, per piacere a Robert.
Voleva il suo amore per
altri valori, espressi in maniera insufficiente, forse offuscati da un’innata
presunzione dell’inglese, tipica per un compagno più giovane dell’altro, in una
coppia come la loro.
“Rob lasciami in pace
…” – disse mesto, sfiorando con i polpastrelli gelidi gli avambracci nudi di
Downey, che indossava una t-shirt sgualcita, sui pantaloni di una tuta rubata
al consorte.
Un tentativo di
respingerlo così debole, da non convincere nessuno dei due.
“Posso tenerti sul
petto Jude … Posso abbracciarti …?” – chiese timido, infilando l’indice nella
scollatura di quella casacca bianca, aperta a metà.
“Rob”
“Non riesco a non
toccarti, non ci riesco proprio” – e sentendo una lacrima rigargli la pelle,
Downey incollò le loro labbra, ovviando al momentaneo rifiuto di quelle di
Jude, con una lieve pressione, bocca a bocca, finché la sua non si schiuse,
dilatandosi appassionata, mentre i rispettivi corpi si aggrovigliarono con
urgenza e naturalezza sconvolgenti.
Era da tanto che
Robert non gli faceva l’amore in quel modo, totalitario, quasi oppressivo, ma
che permetteva a Jude di sentirsi libero ed orgoglioso di appartenergli.
Avrebbe dato la vita
all’uomo, che solo in quell’istante stava finalmente pensando a lui, mentre lo
scopava febbrilmente, senza più il fantasma di Geffen tra loro.
Forse era soltanto
una battaglia vinta, in una guerra, che si preannunciava ancora lunga: Law se
la fece bastare, come ogni goccia di Robert, che lo inondava, colando tra le
sue gambe, come una pioggia bollente e salvifica, per entrambi.
“Ciao Glam” – Matt
gli sorrise – “Certo il comitato d’accoglienza non è proprio il massimo”
Il suo tono era
deciso oltre che sarcastico, mentre faceva ciondolare nella mano destra una
grande busta gialla.
“Come hai fatto ad
entrare qui?” – chiese ostile.
“La porta era aperta
… E poi ho dato una mano in cucina, c’è sempre tanto bisogno, soprattutto ora
che i tuoi ragazzi sono un po’ … acciaccati” – e sul finire la sua voce divenne
come una cantilena insopportabile.
Geffen fece pochi
passi verso di lui, palesemente alterato dalla sua presenza e da ciò che stava
immaginando ci fosse in quell’involucro.
“Fermati lì,
avvocato” – gli impose secco, aprendo quella cartellina e rivelandone il
contenuto.
“Vediamo un po’ cosa
c’è qui Glam … Mmmm sai che sei fotogenico? Un bell’uomo, anche se in questi
scatti non sei al meglio … Tutto sporco di … sangue?” – e ridacchiò, mostrando
un sacchetto di plastica, in cui era custodito un lembo di quella casacca, che
Geffen pensava di avere distrutto.
“Dovresti cambiare
liquido infiammabile … In ogni caso ho conservato anche lo straccio gettato nei
cassonetti, quello è davvero fradicio, strano tu non l’abbia bruciato con il
resto … La sequenza è nitida, ho speso una fortuna in un aggeggio per i primi
piani … Tu che esci dal palazzo di Mendoza, poi ti pulisci le mani, poi butti
il cencio di cui sopra … e ti avvii alla spiaggia”
Glam si guardò
intorno, strizzando poi le palpebre e chiudendo i pugni.
“Stai calmo
grand’uomo … Qui lo spettacolo prosegue con te senza vestiti … Poi di nuovo
vestito” – rise fragoroso – “… infine piromane … con poco avvenire, meglio se
aspettavi che tutto fosse ridotto in cenere … La stessa fine che vorresti far
fare a me, giusto Glam?” – e lo puntò.
“Cosa diavolo vuoi?!”
“Ho … parecchie
opzioni, però … Le conoscerai diciamo domani mattina, adesso dormici sopra,
pensa al tuo Robert, volato via come una farfallina dispettosa: nel parcheggio
eravate così carini, con lui che si poneva l’odioso quesito: è un mostro oppure
no? Aahahahhah”
Jared la cambiò con
cura.
Colin filmava la
scena, per poi inviarla ai figli in quel di Los Angeles, dove la loro già
nutrita prole attendeva di coccolare la nuova principessa di casa.
“Flo fai piano, non
te lo ruba nessuno” – Leto rise, baciandole la testolina e notando quanto fosse
golosa di latte ed attenzioni, durante la poppata notturna.
“Sei stanco …?” –
chiese Farrell, notando un certo pallore sul volto bellissimo del cantante dei
Mars.
“Le mie energie sono
ancora latitanti Cole … eppure” – lo fissò – “… vorrei tanto fare l’amore con
te, per celebrare questo meraviglioso arrivo … Le nostre vite si sono
arricchite ulteriormente … Grazie” – e si commosse.
Colin lo strinse
forte, cullandolo, mentre Jared faceva lo stesso con la loro Florelay, che
protestò con un rigurgito, per poi sorridere serena.
Lula si svegliò
appena Glam entrò nella sua stanza.
“Papà …” – lo chiamò
assonnato, tendendogli le braccia sottili.
“Ciao tesoro … sei la
cosa più bella che ho visto da stamattina, sai?” – arrise ai suoi occhi grandi,
sforzandosi di sembrare tranquillo, ma con Lula non funzionava.
“Qualcuno ti ha fatto
arrabbiare papi?” – e nel domandarglielo, il bimbo gli fece spazio.
Geffen si distese,
distrutto dalla frustrazione e pensieri oscuri su quanto gli stava accadendo:
era tutto così assurdo.
“Risolverò ogni cosa,
Lula, te lo posso garantire”
“Sei davvero … mmm
inc”
“Lula!”
Soldino di cacio
rise.
“A proposito papà,
sai chi è venuto a trovarmi? Zio Matt!” – esclamò entusiasta.
“Cosa …?”
“Zio Matt, papi …”
“Sì, sì certo ho
capito. Perdonami Lula, ora devo andare, ma ti manderò papà Kevin ok?” – gli disse
dolce.
“Okkei …”
Appena oltre la
soglia, Glam aprì la lista delle chiamate effettuate, selezionando l’ultima.
Matt bofonchiò un – “Sì,
pronto …?” – forse senza neppure guardare chi lo cercasse a quell’ora tarda.
“Sono io e ti devo
parlare, accidenti!” – sbottò Geffen, aspro ed esasperato, raggiungendo a passo
veloce il proprio hummer nel parcheggio della fondazione.
Riattaccò senza
andare oltre: l’acido gli saliva dallo stomaco, corrosivo come ogni percezione
verso quel ricatto annunciato.
Doveva finire: e
subito.
Nessun commento:
Posta un commento