sabato 22 settembre 2012

SUNRISE - CAPITOLO N. 201



Capitolo n. 201  -  sunrise


“E’ l’imbarazzo e poi quella … quella sottile rabbia, che inquina ogni pensiero ed ogni gesto, sai? … Quando ci si saluta, facendo finta che vada bene così ed invece è uno schifo, Jay …”
“So cosa si prova … un vicolo cieco Glam …”
Parlavano, come non facevano da un tempo immemore.
Erano soli, alla villa, mentre Colin e gli altri avevano preferito la spiaggia, nonostante il cielo minacciasse un temporale imminente.
“Mi dispiace Glam …” – e gli diede una carezza sulla nuca, posando poi la sua guancia sulla spalla dell’avvocato, mentre stavano seduti sul divano della sala, dove giocattoli e vestiti non riuscivano a trovare una collocazione.
Era un allegro bailamme di colori e profumi, di cocco e di mare.

“Adesso Robert è a Parigi?”
“Sì, aveva preso un’auto a noleggio e l’ho accompagnato, per stare insieme a lui sino alla fine, anche se vederlo partire è stata una pessima idea”
Jared si strinse nelle spalle, raccogliendo le gambe, nel distaccarsi da Geffen, assorto in un dolore palpabile.
Il leader dei Mars aveva una barba incolta, sul volto leggermente colorito e più sano, rispetto ad una settimana prima.
Stava decisamente meglio.
“Le stesse azioni, che si ripetono Glam … è terribile”
“Già, come quando ti portavo in aeroporto ad Haiti e tu rientravi a Los Angeles, la mia vita è fatta di frammenti ciclostilati, ciclici … odiosi!” – sibilò con rabbia, alzandosi.
“Dove vai …?” – chiese il cantante, con timidezza.
Glam gli sfiorò i capelli, piegandosi per posarvi un bacio, intenso ed affettuoso – “Ti porto a fare un giro, non voglio ammuffire qui, andiamo da Colin”
“Lui vorrebbe …” – esitò.
“Cosa piccolo? Che vivessimo insieme, come ora? Alla End House? Vuoi averci accanto entrambi, per non fare altre cazzate? Devo ancora sgridarti a dovere per non avermi chiesto aiuto, evitando la droga, sappilo” – disse diretto, ma il suo tono era dolce, quanto sfinito.
“Colin ha tanta paura, quanto me, Glam …”
“Non sono il pilastro, che credete … Non sono niente Jared, ora meno che mai, perché con Robert potevo fermarmi anch’io ed avere accanto un’anima gemella: spero che la mia sincerità non ti ferisca, considerato che mentirti mi sembra così riprovevole, dopo quanto abbiamo condiviso, tu ed io”
“Ci … ci siamo amati così tanto Glam …” – mormorò, fissando il vuoto e sciogliendo due lacrime da quei cristalli di zaffiro, illuminati dal sole, che non si arrendeva alle nubi.
Geffen si inginocchiò, liberando il viso di Jared da una frangia ribelle – “Tu sarai sempre speciale, per me, non dimenticarlo e, per quanto mi hai voluto bene, cerca di starmi vicino, visto che sono a terra, completamente: puoi farlo, Jay?”
Leto annuì, appendendosi al suo collo, affondandoci la nostalgia, che gli attanagliava la gola asciutta.
Il suono del cellulare di Glam si insinuò in quel loro momento, slegando il loro abbraccio.
“E’ Robert … Sì, pronto”


“Glam, ma Rob cosa ti ha detto?!”
Colin era disperato, almeno quanto Geffen e Jared, durante il tragitto verso Nizza, da cui sarebbero decollati per Londra.
“Pochi dettagli, l’auto di Owen ha sbandato in una curva, c’erano dei rami sull’asfalto, per una mezza bufera e lui voleva evitarli, ma è finito in un fossato, capottandosi e Jude è sbalzato fuori … Ha avuto la peggio, Rice non ha nemmeno un graffio, grazie alle cinture”
“E Jude non le aveva?”
“No Jared … Si erano incontrati in un pub, per caso”
“Erano ubriachi quindi?!” – “Jude di certo, mentre Owen in dosi minime … Comunque li vedremo presto, adesso calmati Colin, accidenti!”


Quel corridoio verde sapeva di disinfettante.
Robert era rimpicciolito, sulla panchina in acciaio e legno di faggio, creata da un designer, da quello che raccontava un visitatore alla moglie annoiata, piazzati davanti a lui.
C’erano persone che diventavano logorroiche, nei momenti di tensione.
Downey era talmente ammutolito, da volere scomparire da quel contesto, se solo avesse potuto.
Alzava lo sguardo ad ogni tintinnio dell’ascensore, nella speranza di vedere apparire Geffen ed alla fine fu così.
Gli corse incontro, con passi pesanti ed afflitti.

“Glam … grazie per essere qui” – e scoppiò a piangere.
“Tesoro come sta Jude?” – chiese guardandolo, mentre con un fazzoletto gli tamponava quei rivoli, sulle guance segnate dall’insonnia.
“Il trauma celebrale in principio sembrava molto grave, ma per fortuna l’ematoma si è riassorbito immediatamente con i farmaci ed un intervento: è in coma … come si dice …” – esitò come un bimbo durante un’interrogazione scolastica.
“Coma pilotato …” – disse flebile Jared.
Downey lo abbracciò e con lui anche Colin, distrutti dalla preoccupazione.
“Scusatemi … scusatemi”
“Per cosa Rob …?” – domandò commosso Farrell.
“Jude è lì da solo, senza di me …” – disse come alienato.
Geffen lo riprese sotto l’ala, con tenerezza – “Adesso cerco il primario e proviamo a capire quando potremo fargli visita, ok? Tu rimani qui con Jared e Colin, prendetevi un caffè, cosa ne pensi Robert?”
“Ok … ok, grazie …”
“Non devi ringraziarmi: farei qualsiasi cosa per te. Andrà tutto bene, te lo prometto” – e gli diede un bacio sulla tempia destra, prima di allontanarsi.

Shannon arrivò nel tardo pomeriggio.
“Fratellino …”
“Shan …” – si strinsero, trepidanti.
“Come sta Jude?”
“Lo fanno dormire … come è successo con me”
“Sì Jared … Ed Owen? Sono qui per lui i miei ex suoceri mi hanno avvisato e sono andato a prendere July, con Josh …”
“Capisco … Lui se l’è cavata con una distorsione alla caviglia, lo dimettono oggi”
“Ok, vado a salutarlo …”
“Ortopedia, terzo piano … sono felice di vederti Shannon”
“Tu come stai?”
“Ho fatto dei progressi, Colin me lo dice ad ogni risveglio …” – e sorrise, cercando lo sguardo nel compagno, poco distante.
“Non avevi bisogno di questo stress, perché non torni a casa?”
“Voglio rimanere … vedere Jude …”
“E Robert?”
“Distrutto … Ha incontrato Glam, a Biot, in segreto insomma, con la scusa del lavoro per l’ultimo film …”
“Le menzogne presentano il conto prima o poi, lo so alla perfezione.” – disse mesto.
“Vai da Owen adesso, gli farà piacere”
“Lo credi? Ne dubito …”


Rice stava zoppicando tra il comodino e l’armadio.
La governante della madre gli aveva portato una borsa piena di vestiti e ricambi, completamente inutili.
Brontolava a bassa voce, infastidito da tante premure non richieste.
Era assillato al pensiero di Jude e quando si ritrovò ad un metro gli occhi di Shannon, che lo stavano fissando, il cuore gli saltò in gola.
“Ciao Owen, come ti senti …?”
“Perché sei qui, cazzo?!”
“Mi ha telefonato tuo padre … July è con me, nell’alloggio di Josh, volevo lo sapessi, così da poterla raggiungere, visto che è molto agitata … ti adora”
“Con Josh?! Ma sei impazzito, lui è un estraneo!”
“C’è anche tua mamma con loro … Sapevo che non avresti gradito, ma July è anche mia figlia” – disse svuotato, sedendosi.
Rice crollò sulla lettiga, in lacrime – “Non volevo che finisse così … io non volevo Shan …”
Il batterista, smarrito, si avvicinò, abbracciandolo per consolarlo.
“Jude se la caverà …”
“Parlavo … parlavo di noi Shan …” – e lo guardò, dandogli poi una carezza sullo zigomo sinistro.
Shan sospirò amaro – “Abbiamo avuto parecchie occasioni e le abbiamo sprecate Owen: prendiamoci la colpa a metà e proviamo ad andare avanti, crescendo la nostra July, senza deluderla.”
“Allora abbiamo ancora qualcosa di nostro …?”
“Sì, a prescindere dalla tua stronzaggine” – e rise.
Rice poggiò la fronte sul petto dell’americano, inspirando il suo profumo speziato.
“Ti ho amato tantissimo Shan … mi manchi … mi manchi da morire” – e lo baciò, ricambiato, ma senza capire se era un gesto ispirato dalla compassione o da un minimo interesse anche da parte dell’ex.
Shan si distaccò brusco, strizzando le palpebre.
“Josh non merita questo! Devo andare”
“Shan … ti prego …”
“Questo è l’indirizzo Owen, sarai il benvenuto, nella speranza che tu non faccia piazzate onnipotenti, perché sono queste tue manie di grandezza ad avermi stancato ed avere polverizzato l’amore che io nutrivo per te!” – e sparì nel corridoio, con l’animo a pezzi.


“Signor Downey mi segua, suo marito si è svegliato e ripete il suo nome da almeno dieci minuti … E’ sedato, non lo stanchi, mi raccomando”
Robert abbandonò le ali di Geffen, che lo aveva quasi cullato sino a quel momento, provando a sollevarlo dal senso di colpa, devastante ai suoi sensi.
“Glam …” – lo guardò scosso ed ad entrambi sembrò fosse l’ultima volta, come un addio inatteso.
“Jude è tornato … per te amore.”
Quella frase, a Downey, diede l’impressione di un’onda, che si portava via dalla spiaggia tutto ciò non fosse in grado di ancorarsi alla sabbia.
Fuori ricominciò a piovere.

“Colin vado a cercare un hotel … ne ho visto uno qui vicino …”
“Sì Jared, ok … Prendi un taxi, però …” – replicò indeciso se lasciarlo andare da solo – “O vai con Glam … ma dov’è finito?”


Pov Glam Geffen

La strada è vuota.
Ci rivedo la mia vita, come è ritornata, adesso.
L’improvvisa mutazione, mi aveva del tutto illuso.
Pozzanghere.
Suoni di clacson, mentre cammino, senza sapere dove andare, come se mi importasse.
No, non mi importa più, ora che le caselle di questo mosaico sono tornate al loro posto, mentre quella assegnata a me resta nella scatola.
Vorrei vederne la copertina, forse per capire se ha ancora un senso rimanere su questo tavolo oppure lasciare che la sorte, annoiata giocatrice, mi getti in un cestino oppure in una di queste grate, dalle quali si alza un vapore acre, di zolfo e polvere.
Cammino.
La pioggia accarezza i miei pensieri, non so più neppure se sono tristi.
Vorrei piangere e non ci riesco.
Lascio alla rabbia il potere di condurmi, non so neppure dove.
I miei vestiti pesano, la mia testa pesa, le mie mani, che pochi istanti prima ti stavano accarezzando.
Il tuo calore … e non ho mai avuto niente di te, quando avevo tutto …
Verde.
Giallo, rosso … mi fermo.
Chi incontro mi guarda, come se fossi un pazzo.
Un pazzo che cammina senza un ombrello.
A me non serve.
Odio questa città.
Odio questa pioggia.
Odio il mio pianto ed i singhiozzi, ora,  appoggiato a questo muro, contro il quale mi nascondo, come se la notte potesse inghiottirlo, con me, portandoci lontano da qui … Niente ha un senso.
Niente §

“Glam!”
Jared lo afferrò, spostandosi con lui sotto ad una pensilina.
“Jared … sei fradicio …” – disse ridacchiando, come se fosse alticcio, mentre invece era l’isteria della vergogna, che Geffen sentiva divorarlo inesorabile.
“Togliamoci da qui o ci ammaleremo sul serio!”
Lo trascinò verso l’ingresso dell’albergo, che aveva notato mentre transitavano dall’aeroporto, per giungere alla clinica.

“Due suite, grazie …” – chiese Leto, porgendo alla reception i documenti e la carta di credito.
“Benvenuti …”
“Sì, grazie … potreste mandarci degli abiti?”
“Sì, certo signor Leto, scelga pure” – e gli porse un tablet.
Jared sorrise, quelle diavolerie gli piacevano.


Il temporale peggiorò.
“Ho preso una una tuta anche per te, Glam …”
“Ti ringrazio” – ribatté assente, spogliandosi.
Jared gli porse un accappatoio.
“Fai una doccia calda”
“Dovresti farla anche tu, vai nella tua stanza, qui me la cavo Jay”
“Sì … ma non ne sono sicuro”
“Prenderai una polmonite, muoviti su …” – insistette stancamente.
I lampi fendevano l’aria, una finestra si spalancò, facendo sobbalzare Jared, che si precipitò a chiuderla, mentre la luce andava via.
“Miseria …”
“Non spaventarti è solo un black out”
Jared gli si appese al collo, impaurito – “Promettimi di non fare sciocchezze Glam … promettilo!”
“Qui l’unica sciocchezza la stai facendo tu con questi cenci inzuppati addosso!”
Jared lo guardò, rimanendo aderente al suo busto: si tolse il giubbetto in jeans e la t-shirt, poi slacciò i jeans larghi, che gli scesero sino alle caviglie.
“Jared …”
Li scalciò via, con le scarpe, non aveva altro, se non la sua nudità perfetta ed asciutta.
“Ho … ho freddo Glam …”
Geffen era rimasto con i boxer, quasi pronto a lavarsi, prima di quell’inconveniente.
Si era distratto, insieme a Jared, che ora restava appoggiato con i palmi al suo petto: Glam era immobile, ma visibilmente emozionato.
Lo avvolse, per riscaldarlo: si baciarono.
Jared, con gemiti leggeri, scivolò in ginocchio, liberando Glam dall’intimo, con un movimento fluido e capace, quanto quello con cui iniziò a leccare e baciare la sua erezione.
Geffen gli sfiorava la nuca, poi le gote arrossate e piene, mentre il cantante pompava e succhiava con gioia, quell’eccitazione virile e smaniosa di avere di più.
Nella mente dell’uomo, ogni cosa si era azzerata.
La sua ragione non era riuscita ad imporsi, nessun barlume di buon senso sembrava ormai abitare il suo cuore e la sua anima, sconfitti ed alterati dalla delusione.

La pioggia batteva sui vetri, con la stessa furia con cui Geffen fece aggrappare a sé Jared, addossandolo proprio a quella vetrata, per penetrarlo con un unico affondo.
“Glam …!!”
I tuoni coprirono i loro ansiti scabrosi, che aumentavano ad ogni spinta di Geffen.
Jared sembrava un burattino, in balia del suo carnefice e nessuno come lui sarebbe potuto esserne più felice.
Era una sensazione meravigliosa ed appagante, più di qualsiasi stupefacente.
Jared stava volando, anche se il suo corpo fragile sussultava su quel membro turgido ed ingrossato dai suoi lamenti lussuriosi.
Glam lo leccava nel collo, strattonandogli indietro la testa, con la mano sinistra arpionata alle chiome di Jared, che sorrideva e poi schiudeva la bocca, in cerca di ossigeno, spalancandola poi lascivo, per l’orgasmo ormai dilagante in entrambi.
Provò a toccarsi, per finirsi, ma si riempì la mano del suo stesso seme, abbondante e caldissimo, quanto quello con cui Glam lo stava sporcando.

Le ossa gli dolevano, ma a Geffen non sembrava importare, almeno non intenzionalmente.
Ebbe cura di porre un cuscino sulla moquette, prima di sottomettere Jared ai piedi di una poltrona e sodomizzarlo con una lentezza quasi irritante.
Gli afferrò i polsi, incrociandoli dietro alla schiena: Jared mordeva il bordo imbottito di quella seggiola in stile barocco, senza comunque protestare.

A Glam ci volle poco per venire nuovamente, ma preferì farlo sulle labbra dell’amante, giratosi in ginocchio tra le sue cosce madide e robuste, pronto ad assecondare ogni sua richiesta, anche la più dissoluta: non si risparmiò, infatti, ad ingoiare e saziarsi di lui, con ingordigia.

La corrente non era stata ancora ripristinata ed i contorni della camera divennero liquidi e pulsanti, mentre Geffen, tra le sue gambe, lo baciava compulsivo ed affamato di lui, dopo essersi allungati sul letto.
Jared avrebbe voluto cristallizzarsi in quel frangente, che dentro sé stesso ambiva da quando Glam gli era volato via dalle mani: non aveva rimorsi, come se i suoi sentimenti, mai sopiti, potessero legittimarlo in ogni scelta.
“Voglio solo che tu sia felice, Glam …” – gli sussurrò nella gola, pervaso dall’altro, in ogni terminazione nervosa, sublimata da quella perversione, che non conosceva un epilogo definitivo.



Nessun commento:

Posta un commento