Capitolo n. 200 -
sunrise
La strada scendeva
verso una piazzetta, illuminata da fiaccole ed occupata dai tavolini di un
ristorante.
Glam controllò il
nome della via, ma non corrispondeva alle indicazioni riportate su quel biglietto:
alzò lo sguardo e notò un vicolo, lastricato di ciottoli.
“Ah eccoti qui …”
Lo percorse in salita
per una trentina di metri, finché un muretto in pietra ne segnò il termine: era
arrivato.
Su due colonne
spiccavano delle ciotole in cristallo, colme d’acqua, sulla quale galleggiavano
candele bianche e ninfee.
Nell’aria un profumo
di magnolia vivace, che gli inebriò i sensi.
Il suo cuore cominciò
ad agitarsi, ma ormai non poteva o voleva tornare indietro, anche perché esisteva
un’unica speranza nel suo animo debilitato da troppi fallimenti.
La tavola era
apparecchiata per due, al centro di un giardino, posto su di una terrazza
naturale.
“Era la nostra cena …
scusami per il ritardo Glam”
Robert aveva
accorciato i suoi capelli brizzolati, con un taglio elegante, era rasato,
vestito in maniera semplice, con una casacca cenere su comodi pantaloni neri,
calzava delle infradito, che lasciavano liberi i suoi bellissimi piedi, così li
definiva sempre Glam … il suo Glam.
Sarebbe stato “dopo”
e soltanto “dopo”, il momento di pensare alle bugie, che di certo Robert aveva
raccontato a Jude, per essere lì, così come “dopo”, Glam gli avrebbe spiegato
di come non potesse funzionare, tra loro, in quella maniera.
Diventare dei
clandestini, non esisteva, lui voleva amarlo alla luce del sole, in un percorso
pulito, Glam voleva sposarlo, voleva dei figli con lui, voleva un mare di cose,
ma questo “prima”, quando, inesorabilmente, lui aveva capito che non ci sarebbe
mai stato un “dopo”.
Per quanto lo avesse
agognato, per quanto potesse combattere, Glam Geffen aveva deposto le armi,
piegandosi o meglio onorando le scelte fatte da Robert, perché così doveva
essere e non esistevano alternative.
Una carambola di
pensieri, che si affacciò alla sua mente, mentre il suo corpo si riuniva a
quello di Downey, che avrebbe potuto anche morire di quei baci, che adesso Glam
gli stava spargendo ovunque, toccandolo, sentendolo, riappropriandosi di ciò
che poteva essere suo.
Robert che gemeva,
contro il muro fatto di sassi e calcina, impastati da mani grandi, come quelle
di Glam, che lui stava aprendo e baciando, portandosele poi sotto alla camicia,
che Geffen quasi strappò, ritrovando il suo busto magro e compatto, dove la sua
bocca si nutrì avida di ogni millimetro, di quella pelle ambrata e liscia.
Robert era così
giovane, così attento e l’unica spina, che per un paio di secondi tormentò
dispettosa la vanità di Geffen, fu il dedurre che l’attore aveva fatto tanti
sacrifici per Jude e non per lui.
Glam lo sollevò,
spostandosi all’interno di quel cottage, fatto di un living e di un soppalco,
dove un letto matrimoniale era stato sistemato sotto ad una grande finestra a
mezza luna.
Chiuse la porta con
un calcio, premendo inavvertitamente un interruttore con il gomito: il
lampadario centrale si spense, lasciando l’ambiente in un riverbero violaceo,
rimandato da un abat jour, rimasta accesa proprio sul comodino, nella zona
notte.
“Glam …”
“Sì … sono qui …” – e
lo baciò di nuovo, senza mai averlo lasciato scendere.
Downey era leggero e
malleabile, cosi fu semplice lasciarsi avvolgere dalle sue gambe e dalle sue
braccia, come se fosse un bambino impaurito.
Lo fu altrettanto
spogliarsi completamente, in quel breve tragitto, all’apice del quale, un
copriletto dai toni provenzali accolse il loro atterraggio morbido e
sorridente.
Quella burrasca di
movimenti, sembrò calmarsi, improvvisamente.
Glam gli spostò le
ciocche ai lati della fronte spaziosa, baciandola con tenerezza, segnando le
sopracciglia di Robert con i pollici, mentre i suoi palmi circondavano il viso
dell’attore, tempestato da quei suoi occhi scuri, in cui sembrava essersi
disciolta un’infinita amarezza.
Le loro erezioni
erano turgide, le gambe di Glam, calde e massicce, eppure tremanti, tra le sue
più esili, evocavano un giusto epilogo carnale, ma qualcosa sembrava volerlo
rimandare.
Glam desiderava
guardarlo, memorizzarlo forse, di certo imprimerlo, in ogni sua espressione – “Io
ti amo Robert” – e poi voleva baciarlo nuovamente, senza fermarsi nelle proprie
carezze, fino a cercare le sue dita, per intersecarle alle sue, portando entrambe
oltre le spalle di Downey, ansante, innamorato quanto lui di quell’intimità
unica e meravigliosa tra loro.
La posizione si
capovolse con naturalezza: Glam si appoggiò allo schienale imbottito, mentre
Robert si mise seduto, puntandosi sulle ginocchia e brandendo il membro dell’altro,
con emozione.
Scivolò quanto
bastava per poterlo inghiottire, fino in gola, usando solo la propria bocca,
per dargli piacere, mentre le sue mani premevano sull’addome di Glam,
spasmodicamente reattivo a quell’iniziativa lussuriosa.
“Rob-Robert …” – gli raccoglieva
le guance, compiacendosi di come riusciva a riempirle e saziarle.
Sarebbe potuto essere
così, per sempre, tra loro.
Glam provò un’angoscia
tale, da riuscire a sedarla esclusivamente portando le labbra di Robert alle
proprie, per un bacio devastato dalla disperazione.
Lo riportò sotto di sé,
spingendosi in lui, calibrando una foga, che non sopportava liberare nel suo
amore più grande.
Pensò a Lula, a come
definì l’arrivo di Jay Jay, di cosa rappresentasse per sé stesso, a quel punto
del cammino.
Jared lo aveva
perduto o meglio, non l’aveva ed avrebbe avuto mai.
I suoi occhi, trasposti
come in un incantesimo in quelli del figlio appena nato, erano un messaggio
quasi soprannaturale.
Robert si appese al
suo collo, come intimorito da quello sguardo fisso su di lui, che lo stava
possedendo ben oltre l’atto sessuale.
“Glam …”
Nessuna risposta, ma
un divenire copioso investì le sue membra, esasperate da un orgasmo perpetuo,
dall’istante in cui si erano ricongiunti.
Glam era in ogni sua
cellula, in ciò che vedeva od avvertiva, come se le reciproche solitudini avessero
raggiunto una destinazione insperata, ma da quel treno Robert era sceso, mentre
il suo destino aveva proseguito.
Il suo destino …
Jude lo stava ancora
salutando dal marciapiede, nascondendo la commozione nel bavero del cappotto di
scena, senza riuscirvi, almeno alla sua vista accorta e compromessa da un
sentimento lacerante: quel ricordo lo investì come una saetta, ma adesso lo
feriva.
Tornò a baciare Glam
e quel male gli sembrò scomparire.
“Il prossimo lo offro
io”
Il sorriso di Owen
era solare.
Jude strizzò le
palpebre, abbagliato da una lampada, sul fondo del pub, oltre l’orecchio destro
di Rice, ormai seduto al bancone, accanto a lui.
“Ciao … cosa ci fai
tu a Londra?” – chiese svogliato l’attore.
“Ho portato July dai
nonni e tu?” – replicò, facendo un cenno al barista di versargli lo stesso
drink, che stava bevendo Law.
“Visita mensile ai
miei figli …”
“Ah, capisco”
“Devo andare”
“Così presto Jude?
Robert ti sta aspettando?”
“No … no, lui è in
Francia per quel film che abbiamo girato mesi fa … Per il doppiaggio” – spiegò triste.
“Come vanno le cose?”
“Di merda, grazie” –
ed inspirando provò ad alzarsi, ma tutto girava.
“Cazzo …” – masticò,
risedendosi con riluttanza.
Owen gli cinse le
spalle – “La Francia va parecchio di moda, vedo” – e sorrise.
“Sei uno stronzo Rice
…”
“Ma Jude …”
“No, guarda, tu ed io
non ci conosciamo abbastanza, ma so perfettamente cosa stai pensando: Geffen è
in Provenza e quindi Rob è corso da lui! Ed avrai pure ragione, ma che si
fottano, ok??! Tanto lo staranno facendo …” – e passandosi il palmo sinistro
sugli occhi, si piegò sulla lastra in marmo, facendo cadere il bicchiere nel
lavello sottostante.
Fuori pioveva a
dirotto.
“Posso aiutarti …?”
“A fare cosa? Ad
aprire gli occhi? A farmene una ragione, eh??!”
“Non alzare la voce
Jude … Ti accompagno”
“E dove?! Nel mio
alloggio, in quello che ho acquistato con Robert, perché diventasse il nostro
spicchio di paradiso??!” – inveii, scoppiando a piangere.
Owen, temendo qualche
paparazzata, lo coprì con il soprabito, scortandolo all’uscita di sicurezza.
Diede una lauta
mangia al gestore e lo salutò frettolosamente.
“Dai, la mia auto è
nel parcheggio … Siamo quasi in salvo Jude” – e rise, sperando che l’altro
facesse altrettanto.
“Lasciami in pace …
chiamo un taxi”
“Ma figurati, ci
mettiamo un niente ad arrivare, ora calmati accidenti …”
“E’ dai ragazzi,
quelli avuti con l’ex moglie Sadie …”
La spiegazione era
semplice, così come l’occasione per espletare l’impegno lavorativo – “Per
quello mi aspettano a Parigi domani Glam”
Geffen era disteso
alle sue spalle, lo custodiva, come il più prezioso dei tesori.
“E Camilla …?”
“E’ con Pamela … Mia
figlia adora la tua ex” – e sorrise, tirando su dal naso.
Quindi si girò, per guardarlo,
mentre gli parlava.
“Forse con lei, con
Cami intendo, funzionerebbe se noi …” – accennò, tremandogli sul petto.
Glam lo strinse – “Vorrei
poterlo credere Rob, almeno quanto lo vorresti tu”
“Con Jude io non
riesco a”
Geffen quasi gli
impose il proprio sguardo, seppure esprimesse la massima dolcezza.
“Non c’è un minuto,
durante le mie giornate e le mie notti Robert, in cui non penso a cosa potesse
essere di noi … Di quello che saremmo riusciti a costruire, in armonia, con i
nostri caratteri, con il rispetto, che anteponiamo anche alla migliore
simbiosi, che ci ha legati indissolubilmente … Perché io ti amerò ancora, anche
se non sarai con me … io non riuscirò più a considerarti un semplice, anche se
fantastico amico o confidente … Sarà un lavoro penoso e logorante, imparare a
non toccarti, a non baciarti, quando ci ritroveremo ad una festa di famiglia
oppure in un qualunque angolo di Los Angeles …”
“Allora fai in modo
che non sia così … Rendi possibile l’impossibile … amore” – sembrò una
supplica, bagnata dal suo pianto, suffragata dalle sue carezze e dai baci, in
cui Downey non si risparmiò.
Glam spense anche l’ultima
lampada, rannicchiandosi sotto il lenzuolo con Robert, stringendolo ed
avvinghiandosi a lui, come una matassa febbrile, fatta di respiri e parole,
densi di malinconia.
Entrambi sapevano che
non sarebbe cambiato nulla, ma prima dell’alba avrebbero colto ogni sfumatura
di quell’incontro, che, almeno nelle intenzioni di Geffen, non doveva ripetersi.
Mai più.
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