venerdì 14 settembre 2012

SUNRISE - CAPITOLO N. 195

Capitolo n. 195 - sunrise


Camilla accarezzava la barba di Robert, sorridendo e spargendo baci sulle sue guance arrossate, da quando era entrato nell’attico.
Jude si era cambiato nuovamente, cercando dei pantaloni chiari ed una maglietta, che sapeva piacere parecchio al compagno, trattandosi di un suo regalo.
Lo seguiva a distanza, dopo averlo salutato trepidante, ma senza azzardare un contatto fisico, sempre memore del diktat impostogli da Downey.
L’imbarazzo tra i due era palpabile, ma mai quanto la disperazione negli occhi dell’inglese, che si sforzava di sorridere davanti alla figlia, ad ogni sua affettuosa espressione, rivolta ai due genitori, attenti e premurosi.

“Ok principessa, siamo pronti … Andiamo Jude?” – gli chiese di spalle, quasi incolore.
“Sì Rob … prendo le chiavi dell’auto”
“D’accordo, inizio a scendere allora …”
“No intieme!!” – protestò Camilla imbronciandosi. Era quasi un’abitudine prendere l’ascensore e cantare canzoncine buffe, per distrarla da quell’appuntamento con il medico, fatto mai gradito dalla loro cucciola.
Gli ambienti non abituali la inquietavano e quel particolare mattino, Camilla sembrava oltremodo ansiosa.
“Ok tesoro, insieme, sì certo” – le sorrise Robert, sentendosi morire dentro, anche quel proprio sorriso, quasi ostentato, per farle credere che era tutto a posto, quando invece non funzionava più con Jude.
Era veramente così?
Il quesito lo attanagliava: appena incontrò il suo sorriso, quegli occhi così azzurri e bellissimi, il profumo della sua pelle, capace di narcotizzare qualsiasi altra precedente sensazione, Downey perse tutti i battiti del cuore, che aveva riservato a Glam.
Geffen gli mancava, era un sostegno continuo, ma Robert doveva cavarsela da solo e scavare in quel cuore, martoriato da un autentico bombardamento di delusioni, tradimenti e bugie, dall’uomo per il quale era cambiato, per il suo tutto, per quel mondo chiamato Jude Law.


Foster inarcò un sopracciglio.
“Qualcosa non va?” – domandò Jude in apprensione.
“Il quadro generale è buono, nessun peggioramento di rilievo, ma … neppure miglioramento, come ci si aspettava avvenisse, in linea con i progressi di sei mesi fa, capite?” – e li squadrò entrambi con severità.
La loro separazione era oggetto di molti pettegolezzi a livello multi mediale da settimane.
Downey deglutì a vuoto – “Cosa dovremmo fare quindi?”
Il primario sospirò.
“Inutile raccontarvi fandonie od illudervi: Camilla faceva passi avanti, alimentata da un carburante unico. Il vostro amore. Il suo serbatoio, adesso, è come se fosse vuoto”
“Ma noi l’amiamo come prima, anzi, più di prima!” – inveii Robert.
Jude si sentiva soffocare.
“La … la colpa è mia … Mio marito non ha alcuna responsabilità diretta e”
“Jude, ascolta, questi sono affari privati, sono soltanto vostri, anch’io ho due ex mogli e dei figli insoddisfatti, ma ci si può ragionare, anche senza cavarne un ragno dal buco, però Camilla è una creatura speciale, non scordatelo mai” – puntualizzò Foster, alzandosi.
“Andremo … in terapia … cosa ne pensa?” – propose Downey.
Foster scrollò la testa – “Forse non mi sono spiegato … O forse lo vedete come un vicolo chiuso, difficile da accettare: vostra figlia ha bisogno di voi, unicamente di voi e possibilmente insieme. Con ciò non siete di certo obbligati, ma l’adozione di una neonata con la sindrome di Angelman, doveva diventare la vostra priorità. A me piace parlare chiaro, se vi sto urtando, me ne dispiaccio, però non cambierò il mio giudizio, arrivederci” – concluse, passando in un secondo studio, dove altri pazienti lo stavano aspettando.


“Puoi … puoi fermarti Robert … scusami”
Jude si precipitò fuori per vomitare, incurante dei passanti sul lungomare.
Si infilò in una siepe e ne uscì stravolto.
Downey rimase per sicurezza con Camilla, ma avrebbe preferito seguirlo e forse imitarlo, per quanto si sentisse spaccare in due sia il cuore che lo stomaco.
Quando risalì, Robert porse a Jude una bottiglietta di Evian.
“Grazie … sei un tesoro Rob, come sempre … Ed io il solito stronzo”
La figlia stava dormendo, ma la tensione sembrava turbare i suoi sogni, procurandole un fastidioso tremolio alle dita.
Downey gliele strinse, ritrovandosi tra le proprie anche quelle di Jude, che aveva pensato di fare la stessa cosa, per rassicurarla.
Law piegò il capo sul sedile, ricominciando a piangere dignitosamente – “Mi dispiace Robert … mi dispiace da morire, credimi”
Ripartirono.

“Adesso dorme …”
Jude stava parlando con la schiena di Downey, uscito in terrazza, rivolto verso l’orizzonte, con tutto il proprio corpo, come se volesse decollare e poi sparire.
Provava un senso di colpa pari se non maggiore a quello avvertito da Jude, anche se non era giusto, anche se lui non aveva provocato quel disastro, bensì subito, ancora una volta.
Fosse stata la prima, almeno, anche se recriminare gli apparse persino stupido in un simile frangente.
“Preparo del tè … ne vuoi Robert?” – chiese con pacatezza.
Downey annuì, senza girarsi.
Forse era presto, quando invece era tardi.
Per tutto.
Forse.

La bottiglia di brandy era ancora sigillata.
Jude la tirò giù dall’armadietto più alto della cucina, inspirando e strizzando le palpebre.
Era come se imponesse a sé stesso di lasciare perdere o di lasciarsi andare, verso l’oblio più oscuro, che spesso aveva conosciuto, in principio della sua relazione con Downey, quando ancora volteggiava tra donne, di cui non rammentava neanche il nome, il mattino seguente.
Scopava anche con qualche amico, di rado, ma nessuno gli aveva mai fatto perdere ogni ragione, come Robert Downey Junior.
Jude ripensò al suo primo sguardo, a quel contatto penetrante e senza vie d’uscita: singhiozzando, mormorò un “Ti amo …” – mentre svitata rabbioso quel tappo metallico ed ancora più disperatamente versava il contenuto nel lavello, appoggiando la tempia sinistra al pensile in pregiato ciliegio.

Robert non si era perso un fotogramma di quella sequenza: l’essere spettatore di un simile atto di coraggio, conoscendo le debolezze di Jude, arrivò al suo cervello come una lama gelida quanto tagliente.
“Jude …”
Gli si avvicinò, posando i palmi sulle sue spalle curve e smagrite, come ogni parte di quel sembiante ancora così affascinante.
“Mi … mi sento così solo …”
“Jude … guardami ti prego”
Law lo fece immediatamente, ma con l’accortezza di non muoversi di un millimetro, mentre assaporava quel tocco di Robert, non affievolito nel suo calore dalla stoffa della t-shirt, tremando visibilmente.
“Jude volevo chiederti scusa” – disse fissandolo, cristallizzato in una commozione, che lo rendeva meraviglioso alla vista dell’altro.
“Rob … Robert … posso toccarti …?”
La sua domanda era intrisa di un pianto dirompente.
Downey lo strinse forte a sé.
Jude sembrò quasi stritolarlo, con quelle sue ali lunghe e febbrili.
“Grazie Rob” – disse sommesso.
“Finchè non sapevo che era stato Colin, ti ho aiutato a superare il trauma di essere stato stuprato, conoscendone ogni sfumatura terribile Jude … Niente mi doveva dare il diritto di giudicarti, quando è emersa quella verità, peraltro senza alcun fondamento … Avrei ucciso Simon, se non mi aveste fermato, l’avrei fatto e tu questo lo sai”
“Sì amore … sì lo so Robert” – replicò affranto, senza staccarsi e senza cercare i suoi occhi, temendo il proseguo di quel discorso.
Downey lo spostò, ma con cura, senza comunque allontanarlo da sé: gli prese i polsi, delicatamente.
“Jude io ti ho donato ogni mia particella, ogni mio giorno, credendo di costruire qualcosa di unico … E ce l’avevamo fatta, contro tutto e tutti”
“Sì … sì, è vero … e ne sono così orgoglioso”
“Anche se talvolta te ne sei dimenticato, temo …” – e sorrise amaro.
“So di non meritarti Rob … so che Glam è ciò che vuoi ora, che forse te ne sei innamorato, lui è unico con chi ama e”
“Anche tu lo eri” – ribatté severo – “Noi lo eravamo, Jude”
Law gli sfiorò gli zigomi, con i polpastrelli incerti: “Quell’uomo, violentandomi, ha derubato di ogni certezza il mio carattere, ha strappato via la serenità, che avevo conquistato creando il nostro mondo Rob … E ciò che provavo confusamente … convulsamente per Colin ha fatto il resto: non l’ho impedito, non ti ho chiesto aiuto, me ne vergognavo e non ho mai smesso da quel giorno … In ospedale ho chiesto sostegno proprio a Glam, forse perché ho sempre saputo che di lui ci si poteva fidare … e se ora penso che voi … che lui ti ha avuto, come è giusto che accadesse … io … io credo …” – e si sentì venire meno.
Downey lo sostenne, riprendendolo forte sul proprio cuore.
“Jude non l’ho fatto per vendicarmi, è giusto che tu lo sappia”
“Tu lo ami … lo ami davvero” – e si accasciò, in affanno.
Robert gli prese dell’acqua, dandogli poi baci lievi sul viso sfigurato dal rammarico.
A Jude sembrarono ossigeno puro, ma era impossibile che riuscisse anche a baciarlo, ma Robert lo lasciò accadere.
Si separarono lentamente – “Calmati Jude … andrà tutto bene”
Law sembrò aggrapparsi al suo busto – “Vorrei restare qui per sempre Rob” – gemette sul suo sterno.
“Vai … vai da nostra figlia … dormiremo con lei”


Glam stava seguendo con l’indice l’ultima riga di quella ricetta belga.
“Flambè …” – si aggiustò gli occhialini, grattandosi la nuca – “Ok che gli piace, ma qui rischio di dare fuoco alla casa … Eh Rob, Rob …”
Si tolse il grembiule, prendendo il bberry, per chiamare il ristorante all’angolo.
Vide una chiamata e sorrise.
“Ehi ciao, quando arrivi?” – domandò allegro.
“Ciao Glam …”
Il suo tono era sin troppo esaustivo.
“Robert … tesoro ci sono problemi?”
“Io … io mi fermo qui stanotte Glam, per Cami …”
“Il controllo è andato male?” – domandò sedendosi in poltrona, con le pulsazioni in aumento.
“No … no, sostanzialmente no, ma lei … E’ un discorso lungo, che vorrei farti non al telefono, perdonami …” – la sua voce si spezzò.
“Tesoro non … non pensare a me, occupati della bambina” – disse dolce, ma avrebbe voluto urlare, consapevole che stava succedendo.
§ E’ finita … è finita § - si ripeteva mentalmente, cercando di capire cosa stesse dicendo Downey.
In realtà quasi nulla.
Quasi.
“Ti amo tanto Glam”
Una pausa, che Robert sentì come l’eternità di ciò che avrebbe provato sino alla fine per Geffen, ricambiato, nel silenzio di quegli amori impossibili, come era stato il loro.
Così breve, così totale.
“Ti amo anch’io Robert, con tutto me stesso … Abbi cura di te”
“Glam”
“Sì piccolo” – e sorrise a metà, a metà di quel cuore, che gli era rimasto, dopo averne donato altrettanto a Robert, inaspettatamente.
“Domani torno da te …”
Geffen si strofinò la faccia, avvertendo le prime lacrime: era lui che tornava sempre.
Sempre.
“Ti aspetterò, ciao Robert”

N.d.a.
Lo so è datata, di certo ne esisteranno altre mille, forse più adatte o forse no, ma questa canzone io la adoro … <3 http://www.youtube.com/watch?v=TWVUUkso6Ow





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