Capitolo n. 89 - sunrise
“Potresti portare la tua roba a casa mia …”
La voce di Tomo era carezzevole, come le sue mani sulle scapole di Denny, tra le quali il croato posò un bacio caldo ed umido, prima di alzarsi e cercare i boxer, finiti sotto ad un tavolino da fumo.
“Meglio di no.” – disse piano l’avvocato, recuperando i jeans dalla poltrona ed indossando solo questi.
“Vuoi una sigaretta Tomo?” – domandò inspirando una prima boccata da quella appena accesa.
“No. Vorrei un’altra risposta.”
“Troppo presto Tomo.” – replicò Denny, con una smorfia da canaglia, la Camel tra le labbra invitanti, su quel viso terribilmente bello ed arrapante, come il resto di lui.
“Perché fai lo stronzo stamattina?” – chiese deluso il chitarrista.
“Ti sbagli, lo faccio per Josh, è tuo figlio e quella è casa sua, non deve subire confusioni od equivoci. Io non sono ancora niente … e forse non lo diventerò mai.” – spiegò, forzando una tranquillità, che faceva a pugni con il dolore al centro del suo petto scolpito.
“Che cavolo dici, Denny?!”
“La verità. Sai, mia madre ha cambiato quattro mariti, persone fantastiche, non so neppure come li adulasse al punto da farsi puntualmente sposare, però ci riusciva ed io mi affezionavo come un cane a loro. Poi succedeva qualcosa, lei strumentalizzava il suo affetto per me ed io diventavo la causa di rotture drammatiche, perdendo quei padri temporanei, con la beffa di stare loro pure sulle palle!”
Tomo andò ad abbracciarlo, fermando il tremore improvviso, che si era impadronito dell’addome di Denny.
Denny lo strinse forte – “Ti chiedo scusa Tomo … scusami …” – mormorò commosso ed imbarazzato.
“E di cosa …?”
Si fissarono, aderendo ancora con i corpi l’uno all’altro.
“Ti amo cazzo … io ti amo e non riesco a …”
“Ci riesci benissimo Denny” – e gli sorrise, dolce, come solo Tomo riusciva ad essere.
Si baciarono, con la voglia di tornarsene tra le lenzuola, ma il lavoro li reclamava, oltre agli impegni famigliari.
Josh era a villa Rice, ma per pranzo sarebbe andato al parco giochi con Tomo, mentre Denny era atteso per un’udienza da Hopper.
“Ciao Glam, ti ho portato i giornali.”
“Colin … ciao, pensavo non venissi.” – e gli sorrise, aprendo un quotidiano a caso.
“Perché?” – domandò turbato.
“Non avevi quel doppiaggio con Jude?” – replicò Geffen sereno, cercando gli occhiali da lettura nel comodino.
“Ah … sì, ma tra un’ora almeno. Aspetta ti aiuto.” – e nell’aprire il cassetto, l’attore vide il cofanetto in velluto nero.
Pensò ad un regalo, probabilmente per Kevin.
“Eccoli.”
“Grazie Colin, anche per questi.”
“Figurati … portano solo brutte notizie.”
“Vero … Sai, ho voglia di neve, il Natale ha più senso …”
“Potresti andare in Svizzera.”
“Niente aerei a lunga percorrenza, per sei mesi, così dice Scott.” – ribattè mesto.
“Niente chalet allora, ma vedrai che la prossima estate potrete tornarci, magari lo faremo anche con Jared ed i cuccioli.”
“Chi puo’ dirlo …” – concluse Glam perplesso – “La mia infermiera preferita è in arrivo, devo sottopormi ad un ecocardiogramma Colin.”
“Ok, tanto me ne andavo … Fammi sapere se ti serve qualcosa per domani mattina …” – disse incerto, sfuggendo lo sguardo di Geffen.
“Una salute migliore … A presto Colin.”
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Il suo sguardo si perdeva in fondo a quell’orizzonte, guardato insieme a Jared così tante volte in passato.
Una spiaggia somigliava ad un’altra, ma quell’angolo di Los Angeles era unico per il cuore di Farrell.
Lì il suo Jared lo aveva lasciato tanti anni prima, un’eternità, che sembrava non essere esistita mai, invece faceva ancora così male.
Poteva scorgere la terrazza del vecchio appartamento del compagno, dove si erano rincorse ore di felicità ad altre drammatiche.
Era lì che Colin si rifugiava, ubriaco e disperato, quando non aveva la forza di tornare dalla donna del momento o da James, che non meritava un padre simile.
Sempre lì, Jared si era preso cura sia di lui che di quel dono prezioso, cambiandogli pannolini e preparandogli pappe, mentre Colin vomitava o sniffava nel bagno, sentendo il pianto di quel ragazzo di Bossier City, che sopportava, sopportava, sopportava …
Ancora lì, quando ormai era rinato, Colin dovette affrontare la prova più dura: sopravvivere senza Jared, abituarsi alla sua assenza, al suo rifiuto: nessuno dei due si sarebbe salvato da quel destino, che qualcuno oltre loro ed oltre quell’orizzonte, adesso cupo, per un temporale imminente, aveva scritto in un tempo sconosciuto.
Dalle vetrate dell’ospedale Jared scorgeva l’accavallarsi delle nubi, cariche di pioggia e voli di gabbiani, liberi e chiassosi.
Colin li stava ascoltando, Jared poteva unicamente immaginarli.
Kevin gli sfiorò la schiena con una carezza, facendolo sobbalzare.
“Scusami Jared …”
“Ehi ciao …” – e lo abbracciò.
Si sentiva di farlo e basta.
Kevin sembrava non avere smesso mai di piangere, da quando Geffen era entrato in rianimazione.
“Va meglio …?” – domandò Jared, con timidezza.
“No … No, anche se Glam migliora … Non so descriverti cosa ho provato quando mi sono reso conto che era finita per lui. E’ un incubo dal quale non riesco a svegliarmi Jared, si rinnova ad ogni alba e mi sembra di impazzire.”
Leto gli restituì quella carezza, passando il pollice sulla fronte di Kevin, sino alla sua tempia sinistra.
Glam, spinto dall’inserviente sulla sedia a rotelle, assistette alla scena, senza carpirne il dialogo.
Fece un cenno a Jared, che si accorse di lui ed ebbe un’ulteriore emozione nel ritrovarlo.
Kevin si girò, sorridendogli.
Entrambi gli andarono vicino, inginocchiandosi, come a raccogliere un suo gesto paterno, tra i rispettivi capelli, spettinati dal disordine, che albergava in loro.
Geffen non fece distinzioni o torti: li adorava, lo aveva detto a Robert, verso mezzanotte, prima di cedere al sonno, insieme a lui, che steso sulla poltrona gli mostrava foto di Chris e Jude, analizzando i propri sentimenti.
“Irish buddy che ti prende?”
I toni di Law erano affabili, anche se una vena di tristezza sembrava corrodere le sue parole ed il suo stesso respiro.
“Nulla … nulla Jude, vorrei solo sbrigarmi e rientrare a casa per …”
“Stare con Jared? E’ una giornata speciale?”
“Facciamo l’albero con i nostri figli …” – disse, l’aria smarrita, come i suoi quarzi cupi e liquidi.
“Ammettiamolo … è un periodo di merda.”
“Jude …?”
“Ovunque mi volti, vedo solo persone tormentate: sono come specchi, in cui rifletto il mio stesso disagio!”
Farrell lo strinse sul petto – “Calmati …” – gli sussurrò, percependo quanto era teso.
“Ho … ho voglia di bere Colin … ed è sbagliato … è sbagliato, cazzo!” – ed il suo fervore si trasformò in singhiozzi, che avrebbe voluto nascondere.
“Qualsiasi cosa, ma non questo Jude!” – inveii l’irlandese, scuotendolo.
Law inspirò, annuendo.
“Potresti …? Solo per un minuto Colin …” – e tornò ad aggrapparsi a lui, tra quelle braccia tatuate e solide, che Farrell non gli negò, traendone a propria volta il beneficio solidale da quell’amico, che adorava da sempre.
Chris glielo disse con un sms.
§ Papà sono ad L.A. fino a stasera, per una grana con il mio agente, che ho già risolto. Se vuoi raggiungermi resto nel mio alloggio per qualche ora, devo cercare alcune cartacce e non posso fare altrimenti … se no ti telefono. Ti voglio bene. §
Downey rideva e piangeva, mentre lo faceva roteare per il living.
“E’ incredibile … dovevi avvisarmi prima tesoro, avrei preparato un pranzo, comprato qualcosa …” – disse come rapito dai suoi occhi chiari e vividi.
“A me basta incontrarti, mi dispiaceva non avvenisse per le feste … anche se le passerò ad Haiti …”
“Steve?”
“Sta bene, ti saluta, era in pena per Geffen, come me del resto …” – disse mentre si accomodavano sul divano.
“Quel demonio di un uomo fa progressi, è d’acciaio.”
“Ma non eri tu Iron man?” – e risero.
Robert gli spostò una ciocca, dandogli poi un buffetto sul mento – “Mi sei mancato … Non vorrei destabilizzarti con il mio entusiasmo Christopher, ma sei nei miei pensieri, vorrei saperti felice e … e so che lo sei con Steve.”
“Tu hai riempito dei vuoti fondamentali … io sono felice anche per questo Rob.” – e gli diede un bacio sulla guancia – “Ti voglio bene …”
“Anch’io Chris …”
Trascorsero alcuni istanti di silenzio, poi il leader dei Red Close sembrò animarsi di un’idea – “Sai cosa mi piacerebbe papà?”
“Cosa?”
“Fare l’albero, anche se non ci sarò … farlo qui con te.”
“Ok … ma hai il necessario?”
“Sì, l’avevo preso on line, una sera che mi annoiavo ahahaha”
“Sul serio …?”
“Certo! Ci sono tre scatoloni nello sgabuzzino, non li ho mai aperti.”
“Andiamo bene … e se ti avessero spedito delle bambole gonfiabili??” – e con spirito allegro si alzò, seguendo Chris verso l’altro lato dell’attico.
Tomo pagò lo zucchero filato, mentre Josh rimaneva attaccato alla sua gamba, come gli aveva insegnato quando andavano in giro da soli.
Di colpo gli tirò i pantaloni, suo padre rise e Josh indicò qualcosa – “C’è zio Denny!!”
“Ehi … ciao …” – lo salutò raggiante.
“Ciao Tomo … ho finito prima, posso invitarvi a prendere un hamburger?” – disse togliendosi la cravatta, arrossato per essere lì con loro.
“Sìììì!!” – esultò saltellando il bambino.
“Volentieri … solo che …” – e nel dirlo Tomo alzò lo sguardo verso il fondo del viale.
Shannon, Owen e July stavano arrivando.
“Volevano fare una sorpresa a Josh … Spero ti aggregherai lo stesso Denny …” – chiese speranzoso.
“Non so se è il caso …” – “Dai zio Denny!!!”
“Sì, d’accordo allora …”
“Manca solo il puntale … Chris qui necessitiamo della tua statura …”
“Tu non sei basso papà, anzi, sei perfetto.” – disse solare, sistemando l’ultima decorazione.
“Ok, se lo dici tu …” – replicò schernendosi.
“Hai il telecomando per le luci Rob?”
“Sì … che diavoleria …”
“Divertente, però!” – e prendendolo per mano, Chris lo portò a sedersi contro la parete opposta.
Il giovane si piazzò tra le gambe di Downey, appoggiandosi al suo busto, avvolgendosi con le braccia dell’americano.
Poteva sentire le pulsazioni di Robert solcare la propria spina dorsale, il profumo del suo fiato nel collo, mentre gli parlava, quasi balbettando – “Christopher …”
“Spegni la luce papà … e … fatto!”
Le luminarie presero vita, innescando uno stupore infantile in entrambi.
“Buon Natale Robert …” – sussurrò Chris, rilassandosi.
“Buon Natale tesoro …” – bissò di rimando il più anziano, posando un bacio sulla nuca di quel figlio, che rappresentava una conquista, alla quale non avrebbe più rinunciato.
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