Capitolo n. 315 – zen
Ci era tornato.
Se ne stava seduto in
un angolo, tra una chaise long, in similpelle dorata, piuttosto pacchiana ed un
attaccapanni nero, in tinta con altre suppellettili di quel boudoir del terzo
millennio.
Colin parlava, un po’
a ruota libera, un po’ trattenendosi ed arrossendo.
Si sentiva bene e si
sentiva male, con quel ragazzino spaparanzato sul letto, sa pancia in giù, il
sedere perfetto all’aria, gli occhi attenti sull’attore, dal quale si sarebbe
lasciato fare di tutto.
Se solo Farrell
avesse voluto.
L’irlandese, invece,
sembrava non pretendere nulla.
“Vuoi bere qualcosa?”
– chiese in una pausa Kirill, madre russa, padre americano “Erano due spie,
sai?” – rivelò, i nonni adottivi glielo dicevano spesso, ma, probabilmente era
una balla, era stato semplicemente abbandonato.
“Sì dell’acqua oppure
una cola … Fai tu” – Colin sorrise timido, prendendo fiato.
“Vuoi che facciamo
come l’altro giorno …?” – bissò di rimando, altrettanto esitante, porgendogli
la bibita, con un mezzo sorriso.
“No … No, però ti
pago lo stesso …” – Farrell avvampò, sentendosi un vero coglione.
Cosa ci faceva lì,
era la prima domanda.
Cosa voleva?
Praticamente meno di
nulla, se non scappare e stare un po’ con un estraneo, perché chiunque in
famiglia gli ricordava ciò che stava accadendo a Glam ed a Shannon.
Jared ne avrebbe
sofferto?
Colin se lo chiedeva
ogni due secondi e la pelle, il profumo di quel giovane lo stavano confondendo,
adesso, che gli era troppo vicino.
“Il mio capo ha detto
che dovevo darmi da fare di più … Per spillarti una cifra diversa” – rise,
tornando al proprio posto, sul letto disfatto, ma pulito.
Era una bugia.
“Ti do più soldi
allora …” – tossì, quasi strozzandosi.
“Vuoi che chiami una
delle ragazze …?”
“No”
“Non ti piacciono più
le donne?”
Era curioso.
“Non come pensi tu …”
– sorrise – “Forse ne ho avuto sempre paura, ci andavo da ubriaco, quasi mai da
sobrio e poi … Poi mi facevo di qualsiasi cosa”
“Di Jared non avevi
paura?”
“Eccome” – rise stavolta,
più rilassato, ma oltremodo malinconico – “Un terrore fottuto … E’ sempre stato
troppo per me … E quando si è innamorato di un altro, forse ho anche pensato
che potevo liberarmi dall’amore e dal senso di possesso, che ci univa dal primo
istante”
“Ci scopi ancora?”
Colin lo guardò – “Sì
… E’ sempre straordinario, forse è ciò che ci riesce meglio” – inspirò, dando
un ulteriore sorso.
Silenzio.
Un cicalino ruppe l’atmosfera
di imbarazzo.
Kirill rispose all’interfono
– “No … Ne abbiamo ancora per una mezz’ora” – poi scrutò Farrell, le iridi
liquide, come a chiedere una conferma e lui annuì.
“Ti ringrazio” –
sbuffò – “… di solito è il giorno di Sven ed è un vero maiale”
“In che senso?”
“Non posso dirtelo” –
si morse le labbra.
“Digli che pago il
resto del pomeriggio”
“Ed a che servirebbe?
Domani torna” – sorrise – “Comunque grazie … Non me lo aspettavo, sei … gentile.”
“Shan perderà i
capelli …”
Glam lo disse
massaggiandosi l’addome sotto il maglione in lana grossa, comprato a Dublino,
anni prima, con Kevin, che ne aveva uno uguale.
Robert si girò sul
fianco – “Ti fa male?”
“No” – sorrise – “Ho
la digestione lenta, faccio come … Napoleone?”
“Lui aveva mal di
fegato” – Downey rise, accoccolandosi sotto la sua ala.
Allungati sopra al
divano del salotto, erano nel cottage, dove Geffen incontrava di solito Jared.
In un certo senso un
sacrilegio, averci portato Robert, ma era il posto giusto, al momento giusto,
trovandosi entrambi in città.
Law li avrebbe
raggiunti alla End House, per cenare con gli altri, ma era ancora presto per
andarci.
“Jude finisce il
doppiaggio oggi, poi vorrebbe andare a Londra dai figli”
“Lo accompagni?”
“Non lo so ancora
Glam”
“Vacci e basta”
“Ok … Sei incazzato
per Shan?”
“Sì, non doveva
succedere”
“L’importante è che
guarisca, poi i capelli ricresceranno” – provò a sdrammatizzare, ma sempre con
quella compostezza educata, che ammaliava il prossimo.
“A me non è capitato …
Con le chemio intendo …”
“E cosa c’era da
perdere, hai quattro peli in testa, zuccone!”
Risero.
Si strinsero.
Un po’ di più.
Jared lo aiutò a
farsi la doccia, insaponandolo come se fosse un bimbo.
Shan rideva, mentre
Tomo prendeva gli asciugamani.
“Cos’ha? Non dice
niente …” – si lamentò il batterista, bisbigliando al fratello quella sua
perplessità sul compagno.
“Penso sia in ansia
per te … Ora vi lascio da soli, così parlate”
“Sta arrivando anche
Owen, tra poco …”
“Lo blocco io” –
disse un po’ rigido il cantante – “Apprezzo ciò che fa per te, Shan, però è
cotto perso di te e non vorrei”
“Zitto”
Tomo era nuovamente
in bagno con loro ed avvolse Shan in un telo, abbracciandolo con tenerezza.
Si baciarono.
Jared sorrise e
scivolò via.
Styles gli allacciò
le scarpe, inginocchiato ai suoi piedi, mentre Louis rimaneva seduto in una
poltrona, dove c’erano ancora i vestiti di entrambi.
Avevano fatto l’amore
tutto il giorno, senza dirsi molto.
“Ora vuoi dirmi cosa
ci vai a fare in Cile?” – Harry si alzò, posando un bacio tra i capelli del suo
sposo, poi sulla fede, che gli aveva infilato all’anulare il giorno delle
nozze.
Era struggente, nella
sua bellezza, nell’imponenza elegante del suo corpo, mentre quello di Boo
sembrava consumarsi, giorno dopo giorno.
“E’ per l’università …
Te l’ho detto” – disse stanco.
“Stai sparendo, te ne
rendi conto? Dovresti andare in una clinica o semplicemente consumare pasti
decenti!” – si alterò, tormentandosi le mani.
“Tu mi hai lasciato
ed ora ti vengono i sensi di colpa Haz …?” – sorrise alienato.
“Perché Zayn? Cosa ti
è saltato in mente? Ce ne sono altri? Dimmelo prima di farmi diventare lo
zimbello della città!”
“Cambi discorso Haz??”
“Ora la colpa è mia,
dunque??!” – ruggì esaurito, schiantandosi contro la parete, palpebre serrate,
contro pugni chiusi, fiato corto, sudore e lacrime, a lacerare il suo viso
bellissimo, adulto.
“No … non è colpa tua
Harry … Sono io la puttana, non preoccuparti … Io finisco sempre per fare cose
sbagliate … Non sono fatto per la felicità, non ci sono abituato … Non me la
merito.”
Il suo bacino era
stretto, così il resto di Kirill.
Si coprì il volto con
le braccia incrociate, come a difendersi dalle emozioni che provava.
Colin lo guardava,
incapace di frenarsi, prendendolo con vigore, tanto da perdere il controllo dei
propri fianchi, così perfetti, così invadenti.
“Il … il preservativo
si è” – gemette sotto di lui, quell’esserino, che poteva essere suo figlio, le
labbra schiuse, in carenza di ossigeno, ma talmente piene di vita.
“Al diavolo!” –
Farrell sembrò ringhiare, perché era incazzato con sé stesso e se lo tolse,
riaffondando, in un abisso di umori e di accoglienza puri.
Kirill si appese al
suo collo, stremato da un orgasmo continuo, che raggiunse l’apice, mescolandosi
a quello di Colin, che gli venne dentro come una furia.
Poi tornò ad essere
dolce, come quando gli diede un bacio improvviso, coricandosi accanto a lui,
forse stanco di ammirare la sua innocenza.
Tutto sbagliato, si
ripeteva.
Kirill era una
marchetta.
Semplicemente questo.
Doveva farselo,
pagare ed andarsene.
Si sarebbe sentito
meglio.
Invece Farrell stava
da cani.
Ora.
“Un’adozione, tu e
Tim, ma è fantastico”
Il sorriso di Geffen
era radioso.
Kevin lo abbracciò,
così il suo consorte, in attesa di dirlo a Lula.
“Soldino esulterà,
vero daddy?”
Glam sgranò i suoi
opali celesti – “Sì … sì è ovvio tesoro … Avete iniziato le pratiche?” – e si
rivolse a Tim.
“Non ancora …
Comunque Kevin ed io stiamo valutando anche Haiti ed il suo orfanotrofio …”
“Ottima idea, sì …
Ottima idea” – concluse assorto l’avvocato.
Jared chiese a miss
Wong di Colin, poi si unì a loro nel living.
Robert preparava gli
aperitivi, provando a chiamare Jude.
Al terzo tentativo l’inglese
gli rispose, finalmente.
“Amore scusami, ero
ancora in sala registrazione …”
“Ciao, nessun
problema, tutto bene?”
“Sì, passo a fare
ancora una commissione ed arrivo”
“D’accordo, tanto
manca anche Colin … A dopo, ti bacio”
“Ciao Robert, anch’io
…”
Law sapeva bene che
Farrell era in ritardo quanto lui.
Parcheggiò davanti ad
un distributore di benzina chiuso e strinse il volante.
Colin se ne stava
addossato allo sportello del passeggero, una tonica mezza vuota tra le dita
gelide.
“Tu sei uno stronzo,
questo lo sai, vero irish buddy?” – esordì il biondo, con foga.
“Senti Jude …”
“Togliersi la
protezione, bella idea, con uno che si prostituisce, se li usano c’è un motivo,
lo sai o no, cazzo??!!” – sbraitò, puntandolo, nel girarsi a suo favore.
“Fosse solo questo il
problema …”
“Ce ne sarebbero
altri, sentiamo??! Ti sei innamorato di una troietta??!”
“Jude smettila …” –
replicò afflitto – “… Vorrei solo capire perché faccio queste cose … perché mi
riduco in questa maniera …”
Law ripartì,
sgommando.
L’ultima cosa che
voleva era discutere con Robert, facendogli pensare che anche lui si
distraesse, nell’attesa che quell’agonia terminasse.
Mentalmente si
maledisse, per pensare di Geffen in quel modo, però non trovava alternative.
Non più.
Nessun commento:
Posta un commento