lunedì 3 marzo 2014

ZEN - CAPITOLO N. 254

Capitolo n. 254 – zen



Jared rimase da solo con Glam per alcuni minuti.

L’avvocato gli si avvicinò, un po’ instabile sulle gambe.

“Non stancarti …” – gli mormorò il cantante, appena fu vicino, dandogli anche una carezza sullo zigomo destro.

L’uomo sorrise affaticato, poi prese un respiro più profondo, come il suo sguardo su Leto.


“Ti ho amato per svariate ragioni, alcune evidenti, altre meno …”

Jared sorrise a propria volta, senza dominare un fremito alle proprie dita affusolate.

“Oggi ti sei superato …”

“Ho dato semplicemente voce alle mie emozioni, Glam ed alle mie intenzioni”

“Sì, è chiaro … Ed è stato toccante”

“Tu avresti forse reagito più d’istinto, ho visto come li hai folgorati con un’occhiata e non ti nascondo che ho provato la stessa rabbia appena ho visto Yari e Misaki in ospedale”

“Forse hai ragione tu, anzi, di sicuro è così … Odiare non serve a niente, anche se si è subito un torto, anche se siamo stati fatti a pezzi dalle scelte altrui o dalla sorte”

“Non è così semplice, Glam, non so fino a che punto sarò abbastanza ragionevole”

“Hai dato loro una possibilità preziosissima, Jay, per cui rimanda l’incazzatura se e quando gli assistenti sociali ti consegneranno una relazione pessima sugli sviluppi di questa cricca”

Leto rise leggero – “Tu non aspetti altro?”

Geffen gli fece un occhiolino simpatico, avviandosi verso il corridoio – “Tra sei mesi non avrò più nemmeno il fiato per insultarli” – e se ne andò.

Jared lo rincorse svelto, per poi abbracciarlo forte, quasi addossandolo alla parete.

Glam inclinò la testa, con una serenità inattesa.

“Angelo mio …” – disse piano, stringendolo dolcemente.

Colin li scorse da lontano, dopo essere uscito in terrazza a controllare l’arrivo degli ultimi ospiti in giardino.

Sentì gli occhi pungere, ma non disse niente, sparendo al piano di sotto.



Downey aggiustò il colletto della camicia a Jude, sistemandolo a dovere fuori dalla scollatura a V del suo maglioncino in cotone.

Era incantevole.

“Grazie Rob …” – gli bisbigliò nel collo l’inglese, posando poi un bacio, in quella porzione di pelle, così profumata e liscia, da eccitarlo spasmodicamente.

Fare sesso era argomento spinoso, ancora per poche settimane, fortunatamente e lui si crogiolava in fantasie erotiche, quando l’americano, con il quale scambiava carezze e fantasie verbali, nel cuore della notte ed ad ogni alba.

Erano di nuovo complici, come mai si sarebbero aspettati ancora, da quell’incredibile esistenza.

Downey si guardò in giro, un po’ assorto.

“Che succede amore? Aspetti qualcuno?”

“No Jude … E’ che ho sentito una strana telefonata tra il nonno e, credo, Vassily”

“Di che si tratta?”

“Francamente temo che Vincent Lux sia in pericolo e che Vas sia andato a salvarlo, con Amos e Peter …” – rivelò con discrezione.

“Cavoli … Louis lo sa?”
“Non credo proprio, ma finché non avremo dei riscontri certi, meglio tacere”

Law annuì, alzandosi insieme al consorte dalla panchina: Colin stava arrivando con in braccio Isotta.
Al fianco del padre, inoltre, Rebecca avanzava allegra ed intenta a spingere il passeggino con i gemelli, andando fiera di quel ruolo di sorella maggiore.

“Eccolo qui il festeggiato” – esclamò Jude, accogliendolo sul petto, mentre Robert spargeva coccole ai cuccioli di Farrell.

La sua espressione era un po’ tirata ed UK buddy la notò al volo.

“Che c’è?” – gli chiese a mezza voce, spostandosi con lui di qualche metro.

“No, nulla, è stato un pomeriggio intenso e poi il mio pensiero è con Yari e Misaki, preferirei essere da loro”

“Sicuro?” – gli sorrise.

“Certo Jude, non preoccuparti … Comunque grazie, ci sei sempre quando serve … Come state, a proposito?” – cercò di cambiare discorso.

“Un po’ stressati dall’astinenza, ma gratificati durante la convalescenza, se mi passi la rima” – rise – “A Palm Springs non ci manca nulla e poi Rob può rimanere del tempo accanto a Glam …” – e lo guardò con tenerezza – “… gli vuole bene ed io quanto lui, ormai …”

“Già … oramai”



Louis notò il suo improvviso pallore e la sostenne, prima che Sylvie crollasse in un angolo del salone degli specchi.

“Miseria, ho avuto un capogiro”

“Tranquilla, andiamo in bagno, ti prendo dell’acqua”

“Sei davvero gentile Louis, ma posso farcela … credo”

Boo rise, accompagnandola in quella che era un’autentica reggia, travestita da toilette.

“Eccoci qui … Ora mettiti comoda e dimmi se vuoi chiamare un medico: magari cerco Scott” – propose, passandole anche una salvietta umida.

La ragazza si tamponò le tempie, imbarazzata – “No, è passato, credimi …”

“Vuoi mangiare qualcosa?”

“No, per carità Louis, tutto mi dà noia” – bissò schietta.
Poi si morse il labbro inferiore.

Quello di Louis ebbe un lieve tremito – “Sai, dai tuoi sintomi, potresti essere incinta, non credi?” – e sorrise un po’ spaesato.

Nella sua mente si affacciò la consapevolezza che, almeno ufficialmente, Sylvie non avesse alcun legame.

Forse, però, non la conosceva così bene.

Forse.

Harry lo stava cercando e, sentendo le loro voci provenire da quella camera, ebbe un’esitazione.

All’affermazione del marito, Styles ebbe come un guizzo allo stomaco, che gli fece oltrepassare quella soglia, in maniera inopportuna.

Sylvie ebbe un sussulto e Louis lo scrutò perplesso.

“Haz che modi … Potevi anche bussare”

“Cosa succede?”

Sylvie si alzò, ricadendo subito – “Maledizione” – mormorò affranta, il pianto in gola,

“Ma che cos’hai?!” – insistette più inquieto Harry, facendo allarmare Louis, per questa reazione inspiegabile.

“Aspetto un bambino, ok?? Volete lasciarmi in pace?!” – e diede loro la schiena, quasi rannicchiandosi contro il bracciolo sinistro, allontanandosi frettolosa da Boo, che adesso li stava guardando entrambi.

“Perché fai così Harry …?”

“Così come Lou?!”

“Così …” – e sembrò che l’aria dai suoi polmoni fosse stata risucchiata da qualche forza esterna ed incontrollabile.


“Volevo solo sapere cosa …”

“E’ incinta, ecco cos’ha Sylvie” – e si alzò, puntandolo – “E tu sembri troppo coinvolto in questa tua curiosità …” – quindi deglutì.

“Louis ascolta”

“Avete una relazione?”

“Stai fraintendendo tutto Boo”

“Mio Dio …” – e le sue palpebre si chiusero, su di loro, che se ne stavano come incastrati in un frammento di scena, la peggiore a cui Louis potesse assistere.

“E’ accaduto una volta sola, ok? Quando abbiamo vinto quella causa e tu …” – Styles in crisi di ossigeno provò a schiarirsi le idee – “E tu eri con Vincent alla Spa, per … per il suo regalo” – balbettò sul finale, gesticolando appena.

Louis riaprì gli occhi.

E loro due erano ancora maledettamente lì; non si trattava quindi di un incubo.

“Una volta sola … Harry, cosa cazzo significa una volta sola!!??” 

Esplose.

Glam era salito in cerca di Kevin, per chiedergli di accompagnarlo alla villa; era esausto.

Comprese d’impatto ciò che si stava consumando oltre quella porta rimasta aperta.

Louis strinse i pugni.

“Voi due avete scopato?? Mentre tu ed io ci eravamo impegnati a sposarci?? DIMMELO HARRY!!”

Le parole non avevano più un senso, rimbombavano semplicemente all’interno di quel contesto lussuoso, fatto di marmi e fregi dorati.

Styles provò ad azzerare la distanza, colpevole anche di un silenzio, che lo condannava senza appello.

“NON TOCCARMI!”

Boo si divincolò da quel tentativo di abbracciarlo, librandosi verso l’uscita, di quel palcoscenico impietoso.

Si scontrò quasi con Glam, le iridi invase da un pianto esasperato.

Harry lo aveva mortificato di nuovo.

Fuggì via, con i suoi sogni, che non esistevano più.



Un temporale scoppiò su Los Angeles.




In realtà Louis non sapeva dove andare.

Oltre i cancelli della End House sembrava esserci il vuoto, lasciato dai passanti, rifugiatisi nei locali della costa e dalle auto, diradatesi nei parcheggi dei centri commerciali poco distanti da quella zona residenziale ed esclusiva.

Era quasi sera.
Era quasi buio.

Le nuvole avevano nascosto il sole, fuori e dentro di lui.
Si erano portate via ogni fantasia, costruita su di un progetto, ora, all’apparenza impossibile, sebbene solo quel mattino, con Harry, Louis pensasse già a come chiamare il bimbo, che avrebbero adottato.

Era come un volare di farfalle travolto da una tempesta.
Nessuna di esse si sarebbe salvata.


La macchina che si fermò oltre lui, a pochi metri, che camminava sul marciapiede, fradicio e senza più lacrime, gli sembrò un dejà vu.

Lo sportello si aprì, ma non poteva essere Vincent, questa volta.
Lux stava cercando di fuggire dall’accampamento, dato alle fiamme dai guerriglieri, ma Boo non poteva saperlo.

Il sorriso di quell’uomo, che lo raccolse, non era cattivo, bensì impacciato.

Ripartì alla svelta, un po’ nervoso, tanto che i kleenex, che porse al giovane, gli caddero tra i sedili.


“Come ti chiami?”

Boo guardò avanti a sé, senza vedere in realtà molto.

“Louis … mi chiamo Louis”

“Io sono Dexter, dove andiamo?”

“Dove vuoi …”

“Ti senti bene? No, perché hai un’aria strana, forse questo nubifragio ti ha colto di sorpresa … Ti porto dove vuoi”

“Non fa differenza” – replicò come un automa, senza alcun potere decisionale.





Il suo cellulare continuava ad illuminarsi nel taschino della camicia zuppa, che gli si incollava addosso persino sensuale, su quel suo corpo esile, che sembrava ricurvo su sé stesso.

Era Harry che lo stava cercando disperatamente.

“Qualcuno ti chiama, ragazzino …”

“No … Non è nessuno … Nessuno”

Poi richiuse gli occhi.



Vassily gridò il suo nome, appena Peter venne colpito ad un fianco.
Con uno sforzo inverosimile, l’ex marine lo raccolse sulle spalle, senza smettere di sparare con una mitragliatrice pesante, ma non per lui.


Amos coprì loro la fuga, mentre Lux li sollecitava a risalire sull’elicottero.

Il velivolo era a pieno carico e sembrò ergersi dall’inferno, sbucando tra le fiamme ed il cielo, invaso da cenere e vento.


“Peter resisti!” – disse come allucinato il sovietico.

Era un gigante, ma, piegato sul suo compagno, sembrò un bambino spaventato, da ciò che poteva accadere al ragazzo che amava.

Lo consolò, premendo sulla ferita.
Vincent lo dissetò.

“Grazie …”

“Sono io che ti ringrazio, Vas … A te, ad Amos ed al tuo Peter … Vedrai che si salverà”

Il francese era sfigurato dalla sete e dalla carenza di sonno.

L’ultima settimana era stata un incubo.

Con lui, i superstiti erano una dozzina scarsa.

Il campo base, con il pronto soccorso mobile e la riserva di cibo e medicinali, era ormai uno scheletro di impalcature annerite, tra le macerie.

Il suo lavoro e quello dei volontari venne annientato senza alcuno scrupolo.
Senza alcuna pietà.

Vincent era vivo per miracolo e voleva riabbracciare Louis.
Ad ogni costo.






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