Capitolo n. 140 - zen
L’equipe scese all’albergo
di fronte al Bel Ami.
Telecamere speciali a
raggi infrarossi e sensori termici, piazzati da Hotch e Morgan, tenevano sotto
controllo la suite all’attico, occupata, ma al momento deserta, da Ivo e Tim.
Il piano era di
andarli a cercare, ma di lasciare comunque qualcuno ad attenderli, nel caso
tornassero, senza essere stati trovati da Rossi ed il resto della squadra dell’FBI
e del locale commissariato.
Gli amici dovevano
stare alla larga dall’operazione, nonostante David si fosse impegnato a
comunicare novità ed aggiornamenti tempestivi a Geffen.
Kevin aveva
protestato sonoramente, ma, alla fine, a tutti sembrò la scelta migliore
lasciare fare ai professionisti.
“Col cavolo! E noi
cosa cazzo ci facciamo qui!?” – sbottò Jimmy.
“Hai ragione, miseria
schifosa!” – inveii Kevin.
Si erano assiepati
nella camera di Glam, poco spaziosa, perché l’hotel era al completo per una
serie di conferenze in città, di vario genere.
“Ehi calmatevi …” –
disse paterno, assecondato da Scott.
“Io non ci sto!” –
insistette Jimmy, infilando la porta – “Vado a cercare Tim!”
“Ed io con lui,
andiamo Jimmy!” – e sparirono nel corridoio, nonostante i rimproveri dei due
membri più anziani di quella spedizione.
“Teste calde” –
bofonchiò l’avvocato, indossando un pullover, vista la brezza notturna, per poi
tallonarli.
Scott sbuffò, ma non
esitò ad andargli dietro.
Harry trattenne
deciso per un polso Louis, già scattato sull’attenti come un soldatino e pronto
a gettarsi nella mischia.
Robert sorrise, ma
poi con Jude non rimandò di aggregarsi a Jared e Colin, ormai agli ascensori.
Geffen richiamò l’attenzione
generale.
“I cuccioli restino
qui, non voglio vi accada nulla, ok?”
Harry annuì
sollevato, Louis storse il labbro inferiore – “Ok … Tu sei il capo a
prescindere, sospetto …” – azzardò.
Glam rise – “Filate
in stanza, fatevi un bel sonno e tenete i telefonini accesi. Non fatemi stare
in pensiero anche voi …”
“Su avanti … Coccole
time” – bisbigliò simpatico Jared e loro ubbidirono, come spesso accadeva con i
suoi figli.
“Ok a noi: non
possiamo fare il gruppo vacanze e poi … Nella hall vi hanno scattato foto a
raffica, almeno camuffatevi” – suggerì Glam.
“A me non conosce
nessuno!” – ridacchiò Scott.
“Sì, d’accordo, ma
non diamo nell’occhio, profilo basso … Tu hai sempre le caldane” – ed abbottonò
la casacca a Farrell – “E tu non prendere freddo” – infilò un maglione a Rob,
calandogli un cappello quasi fino sulle narici – “Tu hai gli occhi troppo
azzurri” – inforcò dei Ray-Ban neri a Jude – “E tu sei troppo magro” – ridendo costrinse
Jared a mettere una palandrana, che Scott portava sempre appresso dai suoi
safari.
Downey scrutò la
gang, sospirando – “Sembriamo dei deficienti …” – poi puntò Geffen, sportivo,
ma elegantissimo – “E tu il solito figo … Non è giusto!”
“E andiamo!” –
esclamò allegramente, con il cuore in gola, spingendoli tutti nella cabina
fatta di specchi e fregi dorati.
“Pessima faccenda …”
Il fiato di Rossi si
vedeva.
La temperatura era in
discesa, in una fine estate piuttosto rigida.
E piovosa.
“Cavoli ci mancava il
temporale, che malasorte” – bisbigliò Reid, rannicchiandosi meglio sul sedile
del passeggero.
La foto di Ivo era
appiccicata al cruscotto, vecchio stile.
I tablet avevano la
stessa immagine del professore, sempre in evidenza, con Garcia in collegamento
diretto, per qualunque evenienza.
“Come sta Twist?” –
chiese Dave, senza deconcentrarsi dalla strada, ormai deserta.
Erano sulla via in
cui c’erano diversi bistrot: un inserviente aveva udito dire qualcosa in
proposito da Ivo e quindi l’indizio era un punto di partenza per le ricerche.
“Gli manca lo zio
italiano … Come a me, a noi” – Reid tossì.
Rossi gli diede una
carezza al dorso della mano sinistra e Spencer, con timidezza, intrecciò le
loro dita.
“Ti voglio bene
piccolo …” – sospirò il maturo detective.
Reid avvampò, poi
sorrise.
La pioggia aumentò.
JJ ed Emily erano su
di un secondo suv, parcheggiato adiacente la piazza, dove Ivo e Tim dovevano
per forza ripassare per rientrare all’albergo.
La polizia, aveva
bloccato, fingendo dei lavori in corso, le altre vie di accesso.
“Visibilità ridotta …
Noi scendiamo” – comunicò Jennifer via tablet ed Aaron diede l’autorizzazione.
“Come va Rossi?” –
domandò Derek dal campo base.
“Ancora nulla.
Scendiamo anche noi” – disse svelto, senza attendere l’ok di Hotch, che
comunque arrivò.
Reid controllò la
pistola, poi spalancò lo sportello, finendo con i mocassini in una mega
pozzanghera.
“Porca …!” – ringhiò,
ma poi tallonò David, già sul marciapiede opposto.
C’era un unico locale
ancora affollato e sembrava quello più alla moda.
Lui era convinto che
Ivo e Tim fossero lì.
Un’intuizione, forse.
“Per me stiamo
facendo una cazzata!” – disse piano Robert, camminando sotto braccio a Jude,
ormai zuppi.
“E poi se ce lo
troviamo davanti, con cosa lo fronteggiamo eh Judsie? Con la mia Mont Blanc?”
Law rise sotto i
baffi, stringendolo di più, per poi rimediare un riparo sotto ad un portone.
Downey si lamentò
ancora per qualche secondo, poi non ne fu più in grado, causa un bacio intenso,
con cui Jude non gli diede scampo.
“Eccoli!”
Farrell li indicò:
erano Kevin e Jimmy, avanti a loro almeno cento metri, giù in uno spiazzo, dal
quale sparirono.
L’irlandese li
rincorse, così Scott, lasciando indietro Jared e Glam, fradici e, nel caso del
leader dei Mars, tremolante come una foglia.
“Tesoro buscherai una
polmonite” – disse improvviso Geffen, cingendolo per le spalle.
“Fermiamoci un
secondo Jay” – e si tolsero dall’asfalto, rifugiandosi in una torretta, un
tempo usata per il cambio della guardia, presumibilmente.
“Che settembre Glam …”
“Togli questa roba,
almeno è impermeabile …”
“San Scotty mi ha
salvato” – Jared rise.
Geffen lo guardò, con
quei capelli lunghi, la barba accennata, il cappello a tesa larga, più vecchio
di Leto.
I suoi zaffiri indagarono
quell’ambiente, con la curiosità di un bambino: da un paio di grate, filtrava
la luce intensa dei lampioni, creando un riverbero quasi dorato.
Alla fine, le sue
iridi si posarono nuovamente su Geffen.
“Va un po’ meglio …?”
– domandò l’uomo, quasi in imbarazzo.
Lo spazio era angusto
e poi l’esigenza di scaldarsi impellente.
Si abbracciarono o lo
stavano già facendo, i rumori circostanti sembravano confonderli.
La sirena di un’ambulanza,
lo stereo a manetta di un’auto che accostò, per poi ripartire immediata.
“Glam …”
“Sì sono qui”
Lo accolse meglio,
posando le proprie labbra nel collo di Jared e poi accadde, come in un moto
spontaneo, che Glam gli leccasse una porzione di pelle, morbida e profumata.
La sua lingua
caldissima, inaspettata o forse ambita, scosse talmente Jared, da farlo
aggrappare a lui, con una sorta di disperazione e contentezza.
Cercò la sua bocca o
fu Geffen a farlo; Jared sentì un’eccitazione smisurata in ogni fibra di sé,
avvertendo poi il gelo del cemento, di una sporgenza, una sorta di panca, dietro
alla schiena, a metà scoperta dall’altro, che lo stava ormai cinturando,
insinuandosi tra le sue gambe esili.
L’erezione di Leto,
emergendo dai jeans sempre larghi per lui, andò a scontrarsi con l’addome di
Glam – “Sei … bagnato … Mio Dio Jay … Ti amo da morire” – ansimò, per poi
baciarlo ancora ed ancora, con foga, bramosia, che sembrò polverizzarsi appena
Jared gemette – “No … No ti prego … non voglio”
Geffen sembrò
precipitare dal cielo, senza stelle quella notte.
Si destò da quella
frenesia, provando un senso di colpa annientante.
“Amore … Perdonami …
Jared …”
Era sul punto di
piangere, lo tirò su, aggiustandogli i vestiti comodi, accarezzandogli
premuroso gli zigomi solcati di lacrime.
“Glam … cosa … ?” –
singhiozzò, incrociando poi le braccia al muro, affondandoci il viso sconvolto.
Geffen appoggiò cauto
i palmi sulle sue scapole – “E’ … è stata una delle nostre pazzie Jay … Ti
chiedo scusa … ti supplico, dimentichiamoci subito questa … cosa”
Leto fuggì via.
“E’ lui!” – disse risoluto
Dave.
Con Reid gli erano a
pochi passi, in mezzo un fiume di gente, sbucata chissà da dove.
C’era un teatro,
quindi il pubblico stava transitando verso il bar, per rifocillarsi, dopo una
pièce interminabile.
“Cazzo!” – ribatté
Spencer, facendosi largo tra la folla, esausto per il jet lag e l’acqua, che
gli scorreva dappertutto.
“E’ da solo!” – quasi
gli urlò Rossi, in quel baccano crescente, di risa, urletti e richiami, tra i
vari gruppi di spettatori.
Un delirio.
Prentis e JJ li
raggiunsero, ma l’elemento che destabilizzò la squadra, fu l’assenza di Tim.
“Dobbiamo cercarlo!” –
intervenne Hotch – “Morgan vai anche tu, entra in quel ristorante o cosa
diavolo è, chiedi se lo hanno visto con Tim!”
Il nervosismo stava
crescendo.
Aaron temeva il
peggio.
Quando Steadman si
ritrovò davanti Colin e Jimmy si bloccò, interdetto.
Il ghigno, che però
fece, appena si palesò anche Kevin, superando i primi due, aveva un sentore di
non sorpresa, come se se lo aspettasse.
Rossi e Reid
piombarono alle spalle dell’insegnante, così JJ ed Emily, che affiancarono
Scott, in un accerchiamento completo.
“Cosa diavolo ci fate
voi qui!!” – sbraitò David, disturbato dagli scrosci battenti.
Ivo si girò, mantenendo
una calma minacciosa – “Cosa volete …? COSA VOLETE DA ME??”
Kevin gli si avventò
contro, approfittando della sua distrazione.
Lo afferrò per la
gola, gridando – “DOV’E’ TIM?? COSA GLI HAI FATTO BASTARDO!!”
Ivo rise.
Non la smetteva.
Kevin iniziò a
picchiarlo, gli altri provarono a dividerli, anche se il Paleontologo non si
difendeva assolutamente.
Con un occhio pesto
ed il naso sanguinante, sussurrò soltanto – “Chiedilo alla Senna”
Riprese a ridere,
come un ossesso.
I gendarmi, ormai
accorsi sul luogo, lo ammanettarono.
I lampeggianti blu,
lo stridio dei freni, le invettive, tutto sembrò cristallizzarsi appena Glam
Geffen apparve sullo sfondo: sollevava un corpo all’apparenza esanime, con gli
indumenti lacerati e grondanti, anche di ramaglie e foglie, i tratti somatici
deturpati da graffi e lividi, da un pallore grave.
Era Tim.
E Glam non diceva
niente.
Niente.
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