giovedì 27 giugno 2013

ZEN - CAPITOLO N. 140

Capitolo n. 140  -  zen


L’equipe scese all’albergo di fronte al Bel Ami.
Telecamere speciali a raggi infrarossi e sensori termici, piazzati da Hotch e Morgan, tenevano sotto controllo la suite all’attico, occupata, ma al momento deserta, da Ivo e Tim.
Il piano era di andarli a cercare, ma di lasciare comunque qualcuno ad attenderli, nel caso tornassero, senza essere stati trovati da Rossi ed il resto della squadra dell’FBI e del locale commissariato.

Gli amici dovevano stare alla larga dall’operazione, nonostante David si fosse impegnato a comunicare novità ed aggiornamenti tempestivi a Geffen.
Kevin aveva protestato sonoramente, ma, alla fine, a tutti sembrò la scelta migliore lasciare fare ai professionisti.


“Col cavolo! E noi cosa cazzo ci facciamo qui!?” – sbottò Jimmy.
“Hai ragione, miseria schifosa!” – inveii Kevin.

Si erano assiepati nella camera di Glam, poco spaziosa, perché l’hotel era al completo per una serie di conferenze in città, di vario genere.

“Ehi calmatevi …” – disse paterno, assecondato da Scott.
“Io non ci sto!” – insistette Jimmy, infilando la porta – “Vado a cercare Tim!”
“Ed io con lui, andiamo Jimmy!” – e sparirono nel corridoio, nonostante i rimproveri dei due membri più anziani di quella spedizione.

“Teste calde” – bofonchiò l’avvocato, indossando un pullover, vista la brezza notturna, per poi tallonarli.
Scott sbuffò, ma non esitò ad andargli dietro.
Harry trattenne deciso per un polso Louis, già scattato sull’attenti come un soldatino e pronto a gettarsi nella mischia.
Robert sorrise, ma poi con Jude non rimandò di aggregarsi a Jared e Colin, ormai agli ascensori.

Geffen richiamò l’attenzione generale.
“I cuccioli restino qui, non voglio vi accada nulla, ok?”
Harry annuì sollevato, Louis storse il labbro inferiore – “Ok … Tu sei il capo a prescindere, sospetto …” – azzardò.
Glam rise – “Filate in stanza, fatevi un bel sonno e tenete i telefonini accesi. Non fatemi stare in pensiero anche voi …”
“Su avanti … Coccole time” – bisbigliò simpatico Jared e loro ubbidirono, come spesso accadeva con i suoi figli.

“Ok a noi: non possiamo fare il gruppo vacanze e poi … Nella hall vi hanno scattato foto a raffica, almeno camuffatevi” – suggerì Glam.
“A me non conosce nessuno!” – ridacchiò Scott.
“Sì, d’accordo, ma non diamo nell’occhio, profilo basso … Tu hai sempre le caldane” – ed abbottonò la casacca a Farrell – “E tu non prendere freddo” – infilò un maglione a Rob, calandogli un cappello quasi fino sulle narici – “Tu hai gli occhi troppo azzurri” – inforcò dei Ray-Ban neri a Jude – “E tu sei troppo magro” – ridendo costrinse Jared a mettere una palandrana, che Scott portava sempre appresso dai suoi safari.
Downey scrutò la gang, sospirando – “Sembriamo dei deficienti …” – poi puntò Geffen, sportivo, ma elegantissimo – “E tu il solito figo … Non è giusto!”
“E andiamo!” – esclamò allegramente, con il cuore in gola, spingendoli tutti nella cabina fatta di specchi e fregi dorati.


“Pessima faccenda …”
Il fiato di Rossi si vedeva.
La temperatura era in discesa, in una fine estate piuttosto rigida.
E piovosa.

“Cavoli ci mancava il temporale, che malasorte” – bisbigliò Reid, rannicchiandosi meglio sul sedile del passeggero.
La foto di Ivo era appiccicata al cruscotto, vecchio stile.
I tablet avevano la stessa immagine del professore, sempre in evidenza, con Garcia in collegamento diretto, per qualunque evenienza.

“Come sta Twist?” – chiese Dave, senza deconcentrarsi dalla strada, ormai  deserta.
Erano sulla via in cui c’erano diversi bistrot: un inserviente aveva udito dire qualcosa in proposito da Ivo e quindi l’indizio era un punto di partenza per le ricerche.

“Gli manca lo zio italiano … Come a me, a noi” – Reid tossì.
Rossi gli diede una carezza al dorso della mano sinistra e Spencer, con timidezza, intrecciò le loro dita.
“Ti voglio bene piccolo …” – sospirò il maturo detective.
Reid avvampò, poi sorrise.

La pioggia aumentò.

JJ ed Emily erano su di un secondo suv, parcheggiato adiacente la piazza, dove Ivo e Tim dovevano per forza ripassare per rientrare all’albergo.
La polizia, aveva bloccato, fingendo dei lavori in corso, le altre vie di accesso.

“Visibilità ridotta … Noi scendiamo” – comunicò Jennifer via tablet ed Aaron diede l’autorizzazione.

“Come va Rossi?” – domandò Derek dal campo base.
“Ancora nulla. Scendiamo anche noi” – disse svelto, senza attendere l’ok di Hotch, che comunque arrivò.
Reid controllò la pistola, poi spalancò lo sportello, finendo con i mocassini in una mega pozzanghera.
“Porca …!” – ringhiò, ma poi tallonò David, già sul marciapiede opposto.
C’era un unico locale ancora affollato e sembrava quello più alla moda.
Lui era convinto che Ivo e Tim fossero lì.
Un’intuizione, forse.


“Per me stiamo facendo una cazzata!” – disse piano Robert, camminando sotto braccio a Jude, ormai zuppi.
“E poi se ce lo troviamo davanti, con cosa lo fronteggiamo eh Judsie? Con la mia Mont Blanc?”
Law rise sotto i baffi, stringendolo di più, per poi rimediare un riparo sotto ad un portone.
Downey si lamentò ancora per qualche secondo, poi non ne fu più in grado, causa un bacio intenso, con cui Jude non gli diede scampo.


“Eccoli!”
Farrell li indicò: erano Kevin e Jimmy, avanti a loro almeno cento metri, giù in uno spiazzo, dal quale sparirono.
L’irlandese li rincorse, così Scott, lasciando indietro Jared e Glam, fradici e, nel caso del leader dei Mars, tremolante come una foglia.

“Tesoro buscherai una polmonite” – disse improvviso Geffen, cingendolo per le spalle.
“Fermiamoci un secondo Jay” – e si tolsero dall’asfalto, rifugiandosi in una torretta, un tempo usata per il cambio della guardia, presumibilmente.

“Che settembre Glam …”
“Togli questa roba, almeno è impermeabile …”
“San Scotty mi ha salvato” – Jared rise.
Geffen lo guardò, con quei capelli lunghi, la barba accennata, il cappello a tesa larga, più vecchio di Leto.
I suoi zaffiri indagarono quell’ambiente, con la curiosità di un bambino: da un paio di grate, filtrava la luce intensa dei lampioni, creando un riverbero quasi dorato.
Alla fine, le sue iridi si posarono nuovamente su Geffen.

“Va un po’ meglio …?” – domandò l’uomo, quasi in imbarazzo.
Lo spazio era angusto e poi l’esigenza di scaldarsi impellente.
Si abbracciarono o lo stavano già facendo, i rumori circostanti sembravano confonderli.

La sirena di un’ambulanza, lo stereo a manetta di un’auto che accostò, per poi ripartire immediata.

“Glam …”
“Sì sono qui”
Lo accolse meglio, posando le proprie labbra nel collo di Jared e poi accadde, come in un moto spontaneo, che Glam gli leccasse una porzione di pelle, morbida e profumata.
La sua lingua caldissima, inaspettata o forse ambita, scosse talmente Jared, da farlo aggrappare a lui, con una sorta di disperazione e contentezza.

Cercò la sua bocca o fu Geffen a farlo; Jared sentì un’eccitazione smisurata in ogni fibra di sé, avvertendo poi il gelo del cemento, di una sporgenza, una sorta di panca, dietro alla schiena, a metà scoperta dall’altro, che lo stava ormai cinturando, insinuandosi tra le sue gambe esili.
L’erezione di Leto, emergendo dai jeans sempre larghi per lui, andò a scontrarsi con l’addome di Glam – “Sei … bagnato … Mio Dio Jay … Ti amo da morire” – ansimò, per poi baciarlo ancora ed ancora, con foga, bramosia, che sembrò polverizzarsi appena Jared gemette – “No … No ti prego … non voglio”

Geffen sembrò precipitare dal cielo, senza stelle quella notte.

Si destò da quella frenesia, provando un senso di colpa annientante.

“Amore … Perdonami … Jared …”
Era sul punto di piangere, lo tirò su, aggiustandogli i vestiti comodi, accarezzandogli premuroso gli zigomi solcati di lacrime.
“Glam … cosa … ?” – singhiozzò, incrociando poi le braccia al muro, affondandoci il viso sconvolto.

Geffen appoggiò cauto i palmi sulle sue scapole – “E’ … è stata una delle nostre pazzie Jay … Ti chiedo scusa … ti supplico, dimentichiamoci subito questa … cosa”
Leto fuggì via.


“E’ lui!” – disse risoluto Dave.
Con Reid gli erano a pochi passi, in mezzo un fiume di gente, sbucata chissà da dove.
C’era un teatro, quindi il pubblico stava transitando verso il bar, per rifocillarsi, dopo una pièce interminabile.

“Cazzo!” – ribatté Spencer, facendosi largo tra la folla, esausto per il jet lag e l’acqua, che gli scorreva dappertutto.
“E’ da solo!” – quasi gli urlò Rossi, in quel baccano crescente, di risa, urletti e richiami, tra i vari gruppi di spettatori.

Un delirio.

Prentis e JJ li raggiunsero, ma l’elemento che destabilizzò la squadra, fu l’assenza di Tim.

“Dobbiamo cercarlo!” – intervenne Hotch – “Morgan vai anche tu, entra in quel ristorante o cosa diavolo è, chiedi se lo hanno visto con Tim!”
Il nervosismo stava crescendo.
Aaron temeva il peggio.

Quando Steadman si ritrovò davanti Colin e Jimmy si bloccò, interdetto.
Il ghigno, che però fece, appena si palesò anche Kevin, superando i primi due, aveva un sentore di non sorpresa, come se se lo aspettasse.

Rossi e Reid piombarono alle spalle dell’insegnante, così JJ ed Emily, che affiancarono Scott, in un accerchiamento completo.

“Cosa diavolo ci fate voi qui!!” – sbraitò David, disturbato dagli scrosci battenti.
Ivo si girò, mantenendo una calma minacciosa – “Cosa volete …? COSA VOLETE DA ME??”
Kevin gli si avventò contro, approfittando della sua distrazione.
Lo afferrò per la gola, gridando – “DOV’E’ TIM?? COSA GLI HAI FATTO BASTARDO!!”
Ivo rise.
Non la smetteva.
Kevin iniziò a picchiarlo, gli altri provarono a dividerli, anche se il Paleontologo non si difendeva assolutamente.

Con un occhio pesto ed il naso sanguinante, sussurrò soltanto – “Chiedilo alla Senna”
Riprese a ridere, come un ossesso.

I gendarmi, ormai accorsi sul luogo, lo ammanettarono.

I lampeggianti blu, lo stridio dei freni, le invettive, tutto sembrò cristallizzarsi appena Glam Geffen apparve sullo sfondo: sollevava un corpo all’apparenza esanime, con gli indumenti lacerati e grondanti, anche di ramaglie e foglie, i tratti somatici deturpati da graffi e lividi, da un pallore grave.

Era Tim.

E Glam non diceva niente.
Niente.







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