Capitolo n. 207 -
sunrise
Denny lo trovò seduto
davanti al caminetto acceso, avvolto in una coperta, perché nudo ed appoggiato
stancamente al divano, che sembrava sorreggere a mala pena il suo peso.
Una bottiglia di
cognac ormai vuota, rovesciata sul tappeto pregiato e poco distante la sua
mano, appoggiata sul dorso: il capo chino verso destra, le labbra storte in
un’espressione dolorosa.
“Glam … Glam?”
Denny lo scrollò
vigorosamente e lui si riprese.
“Che diavolo … Denny
…?”
“Glam sono passato a
portarti le pratiche che mi avevi chiesto … Cosa è successo?”
“Vattene ragazzo …” –
biascicò, annaspando per riprendere il prezioso contenitore in cristallo,
imprecando per la mancanza di un contenuto decente da bere.
Denny scrollò le
spalle – “Mio Dio, ma cosa ti prende Glam?”
“Voglio restare solo
quindi sparisci!” – masticò insofferente, per poi tossire.
Denny gli porse
dell’acqua, ma lui la rifiutò.
“Quale parte del
discorso non ti è chiara Denny?”
“Glam … domani
battezzi tuo figlio o l’hai dimenticato …?”
“Domani è … domani”
“Ok, ma in tribunale
chi ci mando ora?”
“Hopper!” – e
ridacchiando si avvolse meglio.
“Ti cerco dei
vestiti”
“Vattene!!” – gli
urlò.
Denny ubbidì.
Appena arrivò in
macchina compose il numero di Tomo.
“Tesoro ciao, state
registrando?”
“Sì, passi a Malibu?”
“Senti c’è Jared lì
con voi?”
“No, è da Colin a
Chicago, rientrano nel pomeriggio, perché chiedi di lui?”
“C’è almeno Chris? Si
tratta di Geffen … me lo passi?”
Penelope aveva
sistemato anche la sorella, in qualità di governante e due cugine, come
cameriere alla Star House.
Persino suo marito
trovò un impiego come custode ed addetto al parco: era gioviale e meticoloso.
Andò incontro a
Robert, riconoscendolo subito.
“Oh … il signor Stark
…” – sorrise.
“Salve … dovrei
vedere Glam …”
“L’avvocato la sta
aspettando?” – chiese timido.
“No, è una sorpresa …
Ci sono problemi se salgo?”
“Non ne ho idea, sa,
sono nuovo e l’avvocato mi sembra una brava persona, però se si arrabbia non
vorrei essere presente nel raggio di cento metri” – spiegò assorto.
“Lula c’è?”
“No, no, il bimbo è
dall’altro papà, con i due colossi … sa i russi”
“Sì, Vassily e Peter,
li conosco bene” – Robert rise - “Allora
signor …?”
“Josè Pilar, per
servirla signor Downey!”
“Josè io credo che
l’avvocato abbia bisogno di me, quindi corro da lui e mi assumo la
responsabilità delle conseguenze, glielo assicuro” – e schiacciando
l’occhiolino sinistro, l’attore imboccò l’entrata senza ulteriori esitazioni.
Jared mangiava con
appetito il suo terzo muffin al cioccolato, immerso in pensieri, che Colin non
voleva affrontare.
La sua era pazienza,
semplice pazienza, nei confronti di un uomo, che gli aveva donato la propria
vita, incondizionatamente.
Sapeva dei suoi
tradimenti ed era reciproco: quel farsi male, insano, quasi con metodo, per poi
riconciliarsi e sanare delle fratture, che per altri sarebbero state letali.
Forse era l’unica
strada da fare, sino ad un certo punto delle loro esistenze: poi, con
altrettanta calma, gli anni avrebbero infierito anche su quel lato poco
ortodosso, di viversi, di maltrattarsi, di adorarsi e di assistersi,
confermando che non esisteva una ricetta salvifica e definitiva al loro amore,
dalle sfumature più variegate e spesso discutibili.
Si erano fatti
portare la colazione in camera.
“E’ buono, tesoro …?”
“Sì Cole … oggi
torniamo a casa?”
“Se vuoi sì. Io qui
ho finito”
“Hai firmato?”
“Con poca
convinzione, ma almeno si gira a Los Angeles”
Jared sbuffò – “Voglio
mollare tutto … il disco intendo”
“Non ti credo Jay” –
Farrell sorrise, ma provò come qualcosa di lacerante.
Quella frase la
vedeva come riferita al loro rapporto, improvvisamente.
Jared rise a propria
volta, come a recuperare di colpo su quella battuta infelice – “Faccio sempre
così, è la strizza!”
“Ok …”
“Colin”
“Sì?”
Jared si sporse e lo
baciò.
Affondò poi il suo
volto nel collo dell’irlandese, respirandone il profumo.
Farrell lo avvolse,
caldo e premuroso.
“Ti amo Jay”
Jared non disse
nulla, premendo le sue dita sul petto del marito e chiudendo gli occhi, sembrò
assopirsi nuovamente.
Robert rimase in
silenzio, mentre cercava almeno un pigiama per Glam.
L’avvocato fissava il
fuoco ormai spento, raggomitolandosi maggiormente in quella coltre non
abbastanza grande per scaldarlo.
“Ho freddo … Rob …”
“Tesoro come ti
senti?”
Downey si precipitò a
controllare il suo stato, che gli appariva precario.
“Cerco Scott” –
esclamò risoluto, ma Geffen lo trattenne per un polso.
“Non andartene Rob …
ho bisogno di te, non di Scott”
“Ed io ho bisogno che
tu stia bene e che non ti riduca così, cazzo!” – due lacrime sgorgarono dai
suoi pozzi di inchiostro, ma Glam era abbastanza lucido per asciugargliele con
entrambi i pollici.
“Amore …” – gli sorrise,
abbassando poi lo sguardo, perduto in mille dettagli di Robert, ancora una
volta.
“Ce la fai ad alzarti
Glam?” – Downey deglutì a vuoto, provando a sollevarlo –“Andiamo a stenderci …”
“Tu devi andare a
casa, da tuo marito e dalla bimba … lasciami perdere Rob” – mormorò, alzandosi
faticosamente ed appoggiando la guancia sinistra alla spalla dell’artista, che
lo sorreggeva non senza difficoltà.
“Sono abbastanza
adulto per decidere dove stare e con chi stare Glam” – sospirò amaro.
Atterrarono al centro
del letto – “Eccoci qui … Glam stai tremando”
“Forse è un po’ di
febbre, riuscirò a cavarmela, ora torna da Jude, per favore”
“Smettila!” – sbottò –
“… smettila, anima mia … sono così confuso e” – inghiottì un singulto, poi si
spogliò velocemente – “Mi hanno insegnato che solo il calore umano risolve l’ipotermia,
sai?”
Geffen si rannicchiò
sotto ad un piumino, fuori stagione in quella California assolata, ma ideale
per trasmettergli un minimo di tepore: nulla in confronto a ciò che stava per
fare Downey, comunque.
In alcuni minuti Glam
si sentì meglio, però furono i baci di Robert a farlo rinascere letteralmente.
La stanza vorticava,
di immagini moltiplicate di Downey, delle sue parole, di una miriade di
carezze.
“Fermati Rob …
fermati … ti supplico”
Era come una lama,
tagliente, conficcata nel suo addome, dove adesso Robert posava baci infuocati.
Se Glam l’avesse
tolta, sarebbe morto dissanguato: negarsi la sua presenza, cacciando Downey dai
propri giorni, equivaleva ad un autentico suicidio.
C’erano già troppi
vuoti, nel suo percorso, per formare l’ennesima voragine, la peggiore, ad
essere realistici.
Quelle considerazioni
lo stavano annientando, mentre la bocca capace di Robert, lo stava portando via
da quel contesto nuovo, lussuoso ed inutile.
Una dimora in cui ci
si poteva smarrire o nascondere, quando farlo con sé stessi era diventato un
esercizio così stupido, da risultargli insopportabile.
Il suo sapore gli si
era conficcato in gola.
Robert fissava la sua
immagine nello specchio di quel bagno, effettivamente fucsia in mille dettagli.
Era suo, come l’appartamento
annesso, all’interno della Star House.
Se l’era trovato da
solo, girovagando per i tre piani, alla ricerca di una brocca con del caffè
forte.
Vide dei furgoni
varcare i cancelli: erano del cattering.
Rammentò l’impegno
come padrino di Jay Jay, per il giorno seguente, insieme a Jared: Glam lo
chiese loro ufficialmente appena il piccolo venne al mondo, ben prima di quei
mutamenti e quel cambio di rotta, nell’interagire con Leto, dopo essersi
separato da Downey.
“Che casino …” –
disse piano, inspirando greve.
Chiuse la finestra e
decise di lavarsi ulteriormente i denti: aveva perso il conto di quanto si
fosse ripetuta quell’operazione.
“Sei un vigliacco
Downey …” – ringhiava, in una cantilena incolore.
Individuò le cucine
finalmente.
“L’avvocato beve un
espresso in genere …” – disse imbarazzata Penelope.
“No meglio una dose
massiccia … Grazie signora” – e si aggiustò i capelli, sentendosi osservato.
Era a disagio, perché
quella donna si stava certamente chiedendo cosa ci facesse lì, come mai sembrava
uscito da un frullatore e quante docce si fosse fatto per profumare di orchidea
e zenzero in quel modo assurdo.
“Ecco, vuole della
crostata di fragole? L’ho appena sfornata” – e gli sorrise simpatica.
“No … cioè sì, a Glam
farà bene”
“Sì, sono d’accordo,
mangia così poco, temevo non gradisse le mie ricette, ma Lula ne va pazzo!”
“Oh sì … ne sono
sicuro miss Derado” – ed abbozzando un sorriso, afferrò il vassoio e sparì.
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