giovedì 4 ottobre 2012

SUNRISE - CAPITOLO N. 207



Capitolo n. 207  -  sunrise


Denny lo trovò seduto davanti al caminetto acceso, avvolto in una coperta, perché nudo ed appoggiato stancamente al divano, che sembrava sorreggere a mala pena il suo peso.
Una bottiglia di cognac ormai vuota, rovesciata sul tappeto pregiato e poco distante la sua mano, appoggiata sul dorso: il capo chino verso destra, le labbra storte in un’espressione dolorosa.
“Glam … Glam?”
Denny lo scrollò vigorosamente e lui si riprese.
“Che diavolo … Denny …?”
“Glam sono passato a portarti le pratiche che mi avevi chiesto … Cosa è successo?”
“Vattene ragazzo …” – biascicò, annaspando per riprendere il prezioso contenitore in cristallo, imprecando per la mancanza di un contenuto decente da bere.
Denny scrollò le spalle – “Mio Dio, ma cosa ti prende Glam?”
“Voglio restare solo quindi sparisci!” – masticò insofferente, per poi tossire.
Denny gli porse dell’acqua, ma lui la rifiutò.
“Quale parte del discorso non ti è chiara Denny?”
“Glam … domani battezzi tuo figlio o l’hai dimenticato …?”
“Domani è … domani”
“Ok, ma in tribunale chi ci mando ora?”
“Hopper!” – e ridacchiando si avvolse meglio.
“Ti cerco dei vestiti”
“Vattene!!” – gli urlò.
Denny ubbidì.

Appena arrivò in macchina compose il numero di Tomo.
“Tesoro ciao, state registrando?”
“Sì, passi a Malibu?”
“Senti c’è Jared lì con voi?”
“No, è da Colin a Chicago, rientrano nel pomeriggio, perché chiedi di lui?”
“C’è almeno Chris? Si tratta di Geffen … me lo passi?”


Penelope aveva sistemato anche la sorella, in qualità di governante e due cugine, come cameriere alla Star House.
Persino suo marito trovò un impiego come custode ed addetto al parco: era gioviale e meticoloso.
Andò incontro a Robert, riconoscendolo subito.
“Oh … il signor Stark …” – sorrise.
“Salve … dovrei vedere Glam …”
“L’avvocato la sta aspettando?” – chiese timido.
“No, è una sorpresa … Ci sono problemi se salgo?”
“Non ne ho idea, sa, sono nuovo e l’avvocato mi sembra una brava persona, però se si arrabbia non vorrei essere presente nel raggio di cento metri” – spiegò assorto.
“Lula c’è?”
“No, no, il bimbo è dall’altro papà, con i due colossi … sa i russi”
“Sì, Vassily e Peter, li conosco bene” –  Robert rise - “Allora signor …?”
“Josè Pilar, per servirla signor Downey!”
“Josè io credo che l’avvocato abbia bisogno di me, quindi corro da lui e mi assumo la responsabilità delle conseguenze, glielo assicuro” – e schiacciando l’occhiolino sinistro, l’attore imboccò l’entrata senza ulteriori esitazioni.


Jared mangiava con appetito il suo terzo muffin al cioccolato, immerso in pensieri, che Colin non voleva affrontare.
La sua era pazienza, semplice pazienza, nei confronti di un uomo, che gli aveva donato la propria vita, incondizionatamente.
Sapeva dei suoi tradimenti ed era reciproco: quel farsi male, insano, quasi con metodo, per poi riconciliarsi e sanare delle fratture, che per altri sarebbero state letali.
Forse era l’unica strada da fare, sino ad un certo punto delle loro esistenze: poi, con altrettanta calma, gli anni avrebbero infierito anche su quel lato poco ortodosso, di viversi, di maltrattarsi, di adorarsi e di assistersi, confermando che non esisteva una ricetta salvifica e definitiva al loro amore, dalle sfumature più variegate e spesso discutibili.

Si erano fatti portare la colazione in camera.
“E’ buono, tesoro …?”
“Sì Cole … oggi torniamo a casa?”
“Se vuoi sì. Io qui ho finito”
“Hai firmato?”
“Con poca convinzione, ma almeno si gira a Los Angeles”
Jared sbuffò – “Voglio mollare tutto … il disco intendo”
“Non ti credo Jay” – Farrell sorrise, ma provò come qualcosa di lacerante.
Quella frase la vedeva come riferita al loro rapporto, improvvisamente.
Jared rise a propria volta, come a recuperare di colpo su quella battuta infelice – “Faccio sempre così, è la strizza!”
“Ok …”
“Colin”
“Sì?”
Jared si sporse e lo baciò.
Affondò poi il suo volto nel collo dell’irlandese, respirandone il profumo.
Farrell lo avvolse, caldo e premuroso.
“Ti amo Jay”
Jared non disse nulla, premendo le sue dita sul petto del marito e chiudendo gli occhi, sembrò assopirsi nuovamente.


Robert rimase in silenzio, mentre cercava almeno un pigiama per Glam.
L’avvocato fissava il fuoco ormai spento, raggomitolandosi maggiormente in quella coltre non abbastanza grande per scaldarlo.
“Ho freddo … Rob …”
“Tesoro come ti senti?”
Downey si precipitò a controllare il suo stato, che gli appariva precario.
“Cerco Scott” – esclamò risoluto, ma Geffen lo trattenne per un polso.
“Non andartene Rob … ho bisogno di te, non di Scott”
“Ed io ho bisogno che tu stia bene e che non ti riduca così, cazzo!” – due lacrime sgorgarono dai suoi pozzi di inchiostro, ma Glam era abbastanza lucido per asciugargliele con entrambi i pollici.
“Amore …” – gli sorrise, abbassando poi lo sguardo, perduto in mille dettagli di Robert, ancora una volta.
“Ce la fai ad alzarti Glam?” – Downey deglutì a vuoto, provando a sollevarlo –“Andiamo a stenderci …”
“Tu devi andare a casa, da tuo marito e dalla bimba … lasciami perdere Rob” – mormorò, alzandosi faticosamente ed appoggiando la guancia sinistra alla spalla dell’artista, che lo sorreggeva non senza difficoltà.
“Sono abbastanza adulto per decidere dove stare e con chi stare Glam” – sospirò amaro.
Atterrarono al centro del letto – “Eccoci qui … Glam stai tremando”
“Forse è un po’ di febbre, riuscirò a cavarmela, ora torna da Jude, per favore”
“Smettila!” – sbottò – “… smettila, anima mia … sono così confuso e” – inghiottì un singulto, poi si spogliò velocemente – “Mi hanno insegnato che solo il calore umano risolve l’ipotermia, sai?”
Geffen si rannicchiò sotto ad un piumino, fuori stagione in quella California assolata, ma ideale per trasmettergli un minimo di tepore: nulla in confronto a ciò che stava per fare Downey, comunque.
In alcuni minuti Glam si sentì meglio, però furono i baci di Robert a farlo rinascere letteralmente.
La stanza vorticava, di immagini moltiplicate di Downey, delle sue parole, di una miriade di carezze.
“Fermati Rob … fermati … ti supplico”
Era come una lama, tagliente, conficcata nel suo addome, dove adesso Robert posava baci infuocati.
Se Glam l’avesse tolta, sarebbe morto dissanguato: negarsi la sua presenza, cacciando Downey dai propri giorni, equivaleva ad un autentico suicidio.
C’erano già troppi vuoti, nel suo percorso, per formare l’ennesima voragine, la peggiore, ad essere realistici.
Quelle considerazioni lo stavano annientando, mentre la bocca capace di Robert, lo stava portando via da quel contesto nuovo, lussuoso ed inutile.
Una dimora in cui ci si poteva smarrire o nascondere, quando farlo con sé stessi era diventato un esercizio così stupido, da risultargli insopportabile.


Il suo sapore gli si era conficcato in gola.
Robert fissava la sua immagine nello specchio di quel bagno, effettivamente fucsia in mille dettagli.
Era suo, come l’appartamento annesso, all’interno della Star House.
Se l’era trovato da solo, girovagando per i tre piani, alla ricerca di una brocca con del caffè forte.
Vide dei furgoni varcare i cancelli: erano del cattering.
Rammentò l’impegno come padrino di Jay Jay, per il giorno seguente, insieme a Jared: Glam lo chiese loro ufficialmente appena il piccolo venne al mondo, ben prima di quei mutamenti e quel cambio di rotta, nell’interagire con Leto, dopo essersi separato da Downey.
“Che casino …” – disse piano, inspirando greve.

Chiuse la finestra e decise di lavarsi ulteriormente i denti: aveva perso il conto di quanto si fosse ripetuta quell’operazione.
“Sei un vigliacco Downey …” – ringhiava, in una cantilena incolore.

Individuò le cucine finalmente.
“L’avvocato beve un espresso in genere …” – disse imbarazzata Penelope.
“No meglio una dose massiccia … Grazie signora” – e si aggiustò i capelli, sentendosi osservato.
Era a disagio, perché quella donna si stava certamente chiedendo cosa ci facesse lì, come mai sembrava uscito da un frullatore e quante docce si fosse fatto per profumare di orchidea e zenzero in quel modo assurdo.
“Ecco, vuole della crostata di fragole? L’ho appena sfornata” – e gli sorrise simpatica.
“No … cioè sì, a Glam farà bene”
“Sì, sono d’accordo, mangia così poco, temevo non gradisse le mie ricette, ma Lula ne va pazzo!”
“Oh sì … ne sono sicuro miss Derado” – ed abbozzando un sorriso, afferrò il vassoio e sparì.






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