One shot - A special place
Cast:
Colin Farrell > Colin
Jared Leto > Jared
New York……………marzo 2005
Jared ondeggiava sui piedi indolenziti, come le gambe asciutte e sempre piú magre.
Il turno all’autolavaggio era finito da mezz’ora e, per sua fortuna, era giorno di paga.
Barry lo fissava, quasi con disgusto.
“Dose doppia oggi, vero dolcezza?”
“Fanculo… ce l’hai o no?”
“Ma sí, sí ce l’ho… posso farti credito, comunque… parlo del resto del mese…” – sghignazzó.
I suoi occhi erano torvi, la pelle scura perfetta, i denti di un bianco assurdo, quasi infastidivano la retina sensibile di Jared, che non ne poteva piú.
“Credito? Non… non se ne parla…” – strinse i denti, alzando le spalle.
Il pusher gli allungó le bustine e lui ricambió con alcune banconote, salutandolo frettolosamente.
Voleva solo sniffare, accucciato in qualche vicolo, perché di tornare a casa non se ne parlava.
Il padre, custode di uno sfasciacarrozze del Bronx, era costantemente ubriaco, da quando la moglie era morta di cancro due anni prima.
Un periodo in cui lui ed il figlio si persero in abissi differenti, ma ugualmente deleteri.
Il problema era che si dimenticava spesso di fare la spesa, pagare le bollette, l’affitto, ma mai di picchiare Jared praticamente ogni sera.
A ventitre anni, lui se ne sentiva piú del doppio, da quando cercava di riempire i vuoti con quel veleno, senza trovare una vera soluzione.
Stava peggiorando.
“Dove cazzo vai, aspetta!” – esclamó Barry, prendendolo per un braccio.
“Ma cosa diavolo vuoi da me!?” – gli urló quasi.
“Solo dirti che per due settimane non mi troverai, vado in vacanza.”
“Co… cosa?! Ed io come faccio!?” – chiese con apprensione.
“Cristo questa cittá è piena di droga, qual è il tuo problema?!”
“La tua roba è sicura… tutto qui…”
“Su questo hai ragione Jared, ma ti mando da uno altrettanto affidabile.”
“E chi sarebbe?”
“Conosci il bar Grey Home?”
“Sí… sí so dov’é…” – replicó quasi rassicurato.
“Bene, chiedi di Colin, l’irlandese, è suo il locale ed è un ottimo fornitore… Ma non ti affezionare, torna poi da me, ok?”
“Sai cosa mi frega… basta che non mi vendiate della merda ed io corro dove volete…”
“Dai vai pure, lo vedo che sei al limite…”
“Ok… ciao, divertiti.” – e se ne andó, sotto lo sguardo commiserevole di Barry, che quasi si dispiaceva nel vedere un giovane cosí bello, che continuava a sbagliare tutto nella propria vita, rendendola inutile e sporca.
Colin si era chiuso a chiave nel proprio ufficio, a contare denaro contante e mettere al sicuro diversi orologi d’oro e bracciali, di notevole valore.
Sorrise, pensando a cosa erano disposte a fare certe persone per una dose.
Con lui non si poteva scendere a compromessi, non voleva sesso in cambio di certi favori.
I tossici gli facevano schifo, donne o uomini non c’era differenza.
Era solo da un pezzo, a parte una fidanzata che lo aveva mollato ed un amico con il quale non era andato oltre qualche bacio: la sua bisessualitá non gli aveva mai dato problemi e di impegnarsi con qualcuno non se ne parlava.
Colin aveva una sorella piú piccola, che morí in un incidente stradale, insieme ai loro genitori: uno stop non rispettato da un coglione bevuto fino al midollo, gli aveva spazzato via un mondo fatto di abitudini e tradizioni.
I parenti erano nella lontana Dublino ed a lui non erano mai andati a genio.
Colin voleva fare soldi in fretta, senza troppa fatica: vivere come un bravo ragazzo era deprimente e non voleva avere tra le palle qualcuno che lo giudicasse.
Ad ogni ingresso, un bip lo avvisava che un potenziale relitto umano si era infilato nel suo rifugio colorato e ben fornito di qualsiasi stupefacente.
Senza saperne il motivo, alzó lo sguardo all’ennesimo passaggio, scorgendo un ragazzo nuovo, molto attraente, ma vestito come uno straccione.
La moda grunge imponeva un aspetto trasandato chic, quei discorsi glieli faceva il barista, sezionando ogni cliente, raccontandolo a Colin, che ascoltava divertito, bevendo la solita scura.
Fece uno zoom sul volto dello sconosciuto, notando il blu dei suoi occhi lucidi e sofferenti.
Era troppo secco, chissá da quanto non faceva un pasto decente, ma poteva essere anche un poppante ribelle, uno di quei vegetariani convinti, finito lí per sbaglio: voleva assurdamente negare a sé stesso l’evidenza, senza decifrarne il motivo.
Decise di tornare in sala, per aiutarlo.
Jared si avvicinó al bancone, chiedendo di Colin.
“Sta arrivando, eccolo qui… Ciao capo, ti cercano...” – ed indicó Jared, che si stava soffiando il naso.
Poche gocce di sangue nel kleenex lo allarmarono.
“Ciao, sono Colin. Ehi, ma cosa ti prende?”
“Non lo so… c’è un bagno?”
“Certo, seguimi.”
Lo portó di sopra – “Questo è il mio, fai con comodo.”
“Grazie, troppo buono…” – disse assorto a tamponare quell’epistassi, dovuta all’infiammazione dei turbinati, segno tipico di chi stava esagerando con la cocaina.
Colin provó come un senso di rassegnazione, un altro predestinato, per una brutta fine.
Quando Jared tornó, lo fece accomodare sul divano, dove lui stava sorseggiando una tonica – “Ho una sete stasera… colpo dei tacos…” – disse come se si conoscessero, provando poi disagio davanti al silenzio del ragazzo, che voleva solo una cosa.
“Mi chiamo Jared… è Barry che mi manda, lui è partito… Dice che sei a posto…”
“Ah, capisco. Cosa hai fatto allo zigomo?”
Jared si ritrasse, infastidito da quella curiositá inconsueta – “Fai un’intervista a chi cerca una dose?”
Colin si alzó di scatto, aprendo un cassetto a caso, buttando sul tavolino pochi grammi – “Tieni, offre la casa, omaggio di benvenuto. Ora togliti dai coglioni, che ho da fare.”
Il suo tono divenne cosí sgarbato, da provocare una fitta allo stomaco a Jared, che non esitó a prendere quel dono inaspettato ed uscire senza voltarsi indietro da quel posto, che giá detestava.
La finestra affacciata su di una via discretamente elegante di New York, era dotata di un ampio davanzale, sopra al quale, tra un paio di cuscini, Colin si sistemó a fumare una sigaretta.
Quella notte non riusciva a dormire.
Provava una rabbia crescente.
§ Volevo fare solo due parole… una minima conversazione… cazzo! § - pensó, sentendosi usato.
Del resto era reciproco, il rapporto drogato – pusher era un dare avere, finché uno dei due non strippava e di certo non sarebbe stato lui.
Prese la giacca in pelle scura, rimise le Hogan, con l’intenzione di fare un giro in auto.
Capí subito che non era un semplice scarico di tensione, quel girovagare senza meta, visto che stava facendo qualcosa di preciso: cercava Jared.
Tanto illogico quanto impossibile trovarlo.
Eppure nel buio, qualcosa di inspiegabile accadde.
Inizió a piovere a dirotto e quel piccolo cencio di uomo era lí, proprio ad un passo da Colin, abbandonato su di una panchina, come se il destino si fosse dimenticato di lui.
Lo recuperó imprecando.
Jared si rannicchió sul sedile del passeggero, assaporando il tepore dell’abitacolo, la testa appoggiata al finestrino, il respiro spezzato dal freddo.
Era fradicio.
“Ehi sei qui con me Jared?”
“Sí… sí ci sono…” – balbettó tremante.
“Abbi pazienza un paio di minuti e siamo arrivati.”
“Arrivati dove… cosa vuoi?”
“Niente, solo … niente.”
“Allora fammi scendere.”
“Ti porto dove abiti allora, se non vuoi venire a casa mia…”
“A casa tua? Che cazzo vuoi!?” – sembró risvegliarsi da un torpore, reagendo come una furia all’affermazione di Colin, che stava per spazientirsi.
“Ma sei stronzo?? Cosa ti sei messo in testa? Volevo solo che ti asciugassi, prima di tornare dai tuoi!” – replicó furente.
“I… i miei?...” – rise piano.
“Cosa ci trovi di tanto divertente, eh?!”
“Nulla… ho solo… c’è mio padre… un bastardo come un altro, magari a quest’ora dorme, cosí mi risparmia…”
Colin accostó, girandosi per squadrarlo – “Risparmia da cosa?” – domandó con esitazione.
“Mi pesta…solo questo…”
“Perché ti fai?”
“No… lui è sovente in coma etilico…” – sorrise, quel modo di dire l’aveva sentito in tv.
“E se la prende con te?”
“Ovvio… per ragioni del cazzo, ma un motivo lo trova, cosí si sfoga e poi… si sentirá meglio, non lo so… Davvero. Non lo so Colin.”
“Mi… mi dispiace…” – mormoró, sfiorandogli i capelli.
Jared stranamente, viste le premesse, non reagí.
“Non importa… comunque grazie per la solidarietá.”
“Andiamo da me allora?”
“Come vuoi… sí, va bene.”
L’appartamento era accogliente, l’arredamento sobrio; a Jared sembró troppo elegante per un venditore di morte.
“Se vuoi farti una doccia, ti posso prestare dei vestiti, certo sei piú magro di me… Cosa ne dici di una tuta?” - sorrise, cercando nell’armadio.
“Quella va bene… Nike, bella…” – disse, tastando la stoffa di pregio, ammirandola come qualcosa di essenziale.
Colin capí che Jared non aveva mai avuto nulla di superfluo, come lui – “Puoi tenerla, se… se non ti offendi.”
“Ok… dici sul serio?” – chiese diffidente.
“Certo. Mangi qualcosa?”
“Hai un dolce…? Ho voglia di dolce…”
“Sí, torta gelato? Temo di avere solo quella…”
Colin ne andava pazzo, era capace di mangiarne piú di metá, per poi ammazzarsi di pesi in palestra per smaltire.
“Gelato…? Sí… la mangio volentieri.”
“Ti aspetto in cucina, fai con comodo.” – sorrise, passandogli anche un accappatoio e degli asciugamani.
“Nella cassettiera sotto al lavabo trovi anche boxer e vogatori nuovi, serviti pure…”
Jared non disse niente, a testa bassa si infiló nella stanza e chiuse a chiave.
Colin si grattó la testa, sconfortato dalla ritrosia, che leggeva in ogni espressione di Jared.
La penisola della cucina era di colore arancio, mentre il resto era in faggio chiaro, stile essenziale e pratico, gli accessori rossi ed allineati in un ordine maniacale.
Jared analizzava ogni dettaglio, mostrando curiositá.
“Carino questo posto…La tua fidanzata ha buon gusto Colin, ma ora dov’è?”
“Come scusa?... No, hai davanti a te un single incallito.” – tentó una battuta trita, ma Jared era piú preso a pregustare la sua porzione di saint honoré.
“La adoro…”
“Cosa Colin?”
“Questa schifezza carica di calorie, grassi, zuccheri…”
“Un pusher salutista… ecco cosa sei…” – Jared ridacchió, spegnendo subito la propria ilaritá, davanti alla smorfia di Colin.
“Scusami…scherzavo…”
“Sí, ovvio. Buon appetito.”
“Grazie Colin.” – prese il primo cucchiaio, socchiudendo le palpebre, compiaciuto – “Cazzo… è buona davvero…”
“Te lo avevo detto Jared.”
Lui tiró sú dal naso, spostandosi via i capelli dalla fronte.
Aveva un viso bellissimo e Colin non riusciva a smettere di guardarlo, sentendosi un coglione.
“Mia mamma… mia mamma a Natale faceva sempre una ciambella, farcita con crema… crema pasticcera, la preparava lei… e poi… poi faceva due parti, tagliando nel mezzo, con una lama sottile e lunghissima… ed io credevo sempre che sarebbe andata storta, invece non sbagliava… Non…non sbagliava mai…” – la voce di Jared divenne un sussurro assorto, quasi immerso nei ricordi, tanto che le sue iridi cobalto si illuminarono, come ispirate.
“Ha smesso di farla?” – chiese Colin, incantato da lui, come mai gli era accaduto prima.
“È andata via… un male incurabile…Papá ed io non ce l’abbiamo fatta senza di lei. Mi aveva lasciato dei risparmi e me li sono bruciati quasi tutti…almeno quelli che non si è bevuto il vecchio. Lui era un impiegato, assicurazioni…Io studiavo… tutto nel cesso…” – all’improvviso Jared sembrava un fiume in piena di notizie su di sé, un classico per chi sniffava, alterazioni caratteriali e sbalzi di umore inattesi.
“E adesso cosa fate?”
“Lui fa il doppio turno da Griffith… Io da Speed Wash...”
“Capisco, ci vado ogni tanto…”
“Non ti ho mai visto…”
“Neppure io, ma cosa importa Jared? Ne vuoi un’altra...?”
“Se non ti dispiace…” – sorrise.
“Credo che tu ne abbia piú bisogno di me… Posso prepararti anche qualcosa di caldo, ma forse è tardi…”
“Sí, troppo…” – guardó l’ora – “Dovrei rientrare…”
“Sei sicuro?”
“Francamente non c’è pericolo che quello mi cerchi… o si accorga della mia assenza…”
“Allora resta qui, ho un divano comodissimo.”
“Perché lo fai Colin?”
“Faccio cosa?”
“Perché sei gentile con me? Non ci sono abituato, cosa vuoi in cambio?”
“Ricominci con queste cazzate Jared?!” – si alteró, andando a lavare i piatti.
“No, ma ti ripeto, non ci sono abituato a tante smancerie.”
“Smancerie? … Ma che cazzo dici? Un amico ti tratta senza prenderti a calci in culo e tu le chiami smancerie?!”
“Amico…e… e da quando siamo amici?”- ribatté ironico.
Colin si fermó davanti a lui, pungendolo con lo sguardo ferito – “Sei insopportabile Jared.”
Lui fece mezzo passo indietro, come intimorito – “Lo so. Lo dice anche mio padre… non ti sopporto Jared… per via della somiglianza con mia madre… eppure l’amava, dovrebbe… lui dovrebbe amarmi, almeno un minimo…”
“Se fai cosí amarti diventa complicato.”
Quelle parole sembravano dette da qualcuno fuori scena, Colin si avvampó di vergogna, aveva abbassato tutte le difese possibili, le barriere che nessuno riusciva ad abbattere, con Jared si erano come annullate.
“Tu… tu invece sei facile da amare, Colin?”
Un quesito che lo colse impreparato, ma gli occhi di Jared sembravano pretendere una risposta.
“Hai vinto. Mi piaci, mi…” – Colin respiró forte – “Jared non so cosa cazzo mi abbia preso, ma non posso…”
“Non puoi cosa?” – sembró che l’ossigeno fosse venuto meno, in quell’incavo gradevole ed invitante.
Colin si strofinó la faccia, allontanandosi – “Dormo io in salotto, prenditi la mia stanza, ci vediamo a colazione, dormi bene.” – disse secco, chiudendosi lui, questa volta, in bagno.
Jared non se lo fece ripetere, approfittando di quel giaciglio immacolato.
Quando non era troppo stanco puliva sommariamente l’alloggio che divideva con il padre, che faceva del proprio meglio per renderlo un porcile.
Il covo di Colin era invece disposto secondo un criterio di disciplina, almeno all’apparenza.
Prese un piumino ed un guanciale dalla cassapanca, senza fare rumore, per poi sdraiarsi nudo sul Cester in pelle bianca.
Era nervoso, nudo ed impaziente di prendere sonno, per non pensare piú a quel ragazzo a pochi passi da lui.
Ripercorreva le scene di poco prima, soffermandosi sui toni migliori della loro conversazione.
Purtroppo, la sua attenzione si era concentrata anche sulle linee del corpo di Jared, sensuali ed attraenti in un modo che gli toglieva il fiato.
Si masturbó, senza venire, per poi mettersi a piangere, dandosi del cretino.
Il mattino dopo Jared era sparito.
Due notti.
Due albe.
“Basta! Basta cazzo!!!”
Colin diede un pugno allo schienale della poltrona, dove si era messo per leggere un giornale sportivo.
Doveva andare da Speed Wash, doveva ritrovare Jared, che aveva preferito rivolgersi a qualche altro pusher, almeno cosí credeva.
L’inserviente che prese in carico il suo suv non seppe dargli un’informazione risolutiva – “Jared? Era qui mezz’ora fa, ma credo se ne sia andato…Non stava bene.”
“Ti ringrazio… hai mica il suo indirizzo di casa?”
“No, mi dispiace… ma lei è un poliziotto?”
Colin tossí – “Si vede cosí tanto?”
“Parli con il titolare, lo trova sú negli uffici.”
Colin salí due rampe di scale, sentendo una voce tuonare in lontananza.
Un uomo massiccio, che dava le spalle alle vetrate dell’amministrazione, stava inveendo contro qualcuno.
Era Jared, coperto dalla sua stazza, che stava curvo, appoggiato alla parete, a sorbirsi un rimprovero prevedibile – “Sono stufo marcio della tua sbadataggine!!! Ma cosa fai, ti droghi Jared?? È la terza auto che mi righi questo mese, cazzo!! Sei licenziato!”
Lui non replicava, era in evidente astinenza.
Colin intervenne.
“E lei chi è?!”
“Salve… sono… sono un amico di Jared, sono venuto a prenderlo… Ci sono problemi?”
“Per me non piú! Se lo porti via, mi fa solo un favore!” – e cosí dicendo tiró una busta contro Jared, che la fece cadere.
C’era la sua liquidazione.
Colin la raccolse e lo trascinó fuori da quel posto.
L’assenza di dialogo tra loro era imbarazzante.
Girarono a vuoto per mezz’ora, finché Colin non si arrestó davanti a Central Park.
“Facciamo due passi Jared, vuoi?”
Lui in risposta frugó nelle tasche dei jeans estraendo la dose che Colin gli aveva regalato.
“Non… non mi sono piú fatto… sto … da cani…”
“Lo vedo Jared… senti, voglio aiutarti…Ti porto in ospedale?”
“No!!! No…” – da una foga disperata, ad un pianto sommesso.
Jared era a pezzi.
L’appartamento di Colin era l’unica destinazione accettabile per lui.
“Ok, per me non ci sono problemi, ma credevo che non volessi piú vedermi.”
Jared non diceva piú niente, era senza energie.
A fatica si nutrí di una porzione di lasagne surgelate, che Colin riscaldó nel microonde poco dopo essere arrivati.
“Sono buone?” – domandó con un sorriso, seduto sul bordo del letto, sul quale Jared era quasi svenuto.
Annuí, confermando anche la sua malnutrizione.
A chiunque avrebbe fatto pena, ma a Colin strappava qualcosa dentro al petto, la stessa sensazione che provó alla telefonata dell’ospedale, dove gli chiedevano di correre, perché era accaduta una disgrazia ai suoi familiari.
Trattenne a stento le lacrime, ma poi le lasció andare.
“Cos’hai Colin…?”
“Nulla… nulla Jared, dai mangia, devi… tu devi stare bene…”
Lui posó la vaschetta sul comodino e lo abbracció.
Stava sudando – “Ho… ho paura Colin…”
“Ne usciamo insieme da questo casino Jared…te lo giuro che ne usciamo.” – disse convinto.
Una settimana.
Il tempo si era dilatato, senza piú capire quando il sole sorgeva e poi tramontava, tra un temporale e l’altro di quella primavera fresca.
I primi tre giorni furono i peggiori.
Jared chiedeva disperatamente una dose, che Colin non gli avrebbe dato mai.
Nel buio gli incubi peggiori gli attanagliavano la mente, mentre in preda alle convulsioni si aggrappava al sembiante di Colin, che cercó di non lasciarlo mai solo.
Beveva litri di succo di arancia, urinando in continuazione, finché non riuscí ad arrivare alla tavoletta in tempo, facendosela addosso un paio di volte.
Colin cambió la biancheria a ripetizione, surriscaldando persino l’asciugatrice per i molteplici bucati.
Jared piagnucolava – “Mi vergogno… scusami Colin… scusami, scusami…” – sembrava un disco rotto, ma l’altro non mollava, sarebbe andato fino in fondo, voleva vederlo ridere senza l’aiuto di allucinogeni, voleva cambiare la sua esistenza, si sentiva utile per qualcuno, che non fosse sé stesso, finalmente.
Colin si fece persino portare la spesa a casa.
“Tu… tu non mi abbandonerai mai… vero Colin…?”- domandó flebile, ma sereno.
“Mai te lo posso assicurare.” – disse allungandosi, per stringerlo sul cuore.
Jared affondó nel suo collo un sorriso radioso, rivelandolo dopo un istante a Colin, che inizió ad accarezzargli la fronte – “Il peggio è passato, vero Jared?...”
Lui lo bació.
Quel contatto arrivó improvviso e dolcissimo.
Colin stentava a crederci.
Il sapore di Jared, dentifricio alla menta, sarebbe rimasto impresso nella sua anima all’infinito, ma mai come la frase che ascoltó quando dolorosamente si staccó da lui – “Ti amo da morire… facciamo l’amore Colin?”
“Io… non l’ho…” – “Nemmeno io…” – sorrise ancora.
L’imbrunire raccolse i loro gemiti, mescolati ad altri baci, persi nella reciproca visione dei loro sensi, Colin tra le gambe di Jared, che si spingeva verso il suo sesso dolente – “Voglio appartenerti… Colin …non lasciarmi andare via…non permetterlo…”
“Amore… ti amo… ti amo…” – un urlo strozzato segnó la sua penetrazione, che inondó di piacere ogni centimetro di Colin, a cui sembró di impazzire.
Si fermó, asciugando al compagno, con un bacio, due lacrime perlescenti – “Jared se vuoi io…”
“Dio non fermarti…”
Da quel momento i suoi fianchi persero ogni controllo, arrivando a toccare le porzioni di carne e sangue di Jared piú sensibili, provocandogli orgasmi in continuazione.
Il suo membro si strofinava all’addome di Colin, che inizió ad accarezzarlo, dalla base alla punta, con esperienza ed ardore.
Si svuotarono insieme, gridando i loro nomi.
Fremente, Jared diede le spalle a Colin, avido di ulteriori attenzioni – “Ancora… ancora…”
Lui lo riprese, con colpi piú secchi, mentre lui afferrava le sbarre della testata, aprendo le gambe in modo osceno.
“Cazzo che bello scoparti… Jared…Jareddd!!!” – venne di nuovo, mordendogli la schiena e la nuca, dove non smetteva di leccarlo, come un cucciolo affamato di lui.
Scivolarono sul parquet, dove Jared si mise a cavalcioni sopra a Colin, continuando a baciarlo, le dita che tormentavano i suoi capelli corvini, ansimando frasi di amore e desiderio.
Colin strinse le mani attorno alla vita sottile di Jared, sollevandolo per portare il suo sesso alle proprie labbra – “Voglio… voglio farti venire con la bocca piccolo…” – e lo ingoió, fino a sentirlo in gola.
Jared strizzó le palpebre, inspirando intensamente – “Succhialo tutto… sei bravo… Colin sei un sogno…”
Pompava e leccava, sembrava nato per farlo.
Quando sentí lo sperma inondarlo, non volle separarsi da Jared: fu incredibile.
Lui si accasció, cercando di nuovo l’eccitazione di Colin.
Se lo portó dentro, in modo naturale, contorcendosi un minino.
Colin si preoccupó – “Tesoro non voglio farti male…”
“Ssssttt non… non dire niente…sapessi come ti sento… come… sei mio… ti adoro…” – facendo annegare una fitta nella bocca di Colin, iniziando a cavalcarlo forsennato e rapito da mille sensazioni appaganti.
Il barista del Grey home era perplesso: “Gestirlo io? Ma scherzi Colin?”
“Assolutamente, fanne ció che vuoi. Qui ci sono le chiavi della cassaforte, c’è una pistola ed il denaro per pagare i fornitori a fine mese. Poi saranno affari tuoi, comunque ho ripulito tutto.”
“Ok… io in certi traffici non voglio entrare.”
“E fai bene… Buona fortuna.”
“Anche a te Colin… ma dove diavolo te ne vai?”
“Dove serviró a qualcosa.” – sorrise, tornando al taxi dove Jared lo stava aspettando.
Seduti nella sala d’attesa dell’aeroporto, con i loro zaini pieni di scritte, erano in transito da un campo profughi in Sierra Leone ed un nuovo obiettivo.
“Quanto tempo è passato Cole?”
“Due anni… sei stanco Jay?” – sussurró, baciandogli la spalla.
“No… pensi che la Romania sará molto fredda?”
“Siamo a luglio, credo di no…” – rise, aprendo un pacchetto di cracker.
“Aids… Dio quanti bambini contagiati… guarda mi hanno mandato altre foto…” – disse, mostrandogli l’immagine sul visore del cellulare.
“Faremo il possibile, in un nuovo posto speciale… anche questa volta.” – lo bació, arridendo ai suoi zaffiri luminosi, con la stessa gioia iniziale, immutata e pura, come il loro domani.
THE END
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