Capitolo n. 84 – gold
Il concerto dei Red Close superó le aspettative dei suoi componenti, soprattutto del leader, che pensava di non farcela ad affrontare il palco quella sera.
Kevin si concentró su ogni pezzo, dando il meglio di sé, mentre Chris eseguí intensamente i brani piú romantici.
Volle fissarsi nella mente solo l’immagine di Tomo, che gli accarezzava l’addome, mentre si muoveva dentro di lui: era stato un gesto amorevole e dolce, come solo quell’uomo riusciva ad essere.
Asciugó una lacrima, piegando il capo, quasi a nascondersi dietro al microfono, per poi sparire dietro alle quinte, dopo l’ultimo bis.
Si diresse veloce verso il camerino, voleva solo farsi una doccia ed andarsene a dormire.
Kevin e gli altri si fermarono a firmare autografi, scusando il cantante, che era a loro dire influenzato.
Aprí la porta e la richiuse a chiave, appoggiandovi la schiena indolenzita, respirando forte, strizzando le palpebre, quasi a rifiutare ció che viveva intorno a lui.
“Ciao Chris…”
Spalancó le iridi, arrossate, ma pur sempre meravigliosamente luminose.
“Tomo…?!”
Gli corse tra le braccia, non gli permise di dire qualcosa, voleva solo baciarlo ed era la stessa intenzione del chitarrista croato.
Sembró un fascio di nervi, che si liberava da una morsa soffocante.
Gli sembró di volare, abbandonandosi sul cuore di Tomo, che lo accarezzava teneramente sul viso, baciandolo nel collo, sul petto glabro e strutturato.
“Ti amo… Chris… io ti amo.”
Geffen guardó il cartellone delle partenze.
Prese il passaporto e si diresse alla biglietteria, facendo anche un paio di telefonate.
Mandó un sms a Jared, che lo richiamó subito.
“Glam… come stai?”
“Ciao Jared, sto bene, non preoccuparti.”
“E… e Kevin?”
“Credo stia suonando… Come sta Syria?”
“Syria…lei e la bambina sono… la chiameremo Isotta…”
“Adorabile… sí adorabile.”
“Glam cos’hai?” – domandó con la voce tremante, rannicchiato sul divano del suo alloggio a Port au Prince.
“Ci aggiorniamo, ora riparto.”
“A che ora arrivi… vengo a prenderti Glam…”
“Non… non rientro ancora, scusami. Ti richiamo appena possibile, ciao Jared, ti abbraccio.”
Riattaccó, mentre all’altro capo Jared continuava a ripetere il suo nome, come una eco che si perdeva nel vuoto della stanza.
Owen stava parlando con dei soci spagnoli, via web cam. Era rigido, professionale, quasi apatico.
Shannon lo guardó a lungo, dalla vetrata, prima di entrare nel suo studio.
Gli fece un cenno con la mano, al quale Rice rispose con un’occhiata algida e distante.
Salutó gli amici di oltre oceano e chiuse il portatile.
“Buongiorno Shan, bentornato.” – disse serio, distaccato.
“Ciao Owen… scusami per ieri sera, ho dormito con Josh e poi… poi l’ho portato alla End House.”
“Come mai?” - chiese senza interesse.
“Ecco vedi… Tomo è partito, per… per un breve viaggio.”
“Ah capisco, è andato da Chris a Varsavia?” – lo fissó a quel punto.
“Credo di sí. Ascoltami io volevo spiegarti cosa è successo e…” – “Non è necessario. Non mi riguarda piú. Ora ho da fare, la mia segretaria ha messo le tue cose nel nostro magazzino al piano terreno, puoi prenderle quando credi.”
“Owen… ma…”
“Ciao Shannon, ti auguro ogni bene, ma… adesso sparisci. Grazie.” – replicó senza alterarsi minimamente.
Shannon si rialzó dalla poltroncina, stringendo i pugni.
La sua gola era asciutta, i suoi occhi lucidi e pungenti.
Owen aveva giá riaperto il portatile, concentrandosi sulla lettura della posta elettronica.
L’altro decise di andarsene, scendendo in quell’enorme camera piena di pacchi, pronti per le consegne ed in un angolo il suo trolley ed uno scatolone sigillato.
Trascorsero due giorni, durante i quali ad Haiti accadde qualcosa di strano.
Lula era sparito.
“Dov’è il bambino?”
Jared era agitato, non aveva notizie da Glam e si rivolse al dottor Rodriguez, che lo rassicuró – “Lula è partito, insieme a due dei nostri assistenti. Glam ci ha dato istruzioni precise.”
“Ma… ma dove lo hanno portato?”
Sebastian sospiró – “Glam mi ha chiesto di non dirtelo, perché lo fará lui… puoi chiamarlo, se vuoi…”
“Ok, lo faró subito.” – ed uscí innervosito da quella situazione.
Interpelló prima Kevin, voleva un chiarimento da lui.
“Non volevo disturbarti, ma Glam non è tornato, ora Lula è stato portato da lui, cosa diavolo sta succedendo cazzo?!?”
Kevin rimase interdetto – “Non ne ho idea, te lo assicuro Jared… Io gli ho detto di uscire dalla mia vita… per adesso…”
“Co… cosa?!” – balbettó, trattenendo un’altra imprecazione.
“Ne ho tutte le ragioni!” – esclamó Kevin con rabbia.
“Va… va bene…Stammi a sentire io sto impazzendo…ora proveró a contattarlo…”
“Lui vuole… vuole stare con suo figlio…” – sembró una riflessione triste e malinconica.
“Ci ha…ci ha abbandonati, vero Kevin…?” – Jared stava singhiozzando, era in piena crisi.
“Calmati… no, non è possibile, daddy non lo farebbe mai… Senti, ho… ho avuto un’idea… Mi faccio risentire Jared, ora… ora devo andare.”
Lula non era abituato alle scarpe e quelle erano pesanti, primaverili, chiuse e strane alla sua vista.
Lo aiutarono a scendere dal taxi, i volontari della fondazione erano simpatici, una coppia giovane ed affiatata.
La grande blindata in quercia e vetri molati si schiuse, come il sorriso del bimbo, che corse lungo il vialetto, delineato da primule e viole – “Papá!!!”
Geffen rise, accovacciandosi, per abbracciarlo – “Ciao amore mio, bene arrivato…”
Lo strinse forte, mentre lui si guardava intorno, stupito e gioioso – “È questa la nostra casa?!”
“Una delle tante… Lo sai che la prenderemo ad Haiti, te l’ho promesso…Grazie Sara, ciao Billy, vi fermate per pranzo o andate subito in albergo?”
“Ci ritiriamo in buon ordine e domani ripartiamo signor Geffen…”
“Ok, se vi serve qualcosa chiamatemi… Dai Lula, andiamo a mangiare, sarai affamato.”
“Sí papá… ho visto delle cose a quattro zampe… enormi!” – e fece un saltello dei suoi, irresistibile.
“Si chiamano mucche ahahahah… dopo andiamo a fare una passeggiata, ok?”
“Ok daddy… ti voglio un mondo di bene.”
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