venerdì 18 ottobre 2013

ZEN - CAPITOLO N. 201

Capitolo n. 201 – zen


Geffen scese dall’auto di Mason, che si preoccupò di accompagnarlo personalmente a destinazione.
Il cottage in collina, dove Jared lo stava aspettando.

Il cantante lo guardò scendere dall’auto, nella luce del tramonto di febbraio.

L’avvocato aveva l’aria un po’ stanca, ma il suo fisico sembrava reggere ai danni del tempo, della malattia e delle cure.
La sua camicia grigia, aperta sino a sopra lo sterno, rivelava muscoli tonici ed abbronzati: Jared si chiese se Glam non avesse freddo, ma ormai aveva imparato quanto quell’uomo riuscisse a sfidare qualsiasi avversità.
Tranne, forse, la sfortuna in amore.


Ogni parola era come una spina, che Brent stava togliendo dal cuore di Louis, sempre più sanguinante, di rammarico ed afflizione.

“Ti … ti hanno fatto del male … ti hanno fatto impazzire Brent”
L’ex soldato annuì, mentre Brendan non lo aveva lasciato solo un attimo, seduto alle sue spalle, sul bordo del letto, dove Louis si stava tormentando le mani, al loro ingresso nella stanza, mani nelle quali le due fedi di fidanzamento collidevano in un rimescolio di lacrime e pensieri ad alta voce.

“Quella notte Lou, ho rivisto ogni fotogramma scorrermi nel cervello, come una scossa elettrica: mi sentivo in balia di quei ricordi, come se fossero demoni e l’unico modo per cacciarli era sfogarmi su di te, assecondando quel bastardo di nostro padre …” – disse piangendo, ma composto.

Lou si avvicinò del tutto, abbracciandolo e Brent cominciò a singhiozzare, a sfogarsi finalmente anche con lui.

Nessun carnefice, solo due vittime, due cuccioli, che quel padre non aveva saputo né difendere e tanto meno amare.

“Sai Brent, mentre tu gli puntavi la pistola, lui non aveva il benché minimo riguardo per me, che non riuscivo neppure a respirare … vedevo che tu avresti voluto soccorrermi, ma era più importante tenerlo sotto tiro … ed hai fatto bene, tu mi hai salvato, perché forse mi avrebbe ucciso questa volta” – e si guardarono sconvolti.

Si strinsero ancora di più.

“L’hai detto ad Harry …?”
“No … No, gli ho detto altre cose e lui mi ha lasciato … Non meritavo altro, ho tradito i suoi sogni, come quel vigliacco ha fatto con noi Brent … Forse io sono più simile a lui di quanto voglia ammettere … e mi faccio schifo … schifo da morire” – e fissò Lux, che non se n’era mai andato.

In fondo erano gli stessi termini che il francese aveva usato durante il loro litigio, il pomeriggio in cui avevano fatto l’amore, senza pensare che a loro stessi, egoisticamente, follemente.

Un giudizio spietato, ma autentico.

“Ti sbagli Louis … Tu non hai nulla a che spartire con quel verme”
“Haz …?!”
“Scusami … scusatemi anche voi, ma vorrei parlare da solo con Louis”
“Certo …” – Brent si alzò, così Laurie, mentre Vincent non si mosse.

“Ho detto da solo … anche se ti ringrazio per avere aiutato Louis, mentre io non c’ero” – aggiunse freddo, rivolgendosi a Lux.

“Farei qualsiasi cosa per lui, anche imperdonabili errori … purtroppo.”

“Tu non sei una persona cattiva, Vincent e quando siamo andati alla base, sei stato corretto, quasi un amico anche per me, una figura solida, ora posso anche dirtelo e lo faccio anche con Louis, perché si stava creando un qualcosa di bello, di inaspettato tra noi … I genitori, per me, sono sempre stati inconsistenti, ad essere sinceri mi credevo un peso e neppure ora mi cercano o mi vogliono bene, quasi invidiosi dei miei traguardi, della mia intelligenza … Nessuno è mai stato fiero di me”

Lou ebbe un sussulto.
“Tranne il ragazzo che amo e che voleva sposarmi” – lo interruppe subito Haz, guardandolo dritto negli occhi lucidi ed arrossati.

“Io … voglio sposarti … Lo voglio e non penso ad altro Harry …” – disse flebile, ma sincero.
“Con quello che mi hai fatto, cosa dovrei risponderti?”

Louis si rannicchiò contro lo schienale, nascondendo la faccia tra le braccia livide di quelle botte, ossigenandosi a fatica, per il dolore all’addome, che non sarebbe sparito molto presto.

“Dovresti mandarmi al diavolo … come hai fatto prima Haz …”

“Lo so Boo sarebbe il minimo …” – replicò commosso, per come lo vedeva debole, maltrattato, in balia di quelle stesse mancanze, che lui conosceva bene, le stesse che li avevano uniti, nella solitudine, facendoli sentire meno inadeguati, meno “di troppo” in un mondo di adulti, dove nessuno sapeva amarli senza usarli o disprezzarli.

Louis tremò nel proprio pianto, colmo di amarezza, tenendo però ben strette nel palmo sinistro le loro vere.

Harry si avvicinò, sciogliendo quella morsa e quel groviglio fatto di ossa, carne, pelle profumata, che avrebbe baciato per ogni millimetro, di quella bocca e di quegli occhi, così belli, così veri.
Baciò Louis, rimettendo al proprio posto gli anelli, trovando anche ad occhi chiusi le dita giuste ed anche un giusto silenzio.

Ed in questo, senza fare rumore, Vincent scivolò via.

Si allungarono poi sul materasso ampio, dove presto Brent li raggiunse, stando nel mezzo come Louis, custodito da Brendan, nello stesso identico modo, con il quale Harry stava avvolgendo il suo Boo Bear adorato.

Si addormentarono tutti e quattro, verso un giorno nuovo, senza sapere nulla di più se  non che si amavano terribilmente.
E ciò sarebbe bastato.


“Se io potessi”
Il fiato di Jared si spezzò, mentre Glam lo teneva a sé, baciandogli i capelli lunghi e sfumati di un colore castano biondo.
“Cosa?”
“Cambiare le cose … Fare tornare indietro il tempo … rimediare”

Geffen sorrise, alzandogli il mento con l’indice sinistro, per guardarlo al meglio.

“Rimediare? Ai nostri errori Jay? Impossibile”
“Tu … tu mi sembri così sereno …”
“E non a pezzi come dovrei?” – replicò inarcando il sopracciglio destro.

“E’ Lula? E’ merito suo?” – chiese il leader dei Mars incuriosito, quasi trepidante.

“No … anzi sì, lui non smette mai di assistermi, però credo che questa volta siano le medicine di Mason a sostenermi, a ridarmi energia, ma è una fase: lui me l’ha già detto” – rivelò mesto, alzandosi, per mettersi seduto sul bordo e controllare l’ora sul cronografo, lasciato sopra al comodino.

Si allacciò la camicia, che Jared gli aveva aperto, per incollarsi al suo busto ancora massiccio.

Leto fece lo stesso, rinfilandosi la maglietta e coprendo la sua pelle tatuata, liscia, invitante.

Si erano liberati unicamente di quegli indumenti, perché nessuno dei due aveva il coraggio di chiedere all’altro un’occasione, che sentivano come ultima, quasi estrema: fare l’amore, ancora una volta.
Una, almeno.

“Devo andare Jay … Kevin mi aspetta, devo spiegargli cosa è successo oggi con Tomlinson … e tu devi tornare a casa”

“Sì … Colin farà tardi, è agli studi e devono finire di girare un film, hanno un tassativo …”

“Ecco perché sei qui dunque, sono stato fortunato” – sospirò, recuperando un maglione dall’armadio.

“Sarei venuto lo stesso Glam” – puntualizzò triste.
“Lo so Jared” – ribatté voltandosi – “So ogni cosa di te … di noi”
“Kevin puoi chiamarlo ed io … nessuno mi aspetta” – e tirò su dal naso, sgranando i suoi zaffiri, in quel modo, che aveva sempre fatto capitolare Geffen.

Quasi sempre.

“Ci sono i bimbi, loro sono più importanti di me e lo sai” – ormai era pronto a lasciare quel luogo così caro ad entrambi.

“Come vuoi, però ci vediamo, domani, vero?”
“Domani …? Andiamo in montagna o sbaglio?”
“Sì, sì certo”
“Ci sarò, voglio vedervi un” – poi si morse il labbro, scuotendo il capo.
“Glam …”
Jared bruciò quel breve spazio, appendendosi al suo collo, baciandolo in lacrime.
Un bacio profondo, totale.

Geffen rivide in un flash le scorribande in auto, con Jared, la sua bici, le sue piroette sulla poltrona in studio, le risate …
Come un bambino, con le sue corse in spiaggia, tutto, tutto di nuovo conficcato nella mente e nel cuore, come un uragano.

Poi il buio.
Le palpebre chiuse troppo strette, da fare male, quasi ad impedire a quei ricordi di volare via.
Di spegnersi, come stava accadendo a lui.

Un urlo frantumò il silenzio.
“IO NON VOGLIO MORIRE!!”
E si accasciò a terra, quasi stritolando tra le sue ali robuste un Jared impaurito, adesso.

Piangevano.

Cullandosi.

Nessuno poteva risolvere quella situazione, nessuno poteva tornare indietro, cambiare le cose.
Rimediare.


Il generale si accese un sigaro, offertogli da Meliti.
Tomlinson lo rifiutò.

“Ho raccolto delle testimonianze colonnello, su fatti molto gravi, risalenti ad alcuni anni fa: la riguardano e coinvolgono anche i suoi figli.”

“A cosa si riferisce, signore?” – domandò rigido.

“A ciò che è accaduto anche stasera: al motivo per il quale Louis è andato via da casa, dopo essere stato picchiato selvaggiamente da lei, come poche ore fa in quel locale o l’ha già scordato o cancellato, come ha fatto con suo figlio minore?”

“Sono questioni personali, di famiglia e” – provò a giustificarsi.

“Sono questioni vergognose!” – tuonò l’alto ufficiale.
Tomlinson si ammutolì.
Nel suo sguardo, però, c’era unicamente lo stupore di ricevere un simile rimprovero, come se non lo riguardasse, come se il suo delittuoso comportamento, non fosse così rilevante.

“E’ deplorevole quanto mi è stato riferito: l’ho sempre creduta un soldato rigido, ma anche una persona corretta Brent” – disse come sconsolato.

“La mia mentalità è questo generale, che le piaccia o no!” – replicò in un moto di stupido orgoglio.

“Le costerà cara, questa sua grettezza, appena Louis la denuncerà. Ma mi creda, se dovesse rinunciare, la porterò io davanti ad una commissione interna ed aprirò un’indagine per eventuali abusi su altri ragazzi alla base!”

“Non ho mai torto un capello a nessuno!!” – esclamò livido.

“Lo vedremo Tomlinson. Lo vedremo.”








Nessun commento:

Posta un commento