Capitolo n. 202 – zen
O’Major si strofinò la
faccia, mentre spegneva il registratore digitale.
Brent si contorse le mani
gelide, incontrando subito quelle di Brendan, più calde e rassicuranti: stavano
seduti su quelle poltroncine da troppo tempo, a parlare con il generale, a
raccontargli quanto accaduto cinque anni prima.
“Capitano Tomlinson, la
ringrazio”
“Io non sono più …” – replicò
assorto.
O’Major sorrise – “Un
soldato sarà sempre un soldato … Ce l’abbiamo cucita addosso questa divisa, ma
la sua è stata sporcata da quei due assassini”
La parola scosse il
giovane, che impallidì.
“Tesoro bevi un po’ d’acqua
…” – disse Laurie, porgendogli un bicchiere.
“Grazie Brendan …”
L’ufficiale li osservava,
con una serenità piuttosto inattesa.
“Senza contare ciò che ha
fatto vostro padre … Come sta suo fratello?”
“Ora molto meglio, si
sposerà presto … Con il suo compagno”
“Bene ed anche lei, con il
supporto del suo fidanzato, saprà superare questo incubo, ma ciò che io spero,
è che acconsentirà a testimoniare anche in aula, se necessario Brent”
“Le … le sue parole mi
stupiscono, sa? Sembra che le nostre vite non la turbino”
“Ho perso un figlio negli
scontri in Egitto quattro anni fa: ricorda la rappresaglia del Cairo?”
“Sì …”
O’Major si incupì.
“Darei qualsiasi cosa per
riaverlo con noi … Per fortuna che il suo ragazzo, di allora intendo, viene a
farci visita ancora oggi: è di grande conforto, anche per mia moglie”
“Capisco …”
“E quindi vedere il
colonnello Tomlinson trattarvi in quel modo, per me, è stato ancora più
deplorevole, mi creda.”
Brent deglutì a vuoto.
“Dov’è mio padre, adesso?”
“L’ho lasciato rientrare
alla base, in attesa di ordini”
“Prenderà provvedimenti
anche nei suoi riguardi?” – domandò preoccupato.
Brendan notò la sua
apprensione: nonostante tutto, Brent e forse anche Louis, volevano ancora bene
a quello stronzo, pensò.
“Moralmente lo sbatterei in
carcere, però a livello militare, le mie competenze si esauriscono sulla soglia
di casa vostra … Di quella che era casa vostra, intendo.”
“Louis deve quindi sporgere
denuncia per suo conto? Dovrebbe farlo anche nei miei riguardi …”
“Sì Brent e credo sia
l’unico motivo per il quale non è ancora successo … Suo fratello le vuole bene:
non perdete mai la vostra unione, non sacrificatela in nome di questi rancori,
non ne vale la pena. Compatite il vostro vecchio, ma condannatelo con la vostra
indifferenza, ma, specialmente, la gioia che avete trovato, realizzando sogni
per lui inaccettabili.”
Scott si era messo alla
guida, con a fianco Jimmy; sul sedile posteriore Geffen dormiva, ormai a metà
strada verso Aspen, così quanto Lula e Violet, accomodatisi nella terza fila di
posti, all’interno del suv di proprietà del medico.
Il colorito di Glam non era
dei migliori; la barba incolta, poi, non aiutava il suo aspetto, affatto
salutare.
Un lieve rivolo di saliva
gli scese dal lato sinistro della bocca, destandolo di soprassalto: Scott lo
spiava dallo specchietto retrovisore dalla partenza.
Geffen imprecò qualcosa,
svegliando anche soldino, che gli cinse il collo con le braccia minute, ma
calorose, quanto il suo sorriso – “Papà non dormi più?” – chiese assonnato.
“No cucciolo … mi godo il
panorama”
Jimmy gli passò una tonica,
vedendolo disidratato.
“Grazie …”
Scott scrutò quello scambio
di sguardi, senza nascondere un certo fastidio.
Jimmy non capì se per l’uno
o per l’altro, Scott si dimostrasse improvvisamente geloso.
Il ragazzino si ammutolì,
quasi colpevole, ma una carezza del suo uomo gli ridiede il buon umore.
“Ci fermiamo per una
merenda? Colin diceva che la fate sempre …”
“Sì tesoro, tra cinque
minuti … Glam tu mangi qualcosa?”
“No … Ho un po’ di nausea …
Resto in auto con i piccoli”
“Ok …”
“Vuoi sederti davanti?” –
domandò Jimmy.
“No, ti ringrazio, non
cambierebbe nulla …”
Finalmente accostarono.
La loro sembrava una
carovana, alla quale si erano aggregati anche Brendan e Brent, ospitati sul
mezzo di Denny e Preston, insieme a Louis ed Harry, che accudivano le gemelle
Cory e Mony, scatenate per quella vacanze sulle nevi.
Kevin e Tim viaggiavano con
David, Kurt e Martin, mentre Jared e Colin si erano messi in marcia con Shannon
e Tomo, affidando la loro ciurma e Josh ad un mini bus, condotto da Vas e
Peter.
Christopher, con Clarissa,
invece, era su di un van, pilotato da Ivan ed Amos, con Jude, Robert, Camy e
Diamond.
Steven li avrebbe raggiunti
solo nel week end, per impegni irrevocabili.
Chris e Tom, con Sam e
Dean, chiudevano la fila, sopra l’hummer di Marc, Jamie e le rispettive proli
chiassose e felici.
Ormai avevano affittato un
intero albergo, che li attendeva ospitale e ben attrezzato, per ogni esigenza.
Il primo ad arrivarci, ore
prima, era stato Lux, su invito di Geffen, che non avrebbe accettato rifiuti di
sorta.
Il francese, per niente
convinto, aveva accettato per tenergli compagnia, già immaginando lunghe serate
a lagnarsi come “due rincoglioniti sugli amori perduti”.
Jared si avvicinò alla
macchina di Scott, seguito da Colin.
Volevano sincerarsi sulle
condizioni di Glam.
“Non ti unisci a noi?” –
domandò l’irlandese, rivolgendosi all’avvocato.
“No gente, andate pure,
semmai procurate qualcosa per i due fidanzatini” – e sorrise, non senza una
smorfia, dopo essersi stiracchiato.
“Problemi alla schiena?”
“Sì Jay …”
“Rimango qui, spostati
avanti” – e gli diede una spinta simpatica, mentre Farrell si mordeva le labbra
asciutte.
Leto si rese conto della
sua indelicatezza, ma poi il sorriso del marito lo confortò – “Tu cosa vuoi Jared?”
– domandò gentile.
“Una cioccolata calda …
Grazie Cole” – e sporgendosi dal finestrino, gli diede un bacio, fissandolo
poi, con gratitudine.
Colin si ossigenò,
incollando le loro fronti per un attimo; poi vide sopraggiungere Jude e Robert,
attento ad ogni situazione intorno a Geffen, quasi infastidito da quelle
attenzioni o almeno così gli parve.
“Come stai?” – gli domandò
il mitico Holmes, con una dolcezza disarmante.
Glam arrossì, sorridendogli
– “Un po’ catorcio, potreste usarmi come slitta …” – provò a scherzare, ma la
fitta tra le scapole lo fece tossire.
Jared gli aprì una
bottiglietta di Evian, avvicinandola alle sue labbra storte dal dolore.
“Glam cos’hai …?”
Leto era così vulnerabile.
“Rimango qui con loro Jude
… Ti dispiace?”
“No Rob, figurati …” –
ribatté sentendosi pungere qualcosa al centro del petto.
La stessa sensazione, senza
saperlo, che stava tormentando il suo irish buddy, con cui si avviò verso il
ristorante, senza esitare oltre.
Farrell si sciacquò il viso
tirato, lisciandosi all’indietro i capelli brizzolati.
“Ok Jude, non pensiamoci …
Tanto sarà sempre così”
“Già, almeno fino a quando”
“Non dirlo nemmeno!” –
sbottò l’amico, girandosi di scatto.
Law si massaggiò le tempie
– “D’accordo, io non ce l’ho con Glam, sia chiaro”
“Ma neppure con i nostri
consorti, mi auguro” – e, tirando su dal naso, si accese una sigaretta.
“Non avevi smesso, Colin?”
“Non rompere …” – ed
inspirò a fondo quel fumo, come una droga innocua.
“Sembriamo due checche
inacidite” – sorrise.
“Ma dai … Guardaci” – e si
specchiò insieme ad Uk buddy – “Non siamo da buttare, anzi …”
“Parla per te, l’anno
prossimo avrò cinquant’anni …”
“Come il mio Jared,
quest’anno però … Undici mesi d’inferno, aspettando che Glam viva o muoia, come
dicono i medici … ma ci pensi? Cazzo!!” – inveii contro l’invisibile, come se
ci fosse un nemico nell’ombra, in quell’ambiente ridotto.
Jude lo strinse a sé – “Io
non ci credo, non può essere vero Colin …”
“Inutile negarlo, ci stiamo
da cani anche tu ed io, ma a nessuno frega un cazzo ecco”
Law rise amaro – “E non potresti
non infilarci il tuo fuck ogni due parole eh? Mi sembra di
essere ripiombato ad un secolo fa!”
“Già … quando eravamo
incasinati, sprovveduti … non felici … boh, non lo so più è passato troppo
tempo …”
“Eravamo dei pivelli …”
“Io Jude, tu avevi
trent’anni o no? Aahhah” – ed iniziò a piangere.
Law lo cullò, amorevole.
Christopher passeggiava
fuori la stazione di servizio; Ivan faceva benzina ed il leader dei Red Close
lo guardava, infreddolito.
Downey, a breve distanza notò
una strana espressione sul viso del suo figlio per caso e non era la prima
volta, nei riguardi di Ivan.
Così come colse lo scambio
di occhiate tra i due, appena il body guard abbassò la lastra, che lo divideva
da Chris, ormai a pochi centimetri dalla stessa, come se volesse chiedergli
qualcosa.
I loro fiati, nell’aria
gelida, si mescolarono.
Chris sorrise, mentre
l’altro annuiva, complice.
Brent rise, trascinando
Brendan negli spogliatoi di quella struttura, organizzata per chi andava in
montagna, soprattutto nel caso si volesse cambiare, passando dalla camicia
californiana alla tuta da sci.
“Che combini ragazzino …?” –
chiese roco, sentendosi toccare dappertutto, appena l’altro chiuse la porta a
chiave.
“Ho solo voglia di fare una
cosa Brendan … di farti una cosa” – ed ammiccò scabroso, leccandogli le labbra,
al sapore di caffè.
Quindi si inginocchiò,
armeggiando con la lampo dei pantaloni tecnici dell’analista, che perse un
battito appena Brent, alzando gli occhi azzurro ghiaccio, gli inghiottì un’erezione
quasi dolente, per quanto lo desiderasse ogni momento.
Capace e senza freni
inibitori, il giovane lo portò ad un orgasmo sublime.
Le dita di Laurie
artigliarono la nuca di quell’angelo, di cui si innamorava ad ogni passo fatto
insieme o distanti, consapevoli che nessuno poteva dividerli, non dopo quello
che avevano spartito e sofferto.
Peccato mancasse ancora un
dettaglio, una rivelazione: era il turno di Brendan, di aprirsi e svelare ciò
che gli aveva tolto il sonno e l’autostima, in un passato piuttosto recente.
Un episodio che faceva ancora
così male e che, se celato, avrebbe di sicuro creato dei problemi tra loro.
Brendan Laurie non poteva
permetterselo.
Assolutamente.
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