lunedì 21 ottobre 2013

ZEN - CAPITOLO N. 202

Capitolo n. 202 – zen


O’Major si strofinò la faccia, mentre spegneva il registratore digitale.

Brent si contorse le mani gelide, incontrando subito quelle di Brendan, più calde e rassicuranti: stavano seduti su quelle poltroncine da troppo tempo, a parlare con il generale, a raccontargli quanto accaduto cinque anni prima.

“Capitano Tomlinson, la ringrazio”
“Io non sono più …” – replicò assorto.
O’Major sorrise – “Un soldato sarà sempre un soldato … Ce l’abbiamo cucita addosso questa divisa, ma la sua è stata sporcata da quei due assassini”
La parola scosse il giovane, che impallidì.

“Tesoro bevi un po’ d’acqua …” – disse Laurie, porgendogli un bicchiere.
“Grazie Brendan …”

L’ufficiale li osservava, con una serenità piuttosto inattesa.

“Senza contare ciò che ha fatto vostro padre … Come sta suo fratello?”
“Ora molto meglio, si sposerà presto … Con il suo compagno”
“Bene ed anche lei, con il supporto del suo fidanzato, saprà superare questo incubo, ma ciò che io spero, è che acconsentirà a testimoniare anche in aula, se necessario Brent”

“Le … le sue parole mi stupiscono, sa? Sembra che le nostre vite non la turbino”

“Ho perso un figlio negli scontri in Egitto quattro anni fa: ricorda la rappresaglia del Cairo?”
“Sì …”

O’Major si incupì.

“Darei qualsiasi cosa per riaverlo con noi … Per fortuna che il suo ragazzo, di allora intendo, viene a farci visita ancora oggi: è di grande conforto, anche per mia moglie”
“Capisco …”
“E quindi vedere il colonnello Tomlinson trattarvi in quel modo, per me, è stato ancora più deplorevole, mi creda.”

Brent deglutì a vuoto.
“Dov’è mio padre, adesso?”
“L’ho lasciato rientrare alla base, in attesa di ordini”
“Prenderà provvedimenti anche nei suoi riguardi?” – domandò preoccupato.

Brendan notò la sua apprensione: nonostante tutto, Brent e forse anche Louis, volevano ancora bene a quello stronzo, pensò.

“Moralmente lo sbatterei in carcere, però a livello militare, le mie competenze si esauriscono sulla soglia di casa vostra … Di quella che era casa vostra, intendo.”
“Louis deve quindi sporgere denuncia per suo conto? Dovrebbe farlo anche nei miei riguardi …”

“Sì Brent e credo sia l’unico motivo per il quale non è ancora successo … Suo fratello le vuole bene: non perdete mai la vostra unione, non sacrificatela in nome di questi rancori, non ne vale la pena. Compatite il vostro vecchio, ma condannatelo con la vostra indifferenza, ma, specialmente, la gioia che avete trovato, realizzando sogni per lui inaccettabili.”


Scott si era messo alla guida, con a fianco Jimmy; sul sedile posteriore Geffen dormiva, ormai a metà strada verso Aspen, così quanto Lula e Violet, accomodatisi nella terza fila di posti, all’interno del suv di proprietà del medico.

Il colorito di Glam non era dei migliori; la barba incolta, poi, non aiutava il suo aspetto, affatto salutare.
Un lieve rivolo di saliva gli scese dal lato sinistro della bocca, destandolo di soprassalto: Scott lo spiava dallo specchietto retrovisore dalla partenza.

Geffen imprecò qualcosa, svegliando anche soldino, che gli cinse il collo con le braccia minute, ma calorose, quanto il suo sorriso – “Papà non dormi più?” – chiese assonnato.

“No cucciolo … mi godo il panorama”
Jimmy gli passò una tonica, vedendolo disidratato.

“Grazie …”
Scott scrutò quello scambio di sguardi, senza nascondere un certo fastidio.

Jimmy non capì se per l’uno o per l’altro, Scott si dimostrasse improvvisamente geloso.
Il ragazzino si ammutolì, quasi colpevole, ma una carezza del suo uomo gli ridiede il buon umore.

“Ci fermiamo per una merenda? Colin diceva che la fate sempre …”
“Sì tesoro, tra cinque minuti … Glam tu mangi qualcosa?”
“No … Ho un po’ di nausea … Resto in auto con i piccoli”
“Ok …”
“Vuoi sederti davanti?” – domandò Jimmy.
“No, ti ringrazio, non cambierebbe nulla …”

Finalmente accostarono.
La loro sembrava una carovana, alla quale si erano aggregati anche Brendan e Brent, ospitati sul mezzo di Denny e Preston, insieme a Louis ed Harry, che accudivano le gemelle Cory e Mony, scatenate per quella vacanze sulle nevi.

Kevin e Tim viaggiavano con David, Kurt e Martin, mentre Jared e Colin si erano messi in marcia con Shannon e Tomo, affidando la loro ciurma e Josh ad un mini bus, condotto da Vas e Peter.

Christopher, con Clarissa, invece, era su di un van, pilotato da Ivan ed Amos, con Jude, Robert, Camy e Diamond.
Steven li avrebbe raggiunti solo nel week end, per impegni irrevocabili.

Chris e Tom, con Sam e Dean, chiudevano la fila, sopra l’hummer di Marc, Jamie e le rispettive proli chiassose e felici.

Ormai avevano affittato un intero albergo, che li attendeva ospitale e ben attrezzato, per ogni esigenza.

Il primo ad arrivarci, ore prima, era stato Lux, su invito di Geffen, che non avrebbe accettato rifiuti di sorta.
Il francese, per niente convinto, aveva accettato per tenergli compagnia, già immaginando lunghe serate a lagnarsi come “due rincoglioniti sugli amori perduti”.


Jared si avvicinò alla macchina di Scott, seguito da Colin.
Volevano sincerarsi sulle condizioni di Glam.

“Non ti unisci a noi?” – domandò l’irlandese, rivolgendosi all’avvocato.
“No gente, andate pure, semmai procurate qualcosa per i due fidanzatini” – e sorrise, non senza una smorfia, dopo essersi stiracchiato.
“Problemi alla schiena?”
“Sì Jay …”

“Rimango qui, spostati avanti” – e gli diede una spinta simpatica, mentre Farrell si mordeva le labbra asciutte.
Leto si rese conto della sua indelicatezza, ma poi il sorriso del marito lo confortò – “Tu cosa vuoi Jared?” – domandò gentile.
“Una cioccolata calda … Grazie Cole” – e sporgendosi dal finestrino, gli diede un bacio, fissandolo poi, con gratitudine.

Colin si ossigenò, incollando le loro fronti per un attimo; poi vide sopraggiungere Jude e Robert, attento ad ogni situazione intorno a Geffen, quasi infastidito da quelle attenzioni o almeno così gli parve.

“Come stai?” – gli domandò il mitico Holmes, con una dolcezza disarmante.
Glam arrossì, sorridendogli – “Un po’ catorcio, potreste usarmi come slitta …” – provò a scherzare, ma la fitta tra le scapole lo fece tossire.
Jared gli aprì una bottiglietta di Evian, avvicinandola alle sue labbra storte dal dolore.

“Glam cos’hai …?”
Leto era così vulnerabile.
“Rimango qui con loro Jude … Ti dispiace?”
“No Rob, figurati …” – ribatté sentendosi pungere qualcosa al centro del petto.
La stessa sensazione, senza saperlo, che stava tormentando il suo irish buddy, con cui si avviò verso il ristorante, senza esitare oltre.


Farrell si sciacquò il viso tirato, lisciandosi all’indietro i capelli brizzolati.
“Ok Jude, non pensiamoci … Tanto sarà sempre così”
“Già, almeno fino a quando”
“Non dirlo nemmeno!” – sbottò l’amico, girandosi di scatto.

Law si massaggiò le tempie – “D’accordo, io non ce l’ho con Glam, sia chiaro”

“Ma neppure con i nostri consorti, mi auguro” – e, tirando su dal naso, si accese una sigaretta.

“Non avevi smesso, Colin?”
“Non rompere …” – ed inspirò a fondo quel fumo, come una droga innocua.

“Sembriamo due checche inacidite” – sorrise.

“Ma dai … Guardaci” – e si specchiò insieme ad Uk buddy – “Non siamo da buttare, anzi …”
“Parla per te, l’anno prossimo avrò cinquant’anni …”
“Come il mio Jared, quest’anno però … Undici mesi d’inferno, aspettando che Glam viva o muoia, come dicono i medici … ma ci pensi? Cazzo!!” – inveii contro l’invisibile, come se ci fosse un nemico nell’ombra, in quell’ambiente ridotto.

Jude lo strinse a sé – “Io non ci credo, non può essere vero Colin …”
“Inutile negarlo, ci stiamo da cani anche tu ed io, ma a nessuno frega un cazzo ecco”
Law rise amaro – “E non potresti non infilarci il tuo fuck ogni due parole eh? Mi sembra di essere ripiombato ad un secolo fa!”
“Già … quando eravamo incasinati, sprovveduti … non felici … boh, non lo so più è passato troppo tempo …”
“Eravamo dei pivelli …”
“Io Jude, tu avevi trent’anni o no? Aahhah” – ed iniziò a piangere.

Law lo cullò, amorevole.


Christopher passeggiava fuori la stazione di servizio; Ivan faceva benzina ed il leader dei Red Close lo guardava, infreddolito.
Downey, a breve distanza notò una strana espressione sul viso del suo figlio per caso e non era la prima volta, nei riguardi di Ivan.
Così come colse lo scambio di occhiate tra i due, appena il body guard abbassò la lastra, che lo divideva da Chris, ormai a pochi centimetri dalla stessa, come se volesse chiedergli qualcosa.

I loro fiati, nell’aria gelida, si mescolarono.

Chris sorrise, mentre l’altro annuiva, complice.


Brent rise, trascinando Brendan negli spogliatoi di quella struttura, organizzata per chi andava in montagna, soprattutto nel caso si volesse cambiare, passando dalla camicia californiana alla tuta da sci.

“Che combini ragazzino …?” – chiese roco, sentendosi toccare dappertutto, appena l’altro chiuse la porta a chiave.
“Ho solo voglia di fare una cosa Brendan … di farti una cosa” – ed ammiccò scabroso, leccandogli le labbra, al sapore di caffè.
Quindi si inginocchiò, armeggiando con la lampo dei pantaloni tecnici dell’analista, che perse un battito appena Brent, alzando gli occhi azzurro ghiaccio, gli inghiottì un’erezione quasi dolente, per quanto lo desiderasse ogni momento.

Capace e senza freni inibitori, il giovane lo portò ad un orgasmo sublime.

Le dita di Laurie artigliarono la nuca di quell’angelo, di cui si innamorava ad ogni passo fatto insieme o distanti, consapevoli che nessuno poteva dividerli, non dopo quello che avevano spartito e sofferto.

Peccato mancasse ancora un dettaglio, una rivelazione: era il turno di Brendan, di aprirsi e svelare ciò che gli aveva tolto il sonno e l’autostima, in un passato piuttosto recente.

Un episodio che faceva ancora così male e che, se celato, avrebbe di sicuro creato dei problemi tra loro.

Brendan Laurie non poteva permetterselo.
Assolutamente.








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