Capitolo n. 222 – zen
Ivan miscelò due
cucchiaini di zucchero al caffè di Christopher, che gli sorrise, per essersi
ricordato di quel dettaglio.
Era uno dei tanti,
che il body guard non avrebbe mai dimenticato, come quella giornata.
“Sono tutto orecchi” –
provò a rilassarsi, facendo una battuta scontata, ma le iridi azzurro ghiaccio
del suo interlocutore, gli mandavano le pulsazioni alle stelle.
“Sto per iniziare la
mia carriera di … attore … insomma, è una serie sui vampiri, hai presente?”
“Argomento che piace,
da quel poco che ne so Chris” – abbozzò.
“Dieci episodi, più
quello odierno, riservato ad un gruppo di ascolto, per vedere se il prodotto
funzionerà o meno”
“Tu sei il
protagonista?”
“Saremo tre, poi c’è
un’attrice, forse un paio, dipende da come verranno valutati i personaggi,
magari mi scartano al primo ciak” – rise impacciato.
“Impossibile” –
ribatté serio il sovietico.
“Troppo buono Ivan, comunque
la mia dose di celebrità la porterò sul set e ci sono già dei fan entusiasti,
me l’ha spiegato lo staff di pr, insomma sembra già un successo per loro, ma io
ho i miei dubbi”
“Non fallirai
Christopher … E Steven cosa ne pensa?”
“Al momento … non
pervenuto”
“Ok … Per me è una
bella prospettiva, hai rinnovato anche il tuo lavoro, insomma ti vedo
entusiasta …”
“Sì Ivan lo sono e
vorrei … coinvolgerti”
“Sul serio?” – bissò stupito.
“Sì, mi servirà un
professionista, quale sei tu …”
“Una guardia del
corpo quindi” – disse fievole, irrigidendosi.
“Esatto” – Chris sorrise,
ma per poco.
“Capisco” – e si
rialzò, prendendo la giacca.
“Ivan dove stai
andando? Ti ho fatto una proposta di impiego, di te mi fido e”
“E cosa?” – ruggì – “Vuoi
sapere il mio prezzo?!”
“Ivan vorrei
ingaggiarti, non credo di essere stato così offensivo!”
L’uomo prese fiato,
provando ad allentare la tensione avvertita allo stomaco.
“Ho alzato troppo la
testa, vero? Non ne ho alcun diritto a quanto pare Christopher” – disse amareggiato.
“Non volevo essere
inopportuno, se questa è la tua reazione: hai frainteso il mio invito, credevo
di essere stato”
“Chiaro?! Come il
sole. Accetto, quando comincio?”
“Anche oggi …” –
replicò fievole l’ex di Boydon.
“Perfetto. Non vedo l’ora.”
– concluse serio, andando a piazzarsi sulla prima poltrona a tiro: prese una
rivista e finse indifferenza.
“Bene … Vado a
cambiarmi … poi usciamo …”
“Aspetto qui. Non mi
muovo, stanne certo.”
Lo spiraglio di luce
ferì prima il buio e poi il cuore di Robert.
Era già la seconda
notte che succedeva, ma lui non voleva ancora crederci.
Pensava di avere
sepolto quella paura sorda, tra le pieghe di un passato torbido, di cui si
vergognava, senza attenuanti.
I giudici dell’epoca,
infatti, non gliene vollero riconoscere nemmeno un briciolo, al sesto arresto,
lasciando che marcisse in galera per mesi.
Lì ogni rumore
diveniva assordante, ogni cigolio fonte di angoscia.
Mani su di lui,
respiri grevi e maleodoranti, di sudore, di parole sconce e morbose, perché
Robert Downey junior era un divo decaduto, una promessa non mantenuta,
definizioni martellanti, che i giornalisti usavano come una nenia, fatta di
umiliazione e condanna.
Poteva avere tutto e
lo aveva gettato nel cesso, sputando sugli agi, sulle porte aperte, grazie al
padre e sul successo, che aveva comunque afferrato, grazie ad un talento
insindacabile.
Ora, il fiato di Jude
gli si spargeva nel collo e nella bocca, dove il marito gli imponeva dei baci
sporchi, come le sue attenzioni, alle quali Robert doveva arrendersi,
accettando la sua invasione, i suoi fianchi più robusti, che infierivano su
quel corpo reso nuovamente debole e magro dall’inappetenza, dall’abbandono.
Avrebbe voluto
chiudere a chiave la porta, barricandosi nella camera adiacente quella di Law,
che cominciava a bere dopo la favola della buonanotte alle bimbe, ignare di
tanta sudicia sopraffazione.
Avrebbe voluto dirlo
a qualcuno, celando sotto la camicia, sempre più larga, i lividi ai polsi, che
Jude gli sollevava oltre la testa, tenendolo bloccato, aperto, violato; senza
giri di parole: stuprato, come avvenne in carcere.
Geffen guardò l’ora;
poi le valigie pronte, per il suo viaggio in Svizzera.
Il suono non era
quello della sveglia, puntata alle sei di quella mattina del primo marzo, bensì
il suo cellulare.
“Robert …?” –
sussurrò a sé stesso, leggendo il nome di Downey sul visore.
Rispose.
“Sì, pronto …”
All’altro capo un
silenzio strano: c’era come un crepitare e Glam faticò a distinguere il respiro
dell’attore da una semplice interferenza.
“Robert? Pronto!” –
si mise seduto, allarmato da un presentimento.
“Mi dispiace Glam …
mi dispiace così tanto …”
“Rob ma dove diavolo
sei? Che succede?!”
Il suo tono si alzò,
così lui, in preda ad un panico fondato.
In quelle due
settimane non si erano più sentiti e Geffen addirittura credeva che le cose si
fossero sistemate all’interno della coppia.
L’avvocato si era
sottoposto a delle terapie preparatorie, in vista della trasfusione completa di
sangue, che Scott gli aveva prenotato in una clinica elvetica, di ultima
generazione, per le ricerche di avanguardia, sulle quali il medico riponeva
speranze, ritenute vane da Geffen.
Solo alcuni
componenti della famiglia erano a conoscenza del suo viaggio: lo avrebbero
accompagnato unicamente Kevin e Tim, oltre a Scott ovviamente.
“Robert parlami, dove
sei??!”
“Sono un vigliacco” –
balbettò, sempre più debole, come se si stesse spegnendo.
Poi più nulla.
Daniel si mise alla
guida, con a fianco Glam e sul sedile posteriore Pana.
“Ti dico io dove
andare, ok?”
“Certo … Non sono
ancora molto pratico, mi dispiace” – disse il terapista, concentrato sulla
superstrada, che li avrebbe riportati a Los Angeles.
Nel frattempo un giro
di telefonate risultarono inconcludenti: nessuno sapeva niente di Robert.
Law non rispose
affatto alle chiamate di Geffen, che decise di recarsi in ospedale.
“Pensi che Robert
abbia avuto un incidente?” – chiese improvviso Pana.
“Forse … forse peggio
…”
Una chiamata lo fece
sobbalzare.
Era Laurie.
Brendan Laurie.
Steven stava
appoggiato al muro, fuori dal reparto di Scott.
Quando li vide
sopraggiungere, si precipitò da loro.
“Ciao Glam, chi ti ha
chiamato?”
“Robert, poi Brendan:
qualcuno vuole spiegarmi cosa …”
Oltre la porta
scorrevole vide Jude, accasciato su di una sedia, con accanto Colin ed alle sue
spalle Jared, che iniziò a correre verso gli amici.
“Jay … ma …?”
“Glam stammi a
sentire” – provò a distrarlo Boydon, senza riuscirvi.
Geffen era ormai ad
un passo da Leto: lo afferrò per le spalle, supplicandolo con gli occhi pieni
di lacrime di dirgli la verità.
“Ha … ha preso dei
barbiturici … Robert li ha presi e non ci dicono niente” – singhiozzò, mentre Glam
lo stringeva sul petto, come a volerlo salvare, almeno lui, da una minaccia
invisibile.
Daniel, vedendolo
vacillare, sostenne prontamente Geffen, che si divincolò brusco, non senza
scusarsi, accarezzando amorevole Jared, che barcollò, fino all’abbraccio di
Pana, spaventato da quella situazione preoccupante.
“Io devo andare da
Jude …” – ed il passo del legale si fece deciso.
Spietato.
Farrell appena si
accorse di lui, si sollevò, provando a dire qualcosa, ma Glam lo spostò
veemente, brandendo poi Law per il bavero della camicia, sporca del vomito di
Robert.
Il marito aveva
provato a farlo rigettare, trovandolo cosciente, riverso sul pavimento del
bagno.
La schiena
dell’inglese rimbalzò contro la vetrata in plexiglass verde acqua,
schiantandosi per la spinta di Geffen, in collera totale.
“Una volta hai
provato ad uccidermi, perché l’uomo che amavi, si era innamorato di me, che lo
adoro come nessuno al mondo!! Ora, che l’hai distrutto con la tua superbia ed
arroganza, cosa pensi che dovrei farti Jude??!” – urlò, incurante del luogo e
di chi stava accorrendo per dividerli.
“Ho abbastanza forza
per farti fuori o credi che non ne sia capace??” – ed iniziò a picchiarlo,
senza che Law reagisse minimamente.
Sembrava un
fantoccio, in balia di una furia omicida.
Con estrema
difficoltà, Steven e Colin riuscirono a separarli.
Il respiro di Geffen
era in pieno affanno: sentì un formicolio intorno agli occhi, poi una fitta
allo sterno.
Quindi il buio, dove
si augurò di potere ritrovare Robert, per non lasciarlo più andare via da lui.
Mai più.
Lux spalancò la
blindata con un sorriso.
“Mon petit, Harry,
benvenuti” – e li abbracciò con un unico gesto affettuoso.
I ragazzi arrisero
alla sua benevolenza, assaporando nell’aria il profumo di biscotti e caffè, caldi
ed invitanti sopra il tavolo della terrazza.
“C’è un clima
stupendo, amo la California” – esclamò il francese, facendoli accomodare.
Louis si guardò
intorno.
“In effetti qui sarà
pazzesco per la cerimonia, hai ragione Vincent … Anche Harry è d’accordo”
Styles annuì sereno,
scegliendo della marmellata, per le fette biscottate, che Vincent aveva già
imburrato per tutti.
“Ho parlato con
quelli del cattering, qui ci sono i menu, decidete voi”
“Dovresti farlo tu …
Sei molto generoso ad offrirci la cena e non solo …” – intervenne educatamente
Haz.
“Sono le vostre nozze
… Ed io sono orgoglioso di partecipare e …” – arrossì – “E di accompagnare
Louis sull’altare …” – ed indicò l’ampio terrazzo, dove il pastore avrebbe celebrato
il rito.
“Forse gli invitati
penseranno che siamo un po’ pazzi …” – mormorò Boo – “Ma nessuno ci ha
sostenuti come hai fatto tu, Vincent” – sottolineò il giovane, con una
sincerità commovente.
Lux si grattò la
nuca, in una gestualità carica di fervore tipica della sua indole schietta e
genuina, che aveva suscitato simpatia anche in Harry, dal principio della loro
particolare frequentazione.
“Mi lusinghi mon
petit … Spero di essere all’altezza, di non inciampare”
“Di certo non nel
velo della sposa” – scherzò Louis, scoppiando a ridere come un bimbo.
Era incantevole.
Gli sguardi sia di
Harry, che di Vincent, si posarono sulla sua gioia, come una brezza, colma di
ammirazione pura.
La vibrazione nei
suoi jeans, però, lo distolse di botto da quella sensazione rassicurante e
piacevole.
“E’ Brent … Chissà
cosa vuole … Ciao fratellone, dimmi tutto”
Kevin lesse
velocemente la cartella clinica, fissata ai piedi della lettiga.
“Sono grave?”
Geffen tossì, nel
domandarglielo.
“Daddy … oh miseria!”
– e volò sul suo petto, in preda ad uno sconforto ed una rabbia evidenti.
“Che cazzo ti è
saltato in mente Glam?! Nelle tue condizioni …” – gli tremò sul cuore,
indebolito, ma ancora combattivo.
“Dove mi hanno
portato? In cardiologia?”
“Sì daddy … Scott e
Preston ti hanno rianimato, poi Jim ti ha fatto un’iniezione ed il battito si è
stabilizzato”
“Come sta Robert?!” –
si ricordò improvviso.
“Non agitarti, è
fuori pericolo anche lui …” – sospirò depresso.
“Scusami Kevin …”
“Ma per cosa? In
fondo ti capisco: Jude ha detto delle cose … ti giustificava, diceva che dovevi
farlo fuori, che sarebbe stato meglio … Siete impazziti? Mi vuoi spiegare?!”
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