martedì 5 novembre 2013

ZEN - CAPITOLO N. 208

Capitolo n. 208 – zen


Law stava quasi per sbattergli la porta in faccia, anticipando Robert nell’entrare all’interno della loro suite, fortunatamente deserta.

Senza voltarsi, l’inglese diede un pugno nel primo stipite a tiro, rompendosi per poco le nocche della mano destra ed imprecando forte, anche più del necessario, per liberare quel rigurgito di rabbia, annidato nel suo stomaco da quando avevano lasciato un altro campo di battaglia.

Quello dove Steven e Christopher sembravano essersi detti addio.

“Calmati Jude, non serve a niente” – gli disse asciutto il consorte, versandogli dell’acqua in un bicchiere, che il biondo gettò direttamente nel caminetto acceso.

Erano uno di fronte all’altro, tesi, sconvolti e come ripiombati in vecchi incubi.

“Dove ho sbagliato, eh Jude?” – gli chiese improvviso e provocatorio.

Downey non ne poteva più di quel sentirsi costantemente giudicato per le proprie attenzioni rivolte a qualcuno che non fosse l’amore di una vita.
Una vita che gli aveva dedicato a pieno, anche quando si sentiva una nullità, per colpa di Jude e basta.

“Qualunque cosa ti dica, sarò sempre io quello sbagliato Rob!” – inveii.



Louis lo stava imboccando.
Harry sorrise – “Mi sono slogato una caviglia, ma queste funzionano” – e gli fece il solletico.

“Zitto e mangia! E non fare tutte queste briciole, qui ci dobbiamo dormire, almeno ancora stanotte”

“Già, domani si torna … Cosa vuoi per San Valentino Boo? Manca una settimana” – chiese spostandogli i capelli dalle tempie, dove si affrettò a posare un bacio troppo casto, per quanto lo stava desiderando.

La stoffa rigonfia dei pantaloni del pigiama non mentiva.

Louis rise malizioso – “Sesso sfrenato ogni pomeriggio, quindi tieniti libero” – scherzò.

“Sarò al lavoro, se Glam non mi licenzia”

“Allora verrò a trovarti in studio” – e gli leccò le labbra, sistemando il piatto sul carrello – “oppure in tribunale … e mi infilerò sotto la scrivania per farti venire con la bocca …” – e lo baciò profondo, mentre si spogliavano con urgenza.

Il calore che pervase entrambi, sembrò divorarli, esaltando una libido acerba, ma non inesperta.

Lou si posizionò sopra il bacino di Harry, ormai distesosi tra i cuscini, le dita impegnate a brandire i fianchi del suo Boo, che gemeva al primo contatto bagnato, tra la propria fessura e l’erezione del compagno.

Quel dolore lo riempiva e saziava, come un marchio a fuoco, impresso ripetutamente nelle sue carni esili, ma terribilmente affascinanti.

Apparteneva ad Harry e tutto aveva un senso.

Quando faceva l’amore con Vincent era diverso.
Ci pensava al presente, correggendosi colpevole, in quel paragone inopportuno, ma che il cervello rivelava ad ogni amplesso insieme al futuro marito.

Lux era … perfetto per lui, come se qualcuno avesse forgiato i due elementi, capaci di fondersi più e più volte, senza mai stancarsi.

Dopo averlo fatto con Haz, invece, Lou era come pervaso da una corrente di alta tensione, i suoi nervi, i muscoli, continuavano a percepire come un orgasmo latente, amplificato al solo tocco del più giovane, durante le coccole, che mai gli negava.

Vincent era ugualmente generoso e lo sfiorava di continuo, lo accarezzava anche se Lou prendeva un bicchiere di aranciata dal frigo oppure leggeva un giornale: il calore ed il profumo di quell’uomo, non li avrebbe dimenticati.
Mai.


“Quanto si ferma?”
“Una notte … no, forse due” – Chris balbettò, estraendo la carta di credito dal porta documenti.
Si aggiustò il bavero del giaccone, levandosi la cuffia, che lo stava facendo sudare.

Aveva la febbre, ne era certo.

“Stanza 205, in mansarda, è l’unica rimasta singola …”
“Va benissimo” – sorrise a fatica.
“Ha solo quello zaino, nessun bagaglio od attrezzatura?” – chiese l’inserviente del rifugio, con un sorriso simpatico.

“No, solo questo … viaggio leggero”

“Ecco la chiave, la cena è alle otto”
“Sì ok … Posso avere qualcosa in camera, non mi sento molto bene, preferisco coricarmi …”
“Nessun problema, vuole un’aspirina?”
“Sì, è l’ideale … Poi del brodo e qualche verdura … Niente carne”

“Abbiamo dei filetti di pesce, il nostro chef li cucina con una salsa al limone” – spiegò gioviale.

“Ok … una porzione anche di quelli … Adesso vado, la ringrazio.” – lo salutò educato, salendo poi con la scala interna in legno massiccio.

Durante l’ascesa in funivia aveva pianto: c’erano lui ed una coppia di anziani, che non smettevano di scrutarlo, esitando su chiedergli o meno se avesse bisogno di aiuto.
Erano carini, si tenevano per mano, dei nonni probabilmente: erano invecchiati insieme, magari fra mille problemi, ma i loro visi denotavano serenità, che nulla era riuscito a scalfire, pensò il leader dei Red Close.

Lui non aveva mai conosciuto quella sensazione, se non per brevi periodi: aveva ricevuto molti doni, ma altrettante manchevolezze, da un destino, che sembrava divertirsi a farlo sentire inutile e senza un domani.


“Ehi Jared …?”

Lux gli diede un buffetto, sorridendogli appena Leto schiuse le palpebre, rivelando lo sguardo arrossato.

“Ciao … mi … mi sono addormentato” – disse sfregandosi la faccia, mentre si alzava dal parquet, facendo attenzione a non svegliare Geffen.

“Sembravate due ghiri” – il francese rise, accomodandosi.

“Stavamo parlando … Glam era provato, ha avuto una crisi, prima che arrivassi”
“Dovevate vedervi? Non me l’ha detto”
“No … Cioè volevo sapere come stava”

“Certo Jared, non devi mica giustificarti” – replicò dolce.

“Torno da Colin”
“E’ al ristorante, l’ho incrociato con i vostri bimbi … Ora vedrò se Glam si sente di scendere, ma ho qualche dubbio”

“Vi mando su qualcosa?”
“Sì, volentieri, niente vino, meglio evitare”

“E cosa cambierebbe, sentiamo …” – bofonchiò l’uomo, stiracchiandosi.

“Glam, ma allora” – Jared sorrise, andando ad abbracciarlo.
“Ehi … Non sono ancora morto” – e sorrise, fissandolo amorevole.

Ormai nascondere i suoi sentimenti sarebbe stato così inutile e persino nocivo: voleva essere sincero, diretto, aperto a tutto il bene ed il male, che quel percorso stava per riservargli, senza appello.

“Dio non voglia” – ribatté diretto il marito di Farrell.

Glam scosse la testa rasata, reggendosi sui braccioli per recuperare una postura decente – “Devo andare in bagno”
“Ti accompagno?”
“No Jay, vai pure, me la cavo, poi c’è Vincent” – gli sorrise meno convinto.
Leto annuì perplesso, non voleva lasciarlo lì senza di lui.

Alla fine si allontanò, non senza avergli dato un bacio tra la guancia ed il collo, sussurrandogli un “ti voglio bene Glam”, così vero da spezzargli il cuore.


Il cellulare di Chris si illuminò.

Un numero privato.

“Sono Robert, dove diavolo sei?”
L’impeto di quella domanda lo scosse.

“Alle piste nere … resto qui …”
“Chiama almeno la bambina, cazzo!”

“Rob … che cos’hai …?” – chiese timido.

“Sono stufo marcio, ecco che cos’ho!”
“Hai litigato con Jude per colpa mia? E’ assurdo”
“Lo penso anch’io …” – e si quietò un minimo, riprendendo fiato.

Alla biglietteria c’era coda.

“Dove sei papà?”
Donwey sorrise con le lacrime negli occhi ed in gola – “Ti sto raggiungendo, immaginavo fossi lì … volevo rimanere da solo, ma ci speravo, ecco …”
“Pensi che farò qualche stronzata?” – divenne aspro, poi docile – “Non è escluso …”
“Christopher non farmi questo” – sbottò lacerato, soprattutto dal pensiero che la priorità del giovane doveva essere semmai Clarissa, mentre lui non centrava nulla nelle sue scelte, così come nei suoi sbagli.


Colin lo fece sedere da parte e gli portò del tè caldo.

“Cosa è successo Jay?” – mormorò cauto l’irlandese, cingendolo con cura, seduti sopra ad un divanetto circolare.
“Scusami … scusami Cole è che … io non riesco a sopportare questa tortura … Glam sta sempre peggio”

“Tesoro non saremo mai veramente pronti o preparati, è come un treno in corsa, che ci è piombato addosso, senza via di scampo”

Si strinsero.

“Colin vorrei tanto potere fare qualcosa”

Farrell lo guardò innamorato e sofferente al tempo stesso.

“La tua vicinanza è la migliore medicina per Glam … Il problema è come ne uscirai tu da una simile esperienza, perché assistere un malato terminale non è semplice, anche se conosco il tuo coraggio, la tua abnegazione, Jay” – e lo baciò, con l’implicita e silenziosa supplica di non esporsi a quello che poteva essere definito in molti modi.

Colin, peraltro, non paragonava l’intento di Jared ad un adulterio; non questa volta.

Prese un lungo respiro.

“Tesoro appena torniamo, ti porto via per qualche giorno, ok? … Poi … Poi se vorrai, andrai da Glam, per il tempo che riterrai necessario”

“Colin …”

“Se ti senti di farlo e so che è così, non pensare a me, vacci e basta” – ed a stento trattenne un pianto lacerante.

“Mi confondi e … e mi rendi orgoglioso di te, del tuo altruismo”
“Glam non è un nemico, non è un rivale, non lo è più … Purtroppo per lui”

Si riabbracciarono, intrisi di paura verso il futuro, che mai era apparso loro così incerto.






 IL NOSTRO CHRISTOPHER (IAN SOMERHALDER) IN UN BELLO SCATTO INSIEME A MATT BOMER (PERALTRO IL NS. MATT IN ZEN)






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