Capitolo n. 208 – zen
Law stava quasi per
sbattergli la porta in faccia, anticipando Robert nell’entrare all’interno
della loro suite, fortunatamente deserta.
Senza voltarsi, l’inglese
diede un pugno nel primo stipite a tiro, rompendosi per poco le nocche della
mano destra ed imprecando forte, anche più del necessario, per liberare quel rigurgito
di rabbia, annidato nel suo stomaco da quando avevano lasciato un altro campo
di battaglia.
Quello dove Steven e
Christopher sembravano essersi detti addio.
“Calmati Jude, non
serve a niente” – gli disse asciutto il consorte, versandogli dell’acqua in un
bicchiere, che il biondo gettò direttamente nel caminetto acceso.
Erano uno di fronte
all’altro, tesi, sconvolti e come ripiombati in vecchi incubi.
“Dove ho sbagliato,
eh Jude?” – gli chiese improvviso e provocatorio.
Downey non ne poteva
più di quel sentirsi costantemente giudicato per le proprie attenzioni rivolte
a qualcuno che non fosse l’amore di una vita.
Una vita che gli
aveva dedicato a pieno, anche quando si sentiva una nullità, per colpa di Jude
e basta.
“Qualunque cosa ti
dica, sarò sempre io quello sbagliato Rob!” – inveii.
Louis lo stava
imboccando.
Harry sorrise – “Mi
sono slogato una caviglia, ma queste funzionano” – e gli fece il solletico.
“Zitto e mangia! E
non fare tutte queste briciole, qui ci dobbiamo dormire, almeno ancora stanotte”
“Già, domani si torna
… Cosa vuoi per San Valentino Boo? Manca una settimana” – chiese spostandogli i
capelli dalle tempie, dove si affrettò a posare un bacio troppo casto, per
quanto lo stava desiderando.
La stoffa rigonfia
dei pantaloni del pigiama non mentiva.
Louis rise malizioso –
“Sesso sfrenato ogni pomeriggio, quindi tieniti libero” – scherzò.
“Sarò al lavoro, se
Glam non mi licenzia”
“Allora verrò a
trovarti in studio” – e gli leccò le labbra, sistemando il piatto sul carrello –
“oppure in tribunale … e mi infilerò sotto la scrivania per farti venire con la
bocca …” – e lo baciò profondo, mentre si spogliavano con urgenza.
Il calore che pervase
entrambi, sembrò divorarli, esaltando una libido acerba, ma non inesperta.
Lou si posizionò
sopra il bacino di Harry, ormai distesosi tra i cuscini, le dita impegnate a
brandire i fianchi del suo Boo, che gemeva al primo contatto bagnato, tra la
propria fessura e l’erezione del compagno.
Quel dolore lo
riempiva e saziava, come un marchio a fuoco, impresso ripetutamente nelle sue
carni esili, ma terribilmente affascinanti.
Apparteneva ad Harry
e tutto aveva un senso.
Quando faceva l’amore
con Vincent era diverso.
Ci pensava al
presente, correggendosi colpevole, in quel paragone inopportuno, ma che il
cervello rivelava ad ogni amplesso insieme al futuro marito.
Lux era … perfetto per lui, come se qualcuno
avesse forgiato i due elementi, capaci di fondersi più e più volte, senza mai
stancarsi.
Dopo averlo fatto con
Haz, invece, Lou era come pervaso da una corrente di alta tensione, i suoi
nervi, i muscoli, continuavano a percepire come un orgasmo latente, amplificato
al solo tocco del più giovane, durante le coccole, che mai gli negava.
Vincent era
ugualmente generoso e lo sfiorava di continuo, lo accarezzava anche se Lou prendeva
un bicchiere di aranciata dal frigo oppure leggeva un giornale: il calore ed il
profumo di quell’uomo, non li avrebbe dimenticati.
Mai.
“Quanto si ferma?”
“Una notte … no,
forse due” – Chris balbettò, estraendo la carta di credito dal porta documenti.
Si aggiustò il bavero
del giaccone, levandosi la cuffia, che lo stava facendo sudare.
Aveva la febbre, ne
era certo.
“Stanza 205, in
mansarda, è l’unica rimasta singola …”
“Va benissimo” –
sorrise a fatica.
“Ha solo quello
zaino, nessun bagaglio od attrezzatura?” – chiese l’inserviente del rifugio,
con un sorriso simpatico.
“No, solo questo …
viaggio leggero”
“Ecco la chiave, la
cena è alle otto”
“Sì ok … Posso avere
qualcosa in camera, non mi sento molto bene, preferisco coricarmi …”
“Nessun problema,
vuole un’aspirina?”
“Sì, è l’ideale … Poi
del brodo e qualche verdura … Niente carne”
“Abbiamo dei filetti
di pesce, il nostro chef li cucina con una salsa al limone” – spiegò gioviale.
“Ok … una porzione
anche di quelli … Adesso vado, la ringrazio.” – lo salutò educato, salendo poi
con la scala interna in legno massiccio.
Durante l’ascesa in
funivia aveva pianto: c’erano lui ed una coppia di anziani, che non smettevano
di scrutarlo, esitando su chiedergli o meno se avesse bisogno di aiuto.
Erano carini, si
tenevano per mano, dei nonni probabilmente: erano invecchiati insieme, magari
fra mille problemi, ma i loro visi denotavano serenità, che nulla era riuscito
a scalfire, pensò il leader dei Red Close.
Lui non aveva mai
conosciuto quella sensazione, se non per brevi periodi: aveva ricevuto molti
doni, ma altrettante manchevolezze, da un destino, che sembrava divertirsi a
farlo sentire inutile e senza un domani.
“Ehi Jared …?”
Lux gli diede un
buffetto, sorridendogli appena Leto schiuse le palpebre, rivelando lo sguardo
arrossato.
“Ciao … mi … mi sono
addormentato” – disse sfregandosi la faccia, mentre si alzava dal parquet,
facendo attenzione a non svegliare Geffen.
“Sembravate due ghiri”
– il francese rise, accomodandosi.
“Stavamo parlando … Glam
era provato, ha avuto una crisi, prima che arrivassi”
“Dovevate vedervi?
Non me l’ha detto”
“No … Cioè volevo
sapere come stava”
“Certo Jared, non
devi mica giustificarti” – replicò dolce.
“Torno da Colin”
“E’ al ristorante, l’ho
incrociato con i vostri bimbi … Ora vedrò se Glam si sente di scendere, ma ho
qualche dubbio”
“Vi mando su
qualcosa?”
“Sì, volentieri,
niente vino, meglio evitare”
“E cosa cambierebbe,
sentiamo …” – bofonchiò l’uomo, stiracchiandosi.
“Glam, ma allora” –
Jared sorrise, andando ad abbracciarlo.
“Ehi … Non sono
ancora morto” – e sorrise, fissandolo amorevole.
Ormai nascondere i
suoi sentimenti sarebbe stato così inutile e persino nocivo: voleva essere
sincero, diretto, aperto a tutto il bene ed il male, che quel percorso stava
per riservargli, senza appello.
“Dio non voglia” –
ribatté diretto il marito di Farrell.
Glam scosse la testa
rasata, reggendosi sui braccioli per recuperare una postura decente – “Devo
andare in bagno”
“Ti accompagno?”
“No Jay, vai pure, me
la cavo, poi c’è Vincent” – gli sorrise meno convinto.
Leto annuì perplesso,
non voleva lasciarlo lì senza di lui.
Alla fine si
allontanò, non senza avergli dato un bacio tra la guancia ed il collo,
sussurrandogli un “ti voglio bene Glam”, così vero da spezzargli il cuore.
Il cellulare di Chris
si illuminò.
Un numero privato.
“Sono Robert, dove
diavolo sei?”
L’impeto di quella
domanda lo scosse.
“Alle piste nere …
resto qui …”
“Chiama almeno la
bambina, cazzo!”
“Rob … che cos’hai …?”
– chiese timido.
“Sono stufo marcio, ecco
che cos’ho!”
“Hai litigato con
Jude per colpa mia? E’ assurdo”
“Lo penso anch’io …” –
e si quietò un minimo, riprendendo fiato.
Alla biglietteria c’era
coda.
“Dove sei papà?”
Donwey sorrise con le
lacrime negli occhi ed in gola – “Ti sto raggiungendo, immaginavo fossi lì …
volevo rimanere da solo, ma ci speravo, ecco …”
“Pensi che farò
qualche stronzata?” – divenne aspro, poi docile – “Non è escluso …”
“Christopher non
farmi questo” – sbottò lacerato, soprattutto dal pensiero che la priorità del
giovane doveva essere semmai Clarissa, mentre lui non centrava nulla nelle sue
scelte, così come nei suoi sbagli.
Colin lo fece sedere
da parte e gli portò del tè caldo.
“Cosa è successo Jay?”
– mormorò cauto l’irlandese, cingendolo con cura, seduti sopra ad un divanetto
circolare.
“Scusami … scusami
Cole è che … io non riesco a sopportare questa tortura … Glam sta sempre peggio”
“Tesoro non saremo
mai veramente pronti o preparati, è come un treno in corsa, che ci è piombato
addosso, senza via di scampo”
Si strinsero.
“Colin vorrei tanto
potere fare qualcosa”
Farrell lo guardò
innamorato e sofferente al tempo stesso.
“La tua vicinanza è
la migliore medicina per Glam … Il problema è come ne uscirai tu da una simile
esperienza, perché assistere un malato terminale non è semplice, anche se
conosco il tuo coraggio, la tua abnegazione, Jay” – e lo baciò, con l’implicita
e silenziosa supplica di non esporsi a quello che poteva essere definito in
molti modi.
Colin, peraltro, non
paragonava l’intento di Jared ad un adulterio; non questa volta.
Prese un lungo
respiro.
“Tesoro appena
torniamo, ti porto via per qualche giorno, ok? … Poi … Poi se vorrai, andrai da
Glam, per il tempo che riterrai necessario”
“Colin …”
“Se ti senti di farlo
e so che è così, non pensare a me, vacci e basta” – ed a stento trattenne un
pianto lacerante.
“Mi confondi e … e mi
rendi orgoglioso di te, del tuo altruismo”
“Glam non è un
nemico, non è un rivale, non lo è più … Purtroppo per lui”
Si riabbracciarono,
intrisi di paura verso il futuro, che mai era apparso loro così incerto.
IL NOSTRO CHRISTOPHER (IAN SOMERHALDER) IN UN BELLO SCATTO INSIEME A MATT BOMER (PERALTRO IL NS. MATT IN ZEN)
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