Capitolo n. 214 – zen
“Andiamo a Las Vegas
… stanotte, sposiamoci subito Boo”
Harry si sporse,
inginocchiato sopra al tappeto, brillo quanto Louis, che rise divertito dalle
sue smorfie, per poi mugolare suadente al suo ennesimo bacio.
Erano nudi e bollenti,
per il riverbero del fuoco nel camino, fuori e dentro di loro.
Fecero un brindisi
con le bottigliette di birra, con incastrati nei colli due spicchi di limone,
che succhiarono, imboccandosi a vicenda.
Le labbra di Haz
arrivarono presto ai capezzoli di Lou, che si bagnò il petto con quel liquido
dorato.
Il ricciolo ne leccò
i contorni e le sporgenze, di costole ed addominali, risalendo poi alla bocca
di Louis, per catturarla e divorare un po’ di lui e della sua innocenza
perduta.
Robert mise a letto
le piccole, mentre Jude badava a Preston, l’husky dono di Geffen, ormai
divenuto adulto e stupendo.
“Ha un’infezione alla
zampa …” – mormorò l’inglese, disinfettandola con cura.
“E’ una cosa seria?”
– chiese immediato il compagno, accovacciandosi accanto a lui, vicino alla
cesta in cui il cane si stava godendo le coccole, guaendo piano e distribuendo
musate ai suoi genitori umani.
Le sue iridi erano di
ghiaccio e la similitudine, che aveva investito Robert durante l’amplesso
insieme a Christopher, sembrò ripiombargli addosso come un fulmine.
“Ehi Rob, non è così
grave … sei impallidito” – e gli diede un bacio sulla guancia sinistra,
ridendo.
“No, no, è che sono
apprensivo …”
“Lo so amore, sei
adorabile … Ma Glam si lamenterà, come infermiere gli metterai angoscia” –
proseguì sereno, terminando il proprio intervento amorevole.
“Sì forse …” – esitò.
“La terapia? Come è
andata?”
“Bene Jude, si sente
subito meglio, dopo … Ha fatto anche una trasfusione”
“Anche l’altra volta,
quando c’ero io con lui … e Kevin, Tom … Oggi eravate da soli?”
“Sì, ma poi l’ho
accompagnato alla Joy’s house: tornerà a Palm Springs lunedì, quando arriverà
Jared”
Law si adombrò.
“Già, Colin me ne ha
parlato … Una scelta delicata.”
“E poi che senso ha?”
– sbottò quasi l’americano.
“Il senso è quello di
dare l’opportunità a Glam di avere accanto il più possibile la persona che ha
amato di più al mondo” – replicò un po’ spietato, ma senza intenzione implicita.
“Sì … certo” – bissò
dignitoso Robert, deglutendo, mentre sistemava i giochi delle bambine.
A Jude si formò un
nodo alla gola.
“Scusami Rob …”
“E per cosa?! Ma
siete diventati matti, tu e Colin?? Quello spedisce nel letto di Glam il suo
preziosissimo Jared e tu mi chiedi scusa perché avresti offeso il mio orgoglio
con una gaffe sulle preferenze del mio ex amante??!” – e se ne andò spedito in
terrazza, lacrimando come un bimbo, a cui avevano rubato la luna.
Farrell lo stava
abbracciando da dietro, in posizione a cucchiaio, nella quale adorava stringere
a sé Jared.
Passava la punta del
naso ed il mento tra i suoi capelli morbidi e profumati del doccia schiuma, che
avevano utilizzato durante la doccia comune.
“Hai sonno Jay?”
“No … ti ricordi
quando a momenti cadevi, dal terrazzo dell’hotel, in Marocco, la prima volta
che sei venuto a dormire con me?” – rise ispirato da quel ricordo.
“Ci pensavi ora? Come
mai …?” – chiese dolce.
“Perché mi tenesti a
te, in questo modo … ero arrabbiato, avevi fatto lo scemo sul set, mi avevi
strappato la tunica”
“La gonnellina vorrai
dire” – e rise simpatico.
“Vero … anche tu ce
l’avevi!” – protestò infantile.
“Infatti, ma a te
stava meglio …” – e lo voltò lento – “Come ogni cosa, Jay”
Leto lo fissò,
innamorato.
“Lo sei anche ora?”
“Cosa Cole?”
“Arrabbiato …”
“No” – sorrise
incantevole.
Farrell tiro su dal
naso.
“Ti amo così tanto
Jared” – disse intenso, lo sguardo liquido, in un’ammirazione commossa.
“E siamo ancora qui …
A volte sembra così incredibile Colin”
“Nulla lo è per noi,
dopo tutto quanto abbiamo passato, non credi?” – e lo baciò.
Jared lo riaccolse,
tra le proprie gambe, nella propria bocca, nel proprio destino.
Con il senso
dell’assoluto.
Dell’infinito.
Stavano scopando.
Solo quello.
Robert pensò che
anche loro si erano ridotti come
Jared e Colin: risolvere con il sesso le divergenze, le crisi, senza spezzare
più i silenzi.
Senza dialogare, come
la consolidata coppia era abituata a fare dal primo giorno in cui si scelsero.
Jude gli morse la
spalla, affondando i pollici tra le sue scapole, il sesso nella sua essenza,
strusciandosi insistente su quella porzione di carne, che in Robert stava come
per esplodere, di piacere e di umori.
Il moro sentì il
sapore del cuscino, stritolandolo con i denti, le labbra investite da lacrime
aspre.
Era di nuovo buio, in
quella camera.
Un tempo, lui e Jude,
facevano l’amore ad occhi aperti, guardandosi, sotto il sole della Grecia o nel
vento, sulle colline inglesi poco fuori Londra, di primavera.
Tutte le loro stagioni sembrarono scorrere,
sembrarono vibrare in una sequenza di fotogrammi che brillarono nella mente
dell’attore più celebre del pianeta, per poi tuffarsi, incoscienti, nel suo
magnifico cuore d’inverno.
L’arrivo di Steven fu
anticipato da un mazzo di trentasei rose rosse.
Appena varcò la
soglia del loft, Boydon le vide, investito dal profumo del caffè, appena
preparato da Christopher, che lo accolse educato.
Il giovane prese lo
scatolone, che l’ex gli aveva portato, posandolo nell’ingresso.
“Grazie, ma sarei
passato io”
“Figurati, so che ti
servivano queste cose …” – replicò imbarazzato l’uomo, guardandosi intorno.
“Grazie anche per
queste, ma non dovevi” – Chris sorrise – “Sono gesti che non servono”
“Ok … Pensavo di … Allora
sbaglio proprio tutto con te” – e sorrise a propria volta, ma tirato.
Era elegante, curato,
aveva fatto il possibile per piacergli.
Il cantante preparò
due tazze e delle brioche, porgendogliele.
“Solo questo, non mi
va giù niente Christopher” – era vero, non voleva fare la vittima, non alla sua
età, non nella sua posizione, nel suo ruolo,
pensò Boydon, con il cervello che macinava a mille, nel tentativo di combinarne
una giusta.
Come un tempo.
“Clarissa la vado a
prendere io, ok?” – esordì quieto Chris, tra un morso ed un sorso.
“Certo … Ho ricevuto
una lettera dallo studio Geffen …”
“Sì, ti chiedo scusa,
l’ho contattato per tutelare gli interessi presenti e futuri della bambina, non
certo per farti chissà quale guerra”
“Appunto … Semmai
quello incazzato dovrei essere io” – ironizzò, lo sguardo triste.
Chris non aveva mai
smesso di fissarlo.
“Lo sei?”
“No … No, ho
riflettuto e vorrei salvare il nostro rapporto Christopher, ma dovremmo essere
in due e tu forse ora frequenti Ivan e”
“Sei assolutamente in
errore: Ivan è un amico e per fortuna, visto che l’ho trattato malissimo. Sono
stato volgare nei suoi riguardi, tu non immagini quanto”
“Volgare …?” –
replicò perplesso.
“Sì, ho offeso la sua
dignità: è un uomo integro, un sopravvissuto. Forse il suo quoziente di
intelligenza non gli aprirà le porte di Princeton, ammesso che gliene freghi
qualcosa, ma è in gamba, sensibile e tutt’altro che stupido”
“Ero arrabbiato, non
sapevo quello che dicevo …”
“Non lo sto difendendo,
Ivan sa farlo da solo benissimo” – precisò asciutto.
“Perché ci sei finito
a letto, dunque? Come mai l’hai cercato e scelto?” – domandò serio.
Christopher si
massaggiò la faccia pulita e perfetta.
“Quando hai un vuoto,
dentro, provi a colmarlo in ogni modo … Mi sentivo bistrattato, te l’ho detto,
forse esagerando, ma no … non ho esagerato” – rise turbato.
“La … la mia famiglia
ti ha ferito, ma io Christopher … Sei stato l’unico, avevo cura di te …
Sbaglio?”
“No, ma non hai
cambiato le cose, le hai accettate, perché loro sono la tua storia, il tuo
passato, li hai anteposti a me, sempre.” – chiarì senza livore.
“Non l’ho fatto in
mala fede … Così come per il lavoro …”
“Sei stato un buon
padre, mettiamola così, non altrettanto un buon compagno, per ciò di cui mi
sono lamentato, visto che per il resto eri …” – si interruppe, cercando le
parole giuste.
“Non pensarci, dillo
e basta”
“Eri amorevole e ti
adoravo Steven”
“Credevo bastasse, ho
dato per scontate troppe cose, quelle di cui ti sei lamentato, ma nulla di
irrisolvibile!” – si accese un minimo.
“Io voglio stare qui
Steven, voglio essere un buon genitore per Clarissa, non farle mancare niente:
il mio manager ha fissato degli incontri, forse inizio a recitare in una serie
di telefilm, è un ottimo ingaggio e convoglierò parte di esso in un fondo
fiduciario per gli studi della bimba”
“Di … nostra figlia,
non lo dici mai … non lo dici più” – e si sentì mancare il fiato.
“So che Clarissa è
nostra, ma è inutile che io lasci aperto uno spiraglio, quando non me la sento,
quando non provo quello che tu ora stai provando” – ribatté sincero.
“Ok, non è una
tattica, nessuna manovra, l’ho capito Christopher … Non ne vuoi più sapere di
me e tanto meno di Ivan, non che tu ci abbia usati, anzi, semmai ci hai resi
felici, il sottoscritto senza dubbio, ma credo anche quel tizio”
“Se volessi tornare a
casa te lo direi e basta: nessuna strategia, hai ragione”
“Allora forse il
nocciolo della questione è un altro? Ha un nome preciso? Il tuo vecchio dilemma
esistenziale legato a Robert?” – chiese aspro.
Chris sorrise – “No …
No, lui è altresì fuori dal mio cammino, seppure non smetterò mai di volergli
bene, di chiedere un consiglio, di essere grato che Rob esista, così per te ed
anche Ivan: non voglio mettervi sullo stesso piano a tutti i costi, ma vi vedo
con serenità, con … obiettività, adesso.”
Brent pulì le
vetrine, forsennatamente.
Era talmente preso,
da non accorgersi di Brendan, impalato davanti la lastra, le mani in tasca, gli
occhi fissi su di lui.
Il giovane gli fece
cenno di entrare e l’analista non se lo fece ripetere.
Rimasero abbracciati
per dieci minuti, senza dirsi niente.
“Ti sei alzato
presto, stamattina, ragazzino”
“E sono andato via
senza nemmeno salutarti … scusami”
“Ok lo faccio, se
proverai a superare questo imbarazzo, smettendola di punirti, come hai fatto
sino all’alba” – gli disse dolcemente, spostandogli i capelli e baciandolo sul
viso dalle fattezze bellissime.
“Io non ragiono
quando si tratta di mio padre … di nostro padre, Brendan”
“Lo so, ma avresti
dovuto parlarne con me, l’avevamo stabilito proprio in vista di questi
sviluppi: non è un rimprovero, sia chiaro”
“So che tu sai sempre
cosa dire e fare …” – si distaccò lento, slacciandosi il grembiule.
“Credi?” – Laurie rise
– “Secondo mio fratello sono un mezzo deficiente, quando mi impegno”
Anche Brent rise,
dandogli un pugno leggero sull’addome, che Brendan scansò abile.
“Ora comunque non ho
la forza di telefonargli … di mandargli un sms a Boo”
“Non serve, sono qui”
“Louis …?!”
Con Harry erano
arrivati anche loro al locale.
I due Tomlinson si
strinsero, non senza qualche esitazione da parte di un Brent paonazzo.
Laurie riunì il
quartetto in un abbraccio corale, a cerchio, prendendo poi un lungo respiro – “Harry
come ti senti?” – chiese quasi a sorpresa.
“Provato da questa
situazione, ma non voglio impedire a Louis di avere Brent accanto: la mia
esigenza, che spero lui accolga, è di soppesare ogni mossa, ogni decisione, perché
ne abbiamo abbastanza del colonnello Tomlinson: noi siamo in grado di andare
avanti e di realizzarci senza la sua presenza, tanto non ci sono speranze che
cambi. Fa male perdere dei punti di riferimento genitoriali e so di cosa parlo,
credimi”
Brendan annuì,
guardando poi il fidanzato.
“Perdonami Harry … E
specialmente tu, Louis” – disse emozionato.
“Abbiamo la stessa
disgrazia Brent, peccato che quel bastardo veda in me tutto il male del mondo:
non potrò mai rassegnarmi al suo rancore, però voglio vivere, orgoglioso di chi
sono e di chi amo: Harry sa curare le mie ferite come nessuno … E presto
diverrete cognati” – sorrise finalmente.
“Non vedo l’ora” –
replicò solare l’ex capitano.
Harry sbirciò
Brendan, complice, ma anche simpatico nella sua occhiata di incoraggiamento al
futuro procuratore, che gli ispirava tenerezza, quanto gli altri due cuccioli,
ormai pronti a crescere e fare un grande salto.
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