giovedì 14 novembre 2013

ZEN - CAPITOLO N. 214

Capitolo n. 214 – zen


“Andiamo a Las Vegas … stanotte, sposiamoci subito Boo”
Harry si sporse, inginocchiato sopra al tappeto, brillo quanto Louis, che rise divertito dalle sue smorfie, per poi mugolare suadente al suo ennesimo bacio.

Erano nudi e bollenti, per il riverbero del fuoco nel camino, fuori e dentro di loro.
Fecero un brindisi con le bottigliette di birra, con incastrati nei colli due spicchi di limone, che succhiarono, imboccandosi a vicenda.
Le labbra di Haz arrivarono presto ai capezzoli di Lou, che si bagnò il petto con quel liquido dorato.

Il ricciolo ne leccò i contorni e le sporgenze, di costole ed addominali, risalendo poi alla bocca di Louis, per catturarla e divorare un po’ di lui e della sua innocenza perduta.



Robert mise a letto le piccole, mentre Jude badava a Preston, l’husky dono di Geffen, ormai divenuto adulto e stupendo.

“Ha un’infezione alla zampa …” – mormorò l’inglese, disinfettandola con cura.
“E’ una cosa seria?” – chiese immediato il compagno, accovacciandosi accanto a lui, vicino alla cesta in cui il cane si stava godendo le coccole, guaendo piano e distribuendo musate ai suoi genitori umani.

Le sue iridi erano di ghiaccio e la similitudine, che aveva investito Robert durante l’amplesso insieme a Christopher, sembrò ripiombargli addosso come un fulmine.

“Ehi Rob, non è così grave … sei impallidito” – e gli diede un bacio sulla guancia sinistra, ridendo.

“No, no, è che sono apprensivo …”
“Lo so amore, sei adorabile … Ma Glam si lamenterà, come infermiere gli metterai angoscia” – proseguì sereno, terminando il proprio intervento amorevole.

“Sì forse …” – esitò.
“La terapia? Come è andata?”
“Bene Jude, si sente subito meglio, dopo … Ha fatto anche una trasfusione”
“Anche l’altra volta, quando c’ero io con lui … e Kevin, Tom … Oggi eravate da soli?”
“Sì, ma poi l’ho accompagnato alla Joy’s house: tornerà a Palm Springs lunedì, quando arriverà Jared”

Law si adombrò.
“Già, Colin me ne ha parlato … Una scelta delicata.”
“E poi che senso ha?” – sbottò quasi l’americano.

“Il senso è quello di dare l’opportunità a Glam di avere accanto il più possibile la persona che ha amato di più al mondo” – replicò un po’ spietato, ma senza intenzione implicita.

“Sì … certo” – bissò dignitoso Robert, deglutendo, mentre sistemava i giochi delle bambine.

A Jude si formò un nodo alla gola.

“Scusami Rob …”
“E per cosa?! Ma siete diventati matti, tu e Colin?? Quello spedisce nel letto di Glam il suo preziosissimo Jared e tu mi chiedi scusa perché avresti offeso il mio orgoglio con una gaffe sulle preferenze del mio ex amante??!” – e se ne andò spedito in terrazza, lacrimando come un bimbo, a cui avevano rubato la luna.



Farrell lo stava abbracciando da dietro, in posizione a cucchiaio, nella quale adorava stringere a sé Jared.

Passava la punta del naso ed il mento tra i suoi capelli morbidi e profumati del doccia schiuma, che avevano utilizzato durante la doccia comune.

“Hai sonno Jay?”
“No … ti ricordi quando a momenti cadevi, dal terrazzo dell’hotel, in Marocco, la prima volta che sei venuto a dormire con me?” – rise ispirato da quel ricordo.
“Ci pensavi ora? Come mai …?” – chiese dolce.

“Perché mi tenesti a te, in questo modo … ero arrabbiato, avevi fatto lo scemo sul set, mi avevi strappato la tunica”
“La gonnellina vorrai dire” – e rise simpatico.

“Vero … anche tu ce l’avevi!” – protestò infantile.
“Infatti, ma a te stava meglio …” – e lo voltò lento – “Come ogni cosa, Jay”

Leto lo fissò, innamorato.

“Lo sei anche ora?”
“Cosa Cole?”
“Arrabbiato …”
“No” – sorrise incantevole.

Farrell tiro su dal naso.
“Ti amo così tanto Jared” – disse intenso, lo sguardo liquido, in un’ammirazione commossa.

“E siamo ancora qui … A volte sembra così incredibile Colin”
“Nulla lo è per noi, dopo tutto quanto abbiamo passato, non credi?” – e lo baciò.

Jared lo riaccolse, tra le proprie gambe, nella propria bocca, nel proprio destino.
Con il senso dell’assoluto.
Dell’infinito.



Stavano scopando.
Solo quello.

Robert pensò che anche loro si erano ridotti come Jared e Colin: risolvere con il sesso le divergenze, le crisi, senza spezzare più i silenzi.
Senza dialogare, come la consolidata coppia era abituata a fare dal primo giorno in cui si scelsero.

Jude gli morse la spalla, affondando i pollici tra le sue scapole, il sesso nella sua essenza, strusciandosi insistente su quella porzione di carne, che in Robert stava come per esplodere, di piacere e di umori.

Il moro sentì il sapore del cuscino, stritolandolo con i denti, le labbra investite da lacrime aspre.

Era di nuovo buio, in quella camera.

Un tempo, lui e Jude, facevano l’amore ad occhi aperti, guardandosi, sotto il sole della Grecia o nel vento, sulle colline inglesi poco fuori Londra, di primavera.

Tutte le loro stagioni sembrarono scorrere, sembrarono vibrare in una sequenza di fotogrammi che brillarono nella mente dell’attore più celebre del pianeta, per poi tuffarsi, incoscienti, nel suo magnifico cuore d’inverno.



L’arrivo di Steven fu anticipato da un mazzo di trentasei rose rosse.
Appena varcò la soglia del loft, Boydon le vide, investito dal profumo del caffè, appena preparato da Christopher, che lo accolse educato.

Il giovane prese lo scatolone, che l’ex gli aveva portato, posandolo nell’ingresso.

“Grazie, ma sarei passato io”
“Figurati, so che ti servivano queste cose …” – replicò imbarazzato l’uomo, guardandosi intorno.

“Grazie anche per queste, ma non dovevi” – Chris sorrise – “Sono gesti che non servono”
“Ok … Pensavo di … Allora sbaglio proprio tutto con te” – e sorrise a propria volta, ma tirato.

Era elegante, curato, aveva fatto il possibile per piacergli.

Il cantante preparò due tazze e delle brioche, porgendogliele.

“Solo questo, non mi va giù niente Christopher” – era vero, non voleva fare la vittima, non alla sua età, non nella sua posizione, nel suo ruolo, pensò Boydon, con il cervello che macinava a mille, nel tentativo di combinarne una giusta.
Come un tempo.

“Clarissa la vado a prendere io, ok?” – esordì quieto Chris, tra un morso ed un sorso.

“Certo … Ho ricevuto una lettera dallo studio Geffen …”
“Sì, ti chiedo scusa, l’ho contattato per tutelare gli interessi presenti e futuri della bambina, non certo per farti chissà quale guerra”
“Appunto … Semmai quello incazzato dovrei essere io” – ironizzò, lo sguardo triste.

Chris non aveva mai smesso di fissarlo.

“Lo sei?”
“No … No, ho riflettuto e vorrei salvare il nostro rapporto Christopher, ma dovremmo essere in due e tu forse ora frequenti Ivan e”
“Sei assolutamente in errore: Ivan è un amico e per fortuna, visto che l’ho trattato malissimo. Sono stato volgare nei suoi riguardi, tu non immagini quanto”

“Volgare …?” – replicò perplesso.

“Sì, ho offeso la sua dignità: è un uomo integro, un sopravvissuto. Forse il suo quoziente di intelligenza non gli aprirà le porte di Princeton, ammesso che gliene freghi qualcosa, ma è in gamba, sensibile e tutt’altro che stupido”

“Ero arrabbiato, non sapevo quello che dicevo …”

“Non lo sto difendendo, Ivan sa farlo da solo benissimo” – precisò asciutto.

“Perché ci sei finito a letto, dunque? Come mai l’hai cercato e scelto?” – domandò serio.

Christopher si massaggiò la faccia pulita e perfetta.

“Quando hai un vuoto, dentro, provi a colmarlo in ogni modo … Mi sentivo bistrattato, te l’ho detto, forse esagerando, ma no … non ho esagerato” – rise turbato.

“La … la mia famiglia ti ha ferito, ma io Christopher … Sei stato l’unico, avevo cura di te … Sbaglio?”
“No, ma non hai cambiato le cose, le hai accettate, perché loro sono la tua storia, il tuo passato, li hai anteposti a me, sempre.” – chiarì senza livore.

“Non l’ho fatto in mala fede … Così come per il lavoro …”
“Sei stato un buon padre, mettiamola così, non altrettanto un buon compagno, per ciò di cui mi sono lamentato, visto che per il resto eri …” – si interruppe, cercando le parole giuste.

“Non pensarci, dillo e basta”
“Eri amorevole e ti adoravo Steven”

“Credevo bastasse, ho dato per scontate troppe cose, quelle di cui ti sei lamentato, ma nulla di irrisolvibile!” – si accese un minimo.

“Io voglio stare qui Steven, voglio essere un buon genitore per Clarissa, non farle mancare niente: il mio manager ha fissato degli incontri, forse inizio a recitare in una serie di telefilm, è un ottimo ingaggio e convoglierò parte di esso in un fondo fiduciario per gli studi della bimba”
“Di … nostra figlia, non lo dici mai … non lo dici più” – e si sentì mancare il fiato.

“So che Clarissa è nostra, ma è inutile che io lasci aperto uno spiraglio, quando non me la sento, quando non provo quello che tu ora stai provando” – ribatté sincero.

“Ok, non è una tattica, nessuna manovra, l’ho capito Christopher … Non ne vuoi più sapere di me e tanto meno di Ivan, non che tu ci abbia usati, anzi, semmai ci hai resi felici, il sottoscritto senza dubbio, ma credo anche quel tizio”

“Se volessi tornare a casa te lo direi e basta: nessuna strategia, hai ragione”

“Allora forse il nocciolo della questione è un altro? Ha un nome preciso? Il tuo vecchio dilemma esistenziale legato a Robert?” – chiese aspro.

Chris sorrise – “No … No, lui è altresì fuori dal mio cammino, seppure non smetterò mai di volergli bene, di chiedere un consiglio, di essere grato che Rob esista, così per te ed anche Ivan: non voglio mettervi sullo stesso piano a tutti i costi, ma vi vedo con serenità, con … obiettività, adesso.”



Brent pulì le vetrine, forsennatamente.
Era talmente preso, da non accorgersi di Brendan, impalato davanti la lastra, le mani in tasca, gli occhi fissi su di lui.

Il giovane gli fece cenno di entrare e l’analista non se lo fece ripetere.

Rimasero abbracciati per dieci minuti, senza dirsi niente.

“Ti sei alzato presto, stamattina, ragazzino”
“E sono andato via senza nemmeno salutarti … scusami”

“Ok lo faccio, se proverai a superare questo imbarazzo, smettendola di punirti, come hai fatto sino all’alba” – gli disse dolcemente, spostandogli i capelli e baciandolo sul viso dalle fattezze bellissime.

“Io non ragiono quando si tratta di mio padre … di nostro padre, Brendan”
“Lo so, ma avresti dovuto parlarne con me, l’avevamo stabilito proprio in vista di questi sviluppi: non è un rimprovero, sia chiaro”

“So che tu sai sempre cosa dire e fare …” – si distaccò lento, slacciandosi il grembiule.
“Credi?” – Laurie rise – “Secondo mio fratello sono un mezzo deficiente, quando mi impegno”

Anche Brent rise, dandogli un pugno leggero sull’addome, che Brendan scansò abile.

“Ora comunque non ho la forza di telefonargli … di mandargli un sms a Boo”

“Non serve, sono qui”
“Louis …?!”

Con Harry erano arrivati anche loro al locale.

I due Tomlinson si strinsero, non senza qualche esitazione da parte di un Brent paonazzo.

Laurie riunì il quartetto in un abbraccio corale, a cerchio, prendendo poi un lungo respiro – “Harry come ti senti?” – chiese quasi a sorpresa.

“Provato da questa situazione, ma non voglio impedire a Louis di avere Brent accanto: la mia esigenza, che spero lui accolga, è di soppesare ogni mossa, ogni decisione, perché ne abbiamo abbastanza del colonnello Tomlinson: noi siamo in grado di andare avanti e di realizzarci senza la sua presenza, tanto non ci sono speranze che cambi. Fa male perdere dei punti di riferimento genitoriali e so di cosa parlo, credimi”

Brendan annuì, guardando poi il fidanzato.

“Perdonami Harry … E specialmente tu, Louis” – disse emozionato.

“Abbiamo la stessa disgrazia Brent, peccato che quel bastardo veda in me tutto il male del mondo: non potrò mai rassegnarmi al suo rancore, però voglio vivere, orgoglioso di chi sono e di chi amo: Harry sa curare le mie ferite come nessuno … E presto diverrete cognati” – sorrise finalmente.

“Non vedo l’ora” – replicò solare l’ex capitano.

Harry sbirciò Brendan, complice, ma anche simpatico nella sua occhiata di incoraggiamento al futuro procuratore, che gli ispirava tenerezza, quanto gli altri due cuccioli, ormai pronti a crescere e fare un grande salto.















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