martedì 12 novembre 2013

ZEN - CAPITOLO N. 213

Capitolo n. 213 – zen


Downey provò a riordinare le idee, dopo essersi svuotato il cuore ed il cervello, confessando a Geffen, quanto accaduto insieme a Christopher ad Aspen.

Erano le parole che aveva usato, ad avere colpito maggiormente Glam.
Quel suo esprimere un amplesso a tratti animalesco, liberatorio, totalizzante, attraverso il quale il giovane sembrava essersi affrancato da ogni catena e disagio, affossando comunque quell’essere meraviglioso, che si ostinava a chiamare papà, in un gioco scabroso e dall’esito inevitabile.

“Non riuscivo a pensare ad altro … a lui, che aveva bisogno di me” – proseguì improvviso ed angosciato, accanto a Glam, sopra il divano.

“Sai, mi sono trovato più volte in situazioni simili, se ci penso … Mi viene in mente Matt, di quanto dipendesse dalle mie attenzioni, dalla sua ossessione verso la figura idealizzata del sottoscritto” – sorrise alienato.

Provava una sottile rabbia ed un’insana gelosia, nel vedere Downey così coinvolto nello sviscerare le proprie emozioni verso Chris.
Glielo disse, del resto non avevano segreti, nessun giochetto.

“E non dimenticare Kevin … Con profonde differenze …”
“Certo Rob, così Jared, insomma c’è un denominatore comune e morboso: la carenza di una figura paterna nel loro percorso, oltre ad una serie di traumi da sanare, provocati da adulti senza scrupoli, senza … amore”

“Qui nessuno è carnefice Glam, ma non voglio nemmeno sentirmi vittima, sai?” – bissò schietto.
“Dimentichi Jude … Quando glielo dirai, non riesco ad immaginare la sua reazione, quindi accetta un consiglio: per una volta, taci.”

Downey inspirò.

“Il nostro rapporto è già saturo di crepe, sanate e rattoppate con determinazione, con Diamond ed ancora prima con Camilla, non ci siamo risparmiati nulla, vorrei sapere il perché, dopo essere partiti con il piede giusto, innamorati come nessuno” – e si tolse una lacrima dal viso stanco.

Geffen gli accarezzò la tempia sinistra, quindi vi posò un bacio, lento ed intenso.

“Non tormentarti sul passato, guarda ad oggi ed al domani, con la tua famiglia Robert, non rovinarti la salute: Chris sta bene ed è andato per la sua strada, non ce l’hai … tra i piedi, ad assillarti di paranoie e crisi esistenziali: gliele hai risolte tutte, a quanto pare”

“Non essere cinico, non mi piaci così, non sei tu …”
“Non sono il tuo Glam, semmai” – rise lieve.

“Ti sei mai chiesto quale è quello vero?” – gli domandò diretto, puntandolo – “Perché di me non so più niente, sia chiaro”

Geffen scrollò le spalle, alzandosi – “Sono ciò che … che gli altri vogliono, perché alla fine faccio sempre ciò che decidono le persone che amo … Chi invece mi ama davvero, non riesce ad ammansirmi neppure oggi, che sono a pezzi ed ad essere onesti, nemmeno più ci prova”
“Parti di Scott, di Kevin?”

“Sì, certo, sono cresciuti, sono … guariti”

“Ti dispiace Glam?”
“La parte più egoista di me, quella sì che è carica di rammarico, di … rimpianti.”



“La mia paura più grande, questa volta, non è quella di perderti Jared, ma di non ritrovare in te quella parte, che andrà a morire insieme a Glam”

Erano volati nel Maryland, una destinazione a sorpresa, per il cantante dei Mars.

Di nuovo in quel cottage, di nuovo appollaiati ed imbacuccati, sulle sedie a dondolo del patio.

Faceva freddo, l’oceano era impraticabile, però il sole splendeva alto nel cielo; così nelle iridi di Colin, ferme, nel raccontargli ciò che l’irlandese sentiva macerargli dentro.

“Io non cambierò Cole …”
“No, non è questo il punto e poi tutto cambiamo, dopo un lutto” – spiegò calmo, artigliando le dita alla tazza di tè bollente.

“Con Glam è già … capitato, rammenti?”
“Dio, quel pasticcio resterà il più assurdo del nostro cammino … Nostro, già, visto che Geffen è parte di noi, di te e di me Jay, che ci piaccia o no, che ci aiuti o meno a comprendere ed accettare questa … fine”

“Forse la stiamo dando per scontata Colin od assodata, ma … se ci fosse un ma?” – e si irrigidì, non certo per il clima.

La seduta era diventata scomoda.
Per entrambi.

“Daresti qualcosa perché ciò non avvenisse? Per un miracolo?” – gli domandò il moro, spostando lo sguardo sulle tavole consumate del pavimento scricchiolante.

“Non di noi, te lo assicuro, semmai metterei in gioco me stesso, con che so … Un anno di vita? Basterebbe?”

Farrell rise triste.

“E’ un gioco stupido … e crudele … Scusami” – e strizzò le palpebre.
“Lo sarebbe se tu, Colin, immaginassi un’entità superiore, che mi ponesse delle alternative: tipo, il tuo matrimonio? Uno dei vostri figli? L’esistenza di tuo marito?”

“Confido nella tua benevolenza …” – provò a scherzare.

“Tu sai che non lo farei mai: sacrificarvi. Siete tutto ciò a cui tengo, siete ciò che io ho scelto” – affermò limpido.

Farrell rientrò, non senza sfiorargli i capelli lunghi, che spuntavano spettinati da un berretto rubato a Shannon.
In silenzio.



“Boo hanno suonato!”

Harry sciacquò l’ultimo piatto, mentre Louis, in poltrona, aveva le cuffiette dell’i-pod nelle orecchie piccole e perfette, immerso in un mondo a parte, gli occhiali da secchione, il libro sui fossili tra le ginocchia, la testa china.

Haz gli passò davanti sbuffando ed andò ad aprire.

Era Brent.
Da solo.

“Ciao … accomodati” – lo invitò un po’ freddo il ragazzo di Louis, che gli volò al collo – “Ehi non ti aspettavo!”

“Sono felice di vederti in forma Boo, meno male” – lo salutò un po’ imbarazzato da quell’accoglienza a doppia lama.

“Haz è un angelo, merito suo” – e, passando a lui, gli si avvolse intorno al busto, approfittando della sua statura, del suo calore appassionato, che in ogni occhiata si colmava di tenerezza ed apprensione.

Il gesto minacciato da Lou, aveva lasciato un nuovo segno nel loro rapporto, imparagonabile a situazioni precedenti, purtroppo.

“La ragione della mia visita è … questa … Ora farò un’altra cazzata, Brendan non sa che sono qui …” – e mostrò un foglio, con quella che si rivelò una e-mail, stampata poche ore prima dal pc, in casa dell’analista.

Alla fine anche Brent aveva usato lo stesso sistema, più pratico e veloce di una missiva tradizionale, per fare arrivare al padre quello che poteva sembrare molte cose: una richiesta di attenzione, un grido di aiuto, una rivendicazione bella e buona.


“Ti ha risposto” – replicò algido Louis, sfiorandone i bordi, senza toglierla dalle dita del fratello.

“Infatti … anche per me è stata una sorpresa. Certo una reazione zero era impensabile”
Usava un gergo militare, almeno così sembrò al secondogenito di Tomlinson.

“Me la leggeresti, Brent?” – e lo fissò.

“Certo … vorrei sedermi …”
“Torniamo nel living” – si intromise Harry, indeciso su come proteggere Louis da quell’ennesima prova.
Avrebbe voluto prendere a calci Brent, non ammetteva quell’invasione, quel suo esistere così assordante nei giorni di Boo: certo avevano lo stesso sangue, i medesimi genitori, ma il cuore, l’anima di Louis, erano suoi.
Suoi e basta.

Strinse i pugni, ma si avviò anche a preparare un caffè, facendo finta che andava bene anche a lui, dopo che Louis, senza proferire parola, aveva reclamato anche la sua approvazione, cercando nuovamente il suo abbraccio, prima di andarsi ad accomodare davanti a Brent.

Boo sul tavolino, l’ex capitano sul sofà, incasinato di libri, dvd e pop corn.


Jared non c’era; non c’era proprio.

I polpastrelli di Colin, premevano al centro della sua nuca, mentre lo teneva a sé baciandolo delicatamente.
Al contrario, i fianchi dell’irlandese, colpivano e si nutrivano, senza mai saziarsi, in quel canale stretto e caldo, dove era bellissimo perdersi e fondersi a Jared, labbra schiuse nel vuoto, pulsazioni in bilico e sparpagliate tra presente e futuro.

Gli sembrò di annegare, come stava per finire Colin, mesi prima a poche centinaia di metri da quell’abitazione piuttosto isolata.

Jared lo strinse più convinto, tornando in quella stanza, sotto quel soffitto tremulo.

Le sue gambe esili, lo attirarono, bloccandolo dopo l’orgasmo, percependone gli ultimi ansiti convulsi e bagnati.

Leto prese un lungo respiro, premendo gli zigomi nella clavicola di Colin, che disse qualcosa di incomprensibile.

“Cole non …”
“Ti ho fatto male?” – lo andò a ripetere, confuso.

“No … come ti viene in mente?” – provò a riderne, ma il nodo alla gola lo stava soffocando.

Farrell lo scrutò, inclinando il capo, corrucciando le sopracciglia, in quell’abituale espressione, che poteva sedurti o distruggerti.

“Ci stiamo ammalando tutti … un poco alla volta” – e se ne andò via da lui, senza veemenza, ma anche senza ripensarci.



§ Ciao Brent,
sai, con queste cose sono imbranato, con il pc, ecco …
ti ringrazio per avermi scritto, dopo quel terribile pomeriggio, dove ho rischiato di perderti.
Leggo con orrore quanto ti è accaduto, per mano di quei due ufficiali: farò tutto quanto in mio potere per renderti giustizia.
Per prima cosa ho restituito i gradi o meglio ho avviato la pratica perché se li riprendano, non li voglio a queste condizioni.
Sei stato sacrificato quando invece avrebbero potuto scegliere chi ha corrotto le loro libido malate, seduto al tavolo insieme a noi.

Ci ho pensato a lungo, ci ho ragionato …
Non ci sono altre spiegazioni, la tua innocenza è palese: tu non sei come lui, come quel depravato, che non solo mi ricorda odiosamente vostra madre, nelle fattezze, ma anche nella subdola personalità.

Lo ha sempre difeso e tra simili ci si sceglie: puttana lei …

In compenso la tua divisa è appesa nell’armadio, potrai riaverla quando vuoi Brent.
Ho inviato questa mia alla residenza di quel ceffo, affinché anche quel finocchio senza spina dorsale, possa leggerla quanto prima.
Non riesco a definirlo figlio, per me è una disgrazia, ha rovinato anche te, separandoci.
E’ un dolore di cui dovrà rendermi conto, prima o poi.

Vive in un ambiente corrotto, non lasciarti coinvolgere.
Non lasciarti sedurre.
Avrai sempre un posto nel mio cuore, così in questa casa, che è casa tua Brent.
Questo è il tuo mondo.
Ci vedremo presto.
Promesso. §

Brent arrivò all’ultima riga senza mai interrompersi, avvampando e tremando.

“E’ un delirio Louis, ma non volevo che ti arrivasse senza preavviso …” – disse a corto di ossigeno.

Louis era come cristallizzato.
Ridacchiò frastornato.

“Ha … ha fatto persino lo spiritoso, in principio, con quella storia del pc … e poi ha scritto il tuo nome di continuo e …”

“Louis …? Boo” – Haz provò a distrarlo – “Tesoro guardami, io sono qui!” – e lo afferrò per le braccia magre, inginocchiandosi.

“La colpa è quindi mia … se ti hanno stuprato …?”

“Louis ascolta”
“NO! Ascolta tu Brent, ma cosa ti dice il cervello!!? Ti prenderei a calci nelle palle, per questa tua iniziativa del cazzo!!” – gli urlò in faccia Harry, ormai fuori controllo.

“La mia intenzione è una sola, proteggere Louis, oltre me stesso, da quel pazzo! Ha scritto ci vedremo presto ed io al solo pensiero mi sono sentito morire! E mi sono precipitato qui, senza mettere filtri tra noi! So che potevo andare dal signor Meliti, metterlo in mezzo, però la mia priorità è Boo, quindi Harry cerca di capirmi!”

“No … No, non la accetto Brent, questa tua ingenuità!”

“SMETTETELA!!”
L’urlo di Louis ruppe oltremodo l’aria.

Era esasperato, sfinito, abusato anche da quell’ultimo, estremo sfregio inferto alla sua dignità da quell’odiato genitore.
Tomlinson senior non era un folle.
Era così: senza scuse, senza uscita.

Louis lo aveva imparato sulla propria pelle, guardandolo dritto negli occhi, implorando pietà in singhiozzi, la bocca piena di sangue, indifeso e spezzato.

Nulla lo aveva impietosito, né anni prima, né al locale sul boulevard.

Il ragazzino dal sorriso luminoso, dai modi gentili, vivace di una spensieratezza contagiosa, così diverso ed atipico in quell’ambiente rigido e sterile, era tutto ciò che quell’uomo detestava e condannava come sbagliato, anzi putrido.

Era la morte, perché troppo vivo.

Ed un po’ moriva, Louis, per l’ennesima volta, anche in quel preciso istante.







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