martedì 26 novembre 2013

ZEN - CAPITOLO N. 219

Capitolo n. 219 – zen


Harry lo guardava muoversi tra le sue cose, in quell’ambiente lussuoso, nel quale era entrato per la prima volta insieme a Geffen.

Il giovane fu colpito dal lusso, ma anche dal carisma di Lux.

Ora lo stava osservando, nei mille dettagli, che di certo avevano fatto innamorare Louis.

Vincent aveva tutto ciò, che qualunque persona potesse desiderare: era gentile, premuroso, attento, ma anche mascalzone, virile, presente.

L’uomo perfetto per Boo.

Harry rifletteva su ciò che poteva fare la differenza, tra sé stesso e quell’antagonista, che non riusciva proprio a detestare, nel legame con Louis.

“Tu dovresti essere al locale con il tuo fidanzato, non qui con me. Bevi il mio aperitivo speciale e poi fila a divertirti, ok?” – disse simpatico, porgendogli una coppa di champagne.

“Non con questi presupposti”
“Quali?”

“Quelli scaturiti dal mio incontro di stamani con Louis” – replicò fermo.

“Ti ascolto …”



Downey appoggiò la fronte al finestrino.
Glam stava guidando, nonostante le deboli proteste dell’amico.

Si sentiva bene quella sera.

“Siamo in ritardo Rob?”

L’attore lo scrutò – “Sì … per tutto direi” – sussurrò svilito.

“Ok, brutta serata, saremmo dovuti restare a Palm Springs o meglio, IO ci sarei dovuto rimanere”

“E perché, sentiamo?”
“Mi pare ovvio Rob” – e gli accarezzò la gamba sinistra.

“Se c’è uno stronzo, qui, è unicamente il sottoscritto Glam: tu sei libero come l’aria, puoi fare ciò che vuoi, ma si dà il caso che io abbia un marito e dei figli insieme a Jude …”

“Dettagli di cui ero vagamente a conoscenza anch’io” – provò a scherzare.

Inutilmente.



Era un drive in vecchio stile.
Jared ci andava dal suo arrivo a Los Angeles, quando voleva rimanere solo con i propri pensieri e dilemmi esistenziali.

Il trasferimento in California non era stato semplice, fin dall’inizio.
Pochi soldi, molti sogni.

Li aveva realizzati quasi tutti ed in quel quasi, il leader dei Mars, adesso, ci infilava anche Geffen, al quale non riusciva a smettere di pensare.


Aveva risolto ben poco, scegliendo di non essere felice insieme a lui.

Certo Colin gli aveva donato ogni goccia della propria esistenza, accompagnando il generoso dono, con fardelli e guai di ogni sorta.

Jared non si era mai dato per vinto, ma gli risultava difficile non credere al fatto che, se avesse incontrato prima Glam, in quella città dove entrambi vivevano senza saperlo, forse avrebbe avuto un percorso più sereno.

Da subito, inoltre, non sarebbe finito a lavare i piatti al Dark Blue, a fare provini snervanti, a subire umiliazioni e persino ricatti.

Era bellissimo ed appetibile.

Una serie di maiali in giacca e cravatta se lo sarebbero portato a letto volentieri e, forse, in una di quelle notti piovose, Jared pensò di certo che prostituirsi avrebbe risolto più di un guaio, a lui ed a Shan, che ce la metteva tutta a costruirsi un futuro migliore, dopo troppi casini.

La madre, poi, aveva i propri demoni, come i figli del resto, demoni che andavano ben oltre il riuscire a mettere insieme il pranzo con la cena.

Potevano finire malissimo, invece il miracolo avvenne.

Con determinazione i fratelli Leto conquistarono ogni fottutissima cosa, senza cedere a compromessi: non più di tanto, insomma.

A ripercorrere quei fotogrammi vividi, Jared si commosse, stringendosi nel giubbotto, sempre troppo leggero, sul suo corpo gracile.

Quel corpo, che in molti ambivano, ma che pochi erano riusciti davvero a possedere.

Farrell era uno di questi.

E la memoria del leader dei Mars, cominciò a rincorrere gli attimi, in cui si innamorò di lui.

Strinse le palpebre, liberando due lacrime: “Colin mi manchi così tanto …” – singhiozzò inerme, mentre lo spettacolo cominciava.

Fuori la pioggia copriva tutto.
Lavava e portava via il dolore.

Qualcuno bussò ai vetri e Jared sobbalzò.

Quindi lo vide.
Zuppo e tremante.

“Cole …?!”

Disattivò le sicure e l’attore salì svelto.

“Me ne sono ricordato all’improvviso … che potevi essere qui Jay” – gli sorrise timido.

Si strinsero forte, baciandosi.

Fuori, le prime scene di Alexander the Great cominciarono a scorrere sullo schermo, come un sogno ad occhi aperti.



Ivan quasi lo bloccò all’interno delle toilette.
“E’ un sequestro?” – Christopher rise, senza alcuna intenzione di prenderlo in giro.

“Volevo chiederti una cosa” – replicò serio il sovietico.

“Ok … sentiamo”

“Un …” – tossì – “Un appuntamento”

Chris rimase zitto, incrociando, però, le braccia sul petto.

“Un vero appuntamento” – proseguì Ivan – “Così, per conoscerci un po’ meglio e per dimostrarti che non sono esclusivamente uno stallone, con cui divertirsi, senza pensieri”

“Mai pensata una cosa del genere …” – ribatté l’artista, in imbarazzo.

“Davvero? Sii onesto” – e rise, più sicuro di sé, vedendolo in difficoltà.

“Ok. Forse all’inizio … Considerandoti in questo modo, comunque, giudichi anche me … Ed hai ragione, probabilmente era ciò che cercavo e volevo, quando abbiamo cominciato a … a frequentarci”
“A scopare Chris” – confermò asciutto.

“Il concetto l’ho afferrato Ivan, dacci un taglio” – bissò infastidito.

Soprattutto dal batticuore, che lo stava opprimendo; molte cose di Ivan lo stavano catturando, dalla sua prestanza, all’abbigliamento semplice, ma molto efficace su quel fisico statuario e rassicurante.

“Dunque ho qualche speranza, Christopher?” – proseguì, più affabile.

“Devo pensarci”
“Quindi è un no”

“NO, cioè sì … Ma che cavolo!”

Ivan rise, constatando che lo aveva messo all’angolo.

“D’accordo, pensaci finché lo riterrai necessario Chris, il mio numero ce l’hai: io ci tengo a te. Vedi di non sprecarla questa occasione, perché non sono come quegli stronzi là fuori, specialmente il bellimbusto con cui sei venuto sino a qui: se vuoi un passaggio per il ritorno, sono disponibile a salvarti” – e fece per andarsene.

“Owen ed io dovevamo sposarci” – gli ringhiò contro la schiena, quasi ribellandosi alla sua disinvoltura.

Ivan si girò di scatto – “Se non l’hai fatto un motivo preciso dev’esserci: non sei nato per ridurti ad essere la bella statuina nella collezione di Rice o di altri!” – sbottò.

“Ma tu che cazzo ne sai di me!!?”

L’uomo sorrise, un po’ triste – “Più di quanto immagini. Buon proseguimento piccolo.”



Jude lo cinse da dietro, vedendolo assorto sul terrazzo del ristorante.

All’interno gli avventori stavano assaggiando le prelibatezze cucinate da Brent, entusiasta per il riscontro ottenuto.

Brendan si era improvvisato barista, con discreto successo.

“Ehi … Mi stavo chiedendo cosa servisse per farti tornare il sorriso Rob” – e gli baciò la nuca, con dolcezza.

“Vai dentro Jude … Vango immediatamente, promesso” – mormorò, artigliando la balaustra.

“Non senza di te” – e lo fece roteare, sigillando le loro labbra.

L’inglese sapeva di vino e brandy: Downey sembrò precipitare in un passato ormai sepolto, quando il suo ragazzo di Londra annegava nell’alcol il suo male di vivere.

Ed il disagio per non sapere scegliere se rifarsi o meno una vita con Robert, mandando al diavolo chiunque li ostacolasse.

Ci volle del tempo e molte discussioni, per arrivare ad ottenere una svolta.
Fu persino brutale il loro modo di dirlo alle rispettive compagne, ma non sarebbero tornati indietro, quindi occorreva una certa spietatezza, per non cedere, per non arrendersi.

In quel preciso frangente, però, Downey sentiva di avere fallito.
Senza appello.



Lux controllò l’ora.

“Il mio punto di vista l’hai ascoltato Harry, quindi a te la scelta” – sospirò, grattandosi il mento.

Era pieno di spigoli quell’ex poliziotto, ma non nel cuore.

Quello era come un bozzolo, che custodiva il sorriso di Louis.

Vincent gliela aveva raccontata in quel modo, la sua situazione irrisolta, verso un ragazzino, capace di dargli la voglia di andare avanti, di aspettarsi ancora qualcosa di bello.

Eppure vi aveva rinunciato, senza rancori: il futuro, per Boo, era il suo Haz, il suo angelo dai capelli corvini e riccioluti, i suoi occhi grandi e verdi, come i prati, dove gli innamorati possono correre a piedi nudi, certi di non farsi male.

Erano immagini poetiche, proiezioni romantiche, adatte a quella giornata di San Valentino; ci avevano persino riso su.

“Vincent ho abusato della tua pazienza e non riesco a rendermi conto di come tu possa comunque soffrire, a causa di Louis”

“Non per colpa sua, ma nemmeno tua, sia chiaro: voglio vedervi oltre questo buio, questa incertezza. Risolvi il problema, Harry, non dire più che tu e Louis potete vivere anche senza il colonnello Tomlinson, come se lui non esistesse: purtroppo c’è e continuerà a nuocervi, è inevitabile”

“Sì … Troverò il modo … Te lo garantisco.”

“Perfetto”
“Ok” – e sorridendo, Haz rimise il cappotto.

Lux glielo allacciò, ammirandolo – “Un vero principe” – sorrise paterno, quindi lo congedò, scortandolo sino alla blindata, che si richiuse greve, contro il buio di quella notte senza fine apparente.


















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