Capitolo n. 219 – zen
Harry lo guardava
muoversi tra le sue cose, in quell’ambiente lussuoso, nel quale era entrato per
la prima volta insieme a Geffen.
Il giovane fu colpito
dal lusso, ma anche dal carisma di Lux.
Ora lo stava
osservando, nei mille dettagli, che di certo avevano fatto innamorare Louis.
Vincent aveva tutto
ciò, che qualunque persona potesse desiderare: era gentile, premuroso, attento,
ma anche mascalzone, virile, presente.
L’uomo perfetto per
Boo.
Harry rifletteva su
ciò che poteva fare la differenza, tra sé stesso e quell’antagonista, che non
riusciva proprio a detestare, nel legame con Louis.
“Tu dovresti essere
al locale con il tuo fidanzato, non qui con me. Bevi il mio aperitivo speciale
e poi fila a divertirti, ok?” – disse simpatico, porgendogli una coppa di
champagne.
“Non con questi
presupposti”
“Quali?”
“Quelli scaturiti dal
mio incontro di stamani con Louis” – replicò fermo.
“Ti ascolto …”
Downey appoggiò la
fronte al finestrino.
Glam stava guidando,
nonostante le deboli proteste dell’amico.
Si sentiva bene
quella sera.
“Siamo in ritardo
Rob?”
L’attore lo scrutò – “Sì
… per tutto direi” – sussurrò svilito.
“Ok, brutta serata,
saremmo dovuti restare a Palm Springs o meglio, IO ci sarei dovuto rimanere”
“E perché, sentiamo?”
“Mi pare ovvio Rob” –
e gli accarezzò la gamba sinistra.
“Se c’è uno stronzo,
qui, è unicamente il sottoscritto Glam: tu sei libero come l’aria, puoi fare
ciò che vuoi, ma si dà il caso che io abbia un marito e dei figli insieme a
Jude …”
“Dettagli di cui ero
vagamente a conoscenza anch’io” – provò a scherzare.
Inutilmente.
Era un drive in vecchio stile.
Jared ci andava dal
suo arrivo a Los Angeles, quando voleva rimanere solo con i propri pensieri e
dilemmi esistenziali.
Il trasferimento in
California non era stato semplice, fin dall’inizio.
Pochi soldi, molti sogni.
Li aveva realizzati
quasi tutti ed in quel quasi, il
leader dei Mars, adesso, ci infilava anche Geffen, al quale non riusciva a
smettere di pensare.
Aveva risolto ben
poco, scegliendo di non essere felice insieme a lui.
Certo Colin gli aveva
donato ogni goccia della propria esistenza, accompagnando il generoso dono, con
fardelli e guai di ogni sorta.
Jared non si era mai
dato per vinto, ma gli risultava difficile non credere al fatto che, se avesse
incontrato prima Glam, in quella città dove entrambi vivevano senza saperlo,
forse avrebbe avuto un percorso più sereno.
Da subito, inoltre,
non sarebbe finito a lavare i piatti al Dark Blue, a fare provini snervanti, a
subire umiliazioni e persino ricatti.
Era bellissimo ed
appetibile.
Una serie di maiali
in giacca e cravatta se lo sarebbero portato a letto volentieri e, forse, in
una di quelle notti piovose, Jared pensò di certo che prostituirsi avrebbe
risolto più di un guaio, a lui ed a Shan, che ce la metteva tutta a costruirsi
un futuro migliore, dopo troppi casini.
La madre, poi, aveva
i propri demoni, come i figli del resto, demoni
che andavano ben oltre il riuscire a mettere insieme il pranzo con la cena.
Potevano finire
malissimo, invece il miracolo avvenne.
Con determinazione i
fratelli Leto conquistarono ogni fottutissima cosa, senza cedere a compromessi:
non più di tanto, insomma.
A ripercorrere quei
fotogrammi vividi, Jared si commosse, stringendosi nel giubbotto, sempre troppo
leggero, sul suo corpo gracile.
Quel corpo, che in
molti ambivano, ma che pochi erano riusciti davvero a possedere.
Farrell era uno di
questi.
E la memoria del
leader dei Mars, cominciò a rincorrere gli attimi, in cui si innamorò di lui.
Strinse le palpebre,
liberando due lacrime: “Colin mi manchi così tanto …” – singhiozzò inerme,
mentre lo spettacolo cominciava.
Fuori la pioggia
copriva tutto.
Lavava e portava via
il dolore.
Qualcuno bussò ai
vetri e Jared sobbalzò.
Quindi lo vide.
Zuppo e tremante.
“Cole …?!”
Disattivò le sicure e
l’attore salì svelto.
“Me ne sono ricordato
all’improvviso … che potevi essere qui Jay” – gli sorrise timido.
Si strinsero forte,
baciandosi.
Fuori, le prime scene
di Alexander the Great cominciarono a scorrere sullo schermo, come un sogno ad
occhi aperti.
Ivan quasi lo bloccò
all’interno delle toilette.
“E’ un sequestro?” –
Christopher rise, senza alcuna intenzione di prenderlo in giro.
“Volevo chiederti una
cosa” – replicò serio il sovietico.
“Ok … sentiamo”
“Un …” – tossì – “Un
appuntamento”
Chris rimase zitto,
incrociando, però, le braccia sul petto.
“Un vero appuntamento”
– proseguì Ivan – “Così, per conoscerci un po’ meglio e per dimostrarti che non
sono esclusivamente uno stallone, con cui divertirsi, senza pensieri”
“Mai pensata una cosa
del genere …” – ribatté l’artista, in imbarazzo.
“Davvero? Sii onesto”
– e rise, più sicuro di sé, vedendolo in difficoltà.
“Ok. Forse all’inizio
… Considerandoti in questo modo, comunque, giudichi anche me … Ed hai ragione,
probabilmente era ciò che cercavo e volevo, quando abbiamo cominciato a … a
frequentarci”
“A scopare Chris” –
confermò asciutto.
“Il concetto l’ho
afferrato Ivan, dacci un taglio” – bissò infastidito.
Soprattutto dal
batticuore, che lo stava opprimendo; molte cose di Ivan lo stavano catturando,
dalla sua prestanza, all’abbigliamento semplice, ma molto efficace su quel
fisico statuario e rassicurante.
“Dunque ho qualche
speranza, Christopher?” – proseguì, più affabile.
“Devo pensarci”
“Quindi è un no”
“NO, cioè sì … Ma che
cavolo!”
Ivan rise,
constatando che lo aveva messo all’angolo.
“D’accordo, pensaci
finché lo riterrai necessario Chris, il mio numero ce l’hai: io ci tengo a te.
Vedi di non sprecarla questa occasione, perché non sono come quegli stronzi là
fuori, specialmente il bellimbusto con cui sei venuto sino a qui: se vuoi un
passaggio per il ritorno, sono disponibile a salvarti” – e fece per andarsene.
“Owen ed io dovevamo
sposarci” – gli ringhiò contro la schiena, quasi ribellandosi alla sua
disinvoltura.
Ivan si girò di
scatto – “Se non l’hai fatto un motivo preciso dev’esserci: non sei nato per
ridurti ad essere la bella statuina nella collezione di Rice o di altri!” –
sbottò.
“Ma tu che cazzo ne
sai di me!!?”
L’uomo sorrise, un po’
triste – “Più di quanto immagini. Buon proseguimento piccolo.”
Jude lo cinse da
dietro, vedendolo assorto sul terrazzo del ristorante.
All’interno gli
avventori stavano assaggiando le prelibatezze cucinate da Brent, entusiasta per
il riscontro ottenuto.
Brendan si era
improvvisato barista, con discreto successo.
“Ehi … Mi stavo
chiedendo cosa servisse per farti tornare il sorriso Rob” – e gli baciò la
nuca, con dolcezza.
“Vai dentro Jude …
Vango immediatamente, promesso” – mormorò, artigliando la balaustra.
“Non senza di te” – e
lo fece roteare, sigillando le loro labbra.
L’inglese sapeva di
vino e brandy: Downey sembrò precipitare in un passato ormai sepolto, quando il
suo ragazzo di Londra annegava nell’alcol il suo male di vivere.
Ed il disagio per non
sapere scegliere se rifarsi o meno una vita con Robert, mandando al diavolo
chiunque li ostacolasse.
Ci volle del tempo e
molte discussioni, per arrivare ad ottenere una svolta.
Fu persino brutale il
loro modo di dirlo alle rispettive compagne, ma non sarebbero tornati indietro,
quindi occorreva una certa spietatezza, per non cedere, per non arrendersi.
In quel preciso
frangente, però, Downey sentiva di avere fallito.
Senza appello.
Lux controllò l’ora.
“Il mio punto di
vista l’hai ascoltato Harry, quindi a te la scelta” – sospirò, grattandosi il
mento.
Era pieno di spigoli
quell’ex poliziotto, ma non nel cuore.
Quello era come un
bozzolo, che custodiva il sorriso di Louis.
Vincent gliela aveva
raccontata in quel modo, la sua situazione irrisolta, verso un ragazzino,
capace di dargli la voglia di andare avanti, di aspettarsi ancora qualcosa di
bello.
Eppure vi aveva
rinunciato, senza rancori: il futuro, per Boo, era il suo Haz, il suo angelo
dai capelli corvini e riccioluti, i suoi occhi grandi e verdi, come i prati,
dove gli innamorati possono correre a piedi nudi, certi di non farsi male.
Erano immagini
poetiche, proiezioni romantiche, adatte a quella giornata di San Valentino; ci
avevano persino riso su.
“Vincent ho abusato
della tua pazienza e non riesco a rendermi conto di come tu possa comunque
soffrire, a causa di Louis”
“Non per colpa sua,
ma nemmeno tua, sia chiaro: voglio vedervi oltre questo buio, questa
incertezza. Risolvi il problema, Harry, non dire più che tu e Louis potete
vivere anche senza il colonnello Tomlinson, come se lui non esistesse:
purtroppo c’è e continuerà a nuocervi, è inevitabile”
“Sì … Troverò il modo
… Te lo garantisco.”
“Perfetto”
“Ok” – e sorridendo,
Haz rimise il cappotto.
Lux glielo allacciò,
ammirandolo – “Un vero principe” – sorrise paterno, quindi lo congedò,
scortandolo sino alla blindata, che si richiuse greve, contro il buio di
quella notte senza fine apparente.
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