mercoledì 6 aprile 2011

GOLD - Capitolo n. 123

Capitolo n. 123 – gold



Il volo per Haiti era stato annullato a causa di un guasto all’aereo.
La compagnia si scusò con i passeggeri, facendoli scendere e prenotando un albergo poco distante, per chi avesse voluto aspettare il giorno seguente per partire.
Colin fu tra questi.
Nervosamente consumò un pasto in camera, raccontando balle a chiunque lo cercasse.
Teneva acceso il cellulare solo per i bambini, ma mentì proprio a tutti.
Claudine fu la più sospettosa, visto che non capiva chi fosse il produttore, che lo aveva contattato proprio a quel party della Universal, ma tagliìo corto, per non importunarlo, visto quanto fosse scontroso nelle risposte.
Prendere sonno divenne impossibile senza ingurgitare un forte tranquillante, così come essere lucido senza mandare giù una pillola bicolore, gialla e rossa, simboli di vivacità e vigore.
L’associazione di idee lo fece ridacchiare, poi nascose le pupille dilatate dietro agli occhiali scuri, sistemandosi vicino al finestrino.
Il sole stava tramontando, i suoi colori investirono la mente di Colin, ormai distaccata da ciò che lo circondava.


Geffen aveva detto a Farrell dove trovare Jared.
Quella strana telefonata era arrivata mentre stava raccontando una fiaba a Lula: “Non… non dirlo a Jared, vorrei fargli una sorpresa…” – gli disse Colin contenendo la propria trepidazione.
Era inutile nasconderglielo.
Era il padre dei suoi figli, a Los Angeles avevano dei bambini, che avevano il diritto di sapere dove fosse il loro genitore.

Salí di corsa le scale.
Erano le undici di sera.
Jared, stravolto dai turni alla mensa ed all’ambulatorio dell’ospedale, si era giá messo a letto.
Quando sentí bussare freneticamente alla porta, pensó a Glam, ma lo aveva visto la notte prima, per cui sarebbe rimasto con Lula e le ragazze.
Si alzó lentamente, indossando i pantaloni del pigiama di cotone, che sistemó, visto che gli erano scivolati lungo i fianchi, a causa di un ulteriore dimagrimento.
Chi era sul suo pianerottolo non aveva acceso la luce del vano scala.
Cercó di scrutare la figura nell’oscuritá, poi con voce roca chiese chi era.
Nessuna risposta.
In compenso il lungo suono del campanello lo irritó.
Accese le lampade del salotto e spalancó la porta – “Cazzo sveglierai tutto il palazzo e... Colin…?!”
“Ciao Jared... ti ho trovato finalmente...”
“Ma... chi ti ha detto... Glam...?”
“Sí, ma non prendertela con lui. Posso entrare?”
“Prendermela con lui?” – chiese perplesso, poi proseguì – “Certo... vieni... é... è successo qualcosa...?”
Farrell rise istericamente – “Qualcosa... qualcosa Jared??!”
“Calmati... ho la testa a pezzi...”
“Ed io ho il cuore a pezzi...!” – ribatté disperato.
“Non sei l’unico... perché sei qui? I bambini come stanno?”
“Loro... loro stanno bene... Ho cura dei nostri figli, non li ho abbandonati.”
Jared sospiró, allargando le braccia, per poi strofinarsi gli occhi – “Lo hai fatto anche tu... se ora mi stai accusando di questo...” – replicó guardandolo.
“Ok... ok, ho rovinato tutto, ti sta bene cosí Jared? Ti soddisfa abbastanza questo mio atto di umiltá?”
“Lo sapevo anche senza che tu venissi qui. E sono mortificato per quella telefonata, per Glam…Potevi dirmelo che venivi qui…”
“Dovevo chiederti il permesso Jared?”
“No… no, ma…”
“Vuoi sapere il motivo per cui sono qui?! Sono venuto a riprendere ció che mi appartiene.”- disse deciso.
“Non sono un pacco postale!” – gridó, incurante di cosa potessero pensare i vicini, ricordandosi solo in quel momento che erano tornati in Australia.
Al piano sottostante c’erano degli studi medici ed uno legale, era solo.
“No... hai ragione Jared... tu sei il mio compagno ed appartieni a me, è questo che mi hai detto e ripetuto per anni...”
“Io sono mio e tu sei tuo Colin, il resto non conta, perché alla fine ognuno di noi ha vissuto la propria vita, gli sbagli, i dolori, le umiliazioni e le gioie, con trasporto ed egoismo, non sempre coinvolgendo l’altro... vero?”
“Quante volte ed in quanti modi devo chiederti scusa Jared cazzo!!?!”
“Mi hai chiesto scusa a casa nostra, non devi ripeterti, dovresti solo accettare e rispettare le mie decisioni.”
“Non... non posso... sto impazzendo senza di te... come ci siamo ridotti cosí...?”
Abbassó lo sguardo, come se fosse solo l’inizio di qualcosa che poteva solo peggiorare.
Diede uno schiaffo a Jared, improvviso, a mano aperta, tanto forte da farlo cadere.
Come una furia lo tiró sú, portandolo con pochi passi feroci sul letto disfatto – “È qui che ti fai scopare da Glam?!?” – urlava come un ossesso ed allo stesso modo strappava quel cencio che copriva malamente Jared.
Lui non riusciva ad opporsi, a quella rabbia ed a quelle mani, che gli stavano stritolando ora le braccia, ora i fianchi, mentre Farrell lo sbatteva a pancia in giú, bloccandolo con una morsa sulla nuca.
“Cole... Cole... ti prego... non ... non farlo…!”
In modo convulso si denudó sommariamente, quel tanto necessario a prenderlo, con brutalitá.
Jared strinse le lenzuola con le mani tremanti, piangendo, mentre Colin spingeva, mordendogli la schiena, marchiandolo dentro e fuori.
Jared era esile e debole.
Fu vinto e sopraffatto in pochi minuti.
Ancora una volta.
La voce di Colin, le parole dolci, tutto il bello che era stato tra di loro in anni felici, sembró annullarsi, in quelli che a Jared sembravano i grugniti di un essere immondo che si era impadronito del suo piú grande amore.
Come poteva essere Colin quello che lo stava abusando, lo riempiva del proprio sesso, che andava ingrossandosi man mano che stava raggiungendo l’apice, in un orgasmo viscido e cattivo?
Gli tiró i capelli, sugli ultimi colpi, infilandogli due dita in bocca, incurante del suo pianto.
Se fossero state pugnalate, avrebbero fatto meno male, Jared pensó solo a questo.
Nei suoi occhi non abitavano piú lacrime.
Nel suo cuore, non respirava piú alcun dolore.
Sentí la blindata chiudersi, dopo che Colin aveva raccolto i vestiti, rivestendosi, senza dire niente, come un automa senza vita.
Era andato via.
Jared si sentí morire e fino all’alba pensó di esserlo per davvero.

Colin prese un volo alle due del mattino per tornare alla End House.
Entró nei bagni dell’aeroporto per ricomporsi e lavarsi il viso.
Vomitó anche l’anima nel primo cesso libero.
Prese un paio di tranquillanti e senza ricordarsi come, si ritrovó seduto vicino al finestrino, a fissare il vuoto sotto di lui.
Era come un baratro, proprio come quello che aveva nell’animo.

Jared sentí la chiave girare nella serratura.
“Glam...” – mormoró, cercando di sollevarsi, per poi ricadere tossendo.
“Jared...? Jared ci sei...?”
La sua voce era la cosa migliore che potesse ascoltare.
Entró nella stanza con passi incerti.
“Jared... mio Dio... tesoro cosa è successo?!”
Lo strinse a sé, portandolo al centro, accarezzandogli il viso febbricitante.
“Amore... Colin è venuto qui... mi ... mi ha aggredito...”- non riusciva ad usare la parola violentato, lo faceva stare anche peggio.
“Come... come ha potuto...?”
La domanda era rivolta piú a sé stesso, non riusciva ad immaginare Farrell comportarsi in quel modo.
Era un incubo.
“Glam... devo... lavarmi... mi faccio schifo...” – disse singhiozzando, stava per esplodere, focalizzando tutti i momenti di poche ore prima.
Geffen lo portó nella vasca, riempiendola al colmo, immergendosi nudo insieme a lui.
Lo pulí con cura, le macchie erano invisibili, ma il senso di oppressione in Jared era vivido come se fosse caduto nel fango.
“Anche ... anche lí... ti prego Glam...” – gemette, accompagnando la mano di Geffen tra le sue gambe, sussultando quando sfioró la sua fessura violata.
Jared affondó il volto nel collo di Glam, le sue dita si chiusero sul suo petto, strizzando le palpebre gonfie.
“Jared... ti porto in ospedale...”
“A... a fare cosa... a fare cosa…?” – la sua voce ormai era flebile, sconfitta.
Sentí come se non avesse piú potuto ridere per il resto dei suoi giorni.
L’eternitá aveva un sapore triste.

Glam lo fece stendere di nuovo, dopo avere rifatto il letto, con biancheria pulita.
Gli tolse l’accappatoio, coprendolo con una coperta di cotone lavorato.
Gli portó del tè caldo ed una fetta di dolce avanzata dalla cena che avevano consumato sulla spiaggia la domenica precedente.
“Devi mangiare qualcosa... avanti Jared...”
Gli obbedí diligentemente.
Misurarono la temperatura, risultó nella norma.
Anche il suo colorito era migliorato.
Geffen abbassó le tapparelle, arieggiando tutta la casa, per poi attivare il condizionatore.
Portó a Jared della frutta; mangió anche quella, senza protestare.
Si sentiva meglio e lo disse a Glam.
“Devi ... devi tornare al lavoro...?”
“No Jared. Non ti lascio da solo.”
“Glam... io... io ti amo...” – lo bació, leccandogli poi le labbra – “Ho bisogno di te...”
“Jared... ascoltami...”
“No... no... no…” – era come una cantilena.
Lo spoglió, portandolo sotto di sé, per poi scivolare sino al suo sesso, succhiandolo, mentre le loro mani si erano intrecciate.
Risalí, accovacciandosi e facendosi penetrare fino in fondo – “Ahh… Glam...!” – si morse le labbra, poi lo bació, con foga.
Geffen brandí i suoi fianchi, aiutandolo in quell’amplesso, che mescolava desiderio e disperazione.
“Jay... Jared... io non voglio... non voglio farti male...”
“Fammi ció che vuoi... io voglio te... voglio te amore...” – sembró frantumare il suo corpo sopra di lui, fino a farlo godere.
Lo sperma di Glam era purificatore, Jared se ne convinse.
Crolló, il respiro convulso, ma cercando ancora dei baci e delle carezze.
Geffen non gli negó nulla.
Era dannatamente appagato.

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