lunedì 4 aprile 2011

GOLD - Capitolo n. 121

Capitolo n. 121 – gold



Brandon stava sorseggiando un tè alla menta, accompagnandolo ad una torta di mirtilli davvero squisita.
Sorrise, stava mandando un sms a Kurt.
Colin entró nella sala da pranzo, salutandolo – “A che ora hai il volo?”
“Alle nove e trenta… stai uscendo? Che eleganza.”
“Sí… un party della Universal, sai è da tanto che non esco, ma stasera mi sono dato una mossa…”
“Lo vedo… Credo che ti fará bene Colin.”
“Davvero?” – domandó grattandosi i capelli spettinati ad arte, era davvero affascinante.
“Lo hai detto a Jared?”
“No… no, cioè gli ho scritto una email dove gli accennavo la cosa, ma temo non faccia differenza, cioè non penso che sará geloso o paranoico, come lo sono io su di lui…”
“E se stessi dando per scontato qualcosa?”
Colin rise nervosamente – “Qualcosa Brandon? Ad esempio? Che va a letto con un altro? O peggio, che lo ama?”
“Senti, ammesso che sia ancora cosí, dopo che mi hai detto che sia Jared che Glam avevano rinunciato a vivere questo loro legame, tu cosa pensi di fare? Di subire? Di aspettare? Di roderti nel dubbio o di combattere per l’uomo che ami?” – chiese deciso.
Colin fece spallucce, come se non avesse piú alcuna importanza – “Io sono distrutto… sono come… come Alessandro Magno dopo lo scontro con Dario: in sostanza non sapeva ancora di avere vinto o comunque restava in sospeso, ma intorno a sé c’erano solo cadaveri, sangue, distruzione, urla straziate ed una terribile desolazione… Ho una pallida speranza che Jared torni da me, ma anche se ne fossi certo, prima che ció avvenga, cosa ci siamo lasciati dietro, dopo il nostro passaggio fatto di sbagli e stronzate? Probabilmente il paragone non è efficace, ma il senso di vuoto e di sconfitta in me resta e sono… come spezzato, come se questa ferita non potesse mai rimarginarsi, perché inferta con estrema cattiveria da parte sua… eppure io lo amo, lo amo ogni giorno di piú, ma anziché animarmi, questo sentimento mi sta stritolando… Ho… ho davvero paura Brandon, di non farcela… di non arrivare a quel giorno in cui lui, forse, tornerá da me.”

Tanti volti noti, peró uno tra tutti attiró la sua attenzione ed un minimo di entusiasmo.
“Jonathan! Ehi Jo!”
Si corsero incontro, abbracciandosi.
Jonathan Ryes Mayer era un amico d’infanzia, uno di famiglia, in quell’Irlanda lontana, uno a cui voleva bene e con il quale Farrell ne aveva combinate di tutti i colori.
“Vecchio bastardo… Dio ma quanto tempo!” – esplose di gioia, nel salutarlo.
Ben presto si appartarono su di un divanetto a parlottare degli ultimi film, dei ricordi, evitando la vita privata.
“Ti trovo bene Colin… anche se hai gli occhi un po’ tristi…”
“Sono preoccupato per la mia famiglia…”
“Problemi con Jared?”
Colin sospiró, non aveva voglia di confidarsi su quell’argomento – “Ci vediamo poco, troppi impegni…”
“Sí, ho visto dei servizi su Haiti, è una cosa bella…”
“Sicuramente, ma ne sacrifica altre… a te come vanno le cose?” – tentó di cambiare discorso, tossendo, mentre beveva la solita diet coke.
“Ho lasciato tutti.”
“Tutti chi?”
“Avevo… avevo una tipa… e poi un tipo ahahahah”
I gusti sessuali di Jo erano noti, cosí come la sua esistenza turbolenta tra le lenzuola.
“E nessuno dei due andava bene?”
“A modo loro, non mi amavano, facevano gli stessi errori… una situazione ridicola!”
“Ti capisco…” – aggrottó la fronte.
“Ehi Cole, usciamo da questo mortorio, ho una bella limousine qui fuori, ti offro una sigaretta e parliamo con piú calma.”

Glam aveva noleggiato dei film ed avevano scelto una storia di fantascienza, che non interessava né a lui e tanto meno a Jared, rannicchiato sotto la sua ala protettiva, la guancia destra sul cuore di Geffen e la mano sinistra del cantante intrufolata sotto alla sua camicia sbottonata a metá.
Jared gli sfiorava un capezzolo, poi pizzicava piano la pelle, sorridendo nascondendosi nella spalla di Glam, che sembrava indifferente ed immerso in altri pensieri.
Nel primo pomeriggio aveva trovato Lula nel proprio ufficio, impegnato in un’allegra telefonata con Kevin.
Lo guardava mentre gli raccontava dei compagni di asilo, dei disegni e del suo papá.
“Quando vieni da noi?”
“Piccolo non lo so… devo fare tanti concerti, ma poi mi avrai tutto per te, promesso…”
“Ok… ah c’è papá Glam!” – esclamó entusiasta e, prima ancora che Kevin potesse evitarlo, Lula passó il cellulare a Geffen, ugualmente indeciso e turbato.
“Ciao amore… come stai Kevin?”
“Daddy… a posto… non preoccuparti.”
“Dove sei ora?”
“A Tokio…restiamo qui cinque giorni, abbiamo due concerti… Devo andare Glam. Mi ripassi nostro figlio?”
“Sí… sí certo… a presto.”
Kevin non replicó, era sufficiente il suo respiro penoso.

Jared si sollevó, fissando Geffen – “Cos’hai stasera?...”
Lui ebbe un minimo sussulto, ma non disse niente.
“Sei proprio altrove Glam…” – disse deluso, alzandosi per prendere da bere.
“No sono qui con te.” – ribatté con voce scura.
“Se ti dispiace cosí tanto puoi sempre andartene.” – mormoró aspro.
“Vorrei farlo, ma non ci riesco.”
Jared si fermó al centro della stanza, posando la lattina che stava bevendo, senza sentire il sapore della bibita ai frutti esotici preferita.
“Non penso che tu sia ammanettato al divano… Hai parlato con Kevin, giusto?”
“Sí. Sí gli ho parlato oggi, senza piú nascondermi dietro a degli stupidi ed aridi sms.”
“Ok, è sempre la stessa storia tra noi, i sensi di colpa in cui ti maceri e da cui non riesci ad uscire, non ci riesci Glam perché tu stesso aumenti i motivi per sentirti colpevole, l’ultimo si chiama Lula, il figlio che pensavi fosse necessario per non amarmi!”
Geffen gli andó vicino, senza mai abbassare lo sguardo – “Tu… tu sei cosí irritante… dici cose orribili quando ti senti all’angolo, quando non prevali su tutti gli altri, ma addirittura usare un bambino…”
“NOO!! Sei tu che USI UN BAMBINO! E non lo capisci neppure il gesto, il modo in cui collezioni decisioni avventate!” – gli urló ad un centimetro dal viso.
“Hai la memoria corta Jared! Tu stesso mi hai incitato a fare il passo dell’adozione, con parole dolcissime, non come adesso che stai straparlando!”
“Io… io non straparlo, io non riesco a…Lasciamo perdere, adesso vattene sul serio!” – e si avvió verso la terrazza, ma Glam lo seguí.
“Hai ragione sai Jared?!! Non funzionerá mai tra noi! Non ne usciamo da questo immondezzaio, ci caschiamo periodicamente, ci pentiamo, ci insultiamo e poi…” – “ IMMONDEZZAIO??!!” –protestó in preda all’ira, sferrandogli uno schiaffo, per ricevere un manrovescio, che lo fece sbattere contro allo stipite, accasciandolo sul pavimento.
Geffen non dosava mai la forza fisica, soprattutto con un uomo gracile come Jared.
Si inginocchió, allarmato – “Ja… Jared… Dio scusami io non… non volevo…”
“Io… io so renderti felice… ma tu… tu non vuoi amarmi… tu non vuoi…” – pianse, coprendosi il volto con l’avambraccio, come a proteggersi da ulteriori attacchi, ma Geffen lo prese in braccio, portandolo sul letto, tentando di baciarlo, ma Jared si ritrasse, dandogli poi le spalle, che l’altro cinse subito, trasmettendogli calore ed ogni premura possibile – “Jared io… io non ho mai amato nessuno quanto amo te…” – singhiozzando lo strinse.
Si spogliarono, baciandosi.
Jared si appese al suo collo, impedendogli di osservare le sue espressioni, mentre Glam si spingeva in lui, entrambi pervasi di sudore e lacrime, che prevalevano su tutto il piacere di quell’orgasmo disperato.

Jo estrasse un portasigarette d’argento, dalla tasca interna della giacca firmata.
“Carino quello…”
“Regalo del mio ex… Ti ricordi cosa ci fumavamo Cole?”
“Cazzo sí… certi viaggi…”
“Sú in memoria dei vecchi tempi…” – ed accese uno spinello, passandolo poi all’amico.
Farrell sembró riflettere sulla cazzata che stava facendo per non piú di trenta secondi, poi cedette.
“Ok… ok, cazzo è solo erba… prendo certa merda per stare in piedi, questo non sará peggio…”

Seduti sugli ampi sedili posteriori, soli in mezzo ad un parco circostante la villa, dove la festa si stava scatenando, un po’ come le loro risate e le chiacchiere, sempre piú contorte, alterate dal fumo, che infestava l’abitacolo.
Jo sghignazzava sui propri disastri sentimentali, ma Colin non era da meno.
“Che falliti ahahhaha che stronzi ahahhaha… Cole, ma siamo messi male… ahahhahah”
“Uno schifo… uno schifo… cazzo che caldo!”
“Sí… e togliti questa roba… sto soffocando anch’io… Cazzo!! Aahahhah”
Erano totalmente allucinati.
Jo provó ad accendere un’altra sigaretta, ma Colin gliela strappó – “Ora basta… diamoci una calmata…”
“Non… non ci penso proprio Cole!”
Farrell la nascose dietro alla schiena e Jo tentó di riprenderla, poi si schiantó sul petto nudo dell’altro, conciato come lui solo con i jeans, senza capire bene come si erano ridotti in quel modo.
“Che buon odore che hai Cole…” – ansimó risalendo alla sua bocca, impossessandosene improvviso.
Farrell si staccó – “Jo… cazzo smettila…”
“Ma figurati… sei arrapante… non ti vedi?”
Insistette, per poi scendere veloce sino ai capezzoli, poi all’ombelico, mentre ormai erano distesi, Colin sotto di lui, che sembrava non volersi fermare affatto.
Slacció i pantaloni a Colin, che faticava a respirare, provando una nausea crescente.
Jo era ormai con le labbra sotto ai suoi boxer, che scivolarono di poco, per scoprire un’erezione che non gli stava trasmettendo impulsi piacevoli, ma era come qualcosa di estraneo.
“No… no fermati… io non … io non voglio Jo…”
Fu inutile, ormai il suo sesso era preda delle attenzioni di Jonathan, che succhiava come un ossesso.
“SMETTILA!!!”
Colin sembró destarsi da un sonno profondo, sentí come un pugno allo stomaco.
Allontanó da sé Jo con irruenza, riprendendo i vestiti e gettandosi fuori dall’auto.
Stava piovendo, neppure se ne erano accorti.
Pregando mentalmente che non ci fossero paparazzi, inizió a premere il pulsante del telecomando del suv, vedendo finalmente le quattro frecce accendersi.
Salí rapido, mettendo in moto e partendo.
Passati alcuni isolati si fermó.
Era a pezzi.
L’aria fresca lo aveva fatto riprendere, ma l’impulso di vomitare ebbe il sopravvento.
Si infiló in un vicolo, liberandosi.
Chiamó poi Simon, non se la sentiva di guidare ancora.
Lo soccorse senza fare domande.
Mentre rientravano alla End House, Colin appoggiato al finestrino scrutava il buio, sentendosi perduto, definitivamente.




JONATHAN RYES MAYER

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