giovedì 29 agosto 2013

ZEN - CAPITOLO N. 173

Capitolo n. 173 – zen


“Che succede?”
Lo sguardo di Harry si conficcò in quello di Louis, appoggiato alla penisola del living di Geffen, rimasto nello studio accanto, incuriosito da quell’incontro richiesto da Lux, seduto sul davanzale.

“E lui cosa vuole?” – insistette Haz, in quella richiesta di chiarimenti immediati.

“Lui ha un nome: Vincent. Ed è una brava persona” – precisò fissandolo Louis, immobile e pallido.
“Non stai bene …?” – chiese Harry, notando il suo pallore, facendogli vibrare l’addome.

“Oggi doveva essere una giornata speciale”
Lou sembrò cominciare quel discorso, prendendo le distanze, non solo fisiche dal compagno, ma, soprattutto, dalle proprie emozioni tumultuose.
Lux non diceva nulla.
Li osservava.

“In che senso, Lou?”
“Nel senso che avremmo fatto qualcosa di straordinario, tu ed io, non senza l’aiuto di Vincent, ma a ciò c’è una spiegazione plausibile e pulita.”
“Non … non capisco”
“Si chiamava Jacques, suo figlio intendo: parlo al passato, perché Vincent l’ha perso in un incidente, una disgrazia dalla quale non si è mai ripreso completamente.”
“Mi dispiace …” – mormorò Haz, senza comunque guardare Lux direttamente.
“In me ha rivisto Jacques, tanto da non mancarmi mai di rispetto, anzi, al suo posto, chiunque avrebbe approfittato della nostra crisi, prima della Francia, però lui non l’ha fatto e si è prodigato affinché io tornassi da te, con …” – Louis sorrise amaro – “… con una specie di dote, molto sostanziosa, di cui disporre liberamente, senza compromessi”
Harry inarcò il sopracciglio sinistro, chiudendo le dita a pugno, ma per poco.
“So cosa stai pensando, è più forte di te, vero Haz? Neppure ora hai fiducia in ciò che dico”
“Io vorrei crederti … se solo capissi cosa state tramando” – replicò asciutto.
“Nessuna congiura, nessun tranello, nemmeno la benché minima sorpresa, semplicemente onestà, Harry: quella che è mancata a te, da quando siamo insieme”
“Onestà su cosa?? Ma che diavolo dici, Lou??”
“A volte sai …” – la sua voce si incrinò – “… le cose avvengono per un preciso motivo e forse, l’avere colto la tua conversazione insieme a Sylvie e quella sconosciuta, su di voi, sul bambino, su quella patetica asserzione di paternità … Ha un senso, ecco” – e lo puntò, le iridi increspate di rabbia e pianto.
Harry si mise le mani tra i capelli, tirandoseli via dalla fronte un po’ sudata.
“Quindi ci spiavi?”
“Cosa …?” – sibilò Louis, facendo un passo avanti.
Harry non si mosse.
“E come lo definiresti il tuo comportamento?”
“Io ero passato dallo studio per portarti dal notaio, per intestare anche a te la casa che volevo acquistare!!” – inveii furente.
“Quale casa …?”
“Dio … O sei stupido o semplicemente non te ne frega un cazzo Harry!!”
Il giovane avvampò – “Potevi parlarmene, doveva essere una decisione comune e poi con i soldi di quello stronzo io non ci avrei mai comprato una casa, nemmeno con te Louis!! E’ denaro lurido, fatto chissà in quale modo!!”

La sua difesa apparve puerile anche a Lux, che fece fatica a tacere, ma almeno una precisazione era dovuta.
“Cosa credi? Che mi sia arricchito spacciando od ammazzando qualcuno?? Sei così ottuso da non crederci ed arrogante come nessuno!!” – gli gridò in faccia, ma Harry lo spinse via, ritrovandosi poi a terra, strattonato con vigore da Louis – “Lascialo stare!!”

Harry lo lacerò con un’occhiata altrettanto ferita: “Da quando frequenti questo bastardo non cerchi altro che accaparrarti la sua attenzione!! Anche tu non cambierai mai Louis, sei marcio come la sua reputazione!!”

Tutto trascese, apparendo irrecuperabile ai presenti ed a chi stava seguendo a breve distanza quello scontro esacerbato dal rancore e dalla gelosia.
Geffen, poco dopo, infatti, dovette intervenire per separarli, aiutato da un Lux oltremodo deluso e sconvolto per come Harry aveva reagito.

Fuori la notte era così buia.


“Saremo aperti sino alla vigilia di Natale, per raccogliere più fondi possibili, a favore dell’orfanotrofio Saint Claire, per cui venite numerosi: cucineremo vegan, ma anche classico, cibo da asporto e pizze fantastiche”
Jared spiegò il progetto del Dark blue, che sarebbe rinato durante quell’unica settimana prima del Natale, ad un’attenta ed entusiasta giornalista del Los Angeles news.
“Mio fratello Shan preparerà patatine e caffè, le sue specialità, poi Tomo penserà ai mofo dolci ed il mio Colin servirà ai tavoli, dove io l’affiancherò”
“Splendida idea … quindi apertura domenica sera? Dopo domani Jared?”
“Sì, infatti, non vediamo l’ora e vi aspettiamo numerosi!” – e con una smorfia delle sue, si congedò da quella cronista piuttosto avvenente.

Appena furono soli, i Mars si squadrarono: poi iniziarono a frignare, saltellando idioti per la stanza, mentre Colin li guardava sconfortato ed oberato di faccende, sembrando l’unico a lavorare con abnegazione.
Li richiamò all’ordine suonando una campana, usata dall’anziana proprietaria per decretare la chiusura dopo la mezzanotte, perfetta per l’uso che ne stava facendo ora l’irlandese.
“Non ce la faremo mai Cole!!” – starnazzò Jared, facendo ridere gli amici ed il proprio uomo, che lo sollevò sulla spalla sinistra, come fosse un tappeto, sculacciandolo sonoramente.
“Ed ora mettiamoci sotto, se no col cavolo che sbarcheremo il lunario, disgraziati!!”


Louis non ricordava come ci era arrivato.
Giaceva sopra un comodo letto, in una camera illuminata unicamente da un caminetto.
Era solo ed a poco a poco ricostruì nella mente, quanto accorsogli non più tardi di un paio d’ore prima: era salito faticosamente sull’auto di Lux, che di diresse alla sua villa di Los Feliz, non senza il consenso esplicito del ragazzo.

Lou rammentava il sapore delle lacrime e della pelle del sedile, dove si era come abbarbicato, in preda ad una convulsione diffusa e sgradevole.
Voleva morire, morire sul serio.
Harry gli aveva strappato il cuore, con le sue barriere, le sue accuse, il livore, che mai l’avevano abbandonato: senza neppure dargli una spiegazione su quel comportamento assurdo, avuto con Sylvie ed Alain.

Probabilmente aveva perso i sensi o quasi.
C’erano stati poi degli scalini, quelli per salire al primo piano: ci inciampò, sostenuto da Vincent, che lo confortava con dei baci sfuggenti tra i capelli, dicendo che si sarebbe risolto tutto.
“Invece non si sarebbe risolto proprio un bel niente …”
Louis era certo di averglielo sussurrato, prima di stendersi, senza che l’uomo lo spogliasse, se non delle scarpe e del maglione, lasciandolo in jeans e maglietta, oltre a dei calzini multicolore, che fecero sorridere il francese.

Ispezionando l’ambiente circostante, Lou si sollevò, togliendosi quei pochi indumenti, con l’idea di farsi una doccia.
Vincent non c’era e questo turbò Louis.
Si lavò velocemente e, con un semplice telo addosso, iniziò a girovagare per i corridoi, sino ad arrivare al terzo piano dell’edificio.

C’era come un’anticamera e poi un enorme spazio senza arredi, a parte costosi tappeti ed un focolare in pietra, che dal fondo illuminava tutto il resto, immerso nell’oscurità, tranne un angolo, dove Lux era in posizione yoga, seminudo, abbronzato e tonico, a palpebre chiuse, in meditazione.
Aveva acceso decine di candele e bruciava incensi, senza aprire gli occhi, dicendo qualcosa, che Louis non riusciva a percepire.
Quindi gli si avvicinò.

“Tesoro …”
Vincent si accorse di lui da subito.
“Scusami … Non volevo … rovinare questa perfezione” – gli sorrise, accovacciandosi.


Lux tese le braccia, poi l’avvolse amorevole – “Scusami tu, per non essere rimasto, ma ormai dormivi e volevo lasciarti in pace” – e gli sorrise.

“In pace …? Tu non dovresti mai staccarti da me … Io sono una frana, combino solo pasticci” – e sgranò gli occhi grandi, incantevoli, sforzandosi di essere ironico, per alleggerire quei momenti così cupi, per la sua dignità, schiacciata dalle invettive di Harry, che ancora sembrarono rimbombargli nel cuore.

“Ok, lo farò … come un francobollo, che ne dici?” – e, spostandogli le ciocche dal volto segnato e vermiglio, gli marcò gli zigomi con i pollici.
Aveva un buon profumo; probabilmente derivava dall’unguento che Lux aveva usato, anche per il resto del suo corpo.
Lou abbassò lo sguardo, mordendosi le labbra.
“Vincent io …”
“No, non adesso … E’ troppo presto” – e lo strinse, per poi cullarlo.

Il giovane si abbandonò completamente a lui, alla sua saggezza, mentre la propria intimità, rivelata da quell’asciugamano ormai scivolato via, si stava come ribellando, acerba, ma virtuosa, reagendo al tocco, seppure innocente, di Lux.

Si allungarono, Louis a pancia in su, Vincent girato sul fianco sinistro, come ad ammirarlo.
Lou deglutì, vibrando, mentre la propria mano non voleva rinunciare a quelle carezze, che l’altro gli stava dolcemente negando.

“Vincent …”
“Non posso impedirtelo …” – disse pacato, penetrandolo con gli occhi, con i respiri, che accelerarono, impercettibili, nell’assistere a quella meraviglia, cristallizzata in Louis, nella sua purezza, sebbene sfrontata ed erotica.

I singulti che ne seguirono, intossicarono l’aria: il suo petit enfant, si stava toccando, quasi come se un orgasmo solitario potesse sedare lo sconforto, che albergava in ogni sua espressione, in ogni movimento, anche il più banale.

Louis non si era mai sentito così inadeguato, dopo lo scontro con Harry e così a proprio agio, come in quel frangente di assoluta serenità, accanto ad una persona incredibile, quale gli appariva Lux, sempre di più.

Mentre veniva, Louis girò il viso verso il petto di Vincent, troppo vicino per sfuggire alla sua bocca, schiusasi ansimante, all’altezza del suo cuore, ormai in fiamme.
Poi pianse.
E con lui, anche Vincent stesso.
Si riaggrovigliarono, promettendosi tacitamente che non si sarebbero mai più lasciati.
A loro non servivano parole; non più, da quel preciso istante.


Geffen lo riaccompagnò.
Harry aveva dimenticato tutto in ufficio, dal tablet, al cellulare, ma almeno le chiavi gli erano rimaste nella tasca del cappotto.

“Ora calmati” – disse pacato Glam, ma non servì.
Haz scese repentino, andando a vomitare in un angolo, contro un muro pieno di scritte e graffiti volgari; non era un quartiere molto chic, in effetti.

Geffen sbuffò.
Lo raggiunse, porgendogli dell’acqua.
“Grazie … Vai pure, saprò cavarmela …”
“In queste condizioni? Risali, andiamocene, ti porto da Antonio”
“No, voglio stare qui, magari Louis torna e”
“Non dire stronzate!”
Harry scoppiò a piangere – “Perché mi date tutti contro??”

Glam colse la sua afflizione e lo abbracciò paterno.
“Avanti … Nessuno ce l’ha con te, a parte Louis … Sylvie mi ha spiegato”
“Co cosa?”
“Mentre vi scannavate l’ho chiamata, sentendola nominare nei vostri discorsi”
“Capisco … Comunque Glam, io voglio rimanere … E’ questa la nostra casa … E’ di Lou veramente …”
“Mentre quella che avrebbe comprato, sarebbe stata  vostra: possibile tu non comprenda il suo gesto, carico d’amore? Ha sempre voluto il meglio per te, non so più come dirtelo, accidenti”
“Ma non con la sponsorizzazione di quel … di quel maiale!” – ruggì esasperato.
“Vincent poteva giocare sporco, invece non l’ha fatto e sarebbe la seconda occasione, che il fato gli mette sotto il naso: sei un coglione, lascia che te lo dica Harry!”
“Io sono … sono solo innamorato di Louis … ed è lui che voglio nella mia vita, non Sylvie o chissà quale altra ragazza … Cosa pretendevate? Che io dicessi a quella signora che sono gay e che convivo con Lou e che” – il fiato gli si bruciò in gola.
“La verità rende liberi, ma, in questo caso, un doveroso silenzio avrebbe salvato capra e cavoli …” – Geffen sorrise mesto.
“Non mi vergogno di noi, cazzo!!”
“Gli eventi raccontano una verità differente, Haz.” – controbatté severo.
“E che … che scherzavo … No, no, è una bugia …” – arrossì.
“Appunto”
“Eppure Glam, tu conosci la discriminazione nel nostro ambiente: potrei anche essere costretto a calarmi in una vita, che non mi appartiene, rinnegando me stesso, per fare carriera, per realizzare i miei progetti!”
“Non con me, non finché sarò io il capo! Quel dannato studio legale è della mia famiglia da tre generazioni e, con tutte le riserve del caso, l’ultima resta la migliore!” – affermò convinto.






Harry tornò sull’hummer, a testa china.
Si era persuaso a seguire Geffen.
Ormai era quasi l’una ed il traffico scorrevole verso Palm Springs.
Cambiarono meta, pensando anche a Lula, che avrebbe trascorso il week end lì, insieme a Kevin e Tim, già arrivati con il bimbo sull’oceano.

Il vetro era gelido, la tempia di Harry pulsante, mentre i chilometri scorrevano nei suoi occhi stanchi.
L’alba sembrava non arrivare mai.
Mai.















Nessun commento:

Posta un commento