Capitolo n. 169 – zen
La telefonata di
Geffen arrivò insieme ai caffè.
Downey sorrise, poi
rispose senza imbarazzi.
“Ehi ciao, ti avrei
chiamato io più tardi …”
“Come stai Rob? Le
bimbe, Jude?”
“Tutti bene, sono con
Jude, Colin e Jared a pranzo, al centro commerciale … E’ Glam” – bisbigliò, se
qualcuno non lo avesse capito.
Farrell fece un cenno
con la mano, Law disse un ciao allegro e Leto tacque.
“Stiamo saccheggiando
i negozi … Ho saputo di Sylvie ed Alain, anche di Ivo …”
“Alcune cose si sono
risolte bene, altre nel peggiore dei modi … Possiamo vederci Robert?” – chiese
dolce.
“Sì … Quando?”
“Fai tu, sono in
studio nel pomeriggio, verso le cinque, ho delle pratiche da sbrigare”
“Allora ti senti
meglio” – sorrise senza nascondere nulla di ciò che provava.
“Ci sto lavorando … A
dopo allora, ok?”
“Sì …”
“Grazie Rob, salutami
tutti” – e riattaccò.
“Vi saluta … L’ho
sentito in forma …” – spiegò arrossendo leggermente.
Jude gli diede un
bacio sulla guancia – “Geffen è un vecchio leone, non finirà mai di stupirci …
Quando lo vedi?”
“All’ora del tè” –
rise.
Colin si alzò – “Jay
torniamo a casa?”
“Avevo
quell’appuntamento con Shannon e Chris …” – replicò assorto.
“Vero, la raccolta
fondi … Tu che fai Jude? Ci vieni al cinema con me? C’è una retrospettiva su
Fassbinder” – propose quasi distrattamente.
“Fass chi? Ops sì,
certo so di che si tratta … Querelle de Brest?”
“Versione completa,
pare …”
“D’accordo andiamoci
… Poi si cena dal nonno? Ci aspetta” – disse timido l’inglese, cogliendo strane
occhiate tra Jared e Robert, ormai muti.
“Ci vediamo da
Antonio” – concluse brusco il cantante, dando un bacio frettoloso al marito e
sparendo in pochi secondi.
Downey sbuffò,
scuotendo la testa.
“Sei dei nostri
amore?” – domandò Jude.
“No, vado in ospedale
a ritirare le analisi delle bimbe per i vaccini e poi passo a vedere Tim”
“Dovremmo farlo anche
noi” – disse mesto l’irlandese.
“Magari domani … Se
non ti dispiace Colin”
“No Jude, va bene …
Va bene così.”
“Grazie per il part
time … Voglio stare con Alain il più possibile, dopo l’asilo”
“Figurati Sylvie,
sono gli anni migliori, vedrai che concilierai bene sia la carriera, che il tuo
ruolo di mamma” – disse Geffen sereno, mentre cercava alcuni dati on line.
“Posso aiutarti?” –
chiese educata la ragazza.
“No grazie ho quasi
concluso … ecco qui, la sentenza Lokran, mi pareva quella giusta … Passala a
Denny, te la stampo”
“Sarà fatto boss”
Geffen sorrise, poi
rispose all’interfono; era Flora.
“Hai visite …”
“Di già?” – domandò
perplesso, poi qualcuno bussò.
Era Jared.
Entrò senza chiedere
permesso, scusandosi con Sylvie, pronta ad andarsene con le sue scartoffie,
lasciandogli il posto in poltrona.
L’avvocato rimase
alla scrivania, fissandolo – “Non ti aspettavo …”
“Sì lo vedo …”
“Mi fa piacere tu sia
qui ti avrei”
“No, non lo avresti
fatto Glam” – poi rise nervoso, le dita tremanti nascoste dietro ai fianchi,
mentre si appoggiava al muro – “Non c’è problema, comunque” – e tirò su dal
naso, guardando altrove.
“Fai tutto da solo
Jay” – rise piano, alzandosi per andargli vicino, ma Leto si scansò,
guadagnando la postazione sopra il divano.
Sul tavolino c’erano
sparse parecchie foto, molte di loro due ad Haiti e non solo.
“Cosa stavi facendo?”
– chiese emozionato.
“Un po’ d’ordine
Jared”
“Le butti?”
“Oh Dio no, ma
figurati se … Jared vuoi darti una calmata?” – sbottò, sedendosi al suo fianco
e, trattenendolo per un braccio, gli impose il proprio sguardo.
“Era una
supposizione, no, una deduzione fondata, perché mi eviti e racconti balle,
cerchi Robert, segui Kevin, Tim, Sylvie, senza dimenticare Scott!”
Geffen aggrottò la
fronte – “Credi che sarà sempre così?”
“Co cosa?”
“Il tuo atteggiamento
Jay” – sorrise ancora.
Leto sembrò alterarsi
maggiormente, scattò in piedi, ma uno strattone di Glam lo riportò dov’era
prima; no, meglio.
Le braccia dell’uomo
lo ridussero all’arrendevolezza più assoluta.
Jared poteva
avvertire le pulsazioni di Geffen, il suo profumo, il calore dell’addome,
appiccicato al suo, nemmeno i tessuti di una camicia di pregio ed una t-shirt
modaiola, riuscirono ad impedire la loro estrema connessione, allungati su quel
rivestimento di alcantara grigio antracite.
“Anche tu mi sei
mancato Jay”
E le sue dita, i
palmi, avvolgevano la nuca del leader dei Mars, il cui volto era sprofondato
nel collo dell’altro, steso sopra di lui, tra le sue gambe, che respirava la
sua stessa aria, bruciandola in un tono roco e pacato.
Così le ali di
Geffen, all’interno delle quali appariva come incastrato, erano percepite dal
più giovane come uno scudo, come se stesse guardando il mondo da una fortezza
inespugnabile, della quale lui conosceva ogni anfratto, ogni segreto.
“Che stai … facendo
Glam …?” – chiese sommesso, sentendosi stupido ed inutile.
Continuava a fargli
del male ed a umiliare Colin: sarebbe stato così, fino a quando Geffen fosse
rimasto sul pianeta.
L’aveva detto anche
Laurie, durante l’ultima seduta.
“Ti sto amando …
nell’unico modo che conosco, Jay” – e lo guardò.
Leto si sentì mancare
il fiato, ma Geffen non lo stava schiacciando; amorevole, non gli pesava,
sollevato sui propri gomiti, in contemplazione di lui, di quegli occhi grandi,
della sua barba, dei capelli incolti.
E poi sudava, il suo
mancato amore dagli opali di zaffiro e sale, come se una malattia subdola
avesse messo radici profonde, per cui Jared non aveva scampo, da quando si
erano innamorati.
Flora li interruppe.
Il suono del cicalino
non smise di gracchiare, finché Glam non rispose alla sua segretaria.
“Che c’è?”
“I Martins,
appuntamento delle quattro, te li sei scordati?” – bisbigliò lei, affabile.
“No … Certo che no,
dammi due minuti, quando Jared sarà uscito, falli passare, grazie Flora.”
Un lungo respiro, una
pastiglia, un sorso d’acqua.
“Glam …”
“Sì sono qui … al mio
posto” – ribatté freddo, mentre sembrava troneggiare dalla sua Chester
diplomatica.
Jared si ricompose,
tirandosi indietro le ciocche più ribelli.
“Vai in bagno, datti
una rinfrescata” – gli consigliò il legale, fingendo di inviare un sms.
“Ok … sto da schifo,
vero?”
“No, sei bellissimo,
da fare male, come al solito” – sospirò svilito, senza più volerlo neppure
vedere di striscio.
Il rumore della porta
chiusa senza fretta da Jared, ma anche senza rimandare, gli si ficcò nel
cervello e poi nel cuore.
Sul monitor
lampeggiava la scritta premere esc per uscire: gli sembrò
l’ennesima beffa, ma ci si era, dolorosamente, abituato ormai.
I pop corn erano
finiti.
La proiezione neppure
cominciata.
“Hai appetito irish
buddy …”
“Non c’è un cane per
questo capolavoro … Cazzo, cosa dicevi Jude?”
“Dicevo … Lascia
perdere, ne vuoi ancora?”
“Di che?”
Law rise, mentre le
luci si spegnevano.
“Jude potresti …?”
“Che c’è?” –
sussurrò, seguendo i titoli iniziali.
Farrell gli alzò il
braccio sinistro, infilandosi sotto, quasi aggrappandosi a lui.
Law inarcò un
sopracciglio – “Sei comodo?”
“Sì, sì” – inspirò
Colin, chiudendo poi le palpebre.
“Ma cosa fai? Dormi?”
“Volete
tacere là dietro?? Andate a pomiciare altrove, silenzio!!”
– tuonarono dalle prime file.
Jude e Colin si
scrutarono, poi si concentrarono sul film, senza aggiungere una sillaba, sino
all’epilogo di quella tragica storia.
“Cosa devo fare con
lui, eh Rob?”
“Non saprei, è
fragile e tu …”
“Sì lo amo, posso
risolvergli i problemi, essere presente ad ogni suo richiamo, sparire quando
poi divengo di troppo, adularlo con mille complimenti, ma sai, in genere, ci
sono tizi, chiamati mariti, che dovrebbero farlo! Ed io lo volevo sposare, l’ho
anche fatto in un certo senso … E mai sul serio, questo è il problema! Mi sono
inventato un mondo in cui restare al sicuro e tenere lui in un limbo
rassicurante, ma da cui potersi allontanare in trenta secondi, senza rimorsi,
senza rimpianti!”
Lo sfogo di Geffen
era persino buffo, a tratti, mentre nella sostanza il suo disappunto era
palese.
Downey si tormentò le
mani, mentre Glam preparava una tisana nel mini alloggio adiacente il proprio
ufficio.
“Rimorsi e rimpianti,
comunque, temo ne abbiate avuti entrambi, Glam …”
Geffen si ossigenò –
“Non dovrei nemmeno affrontare l’argomento con te … Eccoli qui i miei egoismi,
perché non mi mandi al diavolo?” – chiese piano, inginocchiandosi ai suoi
piedi, mentre l’artista rimaneva fermo sopra una chaise long in pelle nera.
“Pensi che io sia
ancora innamorato di te, Glam?” – bissò con quella delicatezza tipica di
Downey.
“Forse anche a queste
misere lusinghe andrebbe messa la parola fine” – e si rialzò, non senza che
Robert gli sfiorasse le mani, che alla fine si intrecciarono.
Geffen lo attirò
lento a sé, abbracciandolo casto – “Scott ed io, in Francia …”
“Lo immaginavo”
“Sì, ma la felicità
non fa per me, a quanto pare Rob” – e si guardarono.
“Smettila di umiliarlo,
Scott non lo merita” – affermò severo.
“Io non riesco a
cambiare, sono un coglione … Preferisco girare a vuoto con Jared, con te …” – e
si distaccò, andando verso le vetrate.
“Cosa pensi di
ottenere? Solo confusione, come quando mi stai vicino, mi tocchi e”
“E cosa, Robert?”
“Lo sai che la nostra
intesa fisica era perfetta, certe cose non si spengono come un interruttore,
accidenti!”
Geffen tornò sui
propri passi, come ad affrontarlo – “E lo stesso è con Jared, avevate anche
questo da me, avevate tutto!”
“Ok siamo dei
bastardi, siamo degli squallidi, ma forse”
“FORSE COSA?? Non
faccio altro che scusarmi per avervi amato, buttando via la mia vita, con
Kevin, con Scott!”
“Perché litighiamo,
posso saperlo??!”
“Perché sono
incazzato nero, perché sono malato, quindi sopportami, SOPPORTAMI ROB!” – gridò
esasperato, la voce spezzata dal pianto.
Downey lo strinse
forte, crollando con lui sul tappeto in stile moderno.
“Glam guardami! Sei
così pallido”
“Non avere paura, mi
serve solo questa …” – ed ingurgitò una pillola.
Ormai ne era
dipendente.
“… E che tu rimanga
qui … con questo idiota Rob …” – ansimò e, appoggiando la tempia sinistra sul petto
dell’amico, sembrò rilassarsi, riprendendo un colorito decente.
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