giovedì 22 agosto 2013

ZEN - CAPITOLO N. 169

Capitolo n. 169 – zen


La telefonata di Geffen arrivò insieme ai caffè.
Downey sorrise, poi rispose senza imbarazzi.
“Ehi ciao, ti avrei chiamato io più tardi …”
“Come stai Rob? Le bimbe, Jude?”
“Tutti bene, sono con Jude, Colin e Jared a pranzo, al centro commerciale … E’ Glam” – bisbigliò, se qualcuno non lo avesse capito.
Farrell fece un cenno con la mano, Law disse un ciao allegro e Leto tacque.

“Stiamo saccheggiando i negozi … Ho saputo di Sylvie ed Alain, anche di Ivo …”
“Alcune cose si sono risolte bene, altre nel peggiore dei modi … Possiamo vederci Robert?” – chiese dolce.
“Sì … Quando?”
“Fai tu, sono in studio nel pomeriggio, verso le cinque, ho delle pratiche da sbrigare”
“Allora ti senti meglio” – sorrise senza nascondere nulla di ciò che provava.
“Ci sto lavorando … A dopo allora, ok?”
“Sì …”
“Grazie Rob, salutami tutti” – e riattaccò.
“Vi saluta … L’ho sentito in forma …” – spiegò arrossendo leggermente.
Jude gli diede un bacio sulla guancia – “Geffen è un vecchio leone, non finirà mai di stupirci … Quando lo vedi?”
“All’ora del tè” – rise.
Colin si alzò – “Jay torniamo a casa?”
“Avevo quell’appuntamento con Shannon e Chris …” – replicò assorto.
“Vero, la raccolta fondi … Tu che fai Jude? Ci vieni al cinema con me? C’è una retrospettiva su Fassbinder” – propose quasi distrattamente.
“Fass chi? Ops sì, certo so di che si tratta … Querelle de Brest?”
“Versione completa, pare …”
“D’accordo andiamoci … Poi si cena dal nonno? Ci aspetta” – disse timido l’inglese, cogliendo strane occhiate tra Jared e Robert, ormai muti.
“Ci vediamo da Antonio” – concluse brusco il cantante, dando un bacio frettoloso al marito e sparendo in pochi secondi.
Downey sbuffò, scuotendo la testa.
“Sei dei nostri amore?” – domandò Jude.
“No, vado in ospedale a ritirare le analisi delle bimbe per i vaccini e poi passo a vedere Tim”
“Dovremmo farlo anche noi” – disse mesto l’irlandese.
“Magari domani … Se non ti dispiace Colin”
“No Jude, va bene … Va bene così.”


“Grazie per il part time … Voglio stare con Alain il più possibile, dopo l’asilo”
“Figurati Sylvie, sono gli anni migliori, vedrai che concilierai bene sia la carriera, che il tuo ruolo di mamma” – disse Geffen sereno, mentre cercava alcuni dati on line.
“Posso aiutarti?” – chiese educata la ragazza.
“No grazie ho quasi concluso … ecco qui, la sentenza Lokran, mi pareva quella giusta … Passala a Denny, te la stampo”
“Sarà fatto boss”
Geffen sorrise, poi rispose all’interfono; era Flora.
“Hai visite …”
“Di già?” – domandò perplesso, poi qualcuno bussò.

Era Jared.
Entrò senza chiedere permesso, scusandosi con Sylvie, pronta ad andarsene con le sue scartoffie, lasciandogli il posto in poltrona.
L’avvocato rimase alla scrivania, fissandolo – “Non ti aspettavo …”
“Sì lo vedo …”
“Mi fa piacere tu sia qui ti avrei”
“No, non lo avresti fatto Glam” – poi rise nervoso, le dita tremanti nascoste dietro ai fianchi, mentre si appoggiava al muro – “Non c’è problema, comunque” – e tirò su dal naso, guardando altrove.
“Fai tutto da solo Jay” – rise piano, alzandosi per andargli vicino, ma Leto si scansò, guadagnando la postazione sopra il divano.
Sul tavolino c’erano sparse parecchie foto, molte di loro due ad Haiti e non solo.

“Cosa stavi facendo?” – chiese emozionato.
“Un po’ d’ordine Jared”
“Le butti?”
“Oh Dio no, ma figurati se … Jared vuoi darti una calmata?” – sbottò, sedendosi al suo fianco e, trattenendolo per un braccio, gli impose il proprio sguardo.

“Era una supposizione, no, una deduzione fondata, perché mi eviti e racconti balle, cerchi Robert, segui Kevin, Tim, Sylvie, senza dimenticare Scott!”
Geffen aggrottò la fronte – “Credi che sarà sempre così?”
“Co cosa?”
“Il tuo atteggiamento Jay” – sorrise ancora.
Leto sembrò alterarsi maggiormente, scattò in piedi, ma uno strattone di Glam lo riportò dov’era prima; no, meglio.

Le braccia dell’uomo lo ridussero all’arrendevolezza più assoluta.

Jared poteva avvertire le pulsazioni di Geffen, il suo profumo, il calore dell’addome, appiccicato al suo, nemmeno i tessuti di una camicia di pregio ed una t-shirt modaiola, riuscirono ad impedire la loro estrema connessione, allungati su quel rivestimento di alcantara grigio antracite.

“Anche tu mi sei mancato Jay”

E le sue dita, i palmi, avvolgevano la nuca del leader dei Mars, il cui volto era sprofondato nel collo dell’altro, steso sopra di lui, tra le sue gambe, che respirava la sua stessa aria, bruciandola in un tono roco e pacato.
Così le ali di Geffen, all’interno delle quali appariva come incastrato, erano percepite dal più giovane come uno scudo, come se stesse guardando il mondo da una fortezza inespugnabile, della quale lui conosceva ogni anfratto, ogni segreto.

“Che stai … facendo Glam …?” – chiese sommesso, sentendosi stupido ed inutile.
Continuava a fargli del male ed a umiliare Colin: sarebbe stato così, fino a quando Geffen fosse rimasto sul pianeta.
L’aveva detto anche Laurie, durante l’ultima seduta.

“Ti sto amando … nell’unico modo che conosco, Jay” – e lo guardò.
Leto si sentì mancare il fiato, ma Geffen non lo stava schiacciando; amorevole, non gli pesava, sollevato sui propri gomiti, in contemplazione di lui, di quegli occhi grandi, della sua barba, dei capelli incolti.

E poi sudava, il suo mancato amore dagli opali di zaffiro e sale, come se una malattia subdola avesse messo radici profonde, per cui Jared non aveva scampo, da quando si erano innamorati.

Flora li interruppe.
Il suono del cicalino non smise di gracchiare, finché Glam non rispose alla sua segretaria.

“Che c’è?”
“I Martins, appuntamento delle quattro, te li sei scordati?” – bisbigliò lei, affabile.
“No … Certo che no, dammi due minuti, quando Jared sarà uscito, falli passare, grazie Flora.”

Un lungo respiro, una pastiglia, un sorso d’acqua.

“Glam …”
“Sì sono qui … al mio posto” – ribatté freddo, mentre sembrava troneggiare dalla sua Chester diplomatica.
Jared si ricompose, tirandosi indietro le ciocche più ribelli.
“Vai in bagno, datti una rinfrescata” – gli consigliò il legale, fingendo di inviare un sms.
“Ok … sto da schifo, vero?”
“No, sei bellissimo, da fare male, come al solito” – sospirò svilito, senza più volerlo neppure vedere di striscio.

Il rumore della porta chiusa senza fretta da Jared, ma anche senza rimandare, gli si ficcò nel cervello e poi nel cuore.
Sul monitor lampeggiava la scritta  premere esc per uscire: gli sembrò l’ennesima beffa, ma ci si era, dolorosamente, abituato ormai.


I pop corn erano finiti.
La proiezione neppure cominciata.

“Hai appetito irish buddy …”
“Non c’è un cane per questo capolavoro … Cazzo, cosa dicevi Jude?”
“Dicevo … Lascia perdere, ne vuoi ancora?”
“Di che?”
Law rise, mentre le luci si spegnevano.
“Jude potresti …?”
“Che c’è?” – sussurrò, seguendo i titoli iniziali.
Farrell gli alzò il braccio sinistro, infilandosi sotto, quasi aggrappandosi a lui.
Law inarcò un sopracciglio – “Sei comodo?”
“Sì, sì” – inspirò Colin, chiudendo poi le palpebre.
“Ma cosa fai? Dormi?”

“Volete tacere là dietro?? Andate a pomiciare altrove, silenzio!!” – tuonarono dalle prime file.

Jude e Colin si scrutarono, poi si concentrarono sul film, senza aggiungere una sillaba, sino all’epilogo di quella tragica storia.


“Cosa devo fare con lui, eh Rob?”
“Non saprei, è fragile e tu …”
“Sì lo amo, posso risolvergli i problemi, essere presente ad ogni suo richiamo, sparire quando poi divengo di troppo, adularlo con mille complimenti, ma sai, in genere, ci sono tizi, chiamati mariti, che dovrebbero farlo! Ed io lo volevo sposare, l’ho anche fatto in un certo senso … E mai sul serio, questo è il problema! Mi sono inventato un mondo in cui restare al sicuro e tenere lui in un limbo rassicurante, ma da cui potersi allontanare in trenta secondi, senza rimorsi, senza rimpianti!”
Lo sfogo di Geffen era persino buffo, a tratti, mentre nella sostanza il suo disappunto era palese.
Downey si tormentò le mani, mentre Glam preparava una tisana nel mini alloggio adiacente il proprio ufficio.

“Rimorsi e rimpianti, comunque, temo ne abbiate avuti entrambi, Glam …”
Geffen si ossigenò – “Non dovrei nemmeno affrontare l’argomento con te … Eccoli qui i miei egoismi, perché non mi mandi al diavolo?” – chiese piano, inginocchiandosi ai suoi piedi, mentre l’artista rimaneva fermo sopra una chaise long in pelle nera.

“Pensi che io sia ancora innamorato di te, Glam?” – bissò con quella delicatezza tipica di Downey.
“Forse anche a queste misere lusinghe andrebbe messa la parola fine” – e si rialzò, non senza che Robert gli sfiorasse le mani, che alla fine si intrecciarono.
Geffen lo attirò lento a sé, abbracciandolo casto – “Scott ed io, in Francia …”
“Lo immaginavo”
“Sì, ma la felicità non fa per me, a quanto pare Rob” – e si guardarono.
“Smettila di umiliarlo, Scott non lo merita” – affermò severo.
“Io non riesco a cambiare, sono un coglione … Preferisco girare a vuoto con Jared, con te …” – e si distaccò, andando verso le vetrate.
“Cosa pensi di ottenere? Solo confusione, come quando mi stai vicino, mi tocchi e”
“E cosa, Robert?”
“Lo sai che la nostra intesa fisica era perfetta, certe cose non si spengono come un interruttore, accidenti!”
Geffen tornò sui propri passi, come ad affrontarlo – “E lo stesso è con Jared, avevate anche questo da me, avevate tutto!”
“Ok siamo dei bastardi, siamo degli squallidi, ma forse”
“FORSE COSA?? Non faccio altro che scusarmi per avervi amato, buttando via la mia vita, con Kevin, con Scott!”
“Perché litighiamo, posso saperlo??!”
“Perché sono incazzato nero, perché sono malato, quindi sopportami, SOPPORTAMI ROB!” – gridò esasperato, la voce spezzata dal pianto.
Downey lo strinse forte, crollando con lui sul tappeto in stile moderno.
“Glam guardami! Sei così pallido”
“Non avere paura, mi serve solo questa …” – ed ingurgitò una pillola.
Ormai ne era dipendente.
“… E che tu rimanga qui … con questo idiota Rob …” – ansimò e, appoggiando la tempia sinistra sul petto dell’amico, sembrò rilassarsi, riprendendo un colorito decente.















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