Capitolo n. 168 – zen
Scott preferì
chiamare un’ambulanza.
La sua decisione
inquietò ulteriormente Kevin, mentre Tim non si rendeva conto perfettamente di
ciò che stava accadendo, a causa di un sonnifero, che il medico decise di
fargli bere.
Poche gocce, ma
sufficienti a mandarlo in un oblio consolante, dove poteva a malapena avvertire
i suoni e le voci intorno, tutti saturi di una spiacevole ed agitata
costernazione, nel vedere come il bassista non avesse alcun riguardo esplicito
per il disagio del marito.
Geffen provò a
parlare con l’ex, ma Kevin si sottrasse alla sua rinnovata esortazione a non
rovinare il suo meraviglioso legame con Tim, colpevole solo di avere fatto una
scelta avventata, ma comprensibile.
Colin gli asciugò i
capelli, allineando le ultime chiome con una sforbiciata esperta ed allegra.
“Ho un futuro come
coiffeur!” – esclamò, dando poi un bacio sulle spalle nude del consorte, che
inspirò greve, specchiandosi, mentre stavano seduti al centro del letto.
“Sì Cole … in effetti”
– e sorrise, senza guardarlo ancora.
Farrell si morse le
labbra, poi si alzò, per riporre gli arnesi del mestiere nello stipetto del
bagno, quello più in alto.
Leto pensò che lo
stava facendo non per i bimbi, ma per lui, la cui instabilità era latente,
ormai.
Colin non gli diceva
nulla, semmai parlava con Laurie e questo Jared lo sapeva o sospettava,
incazzandosi a morte, ma senza reagire.
Aveva il terrore di
perdere l’amore del suo re d’Irlanda e quella terra, che tanto amavano, li
stava aspettando per un Natale, che a pochi appariva sereno e tranquillo.
“Vogliamo fare
qualcosa Jay? E’ quasi mezzogiorno …” – chiese timido, grattandosi la nuca.
Erano mezzi nudi,
però senza avere fatto l’amore.
“Magari due compere …
Per i cuccioli”
“Sì, d’accordo,
ottima idea” – replicò raggiante Farrell.
Ogni progetto gli
andava bene, pur di stargli accanto, ma Jared non si apriva, non si decideva a
dirgli che era in pena per Geffen e che il sapere di Tim e Kevin, di Ivo e di
quell’ennesimo casino, aveva impedito ai due di incontrarsi o almeno
telefonarsi in santa pace.
Colin decifrava ogni
suo respiro, Jared non riusciva più a celargli nulla, dopo tanti anni.
Alcuni belli, altri
pessimi.
“Dov’è la palla con
il ranocchio Hugh?”
Jim ormai gli aveva
tirati fuori tutti, spargendo gli addobbi sul tappeto blu, che la coppia
stendeva, prima di piazzarci in centro il vaso, con l’abete vero, destinato ai
giardino dell’ospedale, una volta concluse le feste.
“Tesoro ce l’hai
vicina al ginocchio sinistro …” – gli rispose dolcemente l’analista,
armeggiando con una brochure.
Restava seduto in
poltrona, Hugh, ad ammirare il candore di Mason, la sua voglia quasi febbrile
di normalità, dopo tante facce deluse, ma talvolta rinate, per una sua
comunicazione, per una diagnosi, magari smentita da ulteriori analisi.
“Oh sì … Dove ho la
testa …?”
“Senti Jim, per Tim
ci sono novità …”
L’oncologo lo fissò.
“Ho visto il
telegiornale, so di Steadman … E’ stata una sorpresa …”
“Certo, ma Kevin sa
tutto, il caro professore gli ha mandato un video, me l’ha detto Rossi.”
“Cavoli …”
“Eh già, prima uno
sporco ricatto, poi una squallida rivalsa … Nessuno lo piangerà”
Jim si alzò,
andandosi poi ad accucciare, allacciandosi alle gambe di Hugh, che gli
accarezzò i capelli corvini.
“Kevin e Tim
passeranno un Natale orrendo, temo”
“Proverò ad
intervenire, magari parlando con Geffen … a proposito …”
“Sì Hugh?” – e gli
sorrise, guardandolo.
“La sua fondazione,
ad Haiti, mi ha inviato un file interessante” – e gli porse un fascicolo.
“Di che si tratta?”
“No, niente … Ehm …
Cioè un sacco di cose …”
“Quali cose Hugh?” –
domandò incuriosito e sorridente.
“Nostro figlio.”
Mason perse un
battito.
“Se non chiudi la
mascella, Jim, potrei pensare che hai avuto una paresi” – scherzò Laurie,
avvampando.
Era emozionatissimo.
Jim gli volò al
collo, baciandolo con passione e gioia pure.
“No nostro figlio
Hugh?! … Mio Dio …”
“Ora balbetti pure,
ah siamo a posto …”
“Piantala zuccone!” –
rise, quasi soffocandolo nello stringersi a lui, che aveva il cuore in gola.
“C’è una foto … è
così buffo … e cucciolo …” – Laurie gliela mostrò, aggiungendo innamorato – “…
proprio come sei tu, Jim … Ti amo, sai?”
Era davvero carino,
era stupendo, pensarono entrambi senza dirselo.
“Come si chiama?” –
chiese Mason, in preda ad una felicità smodata.
“Nasir … Ti piace?”
“Ovvio che sì! …
Ricorda un pochino Lula …” – osservò, accarezzando quell’istantanea colorata.
“In effetti …
Dovremmo partire domani mattina”
“Domani mattina
Hugh!?”
“Sì, con il jet di
Meliti, sai che Glam pensa a tutto, è un pasticcione lo sappiamo, però inizia a
starmi simpatico … E’ grave?” – chiese con una delle sue tipiche smorfie.
“Una volta che
accade, non se ne esce Hugh … sei avvisato!” – ironizzò simpatico Mason,
precipitandosi poi a preparare i bagagli.
Jerome preparò il tè,
quindi lo gettò nel lavello, pescando una bottiglia di cognac ed un paio di
bicchieri dalla credenza.
La casa gli sembrava
vuota, da quando gli amici americani se ne erano andati.
Tutti tranne uno.
“Che ne dici se ci
facciamo una dose di questo?”
“Oh buona idea …
Altro che brodaglia inglese” – Lux rise tirato.
Erano davanti al
caminetto, un po’ accartocciati sopra il divano, rappezzato in vari punti.
“Te ne regalo uno, ha
pure tre molle rotte!” – sbottò il moro.
“A me piace così, non
rompere Vincent!” – e ridacchiò, rubandogli la coperta.
“Ok … Progetti per le
feste?”
“Nessuno” – bofonchiò
l’ex commissario.
“Vieni a Los Angeles
con me!” – propose Lux ispirato.
“Maddai, non sopporto
il chiasso, il sole, il caldo”
“Non ne fa poi molto …
Come non detto …”
“E poi avrai da fare …
I tuoi compari, Louis …” – lo provocò sottile, ma affettuoso.
“Louis cosa?”
“Niente …”
“Appunto, rien de
rien Jerome!”
“Ullallà che
temperamento … Sei cotto, ammettilo”
“No … sì … insomma,
lui è …” – e si commosse.
“Cristo santo Vincent
… Ma allora …”
“Allora cosa? Lo amo …
Cosa mi è preso?? Non lo so, va bene??!” – esclamò stizzito.
“E’ troppo giovane” –
sentenziò asciutto, ma senza incrociare lo sguardo di Lux, vivido e
malinconico.
“Non farmi la
predica, so che potrebbe essere mio figlio!”
“In fondo un po’ lo è
… Il fantasma di Jacques …”
“In parte sì”
“Ok, scusami Vincent,
sono un coglione”
“No, sei il mio
migliore amico e se non ne parlo insieme a te, con chi dovrei farlo? Maman
Bebèl, Bernard??”
“E loro cosa avranno
pensato quando gli hai portato a casa Louis?”
“Sono stati gentili …
Forse sono più svegli di te e di me, caprone!” – rise finalmente.
Il suo cellulare
cominciò a squillare.
Ed il suo cuore si
fermò.
“Ai gemelli piacerà …
un’autopista enorme, la installeremo nella saletta accanto al cinema, che ne
dici Colin?”
Farrell lo stava
osservando da qualche minuto, senza fiatare.
Le mani in tasca, il
respiro corto: vedere Jared in quello stato non era il massimo, dopo troppe
battaglie, sempre combattute strenuamente: forse Colin iniziava ad essere
stanco e demotivato.
Tossì, annuendo e
puntando qualcosa altrove – “Sì, ma diverrà lo spasso degli adulti, quanto
scommetti?”
“Boh … sì, è
probabile …” – il cantante scrollò le spalle, segnando il codice da lasciare
alle casse, dove avrebbero pagato anche per la consegna a domicilio, compresi
altri acquisti per l’intera prole, al di sotto dei dodici anni.
“Ok, per il resto
della ciurma non ci resta che la boutique ed il negozio di elettronica Colin …”
“D’accordo,
andiamoci, ma prima mangerei un panino, una pizza, sto svenendo”
“Sì ma vegan” –
replicò assorto, accorgendosi della presenza di Jude e Robert, senza le loro
principesse, in visita al nonno ed a Pamela.
Farrell appena se ne
avvide, migrò letteralmente tra le braccia del suo UK buddy, facendo sorridere
Downey, che andò a salutare Jared, un po’ perplesso.
“Ehi marziano, stai
fondendo la carta di credito?”
“Ciao Rob … Jude …”
“Ciao Jared, come
stai?” – gli chiese solare il biondo.
“Bene … Quando avrai
finito di palpare Colin, magari ce ne andiamo a pranzo” – sbottò a mezza voce,
arricciando il naso ed abbozzando un sorriso sterile.
Ci fu un attimo di
imbarazzo generale, smorzato al volo da Farrell, che si spostò a cinturarlo,
dandogli un bacio sulla tempia sinistra – “Venite con noi?”
“Ok …” – rispose Law,
senza perdere il buon umore.
Downey non si oppose,
anche se avrebbe preferito proseguire senza zavorre e relativa minaccia di
paturnie al seguito.
Jude gli fece l’occhiolino,
toccandogli il fondoschiena, per poi bisbigliare al compagno – “Per la cronaca
io palpeggio unicamente un certo Robert, lo conosci?”
“Abbastanza …” –
rise, baciandolo nel collo, a poca distanza dagli amici, ma non senza
aggiungere – “Che gli prende a Leto jr?”
“Come direbbe Xavier,
è
una diva isterica!” – e poi lo baciò, incurante della tensione tra Jared e Colin,
anche se si tenevano per mano, passando tra la folla, invadente con scatti e
domande, che a fatica i quattro evitarono, infilandosi nel primo ascensore
libero, verso il self service, creato all’ultimo piano di quel grattacielo,
poco distante dall’oceano.
“Ecco ed io avrei
scelto questa … Cioè la numero quattro, la vedi Vincent?”
Stavano parlando da
cinque minuti e Louis gli aveva già svelato i suoi progetti, tutti inviati sul tablet
di Lux, che sorrideva nell’ascoltarlo, dopo essere salito al solario di Jerome.
“Sì mon petit enfant
la vedo … E’ perfetta”
“Pensi che potrò
gestire la cosa da solo? No, perché magari è una fregatura, il prezzo è basso,
è persino arredata” – sottolineò innocente ed adorabile.
Il suo tono, la sua
vivacità, ma anche il suo modo di respirare, stavano mandando in confusione
Vincent, pervaso da una sensazione di benessere generale, assai pericolosa per
la sua integrità.
“C’è crisi … Potrebbe
essere questo il motivo …”
“Chissà … Harry non
sa niente, ok?” – rise.
“Sì, l’avevo capito” –
rise.
“Certo, sì sì,
scusami Vincent”
“Tesoro … Guarda che”
“Sai sono così
eccitato!” – rise ancora.
Lux si stampò il
palmo destro sulla faccia, togliendolo dalla patta dei jeans diventati
improvvisamente attillati e soffocanti.
Rise dicendo qualcosa
in francese, vergognandosi a morte, ma mica poi tanto, pensò.
“Che c’è? Non ho”
“Ti voglio così bene
Louis” - replicò limpido.
“Anch’io Vincent …
credimi” – mormorò imbarazzato, ma altrettanto sincero.
“Lo so, mon petit
enfant … Lo so”
“Ci verrai? Con me,
per il rogito, ti prego, ti prego, ti prego Vincent!”
A lui sembrò di
vederlo saltellare per la stanza, sentì il suo candore invaderlo, anche se era
terribilmente sexy, quel ragazzino, che gli aveva rubato il cuore, ingabbiato l’anima,
costringendolo in un rammarico, che faceva male eppure anche così bene, alla
sua vita, che credeva ormai vuota.
Invece il sole era
entrato dalla finestra, come ripeteva spesso Bebèl, esortandolo a trovarsi una
compagna, farci un figlio: invece Lux aveva trovato il tutto in un unico,
meraviglioso, essere umano.
Un cucciolo, che
avrebbe protetto e sostenuto a qualunque costo.
Vincent volle
ripeterselo mentalmente, ancora una volta, prima di congedarsi da Louis con la
promessa di volare negli Stati Uniti nel fine settimana.
Ci sarebbe andato
persino a nuoto: Renoir glielo urlò dal balcone, mentre Lux andava via,
entusiasta come Jerome non lo vedeva da secoli.
Lula giunse in
ospedale circondato dai quattro body guard, capitanati da Vassily.
Amos ed Ivan notarono
le occhiate degli astanti, mentre per Peter era normale suscitare qualche
perplessità, neppure stessero scortando il Presidente degli USA.
Soldino era di gran
lunga più importante, almeno per Geffen, che gli corse incontro, accogliendolo
sul petto senza difficoltà alcuna, ritrovando quelle energie, che pensava
perdute.
Si isolarono, prima
di andare da Kevin, quasi incastrato in un silenzio pesante, in compagnia di
Rossi e Kurt, che gli avevano offerto un caffè al bar per i visitatori.
“Dov’è papi Tim?”
“Riposa … Tu sai cosa
è”
“Sì! … Non ho potuto
fare niente, tu lo capisci papà, vero?” –
affermò triste.
“Questa situazione,
di Ivo intendo, è andata ben oltre noi, Lula …”
“Esisti tu, per me,
non posso distrarmi” – e gli si appese al collo, chiedendo di andare da Tim
subito.
Geffen lo accontentò,
evitando Kevin, anche per volere del bimbo.
Un temporale si stava
avvicinando alla costa e Lula lo indicò con la manina, tornando poi a
rifugiarsi nella spalla di Glam, che lo strinse forte, rassicurandolo amorevole.
Come sempre.
NASIR
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