Capitolo n. 163 – zen
Jerome li accolse
mugugnando.
Fece strada lungo il
corridoio, illuminato da una serie di lampioni già accesi, la cui luce
attraversava grandi vetrate, a picco su di un torrente in piena, piuttosto
minaccioso.
Era quasi sera e le
ombre dalle colline circostanti, stavano inghiottendo quello strano angolo di
mondo, tra boscaglie e sassaie, cespugli di rosmarino e lavanda, nonché una
serie di particolari sculture in legno, un’autentica passione dell’ex
poliziotto, con poche altre abitudini.
Si trattava di un’antica
filanda, un edificio troppo grande per una persona sola, ma i suoi quattro cani
e sei gatti, l’animavano di allegria, almeno quando il fuoco l’enorme camino in
pietra, che egli stesso aveva costruito.
Ovviamente tutte
notizie fornite da Vincent, visto che Renoir era taciturno, mentre preparava
una minestra alla verza, a dire poco maleodorante.
Lux gli si mise
seduto accanto, mentre gli amici si guardavano intorno incuriositi o meglio
smarriti, soprattutto Sylvie.
Di tanto in tanto la
ragazza cercava gli occhi rassicuranti di Geffen, che non mancava mai di
confortarla ed incoraggiarla, nella ricerca di Alain.
“Allora vecchio
caprone …” – Vincent ridacchiò, pelando patate.
Louis gli stava ad un
soffio, deciso a dimostrare ad Harry che poteva sorridere anche senza di lui.
Un’impresa improba.
“Fottiti Vincent” –
rise anche lui, mentre strofinava l’aglio su fette di pane, che poi passò ad
Hopper, già ai fornelli, pronto a tostarle.
Harry, nauseato da
quegli aromi eccessivamente intensi per il suo attacco di appendice latente,
chiese di potere salire in camera, per riposarsi: si sarebbe accontentato di
una cioccolata calda, che Louis si offrì di preparargli, senza ottenere
risposta alcuna.
Era una continua
umiliazione.
Le occhiate di Lux,
nella sua direzione, in compenso, non mancavano di incenerirlo ad ogni
affronto, rivolto a Louis, ormai pienamente nelle grazie dell’uomo, che
sembrava minacciare Haz, senza incertezze.
“Ti ci accompagno io,
posso Jerome?”
“Certo Glam, da
quella parte” – e gli indicò una scala a chiocciola, alla quale Harry si era
già diretto, irritato dall’intera situazione.
Scott prese un tomo,
dalla ricca libreria di Jerome, che lo spiava con sospetto, verso il suo look
un po’ inusuale per un medico.
“E quello sarebbe un
ricercatore?” – domandò sottovoce a Lux, che annuì simpatico.
“Ed è anche bravo …
Louis ti va uno degli orrendi biscotti di Jerome, allo zenzero e fiocchi d’avena?”
– gli chiese gentile, ma senza mai eccedere.
Era la sua
compostezza, la sua eleganza, nella lingua di Lux, il suo charme, pensò Lou,
accettando quel dolce.
Le loro dita si
sfiorarono, facendoli vibrare, negli zigomi, negli occhi, che avevano definito
un contatto di intesa perfetto in quell’attimo, finché Vincent, alzandosi, non
gli sfiorò la schiena con una carezza timida e nascosta, alla visione altrui,
tranne a Jerome, che ne rimase interdetto.
Geffen si chiuse la
porta alle spalle, con pacatezza, mentre Harry andava a stendersi.
“Quando la smetterai?”
– gli chiese secco l’avvocato.
“Con il dovuto
rispetto, non ora Glam, sto uno schifo”
“Più o meno quanto
Louis, ma lui sta peggio, non credi? Il tuo disagio con un farmaco passa, il
suo di certo no!” – sottolineò più severo.
“Tu non sai niente di
noi!” – si ribellò, a denti stretti, senza alzare comunque i toni.
Glam andò a sedersi
su di una seggiola in legno grezzo.
Tutto l’arredamento
era in quello stile.
“Quale è esattamente
la sua colpa?”
“E’ una lunga storia”
“Non ho impegni,
quindi vedi di raccontarmela, se non vuoi che ti butti fuori dal mio studio
Harry”
“Ricattarmi non ti fa
onore, Glam” – sibilò, tenendosi l’addome contratto e dolente.
“A te invece
comportarti da stronzo ti garantirà come minimo un monumento, sai?” – rise scanzonato.
“Louis è … Lui cerca
approvazione senza sosta”
“E chi non lo fa,
sentiamo?”
“Sì, ma non
necessariamente infilandoti nei letti di chi può garantirti un futuro agiato!” –
inveii.
“Quindi TU che ottieni
lo stesso, attraverso l’affermazione in campo professionale, sei migliore di
lui?”
“Non ho detto questo”
“Lo pensi, però”
“Semmai mi guardo con
orgoglio allo specchio ogni mattina!” – protestò vivace, raccogliendo le gambe,
per rannicchiarsi contro la parete spoglia ed intonacata con poca cura.
“Louis, al contrario,
deve sentirsi inadatto, volgare?”
“Non voglio
giudicarlo e se lo faccio è un normale confronto di coppia, una consuetudine,
quando ci sono divergenze e”
“DIO parli come mio
nonno Harry!” – sbottò Glam, rialzandosi scocciato.
“Dico ciò che penso!
Non è che a vent’anni si deve per forza essere dei deficienti e sparare cazzate
a raffica!”
“Questo non lo metto
dubbio e non ti ho mai fatto sentire fuori posto o sbaglio Harry?!”
Il giovane si
ammutolì: in fondo Geffen incuteva timore quando si incazzava.
“No Glam …
assolutamente e te ne ringrazio, perché non ho mai avuto tanta comprensione e
stima …” – replicò sincero.
“Ti sbagli e lo fai
spesso quando si tratta di certi argomenti: il primo, in assoluto e più
meritevole di gratitudine, è e rimarrà sempre Louis: non dimenticarlo. Quando
farai sul serio il mio lavoro, ti accorgerai di quanta merda dovrai ingoiare,
dei compromessi a cui ti vedrai costretto a sottostare, dell’inferno, in cui
dovrai scendere, per salire in alto: nessuno di noi è puro, mentre Louis è un
ragazzo, che come ognuno di noi ha commesso degli errori, spesso di
valutazione, di ingenuità, ma anche laddove ci fosse stata malizia o
premeditazione, il tutto succedeva in buona fede e con un obiettivo ben
preciso: il tuo benessere, il tuo riscatto, da raggiungere insieme a lui, che
ti ama oltre sé stesso. Smarrisci questa luce, nella tua dabbenaggine arcaica,
nei tuoi falsi moralismi e finirai con il diventare un essere orrendo e,
soprattutto, solo come nessuno al mondo. Vostro onore ho terminato.” – e se ne
andò, lasciandolo lì’, con un nodo in gola, capace di soffocarlo.
Tim passò l’esame.
Uscì dall’aula, dopo
avere stretto la mano ai docenti ed ai loro assistenti, aggiornò il suo
libretto e si diresse verso i bagni.
Si isolò, abbassando
la tavoletta e, mettendosi a sedere sopra, accese il tablet.
Aggiornò Kevin in
volo per Boston, con Christopher, Tomo e Shannon, per un incontro con dei
produttori nuovi di zecca e disponibile a supportare un ritorno alla grande dei
Red Close, mescolati ai Mars, esperimento ancora molto apprezzato sia tra gli
addetti specializzati del settore, sia tra il pubblico, numeroso ed affezionato
ad entrambe le formazioni.
“Piccolo sono fiero
di te … E mortificato per non essere lì a festeggiarti, ma domani sera
rimedieremo”
Il sorriso del
bassista era limpido ed innamorato.
Il cuore di Tim stava
andando in frantumi, ma, miracolosamente, riuscì a mantenersi calmo ed
affabile.
“E’ la tua passione
Kevin … è giusto coltivarla”
“Sei tu la mia
passione cucciolo …” – mormorò, sfiorando lo schermo del suo portatile.
“E tu la mia Kevin …”
Un pianto stava
minacciando quella serenità costruita a forza, così che un provvidenziale
disturbo sulla linea, anticipò i saluti.
Ora non restava altro
che tornare a casa con Amos ed Ivan, lasciando che si rilassassero e
distraessero dai suoi movimenti.
Gli rimaneva un
margine di libertà, anche se sapeva che gli ordini impartiti da Geffen
rendevano l’azione dei due bodyguard assai imprevedibile.
Doveva correre il
rischio, per raggiungere Steadman in una casa sulle colline, che Tim non
conosceva assolutamente.
Forse qualcuno gliela
aveva prestata, Ivo non gli aveva fornito dettagli; non servivano.
“La madre superiora è
una mia zia alla lontana”
Jerome lo disse
masticando tabacco, offrendone poi agli astanti, che lo rifiutarono
elegantemente.
Sylvie lesse la targhetta
del convento, scrutando poi i campanelli: uno della portineria, il secondo del
refettorio, il terzo della badessa.
“E adesso …?” –
chiese inquieta.
Geffen suonò all’ultimo,
chiedendo di parlare direttamente con la responsabile, coadiuvato da Renoir,
che si identificò, con successo.
“Jerome … Sei proprio
tu …”
“Già … Una vita che
non ci si vede, scusa il disturbo, ma questi signori sono americani, a parte
Vincent e Sylvie: è di lei che si tratta.” – spiegò educato.
“D’accordo, ti ascolto
…” – e lei squadrò la ragazza, ma senza cattiveria.
“Qui ci sono dei
documenti, che provano il riconoscimento di Alain Debois, unico sopravvissuto
al rogo di Grasse, rammenti?”
“Certo, una tragedia
in cui perirono almeno tre coppie: avevano aperto un’attività di confezionamento
calzature, ma senza rispettare alcune norme di sicurezza e quando scoppiò un
incendio nel magazzino, fu devastante … I Debois ed i Langet avevano dei figli:
Roxane morì, ma Alain si salvò, un miracolo” – sorrise.
“Madre io so di non
avere il diritto di reclamare alcunché, ma quando lo affidai ai miei zii ero in
buona fede e mi auguravo di studiare, affermarmi e garantire un futuro solido
al mio Alain, dal quale sarei tornata, glielo assicuro.” – affermò determinata,
ma rispettosa.
“Lei si è portata uno
stuolo di cavalieri, ma non è necessario, sa?” – disse dolce la monaca, andandole
vicina e prendendola per mano – “Venga … è ora di pranzo, i nostri angeli
diranno la preghiera e voi potrete assistere, dopo di che chiederò ad Alain di
raggiungerci”
“Co cosa …?” –
balbettò sorpresa.
“Vedremo la reazione
del bimbo: è assai intelligente, sa? Lo seguo nel corso di disegno e lui fa
degli acquarelli delicatissimi … Uno in particolare, raffigura una donna, dai
capelli come i suoi … Una sera gli ho chiesto chi fosse ed Alain mi ha mostrato
una foto sbiadita, sa le Polaroid?”
“Sì, mio padre le
collezionava” – disse lei emozionata.
“In bianco e nero, ma
il suo viso, mia cara Sylvie, era raggiante, con il neonato in grembo, anche se
dai suoi occhi traspariva una paura esaustiva … verso il domani, ritengo”
“Ero spaventata e … e
confusa”
“Ora andiamo …
Seguitemi.”
Candele bianche e
luci soffuse: questo l’ambiente, che accolse Tim, al suo arrivo.
Steadman si palesò da
una terrazza, in pantaloni e dolce vita neri: era carismatico, attraente, le
mani in tasca, rilassato e felice di vederlo.
“Tesoro benvenuto …”
“Ciao Ivo … Ho … Ho i
minuti contati e non so neppure se sono riuscito a seminare Ivan ed Amos …” –
ribatté teso, togliendosi il giubbotto in pelle.
“Lascia, ti aiuto …” –
e glielo appese in un armadio a muro, senza fretta.
“Ivo ...”
“Ora tranquillizzati,
se qualcuno dovesse disturbarci, c’è un’uscita sul retro, dove ho lasciato un’auto,
pronta ad andarsene” – ed attivando un monitor, gli dimostrò che non stava
mentendo.
“Ok … Possiamo bere
qualcosa?” – domandò nervoso.
“Veramente ho
preparato una cena, anche se è presto, ma sono piatti leggeri … da
conversazione, da consumarsi degustando un ottimo vino”
Quei termini erano
logoranti e Tim li stava interpretando come doppi sensi espliciti.
“Non … riesco a
mangiare … Non so nemmeno cosa ci faccio qui” – iniziò ad agitarsi, a tremare.
Ivo lo strinse, con
delicatezza, poi lo fissò – “Sei qui per fare l’amore con me, un’ultima volta,
la migliore di tutte: ti giuro che non ti farò alcun male, che nessuno saprà
mai di oggi, che sparirò dalle vostre vite, senza ledere minimamente tuo marito
… Anche se quel ruolo lo pensavo mio di diritto ed il giorno migliore della mia
esistenza rimarrà quello in cui accettasti la mia proposta di matrimonio Tim …
Pazienza … C’est la vie” – ed una lacrima, inesorabile, rigò il suo zigomo
sinistro, prima che Steadman lo baciasse.
Una novizia lo
accompagnò nella saletta adiacente la mensa, con un sorriso.
Alain quasi si
nascondeva dietro la sua veste scura, tormentandosi i bottoni della casacca blu
e grigia, mentre incedeva a passi incerti verso quel nugolo di adulti
sconosciuti, che sembrò schiudersi, lasciandogli libera la visuale su Sylvie,
che si inginocchiò, tendendogli le braccia, istintivamente.
Alain spalancò le
palpebre, bloccandosi.
“Maman …” – respirò appena.
“Amore mio” – disse lei
rapita da mille sensazioni, una migliore dell’altra.
“Mami!”
Le volò sul cuore e
nell’anima, innescando una gioia contagiosa ed irrefrenabile.
Ne seguì uno scambio
di affettuosi quesiti, in Francese ed Inglese, che Alain parlava piuttosto bene,
grazie agli insegnamenti ricevuti in quell’orfanotrofio abitato da una miriade
di cuccioli, ignari di quanto stava accadendo ad Alain.
Geffen si allontanò,
chiedendo un colloquio privato alla madre superiora, coadiuvato da Jerome ed
Hopper.
Scott li seguì, non
voleva abbandonare mai Glam, che non dava segni di cedimento, ma che poteva
subire un notevole stress da quel viaggio, anche a livello di commozione
viscerale.
Harry riscese nel
cortile, restando sotto alle arcate in mattoni a vista, per ripararsi da una
pioggia improvvisa.
Louis lo seguì a
breve distanza, con lo stomaco aggrovigliato.
Vincent rimase ad
osservarli, senza spostarsi: non era il momento di interferire, ma di
aspettare.
Ne era convinto.
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