mercoledì 7 agosto 2013

ZEN - CAPITOLO N. 164

Capitolo n. 164 – zen


Ivo gli tolse il pullover leggero e chiaro, come il suo volto: Tim era a disagio, forse un calice di quel vino rosso, di cui l’insegnante gli aveva accennato, avrebbe risolto quel problema prevedibile.

“Hai sete piccolo?”
“Sì … dell’acqua se non ti spiace”
“Affatto, bevine quanta ne vuoi Tim, però dopo dobbiamo brindare, anche per il nostro imminente addio”
Nel suo tono non c’era retorica e tanto meno ironia.

“Forse mangerei qualcosa …” – propose incerto e Steadman lo fece accomodare, con addosso unicamente i jeans strappati e modaioli.
Lui si sfilò il pullover e rimase anche scalzo, come Tim del resto.
Sembravano una bella coppia, se qualcuno li avesse notati di sfuggita.
Senza sapere i dettagli sui loro trascorsi.

“Sei a buon punto, credo avrai una laurea di tutto rispetto, ne sono fiero”
Tim deglutì a vuoto, imbarazzato dall’affettuosità delle sue parole.
“In parte è merito tuo Ivo …”
“In effetti ho fatto il possibile per sostenerti ed ovviare alle tue carenze, ma hai saputo superare il maestro: non hai più avuto bisogno di me” – osservò quieto, assaggiando una mousse al cioccolato, sulla quale era ricaduta la scelta di Tim.
“Ti piace? E’ una ricetta belga …”
“Sì Ivo, è squisita”
“Il cacao ha virtù incredibili, ma da bambino mia madre me lo negava spesso, sai ero cicciottello” – rise.
“Non si direbbe, ora …”
“Scherzi del destino … Non mi ha mai sopportato, quando è morta, non ho pianto” – rivelò assorto.
In realtà non avevano parlato mai a fondo delle rispettive famiglie.

“E tuo padre, Ivo …?”
“Un debole, piuttosto ignorante, gran lavoratore, masticava polvere ed amianto per farmi studiare, ma mai una carezza, un complimento: detestava la moglie ed io le somigliavo troppo, quindi per associazione di idee …” – scrollò il capo biondo, rialzandosi, sorridendo.
“E’ mancato anche lui …?”
“Sì, aveva i polmoni consumati, una pessima fine”
“Mi dispiace …”
“A me dispiace per altre cose, Tim, ma non ne ho più voglia di parlarne, quindi …” – e gli indicò la camera, dove un letto a baldacchino li stava aspettando.

“Potrei … farmi una doccia, Ivo?”
“Solo se la farai insieme a me” – bissò compiaciuto, mentre gli slacciava i pantaloni, denudandolo completamente.
Tim annuì, ritrovandosi un istante dopo con la bocca di Steadman nella propria, subendo quell’ulteriore invasione, anche se non violenta.
La loro serata era appena all’inizio.


“Come ti senti Haz?”

Le parole di Louis sembrarono precipitare dai suoi occhi, dai quali nascevano, unite alla sua ansia per la salute di Harry, spesso un po’ precaria.
Le allergie primaverili, la delicatezza del suo stomaco, le emicranie saltuarie, nei periodi di studio intenso.
Louis, durante la convivenza, lo aveva curato amorevole, scherzando sul proprio ruolo di infermiera o crocerossina e persino Harry lo canzonava innamorato: quel ricordo sembrava appartenere ad una vita scivolata via dalle loro mani, dai loro cuori, che adesso, si stavano fissando, palpitando all’unisono, come martelli, dallo sterno alle tempie, in una melodia terribile.

“Meglio grazie, non serve che ti preoccupi”
“Sì, lo vedo Haz, tu vai avanti anche senza di me” – ribatté tranquillo.
“Prima o poi doveva accadere”
“Cosa?”
“Che … Che prendessimo strade separate, Lou” – affermò roco, guardando altrove.
“Stai parlando con me oppure con il vento, Haz?” – domandò aspro.
“Con te” – ribadì, stritolando il bordo del muretto, dov’era rimasto appoggiato in piedi.

“Ok …” – prese fiato – “Allora quando torneremo, ammesso che io rientri subito in America, vedi di passare al mio loft, a casa mia, prendi le tue cose e lascia le chiavi nell’ingresso, prima di riprendere la tua strada, ok Harry?”

Gli zigomi di Louis erano rigidi, ma da essi alla fronte, sembrò correre una sottile scia di corrente, capace di tradire la sua delusione disperata.

Harry si umettò le labbra, ma la salivazione era azzerata, come ogni suo pensiero.
Balbettò un assenso confuso e fragile, ma Louis non era più disposto ad ascoltarlo oltre.
Vincent lo stava aspettando.


Scott gli diede un bacio leggero sulla nuca.
Geffen si era quasi assopito.
Gli aveva somministrato un calmante, per via della pressione un po’ alta.

“Mi sono agitato … Quel bimbo e poi … Poi hai visto Sylvie, quanto era felice?” – disse come sognante, con il volto affondato nel cuscino.
Scott chiuse le persiane, l’aria era frizzante.
Si era fatto dicembre.

“Sì Glam, deliziosi entrambi, potresti persino” – poi si morse la lingua.
L’avvocato rise piano – “Dio, ma scherzi? Una moglie bambina …”
“Hai sempre avuto a che fare con i giovani, uno come me non lo sposeresti mai, sono una cariatide” – rise stretto e triste.
“No, sbagli Scotty … Tu saresti perfetto, sono io quello sbagliato”
“Lo dici per consolarmi” – proseguì nello scherzo, tanto non sarebbe cambiato nulla.
O quasi.

“Rimani qui con me Scott … Ho paura”
“Di cosa amore?”
Ora le sue palpebre si erano serrate: il cervello aveva dato via libera a ciò che sgorgava dal suo cuore, da quando si era innamorato di Geffen, andando oltre quel semplice legame di amicizia, guascona e divertente.

“Di perderti e … di perdermi Scott.”


“Quand tout va mal, mieux en rire contre le destin qui, pour être seul avec ses propres larmes!”
Lux lo disse improvviso, guidando verso Antibes, dove possedeva una villa, ma Louis non lo sapeva ancora.
Sorrise, annuendo – “Ma se ci fosse qualcuno, ad asciugare le mie lacrime, forse ritroverei quel sorriso, che il destino, beffardo, ha saputo spegnere, senza neppure chiedermi scusa …”
“Non lo fa mai Lou … Si prende tutto e bonne nuit” – Vincent aggrottò la fronte, risalendo un viale alberato.

“Dove siamo?”
“Quasi arrivati … aspetta, ho dimenticato il telecomando, speriamo che Bernard non sia al bistrot …” – e scese veloce a citofonare.
Il cancello era maestoso ed in ferro battuto, di colore celeste.
Intorno la vegetazione e le aiuole erano oltremodo lussureggianti, anche se quasi prive di fioriture.

Una voce femminile, matura ed accogliente, rispose alla chiamata di Lux.

“Merci maman Bebèl!” – Lux la ringraziò allegro e risalì in auto.
“E’ tua mamma?”
“No Louis, ma era la mia tata, cioè era amica di mia madre e mi teneva quando lei era al lavoro, così mio padre. Maestra e poliziotto, due brave persone, che non ci sono più”
“Ah … capisco …” – replicò timido, incontrando comunque il sorriso del francese e la sua serenità evidente.

Avanzarono lenti, girando intorno ad una fontana in granito rosa, per poi parcheggiare in una parte del cortile, dominata da alcune palme altissime.
Louis divorava ogni dettaglio, provando comunque una serie di sensazioni a cascata, ancora eccessivamente provato dalla conversazione avuta con Harry.
Avrebbe voluto accadesse qualcosa in grado di anestetizzare il suo dolore, ramificatosi ad una profondità inspiegabile, per chi non avrebbe mai creduto che in così giovane età si potesse soffrire in quella maniera per amore.


Era il piacere, che Ivo gli stava procurando, a destabilizzarlo e confonderlo.
Tim cercava un appiglio, mentre l’altro lo scuoteva ad intervalli regolari, ma sempre più vigorosi, facendolo ondeggiare sopra le lenzuola macchiate già da un primo amplesso consumato in silenzio, diversamente da quello in corso, coronato da ansiti crescenti e scabrosi.
Steadman si piegò in avanti, tra le sue gambe, stendendosi e facendo aderire i loro corpi, febbrilmente coinvolti verso un orgasmo straziante, esclusivamente per Tim, al pensiero di Kevin, che mai avrebbe immaginato un simile tradimento, anche se perpetrato a fin di bene, per salvarlo dalla galera.

Il giovane si domandò mentalmente se la ragione fosse quella e non quel misto di attrazione e rifiuto verso l’ex, che forse aveva represso sul nascere qualsiasi soluzione alternativa, per sottrarsi al suo sporco ricatto.

Si baciarono nuovamente e fu come consegnarsi ad Ivo, che gli aveva rubato l’unica cosa bella della propria vita: il rispetto di Kevin, perché Tim non l’avrebbe più guardato nello stesso modo e si sarebbe sentito sempre in colpa, senza potergliene parlare, senza potersi confidare, ora che anche Jimmy aveva lasciato Los Angeles, anche se, probabilmente, neppure con lui avrebbe rivelato quel segreto aberrante.


“Questo è Louis … Ti presento maman Bebèl”
La signora ricordava quelle zie sempre pronte a prepararti una torta, a farti una coccola e lei, istintivamente, la diede a Louis, tra i capelli morbidi, arridendo al suo splendore – “Ma tesoro devi mangiare, sei sciupato” – e mostrò ad entrambi la tavola imbandita.
Vincent sorrise, dicendogli poi piano – “Tu sei perfetto … Certo dovresti nutrirti meglio” – e lo divertì con una smorfia buffa.

“Gli preparo la camera arancio, Vincent?”
“No, meglio quella celeste, Louis vedrà il mare dalle finestre ed è uno spettacolo incantevole” – ormai si erano accomodati e la conversazione era fluida e spontanea.
Bernard sopraggiunse con una borsa di pesce, appena acquistato da un certo Renè.

“Quello è un ladro, cari miei!” – esclamò solare, dando la mano a Lux e salutando affabile Louis – “Avete fatto buon viaggio?”
“Sono passato da quell’orso di Jerome …”
“Uh quello zuccone, al mercoledì gli porto la mia cassoulet, poi lui ricambia accompagnandomi a messa, con quella bagnarola di Renault quattro!”
“Ma non è possibile, ce l’ha ancora?” – “Certo Vincent e ci ha pure messo i copri sedili leopardati, orribili!” – Bebèl rise di gusto, passando a Louis una seconda porzione di zuppa alle verdure, un’autentica prelibatezza.
Bernard stappò un Merlot e lo offrì a Lux, che si stava guardando intorno, apprezzando le maioliche ed il pentolame in rame, sempre lucidato ed in ordine.

Il villino dependance della sua residenza padronale, era colorato di arancio, di giallo e verde mela, profumato di aromi buoni, ovunque andassi.

“Grazie per questo banchetto maman, noi saliamo alla terrazza, mentre tu sistemi le camere, ma senza stancarti, mi raccomando … Scommetto che sono già impeccabili”
“Scommessa vinta, ma voglio controllare asciugamani e lenzuola … Semmai aggiungo una coperta e se vuoi accendo i caminetti, ma il riscaldamento è sempre attivo, lo sai”
“Dove dormiremo direi di no … Cosa ne pensi Louis?”
“Per me è lo stesso … A proposito vi ringrazio, mi avete fatto sentire in famiglia, siete persone meravigliose …”
“E tu un bravo ragazzo, si vede lontano un miglio” – affermò Bernard, recuperando il pastrano – “Provvedo al camino del salone, la legna c’è, vedrete che starete una meraviglia”
“Sì, non ho dubbi” – sospirò emozionato Lux, incrociando gli occhi grandi e riconoscenti di Louis, anche se velati da una tristezza inequivocabile.


Glam e Scott fecero l’amore al buio, respirandosi, ma senza dirsi nulla.
Stavano bene, quando si toccavano e, soprattutto, quando Geffen si muoveva in lui, che sentiva ardere l’aria tra il collo dell’amico e la propria bocca, incollata alla sua pelle madida e liscia.

Poteva durare per sempre, se solo fosse dipeso da Scott.


Jerome stava spazzolando i suoi due persiani, Hopper dava da mangiare ad uno dei labrador ed Harry muoveva nervoso e rigido le pedine sulla scacchiera, sperando che qualcuno gli desse retta.
Purtroppo nessuno aveva voglia di giocare a scacchi e tanto meno dargli corda, dopo averlo visto in azione con Louis.

“Apparecchi tu, Marc?”
“Sì, dove sono i piatti …?”
“Nella credenza rossa”
“Io esco” – si intromise Harry, passando loro in mezzo, quasi fuggendo da quell’ambiente, che percepiva estraneo ed ostile.
Avrebbe voluto sapere dove si trovasse Louis e, per una volta, non dedusse l’ovvio, per come lo considerava, anzi giudicava, senza concedergli attenuanti.
Forse stava facendo un giro con Vincent, piangendo sulla sua spalla generosa; lo sperava ardentemente.
Tentò una telefonata, ma il cellulare di Louis era spento.
Scrisse un sms, ma poi lo cancellò.
Inspirò greve ed iniziò a camminare, destinazione ignota.


Le cornici sembravano accendersi di bagliori sfuggenti, grazie al focolare, vivo e scoppiettante.
In esse, i visi sorridenti di Vincent ed un ragazzino, rimandavano una gioia fatta di purezza ed intesa.

Louis ne prese una, scrutandola meglio; notò la somiglianza.

Lux era sull’ampio balcone, ad ammirare il paesaggio nell’imbrunire, un ottimo cognac in mano, un secondo preparato per Louis, che si avvicinò esitante, parlando alla sua schiena.

“E’ … è tuo figlio …?”
Vincent chiuse gli occhi, poi li riaprì, senza girarsi; scosse il capo, ossigenandosi; nulla era in grado di frantumare ogni sua barriera, come quell’argomento, per il quale si chiudeva come un sasso, Jerome lo definiva così, nelle rare occasioni in cui Lux si era sfogato insieme a lui.

“Ero quasi impazzito, sai? … Tu dai ogni cosa a chi ami, a chi metti al mondo, credendo di doverlo fare per non deluderlo, mentre invece”
Il suo pianto sembrò trovare una via immediata, liberando la sua angoscia più recondita.

“Jacques aveva quattordici anni e quella moto doveva essere sua … Io dicevo, è troppo presto mon petit enfant e lui … Lui si arrabbiava ed insisteva con quella caparbietà, che appartiene solo a voi giovani”
Ora si guardavano.
Vincent si piegò, accucciandosi, come se qualcuno lo avesse accoltellato a morte.
E la morte, tra le curve sovrastanti la costiera verso Monte Carlo, gli aveva portato via Jacques.

“Alla fine la rubò quella maledetta Kawasaki, facendosi beffe persino del mio lavoro: ero uno sbirro, non sapevo tenermi una donna e sua madre ci mollò senza riguardi dopo avere conosciuto su internet un cambia valute, che se la portò ad Hong Kong senza pensarci due volte”
Lo narrò trafelato, ma tremante, come se quel tormento lo perseguitasse senza soluzione.
Louis si era inginocchiato, ascoltandolo, quindi lo abbracciò forte, ma, alla fine, fu Vincent a custodirlo, cullandolo, sconvolto.

“Mon petit enfant … Per me sarà così che ti chiamerò, sai Louis? Quando i giorni diverranno bui, quando la malinconia rosicchierà ogni mio sorriso, rivolto a te … Anche se non ci sarai, anche se il tuo domani è accanto a chi desideri, a chi ti manca da impazzire, come a me manca Jacques, tesoro mio …” – e lo guardò, vivido, turbandolo come nessuno.
Louis gli diede un bacio.
Lux lo visse con intensità, interrompendolo quando mancò ad entrambi il fiato.
Fece aderire le loro fronti, in affanno – “Grazie cucciolo … è … è stato così bello”
“Vincent io …” – e, rifugiandosi nel suo collo, il giovane si lasciò avvolgere totalmente, mentre si sollevarono lenti, le loro figure stagliate su di una notte poco stellata, ma terribilmente speciale ed irripetibile.

“Devi andare da Harry, perché è ciò che vuoi” – mormorò con tenerezza l’uomo, liberandogli le guance e le tempie dai capelli arruffati.
“Lui mi disprezza …”
“No, lui ti ama, Louis, solo che non riesce più a dirtelo o forse non lo ha mai fatto a dovere, come meriti … Risolveremo tutto, ma prima vieni, devo darti una cosa. E’ importante” – e, prendendolo per mano, lo condusse all’interno di quell’abitazione, che Louis già adorava e dove sarebbe potuto tornare in caso di necessità.

Per sempre.











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