Capitolo n. 108 - sunrise
“Il cuore di Kevin è così colmo di rabbia Robert … Solo l’amore potrebbe guarirlo.”
Geffen e Downey erano seduti su di una panca, rimasta in spiaggia dall’ultimo dell’anno, per assistere allo spettacolo dei fuochi di artificio.
L’attore inspirò, cercando gli argomenti migliori, per consolare l’amico.
“Lui l’amore ce lo aveva, era soltanto per te Glam e questo lo sai.”
“Ma io sono stato sempre troppo sbagliato per lui … Mentre Kevin era ed è un ragazzo meraviglioso.”
“Tu ne parli come se … come se ne fossi ancora innamorato, ammesso che”
“Credi che io non l’abbia mai amato davvero, Rob?”
“Questo no Glam … Forse in assenza di Jared avresti potuto … forse.” – e scosse la testa, dando una carezza all’avvocato, che la paragonò mentalmente a quelle che spesso gli riservava Lula, quando tutto sembrava andare a rotoli ed il suo soldino di cacio, diventata più adulto dei propri genitori.
“Jude è da Colin?”
“Sì … sembrate farlo apposta Glam, ogni volta che ci allontaniamo da Los Angeles, combinate dei casini memorabili.”
Risero, amari.
“C’è Jared” – disse improvviso Downey, osservando oltre Geffen l’arrivo del cantante: si alzò per andargli incontro, lasciando Geffen a tormentarsi le mani.
“Robert bentornato” – lo salutò Jared con un sorriso.
“Ciao tesoro, come stai?” – e lo abbracciò paterno.
“Ho appena visto Colin e Jude …” – spiegò emozionato, nel vedere Glam così a disagio poco distante da loro.
Downey sembrò scortarlo da lui, per poi andarsene.
Quel bar era lussuoso, dagli arredi ricercati eppure a Kevin appariva orrendamente squallido.
Anche la clientela sembrava selezionata, ma, in fondo, alle quattro di pomeriggio, a lui quegli agenti di borsa o professionisti o quel che diavolo potevano essere, apparivano come dei disperati, nascosti dietro a sorrisi, ammiccamenti, battute sull’auto appena acquistata od il cellulare di ultima generazione, con cui facevano persino finta di telefonare.
Voleva soltanto stordirsi, con qualche drink e poi tornarsene a casa.
Gli suonava talmente stonato quel vocabolo: la Joy’s house si era trasformata in un mausoleo, al pari di quello di Rice, troppo vasto per Kevin e Lula: la dependance occupata da Vassily e Peter sarebbe risultata più che sufficiente.
“Mi offri da bere?”
Il suo tono era sfacciato, ma le iridi cristalline tradivano le insicurezze di quel giovane, che andò a presentarsi con altrettanta disinvoltura a Kevin.
“Io sono Tim, piacere.” – e gli allungò la mano.
Il bassista la strinse impacciato – “Mi chiamo Kevin … Prendi quello che vuoi.” – e lanciò un’occhiata al barista.
“Non ti ho mai visto qui, Kevin.” – aggiunse suadente, optando per un Martini.
“Già è … è la prima volta.”
“Eppure mi sembri un volto noto.”
“Suonavo … tempo fa, con i Red Close …”
Tim lo fissò, con aria incuriosita – “Ecco dove ti ho visto … un concerto … Vocalist?”
“No basso.”
“Ops … il vocalist era … mmm aspetta … Chris qualche cosa”
“Esatto era lui, Tim.” – e rise svogliato, tracannando una seconda vodka.
“Ehi vacci piano Kevin, quella roba scotta.”
“Mai quanto … Beh lasciamo stare.”
“Facciamo un giro?” – propose Tim allegro, volutamente incurante dell’imbarazzo dell’altro.
“Hai la macchina?”
“No Kevin, la moto …”
“Allora usiamo la mia … Ok andiamo.”
Si erano allacciati con una naturalezza disarmante e passeggiavano di fronte all’oceano, senza dirsi niente: né Jared e tanto meno Glam ne sentivano la necessità.
Certo, c’erano una valanga di argomenti da vagliare, discutere, analizzare, ma le orme lasciate sulla sabbia erano l’unica cosa ad attirare la loro attenzione; come adolescenti tornavano indietro, a scatti imprevisti, ricoprendole, giocando, per annullare il peso di quei giorni.
Infine risalirono alla piscina, per allungarsi su di un ampio sdraio prendisole, dove si addormentarono sereni.
Tim curiosò tra le buste, che Kevin aveva gettato sul sedile posteriore.
“Quanta posta … Glam Geffen?”
“Ehi, lascia stare, che combini?” – sbottò Kevin scocciato, mentre guidava senza meta.
“Ok … dove andiamo?” – domandò il giovane, mantenendo una noncuranza irritante.
“Credevo lo sapessi tu.”
“A me va bene tutto … ormai mi annoio al Dallas.”
“Ci vai spesso Tim?”
“Abbastanza, ma ci sono sempre le solite facce, a parte la tua.” – e rise solare.
“Ti ritieni fortunato?” – chiese, fissandolo, fermi ad un semaforo.
Tim sostenne quell’occhiata quasi invasiva, ribattendo con fare provocatorio – “Certo, se sai scopare come credo.”
Kevin accostò alla prima piazzola.
“Scendi!”
Tim ridacchiò.
“Hai le tue cose bassista dei Red Close?”
Kevin aprì la portiera, sporgendosi e schiacciando con il braccio, il busto di Tim, che alzò le mani, come in segno di resa, piuttosto divertito.
“Che modi Kevin! Inizia a piovere, lascia almeno che chiami un taxi e poi sparisco, se è questo che vuoi!” – esclamò, senza perdere la propria verve.
Glam e Jared corsero al riparo.
“Miseria … questi temporali sono uno strazio!” – sbuffò Geffen.
“Accidenti se dormivamo …”
“Ehi vieni qui …” – ed avvolgendolo, Glam gli tamponò i capelli.
“Mi buscherò un raffreddore” – mormorò Jared.
“Spero di no, hai fame?”
Leto fece una smorfia buffa – “Ce l’hai una pizza?”
“Ovvio, con Lula se ne devono avere almeno dieci tipi nel congelatore!” – replicò l’uomo ridendo.
“Ti dispiace se torno a comporre? Ho un pezzo che mi frulla qui …”
“E’ casa tua, fai quello che senti, ok Jared?” – confermò con pacatezza affettuosa.
“Grazie Glam.”
“No, grazie a te …” – e gli diede un bacio sulla tempia.
Jared inclinò il capo, come ad incontrare meglio le sue labbra in quel gesto carico di tenerezza, preferendo però poi fondere le loro bocche, inaspettato, come quelle intemperie.
Geffen le divise con la consueta fatica – “Vado … vado in cucina Jared” – sussurrò ad occhi chiusi, godendosi il profumo della pelle di Jared.
Attraverso la stoffa dei jeans, entrambi potevano sentire le rispettive erezioni animarsi, come nella notte di fine anno.
Jared si sentì mancare l’aria ed ebbe quasi un capogiro: aveva di nuovo dimenticato di nutrirsi a sufficienza, consumando un pasto a base di insalata, per di più scondita.
Cercò nervosamente una bustina di zucchero nella tasca della felpa, divorandone il contenuto.
“Jared, ma”
“Non sgridarmi Glam, ti prego” – e sgranando quelle pozzanghere di cobalto, sedò immediato gli eventuali rimproveri dell’amante.
“Sono felice che ti sia passata l’agitazione, Kevin.”
“Felice, addirittura?” – bissò sarcastico, giocherellando con il volante.
“Allora conosci Glam Geffen? Lavori per lui?” – domandò assorto Tim.
“No e tu?”
“Io cosa Kevin?”
“Conosci Geffen?”
“Era l’avvocato di papà” – e rise.
“Ah capisco … Tuo padre”
“Ma no, non lo era, ma gli piaceva essere chiamato così, da me, capisci?” – e lo puntò, come se avesse riconosciuto in Kevin qualcosa di simile a sé stesso.
“Sì …” – replicò triste.
“C’era una bella differenza di età, insomma, ma sai quando fai certi giochini … Sì, insomma siamo adulti, mica ti scandalizzerai, hai una faccia Kevin! Ahahahh”
“Non è per quello!”
“E per cosa allora?”
“Glam era … è mio marito. E lo chiamo daddy.”
“Tuo marito …?”
“Stiamo divorziando ad essere sinceri” – e si guardò la fede.
“Mi dispiace Kevin.” - Tim era sincero.
Kevin strizzò le palpebre – “Hai detto che gli piaceva, non stai più con lui?”
“E’ morto.” – disse secco.
“Accidenti, scusa Tim.”
“Non preoccuparti, non ne vale la pena … Forse il tuo daddy era a posto, ma il mio no.” - e si contrasse nel rivelarlo.
“Mi ha trattato sempre come un rimpiazzo, non era poi tanto speciale … cioè per me lo era, io lo amavo e non ho ancora smesso … Non voglio più parlare di lui.”
“Sono d’accordo Kevin … vuoi chiamare il mio taxi?”
“No.”
Tim si guardò in giro, tornando al suo tono scanzonato ed irriverente.
“Ti va di scopare Kevin? Ci divertiamo un po’ …” – e nell’avanzare quello che a Kevin sembrò un rimedio, Tim intromise la mano sinistra tra le gambe del suo nuovo amico.
La sua intonazione era limpida, intensa.
Jared era tornato ad un livello ottimo, dopo un tempo vuoto della sua professione principale.
Geffen lo ascoltava incantato.
Quando Leto lo guardò improvviso, Glam si sentì avvampare.
“E’ … è pronta la cena se vuoi … la pizza intendo.”
“Ok … che succede Glam?” – domandò vivace.
“Nulla e … e tutto Jay.”
Di andare alla Joy’s house non se ne parlava.
Tim era un perfetto estraneo e così doveva restare.
Era perfetto anche con le cosce oscenamente spalancate all’invadenza di Kevin, che aveva sigillato le tapparelle della camera, in un resort dove non era mai andato.
Era stato Tim a sceglierlo, per la vicinanza ad una caletta privata, dove sarebbero scesi a mezzanotte, per partecipare ad una festa, organizzata da certi suoi conoscenti.
A Kevin non importava letteralmente un tubo di incontrare volti nuovi, voleva soltanto svuotarsi in lui, stretto e bollente, oltre a baciarlo.
Tim baciava benissimo, era bello, fresco, senza pensieri … Già, senza pensieri, quel modo di dire gli stava spaccando il diaframma, dal quale salivano dei grugniti più che degli ansiti, come quando era Glam a possederlo, come voleva e come preferiva, a Kevin andava bene tutto, pur di accontentarlo.
A Tim sembrava fare lo stesso effetto.
Quando si coricarono erano le undici e mezza.
Jared aveva concluso un’ulteriore ballata, che Geffen apprezzò in anteprima.
Si erano fatti la doccia insieme, senza dirsi una parola.
Nudi, tenendosi per mano, stavano adesso supini, lo sguardo verso il soffitto a vetri.
“Glam, non me n’ero accorto …”
“Di cosa Jared?”
“Abbiamo le costellazioni come tetto …” – sorrise.
“E’ stato il designer a consigliarmelo …”
“Ottima idea Glam.”
“Già.”
Jared sciolse l’intreccio delle loro dita e poi lo ripristinò, saldandolo meglio.
“E’ … è la notte migliore che abbiamo mai avuto”
“Sì Jay, lo so.”
Senza che accadesse l’ovvio, senza muoversi, si assopirono con una serenità che non conoscevano, in un modo più intimo di qualsiasi contatto e così rimasero, sino all’alba.
LEE WILLIAMS is Tim
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