martedì 18 dicembre 2012

One shot – Liberaci dal male



One shot – Liberaci dal male



Un collezionista di giocattoli.
Ecco chi era il killer di Denver: un sadico, violento e spregiudicato, con un’indole inconsueta.
Scoprire il suo nascondiglio fu relativamente facile per la squadra di Hotchner, un po’ meno stanare lui: gli era sfuggito per un soffio.
Aaron sbuffò, notando lo strambo ciondolare di Reid per quelle camere intasate di pupazzi, trenini, costruzioni di ogni sorta.
“Spencer tutto bene?” – chiese secco, ma preoccupato.
Aveva sempre questa propensione a difenderlo persino dall’aria, cosa che infastidì anche in quell’occasione Derek, piombato alle loro spalle.
“Certo che sta bene” – puntualizzò l’agente di colore, per poi aggiungere – “E dovrebbe prepararci un aggiornamento del profilo, senza più perdere tempo. Che ne dici dottore?”
Morgan si ritrovò addosso le occhiate interrogative di Hotch, ma anche di Rossi, che stava sfogliando un diario, scritto fittamente dall’assassino di ventiquattro prostitute.
“Spencer, mi aiuteresti?” – domandò gentile David e lui gli si avvicinò, ancora un po’ distratto, quasi incantato da quell’ambiente: Reid non aveva dato proprio ascolto alle parole di Morgan, che si dileguò stizzito, verso l’uscita, dove JJ stava tenendo una conferenza stampa improvvisata.
Hotch lo seguì.

“Cosa ti prende?”
“Niente, mi mancava l’aria!”
“Non parlo di te, ma di come tratti Spencer. Non metterlo sotto pressione, non serve, lui ha i suoi tempi, il suo carattere, Morgan!”
Discutevano a denti stretti, senza alzare i toni, perché i giornalisti erano a pochi passi da loro.
Derek lo puntò, dominando quella rabbia smodata, che si teneva nello stomaco dal mattino, prima di lasciare l’albergo.
Reid ed Hotchner erano nella hall, in un angolo appartato, tra la sala colazioni ed i corridoi, che portavano alle camere del piano terreno: Aaron lo teneva tra le braccia e si capiva che Spencer aveva appena pianto.
Morgan aveva fatto un turno di notte, per sorvegliare quell’abitazione sospetta, che si rivelò il rifugio dell’S.I. quindi non aveva dormito con Reid, con il quale peraltro si sentiva ancora irritato per un litigio stupido del giorno precedente.
Era cominciato come uno scherzo, quella conversazione, che si impelagò nelle puntualizzazioni saccenti del più giovane, facendo sentire Derek alla stregua di un bifolco ignorante.
Una lotta di classe, tra lui che dava calci ad un pallone e divorava fumetti, contro gambe storte, sempre preso a leggere Shakespeare o roba simile.
“Roba simile, Derek? Così mi polverizzi secoli di letteratura e”
“Non avresti preferito un bel gioco? Anche andare su di un’altalena per dieci minuti? Così invasato di cultura e paroloni, mi sembra di vederti, sotuttoio!”
Se le erano ringhiate, anzi sputate addosso, quelle frasi pungenti e spietate, pure sapendo che contenevano dei ricordi pesanti e gravosi per entrambi.
Ad essere sinceri, pensò Morgan, l’unico a sembrare un cane livido era lui, mentre Spencer rimaneva quello bastonato, come in ogni loro scontro verbale.

Così i suoi occhi, troppo grandi e da cucciolo spaurito, che si nascondevano in un tremolio delle palpebre, per l’imbarazzo di essere consolato proprio dal gelido Hotchner.
Con lui, invece, Aaron si scioglieva, ritrovando quell’accortezza paterna, che si poteva attribuire anche a David Rossi, per come interagiva con Reid, dal primo istante in cui iniziarono a collaborare.

Adesso, però, Morgan vedeva Hotch come un antagonista, all’improvviso.
Forse lo avrebbe baciato, se fossero saliti in camera e non si fossero trovati in quel luogo pubblico, forse Hotch avrebbe osato, rimuginava Derek.
“Hai uno sguardo … inquietante” – disse Aaron, riflessivo, scrutandolo.
Morgan rientrò sulla Terra, dal pianeta delle sue inquietudini morbose verso Reid, schernendosi – “Sono solo stanco Hotch … ti chiedo scusa” – concluse imbarazzato, provando ad andarsene.
“Chiedila a Spencer: ti ci vuole ben altro per scalfire me.” – e fu lui a defilarsi, scuro in volto.
Derek strinse i pugni, poi sobbalzò al tocco di Prentiss, che lo stava studiando da un bel po’.
“Emily sei tu …”
“E già … Problemi con il boss?” – chiese simpatica.
“No … No, è che siamo stressati, pensavamo di farcela.”
“Sicuramente … era il pensiero comune della squadra. Pazienza, non molleremo.”
“Ok … ok, sì, torno dentro.”


Era buffo, ma al tempo stesso faceva tenerezza.
Se ne stava seduto contro una parete, tappezzata di mongolfiere e palloncini, con un orso di peluche bianco, stretto al petto.
“Spencer … che combini?” – David sorrise, scompigliandogli i capelli.
“Mai avuto uno” – replicò, fissando il vuoto davanti a sé.
“Allora portatelo via”
“Non posso, è una prova”
“Non credo … Vado con l’auto sul retro e me lo passi dalla finestra, che ne dici Spencer?” – aggiunse dolce, accovacciandosi.
Reid lo guardò.
“Perché tu sei così e …” – si interruppe.
“E? … E cosa, Spencer?” – bissò perplesso.
“Niente, facevo un paragone.”
“Con chi?”
“Un … un tizio … a cui voglio bene … ecco” – e tirò su dal naso.
Rossi si lisciò il mento.
“Lo conosco? E’ … è un tuo amico?” – domandò, sapendo che Reid non ne aveva al di fuori del lavoro.
“Credo che la sua unica preoccupazione sia scoparmi” – sbottò serio e lucido, ma poi arrossì, schizzando in piedi.
Passò l’orso a Rossi e fuggì via.

JJ lo intercettò nel cortile.
“Ehi, dove scappi Spencer?” – e gli arrise solare.
“Ciao JJ, torno in ufficio” – ribatté trafelato, sistemandosi la consueta tracolla e rimboccandosi le maniche del pullover nero, sopra alla camicia azzurro chiaro.
Faceva pendant con i jeans scoloriti e delle Clark in camoscio scuro, un abbinamento felice, una volta tanto.
“Quale ufficio …?”
“Al comando di polizia JJ” – spiegò, come se fosse lapalissiano quel concetto, quando erano in missione.
La ragazza scosse la testa – “Vuoi sentirla una cosa?”
“Co-cosa JJ?”
Lei gli prese la mano destra, con delicatezza, posandola sul proprio pancino prominente al sesto mese.
“Sta scalciando … Ti saluta Spencer” . e rise complice.
Lui si commosse, spiato da Derek, affacciato da quella camera dei peluche, che tanto aveva affascinato il collega, che amava più della sua stessa vita, senza avere la maturità e la concretezza di dirglielo, dopo un anno di incontri clandestini.

“Una parte di Reid, rimarrà simile a quella di un bambino, soggiogato dal suo genio spesso ingestibile.”
La voce di Rossi gli arrivò dritta in mezzo alla schiena.
Morgan annuì, voltandosi al rallentatore, per non distogliere lo sguardo dalla scena là fuori.
“Vorrei proteggerlo da tutto questo … vorrei salvarlo”
“Come Spencer è riuscito con le tue paure, Derek? Con i tuoi incubi?”
“Tu come …?”
“Sarei un brocco, nel mio mestiere, se non cogliessi certe evidenze, non pensi?” – e sorrise.
“Purtroppo non è così Dave, non del tutto …” – disse mesto.
Provava una voglia smodata di raccontargli ogni dettaglio di loro, come in uno sfogo rimandato, senza mai fidarsi di qualcuno, anche se, reciprocamente, lui ed i componenti della BAU si delegavano la salvezza della propria vita, in ogni drammatico caso fossero chiamati a risolvere.
“Ti va di parlarne?” – lo anticipò il più anziano ed esperto del team.
Morgan scosse il capo liscio e rasato – “Magari un’altra volta Dave … Ti ringrazio comunque, sono certo della tua riservatezza.”
“Quella sempre.”


“Non sei obbligato a farlo”
“Cosa Derek? Sesso con te?”
Reid si stava spogliando convulsamente, dopo essersi ritrovato Morgan praticamente nudo, dopo una doccia solitaria e triste, senza le sue risate, i giochi infantili, forse l’unica cosa romantica che si concedevano.
Era saturo di barriere quel rapporto, che non portava a nulla.
Morgan era avvolto da un asciugamano, dalla vita in giù, seduto sul letto di Spencer, che si era fatto un giro in macchina, per meditare su come sistemare le cose con lui.
Rimase in boxer, della taglia sbagliata, un po’ comoda per il suo bacino esile, dove l’altro lo invadeva puntualmente, saccheggiando ogni fibra di quel canale strettissimo e minuto, come ogni caratteristica di Reid.
Cercò la poltroncina, trascinandosela sotto al sedere infreddolito, ci si appollaiò sopra, raccogliendo quegli stecchi inferiori con quelli superiori, che in Morgan erano spettacolari bicipiti.
“Che fai adesso …?” – chiese, pervaso di tenerezza.
“Niente …” – replicò flebile.
Il suo iniziale ardore, mirato non sapeva bene a cosa, si era già estinto, soffocato da una timidezza adorabile.
“Niente Morgan …” – e nascondendo il viso tra le ginocchia smunte, Spencer cominciò a piangere senza fare il minino rumore.
Derek tremò.
Strofinandosi la faccia, prese fiato.
“Io … io giocavo a pallone, sognando di potere comprare una casa a mia madre, un giorno … Di quel giorno, lui mi parlava sempre e mi … mi incoraggiava ad allenarmi, duramente, trascurando gli studi ed a me non dispiaceva, sai piccolo …?” – e tirò su dal naso, in palese affanno.
Spencer tornò a fissarlo, incredulo.
Gli sembrava persino che l’intonazione di Derek fosse mutata, per quella che apparve ad entrambi come una confessione a cuore aperto.
“Così mi dimenticavo persino di mangiare, per non appesantirmi, per correre veloce … Non abbastanza Spencer, non … abbastanza”
Serrò gli occhi, ma poi li spalancò, come se avesse trovato la forza di affrontare quelle reminiscenze dolorose e strazianti.
“Disse che … che gli dovevo tutto … che non sarei mai arrivato, senza le sue raccomandazioni, le sue conoscenze ed in parte era vero, per cui dovevo essere buono con lui, perché lui lo era con me, visto che agli altri non fregava un cazzo di me, lo ripeteva di continuo!” – ed il suo tono si inasprì.
“Derek …”
“Fu un crescendo … all’inizio mi toccava, negli spogliatoi, quando restavamo soli, poi … poi” – era così difficile andare avanti, ma adesso le mani di Reid stavano stringendo le sue ed a Morgan sembrò di avvertire come un fiume, salire dal suo addome, per poi esplodere fuori.
Rise nevrotico – “La prima volta mise un accappatoio sotto di me … poi non servì, c’erano le coperte della sua branda, quella che teneva in ufficio, non ne usciva mai, ci mangiava, ci fumava, ci beveva, ci sputava e ruttava!”
“Mio Dio …” – disse quasi impercettibile Reid.
Le lacrime sembrarono sciogliersi dai suoi carboni, precipitando dagli zigomi perfetti: “Iniziò scopandomi la bocca … poi tutto il resto Spencer”
“Amore …” – e lo stritolò, con quelle ali fragili, ma che Morgan percepì come il luogo migliore dove perdersi e ritrovarsi, dopo quell’esplosione di emozioni.
“Non l’avevi fatto mai scricciolo …”
“Co-cosa Derek?”
“Chiamarmi amore …” – e gli sorrise felice.
Si baciarono, saturi di gioia.


Rossi inforcò gli occhiali da sole.
Hotch tossì, armeggiando con il cellulare.
“Sono terribilmente carini” – iniziò Dave.
“Sì, è evidente” – Aaron sorrise, tornando a scrutarli.

In lontananza Derek e Spencer camminavano affiancati.
Reid gesticolava, spiegando qualcosa a Morgan, che seguiva attento e sorridente, finché non arrivarono al suv, dal quale l’agente di colore estrasse qualcosa: un bell’orsacchiotto di peluche marrone.
Lo porse a Reid, che spalancò la bocca, stupito ed innocente.
Poi lo brandì, cullandolo lieve ed abbracciando Derek, gli diede un bacio sulla guancia sinistra.

“Qualcuno lassù ha ascoltato le preghiere di Spencer …” – mormorò Rossi.
“… ma liberaci da tutti i mali … Pensi che Morgan ci sia riuscito?”
“L’amore di Spencer ci è riuscito.” – e si congedò, con uno dei suoi sorrisi ammiccanti e serafici.

The end





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