One
shot – Liberaci dal male
Un collezionista di
giocattoli.
Ecco chi era il
killer di Denver: un sadico, violento e spregiudicato, con un’indole
inconsueta.
Scoprire il suo
nascondiglio fu relativamente facile per la squadra di Hotchner, un po’ meno
stanare lui: gli era sfuggito per un soffio.
Aaron sbuffò, notando
lo strambo ciondolare di Reid per quelle camere intasate di pupazzi, trenini,
costruzioni di ogni sorta.
“Spencer tutto bene?”
– chiese secco, ma preoccupato.
Aveva sempre questa
propensione a difenderlo persino dall’aria, cosa che infastidì anche in quell’occasione
Derek, piombato alle loro spalle.
“Certo che sta bene” –
puntualizzò l’agente di colore, per poi aggiungere – “E dovrebbe prepararci un
aggiornamento del profilo, senza più perdere tempo. Che ne dici dottore?”
Morgan si ritrovò
addosso le occhiate interrogative di Hotch, ma anche di Rossi, che stava
sfogliando un diario, scritto fittamente dall’assassino di ventiquattro prostitute.
“Spencer, mi
aiuteresti?” – domandò gentile David e lui gli si avvicinò, ancora un po’
distratto, quasi incantato da quell’ambiente: Reid non aveva dato proprio
ascolto alle parole di Morgan, che si dileguò stizzito, verso l’uscita, dove JJ
stava tenendo una conferenza stampa improvvisata.
Hotch lo seguì.
“Cosa ti prende?”
“Niente, mi mancava l’aria!”
“Non parlo di te, ma
di come tratti Spencer. Non metterlo sotto pressione, non serve, lui ha i suoi
tempi, il suo carattere, Morgan!”
Discutevano a denti
stretti, senza alzare i toni, perché i giornalisti erano a pochi passi da loro.
Derek lo puntò,
dominando quella rabbia smodata, che si teneva nello stomaco dal mattino, prima
di lasciare l’albergo.
Reid ed Hotchner
erano nella hall, in un angolo appartato, tra la sala colazioni ed i corridoi,
che portavano alle camere del piano terreno: Aaron lo teneva tra le braccia e
si capiva che Spencer aveva appena pianto.
Morgan aveva fatto un
turno di notte, per sorvegliare quell’abitazione sospetta, che si rivelò il
rifugio dell’S.I. quindi non aveva dormito con Reid, con il quale peraltro si
sentiva ancora irritato per un litigio stupido del giorno precedente.
Era cominciato come
uno scherzo, quella conversazione, che si impelagò nelle puntualizzazioni
saccenti del più giovane, facendo sentire Derek alla stregua di un bifolco
ignorante.
Una lotta di classe,
tra lui che dava calci ad un pallone e divorava fumetti, contro gambe storte,
sempre preso a leggere Shakespeare o roba simile.
“Roba
simile, Derek? Così mi polverizzi secoli di letteratura e”
“Non
avresti preferito un bel gioco? Anche andare su di un’altalena per dieci
minuti? Così invasato di cultura e paroloni, mi sembra di vederti, sotuttoio!”
Se le erano
ringhiate, anzi sputate addosso, quelle frasi pungenti e spietate, pure sapendo
che contenevano dei ricordi pesanti e gravosi per entrambi.
Ad essere sinceri,
pensò Morgan, l’unico a sembrare un cane livido era lui, mentre Spencer
rimaneva quello bastonato, come in ogni loro scontro verbale.
Così i suoi occhi,
troppo grandi e da cucciolo spaurito, che si nascondevano in un tremolio delle
palpebre, per l’imbarazzo di essere consolato proprio dal gelido Hotchner.
Con lui, invece,
Aaron si scioglieva, ritrovando quell’accortezza paterna, che si poteva
attribuire anche a David Rossi, per come interagiva con Reid, dal primo istante
in cui iniziarono a collaborare.
Adesso, però, Morgan
vedeva Hotch come un antagonista, all’improvviso.
Forse lo avrebbe
baciato, se fossero saliti in camera e non si fossero trovati in quel luogo
pubblico, forse Hotch avrebbe osato, rimuginava Derek.
“Hai uno sguardo …
inquietante” – disse Aaron, riflessivo, scrutandolo.
Morgan rientrò sulla
Terra, dal pianeta delle sue inquietudini morbose verso Reid, schernendosi – “Sono
solo stanco Hotch … ti chiedo scusa” – concluse imbarazzato, provando ad
andarsene.
“Chiedila a Spencer:
ti ci vuole ben altro per scalfire me.” – e fu lui a defilarsi, scuro in volto.
Derek strinse i
pugni, poi sobbalzò al tocco di Prentiss, che lo stava studiando da un bel po’.
“Emily sei tu …”
“E già … Problemi con
il boss?” – chiese simpatica.
“No … No, è che siamo
stressati, pensavamo di farcela.”
“Sicuramente … era il
pensiero comune della squadra. Pazienza, non molleremo.”
“Ok … ok, sì, torno
dentro.”
Era buffo, ma al
tempo stesso faceva tenerezza.
Se ne stava seduto
contro una parete, tappezzata di mongolfiere e palloncini, con un orso di
peluche bianco, stretto al petto.
“Spencer … che
combini?” – David sorrise, scompigliandogli i capelli.
“Mai avuto uno” –
replicò, fissando il vuoto davanti a sé.
“Allora portatelo via”
“Non posso, è una
prova”
“Non credo … Vado con
l’auto sul retro e me lo passi dalla finestra, che ne dici Spencer?” – aggiunse
dolce, accovacciandosi.
Reid lo guardò.
“Perché tu sei così e
…” – si interruppe.
“E? … E cosa,
Spencer?” – bissò perplesso.
“Niente, facevo un
paragone.”
“Con chi?”
“Un … un tizio … a
cui voglio bene … ecco” – e tirò su dal naso.
Rossi si lisciò il
mento.
“Lo conosco? E’ … è
un tuo amico?” – domandò, sapendo che Reid non ne aveva al di fuori del lavoro.
“Credo che la sua
unica preoccupazione sia scoparmi” – sbottò serio e lucido, ma poi arrossì,
schizzando in piedi.
Passò l’orso a Rossi
e fuggì via.
JJ lo intercettò nel
cortile.
“Ehi, dove scappi
Spencer?” – e gli arrise solare.
“Ciao JJ, torno in
ufficio” – ribatté trafelato, sistemandosi la consueta tracolla e rimboccandosi
le maniche del pullover nero, sopra alla camicia azzurro chiaro.
Faceva pendant con i
jeans scoloriti e delle Clark in camoscio scuro, un abbinamento felice, una
volta tanto.
“Quale ufficio …?”
“Al comando di
polizia JJ” – spiegò, come se fosse lapalissiano quel concetto, quando erano in
missione.
La ragazza scosse la
testa – “Vuoi sentirla una cosa?”
“Co-cosa JJ?”
Lei gli prese la mano
destra, con delicatezza, posandola sul proprio pancino prominente al sesto mese.
“Sta scalciando … Ti
saluta Spencer” . e rise complice.
Lui si commosse,
spiato da Derek, affacciato da quella camera dei peluche, che tanto aveva
affascinato il collega, che amava più della sua stessa vita, senza avere la
maturità e la concretezza di dirglielo, dopo un anno di incontri clandestini.
“Una parte di Reid,
rimarrà simile a quella di un bambino, soggiogato dal suo genio spesso
ingestibile.”
La voce di Rossi gli
arrivò dritta in mezzo alla schiena.
Morgan annuì,
voltandosi al rallentatore, per non distogliere lo sguardo dalla scena là fuori.
“Vorrei proteggerlo
da tutto questo … vorrei salvarlo”
“Come Spencer è
riuscito con le tue paure, Derek? Con i tuoi incubi?”
“Tu come …?”
“Sarei un brocco, nel
mio mestiere, se non cogliessi certe evidenze, non pensi?” – e sorrise.
“Purtroppo non è così
Dave, non del tutto …” – disse mesto.
Provava una voglia
smodata di raccontargli ogni dettaglio di loro, come in uno sfogo rimandato,
senza mai fidarsi di qualcuno, anche se, reciprocamente, lui ed i componenti
della BAU si delegavano la salvezza della propria vita, in ogni drammatico caso
fossero chiamati a risolvere.
“Ti va di parlarne?” –
lo anticipò il più anziano ed esperto del team.
Morgan scosse il capo
liscio e rasato – “Magari un’altra volta Dave … Ti ringrazio comunque, sono
certo della tua riservatezza.”
“Quella sempre.”
“Non sei obbligato a
farlo”
“Cosa Derek? Sesso
con te?”
Reid si stava
spogliando convulsamente, dopo essersi ritrovato Morgan praticamente nudo, dopo
una doccia solitaria e triste, senza le sue risate, i giochi infantili, forse l’unica
cosa romantica che si concedevano.
Era saturo di barriere
quel rapporto, che non portava a nulla.
Morgan era avvolto da
un asciugamano, dalla vita in giù, seduto sul letto di Spencer, che si era
fatto un giro in macchina, per meditare su come sistemare le cose con lui.
Rimase in boxer,
della taglia sbagliata, un po’ comoda per il suo bacino esile, dove l’altro lo
invadeva puntualmente, saccheggiando ogni fibra di quel canale strettissimo e
minuto, come ogni caratteristica di Reid.
Cercò la poltroncina,
trascinandosela sotto al sedere infreddolito, ci si appollaiò sopra,
raccogliendo quegli stecchi inferiori con quelli superiori, che in Morgan erano
spettacolari bicipiti.
“Che fai adesso …?” –
chiese, pervaso di tenerezza.
“Niente …” – replicò flebile.
Il suo iniziale
ardore, mirato non sapeva bene a cosa, si era già estinto, soffocato da una
timidezza adorabile.
“Niente Morgan …” – e
nascondendo il viso tra le ginocchia smunte, Spencer cominciò a piangere senza
fare il minino rumore.
Derek tremò.
Strofinandosi la
faccia, prese fiato.
“Io … io giocavo a
pallone, sognando di potere comprare una casa a mia madre, un giorno … Di quel
giorno, lui mi parlava sempre e mi … mi incoraggiava ad allenarmi, duramente,
trascurando gli studi ed a me non dispiaceva, sai piccolo …?” – e tirò su dal
naso, in palese affanno.
Spencer tornò a
fissarlo, incredulo.
Gli sembrava persino
che l’intonazione di Derek fosse mutata, per quella che apparve ad entrambi
come una confessione a cuore aperto.
“Così mi dimenticavo
persino di mangiare, per non appesantirmi, per correre veloce … Non abbastanza
Spencer, non … abbastanza”
Serrò gli occhi, ma
poi li spalancò, come se avesse trovato la forza di affrontare quelle reminiscenze
dolorose e strazianti.
“Disse che … che gli
dovevo tutto … che non sarei mai arrivato, senza le sue raccomandazioni, le sue
conoscenze ed in parte era vero, per cui dovevo essere buono con lui, perché lui
lo era con me, visto che agli altri non fregava un cazzo di me, lo ripeteva di
continuo!” – ed il suo tono si inasprì.
“Derek …”
“Fu un crescendo …
all’inizio mi toccava, negli spogliatoi, quando restavamo soli, poi … poi” –
era così difficile andare avanti, ma adesso le mani di Reid stavano stringendo
le sue ed a Morgan sembrò di avvertire come un fiume, salire dal suo addome,
per poi esplodere fuori.
Rise nevrotico – “La
prima volta mise un accappatoio sotto di me … poi non servì, c’erano le coperte
della sua branda, quella che teneva in ufficio, non ne usciva mai, ci mangiava,
ci fumava, ci beveva, ci sputava e ruttava!”
“Mio Dio …” – disse quasi
impercettibile Reid.
Le lacrime sembrarono
sciogliersi dai suoi carboni, precipitando dagli zigomi perfetti: “Iniziò
scopandomi la bocca … poi tutto il resto Spencer”
“Amore …” – e lo
stritolò, con quelle ali fragili, ma che Morgan percepì come il luogo migliore
dove perdersi e ritrovarsi, dopo quell’esplosione di emozioni.
“Non l’avevi fatto
mai scricciolo …”
“Co-cosa Derek?”
“Chiamarmi amore …” –
e gli sorrise felice.
Si baciarono, saturi
di gioia.
Rossi inforcò gli
occhiali da sole.
Hotch tossì,
armeggiando con il cellulare.
“Sono terribilmente
carini” – iniziò Dave.
“Sì, è evidente” –
Aaron sorrise, tornando a scrutarli.
In lontananza Derek e
Spencer camminavano affiancati.
Reid gesticolava,
spiegando qualcosa a Morgan, che seguiva attento e sorridente, finché non
arrivarono al suv, dal quale l’agente di colore estrasse qualcosa: un bell’orsacchiotto
di peluche marrone.
Lo porse a Reid, che
spalancò la bocca, stupito ed innocente.
Poi lo brandì,
cullandolo lieve ed abbracciando Derek, gli diede un bacio sulla guancia
sinistra.
“Qualcuno lassù ha
ascoltato le preghiere di Spencer …” – mormorò Rossi.
“… ma liberaci da
tutti i mali … Pensi che Morgan ci sia riuscito?”
“L’amore di Spencer
ci è riuscito.” – e si congedò, con uno dei suoi sorrisi ammiccanti e serafici.
The end
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