venerdì 21 dicembre 2012

ONE SHOT - ANGELO MIO



One shot – Angelo mio


Il soffitto sembrava tremolare, ma ero solo lo sguardo di Reid a creare quello strano effetto ottico.
Morgan si muoveva dentro di lui, a tratti più intenso, in altri più delicato, quasi sommesso, contemplativo: Spencer lo percepiva, anche se a palpebre serrate, quasi se ne vergognasse.
Da qualche settimana, il suo pudore era legato unicamente al fatto di non provare alcun piacere durante i loro amplessi, prima magnifici.

Prima di quel bastardo, che lo aveva tenuto in ostaggio, insieme ad Hotch ed a JJ, che lo aveva picchiato, quando Reid si era osato difendere a parole la collega, madre da pochi mesi, dalle avance di quel maiale, travestito da broker in carriera.
Li aveva ingannati tutti, persino Rossi, sempre attento a dettagli, che ad altri della squadra sfuggivano: li aveva raggirati, diventando addirittura amico di Morgan, di colore quanto lui, in carriera quanto lui, una sorta di complicità, nella guerra di rivalsa, portata avanti dalle minoranze, che loro sembravano rappresentare al meglio, in un riscatto epocale.
Brian Kramer si era spacciato per vittima, di un ipotetico S.I., che gli aveva violentato e strangolato la moglie.
C’era del metodo, c’era una premeditazione pura, lui aveva una strategia, visto che la donna minacciava un divorzio, che lo avrebbe rovinato.
C’erano i soldi, un’assicurazione da truffare e poi c’erano altre prede, che Kramer sterminò letteralmente, nei quartieri alti di Boston, prendendoci gusto, quando invece l’intento era quello di fare credere all’esistenza di un serial killer e coprire il secondo omicidio, ovvero la consorte tanto detestata.

In Reid riemerse tutto il terrore vissuto durante il martirio subito da Tobias Hankel, che tenne in pugno Spencer per tre giorni, torturandolo e drogandolo: in quel caso, l’agente dell’FBI ne uscì vivo per miracolo, uccidendo il suo carnefice, ma altresì entrando in un tunnel di angoscia, superato a fatica e mai del tutto metabolizzato.

Morgan lo strinse maggiormente, baciandolo e gemendo nella bocca di Spencer, mentre raggiungeva un orgasmo solitario.
Al ragazzo sembrava di essere come desertificato ed assente: il suo corpo, bagnato da Derek, non rispondeva ad alcuno stimolo.
Era snervante.
“So sono mortificato” – balbettò, nascondendosi nell’incavo del collo di Morgan, che aveva capito: non era cambiato nulla dall’ultima volta.
Un fallimento, che ormai sentiva come personale ed esclusivo.
Spencer non aveva mai avuto esperienze, lui era stato il primo e sarebbe rimasto l’unico, nelle parole innamorate di quel ragazzino, che amava ogni giorno di più.
“Piccolo mio …” – lo sussurrò, afflitto, uscendo piano da lui, ma se solo fosse servito a qualcosa, Spencer si sarebbe lasciato picchiare da Morgan, si sarebbe lasciato fare di tutto.
“Io … io sono tuo Derek …” – e piegando il viso dal lato sinistro, affondò nel cuscino, piangendo piano.
Anche in quell’occasione, lui disturbava il mondo, non si integrava, ne veniva espulso, così diverso, fragile, inadatto.
Morgan conosceva le sue riflessioni, in quel silenzio ormai agghiacciante.
Si stavano perdendo, in un imbarazzo ostile ed acre.


Tre giorni dopo …

Quella missione a Philadelphia con Rossi sembrò un toccasana per Reid, ma non solo.
Morgan lo aveva salutato, abbracciandolo e baciandolo forte, nel bagno degli uomini della BUA, raccomandandosi scherzosamente di non fare arrabbiare David, con le sue battute saccenti durante il viaggio in auto verso la periferia della città, dove avrebbero contattato i familiari di un sospetto.
Reid aveva annuito, lasciandosi coccolare sino all’ultimo minuto, prima di congedarsi, con un nodo alla gola da lui.

Adesso stavano seduti, con Rossi, ad un tavolino in legno grezzo, mangiando un gelato, un’idea del più anziano, per quel caldo giorno di luglio inoltrato.
Dave osservava la golosità trattenuta di Reid, così da provocarla, ordinando il bis.
Il giovane storse le labbra, poi sorrise – “Sto esagerando, ma … questa nocciola è squisita, non pensi David?”
“Sì, hai ragione … Come stai?” – domandò senza cambiare tono di voce, come se fosse una carezza, quella sua continua premura, dimostrata a Spencer, che scosse la testa, in un gesto infantile.
“Ho visto giorni migliori …” – e rise nervoso, lo sguardo fisso alla coppa in cristallo azzurro.
“Spencer, guardami … Come stai?”
Reid lo puntò, con una vena di insofferenza, quasi di fastidio, ma si pentì immediatamente, vedendo che Rossi gli dimostrava un affetto ed una considerazione palesi.
“Sono a pezzi Dave …”
Prese fiato e spostò quella leccornia – “Faccio due passi, anzi no, torno in hotel”
Avevano prenotato due stanze comunicanti, nel resort alle loro spalle.
Rossi gli prese un polso, trattenendolo, senza irruenza – “Resta qui e parliamone Spencer” – disse pacato.
“Ma di cosa?!” – sbottò.
“Di ciò che ti sta distruggendo”
Reid ebbe un fremito, nelle dita che Rossi ancora brandiva con delicatezza.
“E’ … è come se fossi anestetizzato … è come” – una lacrima gli segnò lo zigomo destro – “è come se il mio corpo avesse alzato una barriera verso tutte quelle emozioni acute, siano esse positive o negative” – aggiunse diretto.
“E’ un trauma che devi superare, se non vuoi perderlo”
“Perdere chi?” – chiese stupito.
La risposta era evidente, nelle iridi scure dell’altro.
Spencer avvampò.
“Tu … tu lo sai, di noi, David?”
“Non fate molto per nasconderlo” – e sorridendo, si ossigenò.
“Credevo di essere discreto, cioè credevamo … ecco … E’ stato solo sesso, per molto tempo, poi non riuscivo più a stare con Derek, senza vivere i miei sentimenti, lo avrei lasciato se non si fosse deciso a dirmi ciò che provava davvero”
“E l’ha fatto. Presumo …”
“Sì, quando ha avuto paura di perdermi, quando ho rischiato di morire, lui rifiutava quella che credeva essere una debolezza”
“Non essere severo Spencer, lui ti ha amato dal primo istante” – ribatté convinto.
“Mi detestava”
“E’ una sciocchezza …”
“Mi sfotteva e”
“Spencer”
Le mani di Reid si stavano contorcendo.
“Scarichi su Derek la rabbia per ciò che ti hanno fatto passare i tuoi aguzzini, perché sai che lui è abbastanza coriaceo da non arrendersi con te, però al tempo stesso hai il terrore che si stanchi, che se ne vada, perché tu sei complicato, sei imprevedibile, a volte sei distante, con i tuoi libri, la tua conoscenza sconfinata ed imbarazzante per chiunque, anche la persona più istruita, con cui tu possa interagire.”
“Sono io quello sbagliato quindi!” – inveii, alzandosi.
Rossi lo seguì deciso.
“Tu sei perfetto per lui!” – esclamò raggiungendolo svelto.
“Io … io non sono niente Dave …” – e, in preda ad un improvviso pianto, sembrò cristallizzarsi in un dolore lancinante.
Rossi lo avvolse, sorreggendolo.


Fu l’atto più dolce, che Reid avrebbe ricordato per sempre.
Il calore di Dave lo colmava, senza invaderlo, mentre le loro falangi, affusolate per Spencer e più solide per Rossi, madide e febbrili, si intrecciavano e stringevano ad ogni spinta dell’uomo, nella fessura minuta di quello che gli appariva come un cucciolo spaurito.
Gli occhi grandi di Reid erano liquidi e spalancati su David, poi si chiudevano repentini, lasciando che la sua bocca cercasse aria, schiudendosi sensuale, senza alcuna malizia.
Spencer era così, innocente ed arrapante, se Rossi avesse dovuto descriverlo in maniera spregiudicata, cosa che non gli apparteneva affatto.
Lui, invece, era un uomo che aveva amato diverse donne, era un padre, relativamente assente e gravato dai sensi di colpa più classici, per i genitori divorziati e di successo, ma solo in campo professionale.
David Rossi poteva raccontare di avere conosciuto tante anime, tanti sorrisi, forme flessuose, se si parlava di avventure occasionali, ma mai aveva perso il senno per qualcuno del suo stesso sesso: appena vide Spencer, lottò strenuamente per non riconoscere i propri sentimenti.
Gli stessi urlavano, nella sua mente stanca, quando la prima volta si masturbò pensando a lui.
Aveva abbastanza controllo per sedare qualsivoglia fantasia su Reid: se non l’avesse fatto di sua sponte, Derek Morgan lo avrebbe di certo ucciso, se mai se ne fosse reso conto di avere un simile antagonista.
Il fisico di Dave era piacente, ma lontano anni luce da quello di Morgan, statuario, tonico, assurdamente bello e proporzionato.
Il suo essere unico e bellissimo, stava nel carattere, nella sua interiorità, seppure riconoscesse in Derek un’indole incantevole, fatta di mille sfumature, di crepe e lacrime, di forza e disperazione, tutte da condividere.
Morgan lo aveva fatto, fidandosi cecamente di Rossi: erano amici, qualcuno li avrebbe persino definiti intimi, per ciò che Derek gli aveva confidato, ma mai sino ai margini di quelle verità nascoste, che solo Spencer conosceva.

“Da Dave …!” – in un sussulto, increspato dal suo sorriso ingenuo, ma simultaneamente pretenzioso, Spencer si inarcò, iniziando a godere come neppure ricordava.
Aveva cancellato tutto, nessuna gioia, nessuna sofferenza.
Un’equazione imperfetta e perversa.
David arrise a ciò che sentiva divenire, nell’addome del suo acerbo amante, più di quanto l’età anagrafica di Reid affrancasse in quei momenti lussuriosi, ma soprattutto nel proprio essere, ormai a briglie sciolte.
Conduceva un gioco, all’apparenza, mentre invece quell’incontro era una cura, nella sostanza.
Intrufolandosi con una mano, oltre a colpire, Rossi cominciò a masturbare Spencer, che ormai ansimava senza inibizioni, emettendo suoni assorbiti dalla confortevole suite insonorizzata.
Il ritmo accelerò vorticosamente per entrambi e l’immagine di assoluta felicità, stampata sul volto di Dave, andava ad imprimersi nelle iridi di Spencer, che voleva assistere senza reticenze a quel culmine prodigioso tra loro.
“Angelo mio … angelo mio” – non faceva che ripeterlo Rossi, baciandolo sulle labbra ben disegnate, giocando con la lingua di Reid, che seguiva con i propri fianchi il suo sesso, gonfio e grondante, che non riusciva più a fermarsi.
David venne una seconda volta, ancora più intensa.
Spencer si appese a lui, tremante e con ogni particella di sé scossa ed intossicata di soddisfazione carnale.
Rossi gli spostò le ciocche, dal viso devastato dal sudore, rassicurandolo – “Ti voglio così bene Spencer …”
Ciò che gli passò nel cervello, dritto dal cuore, era assai differente, ma non poteva dirglielo.
“Sono guarito David …?”
Rossi annuì, dandogli un ultimo bacio.


Morgan si slacciò e riallacciò il cinturino dell’orologio, quasi fosse un tic, ma almeno aveva qualcosa su cui concentrarsi, per non sostenere lo sguardo accigliato di Rossi.
“Lui sta bene, Derek. Non chiedermi mai più di fare una cosa simile, perché è insostenibile andare avanti mantenendo una semplice amicizia, per di più lavorativa, con Reid.” – disse freddo, rompendo quella barriera tra loro, seduti sulla panchina del parco, antistante la sede operativa della BUA.
“Eri l’unico a cui potevo affidare un simile compito” – inspirò greve – “L’unico che non farei fuori, sapendo che ha toccato il mio Spencer”

Reid sopraggiunse, sorridendo ad entrambi.
“Ehi che confabulate?” – chiese allegro.
“Ciao … Nulla, mi assento per una settimana, vado da mio figlio Spencer” – asserì Rossi, perdendo un battito.
“Ah … ok …” – replicò perplesso lui, rovistando nella sua cartella ed estraendone un libro: lo porse a David.
“Ventimila leghe sotto i mari?” – mormorò l’uomo sorridendo incuriosito.
“L’ho trovato in un cassetto riordinando stamattina …” – e guardò Morgan, che avrebbe voluto sparire, disgregarsi.
“Ti ringrazio … sei un tesoro” – e lo guardò.
Le guance di Reid divennero di porpora, ma il suo sorriso argentino fu la cosa migliore Rossi avesse mai incontrato, prima di salutare qualcuno che amava.
“E’ … è solo un libro Dave …”
“Detto da te fa un po’ impressione …” – si intromise Derek, timidamente.
“Hai ragione amore” – bissò lui, con una spontaneità disarmante.
Rossi prese la valigetta del portatile, riponendo nello scomparto anteriore il dono di Reid.
“Lo leggerò, quando mi sentirò solo” – ammiccò.
Per tutta la vita.
Senza di te.
Angelo mio.

The end









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