One
shot – Di te e di me
Pov Spencer Reid
Mi baci la tempia
sinistra.
Il cuore mi scoppia
in gola e deflagra sotto le palpebre, incapaci ormai di nascondere le mie
lacrime.
Sono felice, Derek,
non pensare il contrario, neppure per un istante, anche se non te lo dico: non
ci riesco, sono troppo emozionato.
Tu sei dentro di me e
rimani fermo, aspettando chissà cosa.
Forse hai più paura
di quanta ne possa percepire io, salire molesta dal nostro passato inquieto, ma
ora noi faremo quel balzo di cui parlavamo in auto, durante il tragitto verso
casa tua.
Esiti, baciandomi di
nuovo, come a tranquillizzarmi, ma il mio unico timore è che ti possa ritirare,
ti possa arrendere alla fragilità del mio corpo, rispetto al tuo, così vigoroso
e spietato nell’invadermi, nel conquistarmi, finalmente.
Brandisco i tuoi
glutei, come un riflesso condizionato, di possesso ed amore, invitandoti a
proseguire, fissandoti, ora.
Sorridi e dai tuoi
abissi di inchiostro, nascono due lacrime luminescenti.
Sei bellissimo Derek
Morgan e vorrei dirtelo, ma l’ossigeno intorno a noi sembra bruciarmi tra la
lingua ed il palato, mentre con affanno mi inarco, sentendoti affondare più
sicuro.
I tuoi baci arrivano
nella mia bocca, generosi ed avidi, succosi e morbidi.
Le tue mani spostano
i miei capelli dalla fronte madida e salata: me la lecchi, poi ripeti il gesto
sui miei zigomi, il mento, il collo, poi le tue dita, improvvise, rapiscono i
miei polsi, tirandoli verso l’alto, non so neppure più dove ho le braccia, però
eccole, le vedo incollate alle tue, come il resto di noi.
I tuoi fianchi si
muovono a tratti lenti, a tratti più svelti ed ingordi, ma mai quanto me, che
vorrei non finisse mai questo dolore e questo piacere, in sensazioni che si
alternano, si mescolano, si sublimano, facendoci urlare di gioia lasciva e
senza più inibizioni.
Ci siamo studiati a
lungo, tu ed io.
Nei tuoi scherzi,
sentivo come un richiamo a starti accanto, a parlare di noi, nei tuoi buffetti,
il desiderio di toccarmi, continuamente, provando una sintonia reciproca a dire
poco unica.
Niente di te mi ha
mai dato noia, neppure quando mi lamentavo, perché mentivo, vergognandomi di
quanto ambissi ad ogni minimo gesto da parte tua.
Stasera, poi, è
scattato qualcosa di assurdamente bello.
Già accettare il tuo
invito di andare in una discoteca, per me era come imbarcarmi verso Marte e, ad
essere pignolo, non sarebbe stato altrettanto strano.
Mi sono irrigidito,
mentre la musica fluiva nel tuo busto, impadronendosi delle tue gambe, in
movenze fantastiche, non potrei descriverle altrimenti …
Si vede che sono
cotto di te?
Se ne sono accorti
tutti, credo dopo dieci minuti, durante i quali mi esortavi a sciogliermi,
quando solo il mio cuore lo aveva fatto, prigioniero felice dei tuoi sorrisi,
del tuo stringermi, in modo che almeno facessi finta di ballare con te.
Ho abbozzato qualcosa
di lontanamente simile ad una danza tribale e tu sei scoppiato a ridere.
Quasi sono corso al
bancone del bar, tanto rosso da non distinguermi dalla tinta del marmo, dove mi
sono appoggiato con i gomiti, massaggiandomi le braccia gelide, per le maniche
corte.
Hai deciso di
perseguitarmi e ti incolli al mio fianco, chiedendo da bere.
Mi dici qualcosa
all’orecchio, non capisco nulla, la musica è altissima, ma il calore ed il
profumo del tuo respiro mi trafiggono l’addome.
Mi rendo conto che il
tuo palmo sinistro vi si è appoggiato sopra, anzi spalmato, sotto la casacca,
che tengo fuori dai pantaloni.
Tra noi c’erano stati
solo dei baci, in ospedale, poi un gioco di sguardi ed ammiccamenti, senza
andare oltre.
Ripeti, visto che non
ti do retta.
“Dormi con me
stanotte, dottor Reid?”
Quando mi apostrofi
per cognome, è solo per prendermi in giro.
Quasi mi irrito, ma
nei tuoi occhi leggo che sei serissimo ed innamorato: vorrei me lo dicessi, ma
sembri rimandare e lo sto facendo anch’io, perché stiamo correndo troppo.
Già troppo … perché
troppo?
Mi sono fatto domande
su domande da quando ho coscienza di me, senza mai fornire le risposte a ciò
che più mi destabilizzava: avere una relazione, amare qualcuno senza metterlo
in crisi con le mie paranoie, tentare di non nascondermi, celando i sentimenti
anche di semplice e pura amicizia, con il terrore di infastidire il prossimo.
Chiunque viva
qualcosa con me, per lavoro più che altro, sembra sempre volermi preservare da
qualcosa che potrebbe distruggermi od annientarmi: tu invece mi hai
costantemente messo alla prova, seppure con l’accortezza di non strapazzarmi
come avresti voluto, così da ottenere un risultato sorprendente.
Rammento una tua
battuta – “Quando ridi Spencer, sembra che il mondo sia felice”
Mi domandai di quale
mondo tu stessi parlando, senza riconoscere, stupidamente, che ne facevo parte
anche io.
Ti sono finito sopra,
tu mi ci hai portato, neppure me ne sono reso conto: sei così forte Derek, che potresti
farmi qualsiasi cosa ed io mi mordo le labbra, evitando di esprimere la mia aspettativa
recondita.
Il colpo di reni che
assesti, facendomi sobbalzare, concretizza le mie fantasie più oscene, per le
quali ti permetterei di farmi di tutto.
Sono terribilmente
cambiato, eppure mi sento bene, persino più solido, dopo tante barriere e
soprusi silenziosi.
Al pari di una menade
imbizzarrita e scabrosa, ti cavalco facendo della testata del letto, le mie
briglie, a cui mi aggrappo con foga.
Rido, piango e vengo,
vengo copiosamente sul tuo addome scolpito e scuro, vorrei leccarlo, morderlo,
suggerlo di ogni goccia, che sia mia o tua poco importa.
Mi innalzo e ricado,
mentre mi trafiggi, virile e fiero di noi, di come riusciamo a fonderci, senza
pregiudizi, senza più fantasmi, capaci di inquinare ed esasperare il nostro
pudore verso il piacere, alla cui fonte meritiamo entrambi di attingere.
Ora sei tu a
svuotarti, esplodendo letteralmente ed invocando la mia bocca, che prontamente
raggiunge la tua, sigillandoci, ebbri, ma non sazi.
Con cura, scivoli
fuori da me, toccandoti e facendo altrettanto con la mia fessura.
Mi accompagni,
posandomi a pancia in su, come se fossi fatto di una materia indefinibile: c’è
tanto amore nei tuoi occhi Derek, ma anche qualcosa di inesplorato.
Ti sei sollevato in
ginocchio e così resti, tra le mie gambe adesso: non so dove mettere le mani,
vorrei accarezzarti, ma ci stai già pensando autonomamente.
Ti masturbi, lento,
fissandomi: questa stanza è illuminata fiocamente dal chiarore dei due monitor,
rimasti accesi su di una scrivania, collegati al pc che usi per le tue
indagini.
“Perché lo fai …?” –
balbetto emozionato.
“Perché tu dovrai
vedermi e vivermi in qualunque modo Spencer: non lo permetterò a nessuno … non
l’ho mai permesso a” – ma l’orgasmo ti interrompe bruscamente.
Mi bagni di te,
penetrando per la seconda volta quel varco, che dilati con le dita rimaste sino
a quel momento libere e ti finisci, vorace e spregiudicato.
Grido, ma soltanto gemiti,
mentre invece vorrei dirti cose irripetibili.
Mi appendo a te,
scosso ed in crisi di ossigeno, perché so che puoi salvare questo secchione, usando
un semplice bacio.
Mi accontenti,
liberando le mie gote vermiglie dalle ciocche ribelli ed umide.
Ci spegniamo a poco a
poco, intrecciati e silenziosi.
Forse non hanno
ancora inventato un quesito in campo statistico, capace di mettermi in
difficoltà; in compenso, se dovessi formulare una spiegazione, per raccontare
di te e di me a qualcuno, mi perderei in un labirinto senza uscita.
Tu, invece, la trovi
immediato, mentre ancora la sto cercando nella mia mente.
“Ti amo tanto Spencer”
– mormori intenso.
Avevo sbagliato
strada: bastava cercarla nel cuore, in quella camera chiusa a chiave, perché spoglia
di abbracci, priva di carezze, del profumo buono di una coccola, di una
premura, che da questa notte, non mi mancheranno più.
Ne sono certo.
The end
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