Capitolo n. 97 – life
Una nuvola di borotalco
ed i vagiti allegri di Layla si diffusero per la stanza, contagiando anche Tim
e Niall.
I due si guardarono.
“Ma tu non dovevi
portare il bicchiere di latte a Mark?” – chiese piano il marito di Kevin.
“Sì, tra un attimo …
Volevo solo aiutarti con”
“A ma fa piacere se
resti” – Tim lo interruppe al volo, rassicurandolo, dissolvendo così il suo
imbarazzo.
Si sbirciarono, mentre
cambiavano insieme la piccola, coordinandosi alla perfezione.
Poi accadde.
Un bacio.
Appena
dopo la mezzanotte.
Le tre del mattino
ormai, al largo dell’arcipelago di Haiti.
Geffen strinse la
balaustra, a prua dello yacht di Mendoza.
Era un’autentica
imbarcazione di lusso, altro che motoscafo, pensò il legale, guardandosi intorno,
sorvegliato a vista dai quattro uomini del malavitoso.
Appena intravidero
l’isola sul monitor dei radar interni, Ernando esultò.
“Ci siamo! Poche miglia
e sbarcheremo con il gommone, avanti Massimo, prepara tutto! Muoviti!” – ed
esortò il più anziano del gruppo a sbrigarsi.
Glam chiuse le
palpebre, sperando che Lula fosse in salvo.
Pensò intensamente a
lui.
Con sé non aveva nulla per
difendersi o comunicare con gli amici, rimasti a Port au Prince.
Nulla.
O quasi.
Rossi aveva fatto
impiantare anche a lui una micro spia sottocutanea, ma serviva relativamente:
l’FBI conosceva le coordinate per giungere a quella destinazione speciale, con
i propri mezzi, dislocati ad una distanza di sicurezza e pronti ad intervenire,
nonostante il veto di Geffen.
Hotchner, comunque, era
restio a dare ulteriori ordini: si fidava di lui, di quanto Geffen gli promise
ed aveva anche un presentimento, sull’esito di quella missione, all’apparenza
suicida, da parte dell’avvocato.
La salsedine ed i suoni
dell’oceano, sembravano rimbombare, più si avvicinavano alla battigia: Massimo
spense il motore del fuoribordo, invitando i soci a scendere in fretta,
agguantare le corde e trascinare il canotto oversize a riva.
Gli altri gli
ubbidirono, mentre Ernando afferrava per un braccio Glam, spintonandolo sulla
sabbia con veemenza – “Fai strada maldido! Ti seguo molto volentieri!” – e rise
sguaiato, premendo la punta del mitra in mezzo alle scapole del suo ostaggio.
“Non spingere, tanto il
tuo tesoro dove vuoi che vada?!” – sbottò, indicando poi l’ingresso di una
caverna, tra palme e canneti rinsecchiti.
Mendoza fece un cenno a
Massimo e questi corse verso l’ingresso, illuminando quasi a giorno l’ambiente
circostante, con un faro portatile e potenti torce, fornite in dotazione ai
presenti, tranne che al boss ed a Glam, ora in silenzio.
Lo scagnozzo di Ernando
entrò in quell’antro maleodorante, come se al suo interno stagnasse dell’acqua
putrida, forse piovana.
Quel posto era
praticamente poco più di un atollo, che all’alba avrebbe avuto, di certo, un
aspetto incantevole.
Da cartolina.
Le esclamazioni di
Massimo non tardarono ad arrivare: “Sì, sì!! L’oro è qui, sei casse, sei!!” –
ed uscì allo scoperto, brandendo un lingotto, a conferma di quanto aveva appena
constatato.
Mendoza scosse la testa
– “Dio quanto ho aspettato questo momento … Geffen” – e lo girò a sé, con un
gesto minaccioso.
Quanto il suo sguardo
su di lui.
Adesso.
“In ginocchio” – gli
intimò, puntandolo come una belva feroce e spietata.
Glam non mosse un
muscolo.
“IN GINOCCHIO
BASTARDO!!” – gli urlò l’altro.
I suoi tirapiedi si
lanciarono delle occhiate veloci e perplesse.
Di solito Ernando
manteneva gli impegni, ma qualcosa lo stava come divorando.
Geffen, lo accontentò,
restando zitto.
“Tu hai ucciso mio
fratello Alviero e questo non potrò mai perdonartelo Geffen” – sibilò acre.
“Puoi anche non
credermi, Ernando, ma non sono stato io: l’ho trovato, esangue, questo è vero,
ma non centro niente con il suo omicidio” – poi sorrise di sbieco – “… e mi rendo
conto di quanto sia inutile la mia difesa, tanto non cambierai idea, vero?”
Mendoza annuì nervoso,
facendo tremare l’indice sul grilletto.
“Ti farò saltare il
cervello, manderò in brandelli questa tua bella faccia da schiaffi e getterò in
pasto agli squali, ciò che ne resterà di te, dopo che ti avrò arso vivo!!” –
gridò fuori di sé.
“Qualcuno dirà ai miei
figli, ciò che stai per farmi e nessuno ti darà scampo, sappilo” – replicò
fermo Geffen.
“Moriranno anche loro,
uno ad uno, me ne occuperò personalmente, senza alcuna pietà” – ringhiò,
sudando e fremendo.
“Tu credi …?” – ed
inspirò, chiudendo le palpebre.
Un ronzio improvviso
crepitò nell’aria, diventando da lieve ad assordante.
Migliaia, forse milioni
di insetti uscirono dalla caverna, mescolati ad altrettanti pipistrelli, che in
una nuvola nera, investirono sia i tirapiedi di Mendoza, sia quest’ultimo, con
una violenza inaudita.
Le urla disperate di
quei disgraziati lacerarono la notte, i fasci di luce delle torce vorticarono
nel buio, come impazziti, i colpi delle armi partirono a casaccio, come a
volersi opporre a quell’attacco, ma inutilmente.
Nessuna pallottola andò
a segno e tanto meno colpì Glam, in piedi, davanti ad Ernando, tumefatto da
morsi su ogni centimetro di pelle scoperta, sanguinante, terrorizzato – “Il …
il potere di Lula … Maledetto … TU SEI UN DEMONIO!!” – ed afferrò la pistola,
che teneva nascosta dietro al polpaccio destro, provando ad usarla, senza
fortuna.
L’arma si era
inceppata.
Geffen, nel frattempo,
aveva recuperato un coltello d’assalto, dal fodero attaccato alla cintura di
Massimo, ormai in shock anafilattico, per le punture di vespe e calabroni.
“No …” – gemette
Mendoza, provando ad allontanarsi, carponi, verso le onde, sempre più
impetuose, come se stesse arrivando un uragano.
Glam lo seguì, a passo
cadenzato e risoluto.
Allo stesso modo lo
afferrò per i capelli, sollevandolo di poco, con uno strattone energico.
“Per ciò che hai fatto
subire al mio Lula, a colui che avevo ed ho di più caro al mondo, ora io non
avrò alcuna pietà di te, credimi!” – ruggì, tagliandogli poi la gola di netto.
Le loro labbra
collisero, come i rispettivi corpi, così vicini, in un abbraccio quasi
soffocante.
Tim e Niall si stavano
respirando, ora, sconvolti come se fossero due naufraghi.
“Scusami …” – disse
sommesso Horan, scivolando via.
Fuggendo via.
Pepe si era
accucciolato sul petto di Colin, mentre Jared, allungatosi accanto a loro,
massaggiava la schiena al bimbo, che faticava ad addormentarsi.
“E’ adorabile … Un vero
monello” – bisbigliò Farrell, cullandolo.
Leto sorrise.
“Ti adora … Certo lo
capisco” – scherzò affettuoso.
“Il mio papà sta bene,
vero?” – chiese lui, assonnato, ma non abbastanza.
“Certo, non
preoccuparti” – gli rispose amorevole l’irlandese – “Ora riposati, è tardi”
“Ok ... Ti voglio bene
zio Colin … Ti voglio bene zio Jay …” – e con un sospirone, provò a quietarsi,
finalmente.
Glam non faticò a
trovare nel vano attrezzi, la pistola lancia razzi.
Ne sparò un paio,
colorando l’oscurità di rosso e blu vividi.
Ormai regnava uno
strano silenzio, in quel luogo maledetto, se non fosse stato per i flebili
lamenti dei sopravvissuti.
Il team di Hotchner e
lui in persona, con Rossi, Morgan e Read, giunse di lì a poco.
Ben presto Morgan
appurò la morte di Ernando: il patriarca dei Mendoza stringeva ancora in pugno
il proprio revolver.
“Voleva farmi fuori: mi
sono difeso come ho potuto” – affermò lucido e glaciale Geffen.
“Ok ne parleremo più
tardi, come ti senti?” – domandò pacato David.
“Voglio tornare in
città, per vedere Lula: lo hanno trovato?”
Rossi annuì – “Sì, è in
ospedale, ci sono anche Scott, Steven ed il dottor Flayerty”
“Sono già arrivati?” –
bissò con stupore – “E cosa dicono, qual è la loro diagnosi? E Kevin, è con
loro?” – chiese più concitato.
“Certo, ci sono anche
Jerome e Vincent, mentre Pepe è al sicuro da Colin e Jared, nel tuo alloggio
Glam” – precisò calmo.
“Ma soldino?”
“Le sue condizioni sono
molto gravi, inutile nascondertelo” – intervenne Hotch – “Andiamo pure da lui,
così potrai riabbracciarlo …” – ed inspirò.
“Sì, non perdiamo altro
tempo, qui, vi prego”
“Non agitarti Glam,
faremo il più presto possibile” – “Ti ringrazio Dave.”
Il sole salì lento
all’orizzonte, mentre stavano attraccando.
Era davvero presto, ma
appena Glam vide Pepe scendere dall’hummer di Peter, con al seguito i suoi
angeli custodi, corse loro incontro.
“Tesoro!”
Il bimbo gli volò tra
le braccia – “Papà sei tornato!! Hai vinto tu!” – e rise gioioso.
Geffen guardò Jay, che
si avvicinò lento – “E’ stato bravissimo, sai?”
La sua voce tradiva una
forte emozione e non solo per Pepe.
“Sai qualcosa di Lula?”
“No Glam, non proprio …
Però Scott ci sta aspettando, saliamo? Sono al terzo piano” – ed il cantante
indicò l’entrata del pronto soccorso.
Geffen ripassò Peter a
Farrell - “Grazie Colin, per ogni cosa”
“Figurati …” – e
sorrise a metà, sapendo ciò che li stava attendendo.
Il volto di Scott era
stanco e tirato, ma non esitò ad accelerare l’andatura, appena si accorse
dell’arrivo del suo storico amico e non solo.
“Ciao Glam, bentornato”
Geffen lo abbracciò,
istintivo.
“Dammi buone notizie,
ti supplico”
“Io … Io vorrei farlo,
davvero Glam …”
Continuava a ripetere
il suo nome ed a Geffen le pulsazioni cominciarono ad accelerare.
Steven sopraggiunse con
Flayerty, che prese la parola, con educazione.
“Signor Geffen, ne
stavo parlando anche con il suo ex marito e padre di Lula … Purtroppo vostro
figlio sta unicamente soffrendo, da un tempo persino incredibile, quindi …” – e
prese fiato – “… Io propenderei per staccarlo dalle macchine, che lo tengono in
vita, una non vita ad essere sinceri”
“Cosa …? Lula sente
dolore?”
Flayerty fece un cenno
di assenso mortificato – “Kevin è d’accordo, ma ne voleva discutere con lei,
prima di procedere …”
“Daddy …”
Il bassista spuntò alle
loro spalle.
“Kevin …” – Geffen lo
strinse, ormai entrambi in lacrime – “… tesoro non possiamo essere così
egoisti, se soldino sente male e se … Mio Dio …” – e si accasciò, con lui, come
annientato da quella sentenza, apparentemente incontrovertibile.
Scott gli diede una
pastiglia – “Glam prendila, per il tuo cuore”
“Il mio cuore …? … Il
mio cuore, sta morendo in quella camera” – e vi si diresse, tenendo per mano
Kevin.
L’equipe di Hotchner si
era appena unita al resto del gruppo, così come Vincent e Jerome, giunti
dall’hotel, dove avevano già preparato i bagagli per il rientro.
Geffen varcò la soglia,
scrutando il corpicino inerme di Lula, coperto da una tunica verde.
Flayerty li seguì, in
totale mutismo.
“Lo faccia pure dottore
…”
Kevin cominciò a
singhiozzare, rifugiandosi in un angolo, rifiutandosi di assistere a quella
fine annunciata.
Fu lasciato unicamente
il sensore per il tracciato cardiaco, al dito medio di Lula, un aggeggio così
sproporzionato, nel suo palmo minuscolo.
Flayerty si apprestò ad
uscire – “Vada pure da lui, gli parli, se vuole … Salutatelo e lasciatelo
andare … Avete fatto la scelta giusta, credetemi”
Glam si accomodò sul
bordo del letto, senza mai smettere di guardare soldino.
Gli raccolse le manine,
non era cresciuto affatto in quel lungo periodo, come se il tempo si fosse
fermato a due anni prima.
“Kevin vieni qui … per
favore”
“Non ci riesco, non è
possibile, ora che lo avevamo ritrovato daddy …” – e si lasciò cadere sul
pavimento.
Geffen abbozzò un
sorriso, carico di rammarico, salato di lacrime copiose – “Amor mio … Tu sei
stato la mia forza Lula … La mia coscienza … Tu hai perdonato ogni mio errore …
Ha ragione Kevin, è inconcepibile, come se ci venisse negata una seconda,
meravigliosa, possibilità eppure …” – si ossigenò – “… eppure tu meriti di
andare in pace … e di tornare nei miei, nei nostri sogni” – un singulto sembrò
strozzarlo, ma non voleva crollare.
Lo avrebbe fatto dopo,
semmai, quando l’ultimo bagliore di speranza si fosse spento.
Per sempre.
Un profumo di fiori
selvatici gli intossicò le narici.
Glam pensò a Syria.
“Lei è … è venuta a
prenderti, sai soldino?” – mormorò l’uomo, pensando alla madre di Isotta,
cogliendo persino un luccichio intermittente, ma non si trattava di lei.
Voltandosi di lato,
Glam si accorse della presenza della nonna di Lula, ma nessuno poteva vederla
quanto lui.
La sua famiglia, era
oltre un vetro, addossata quasi allo stesso, per seguire gli ultimi istanti di
vita del bimbo, in una scena straziante.
Persino Pepe non si era
mosso, contravvenendo alle esortazioni di Colin ad andarsene, per prendersi un
gelato.
“Alaysa …?!” – reagì
sbalordito Geffen.
“Fallo … Ridagli il suo
potere, non esiste altro modo, avanti, fallo e basta!”
Il suo tono echeggiava
tra le pareti, penetrando il cervello di Glam, che impose le proprie mani sul
viso di Lula, innescando una sorta di transfer, fatto di mille colori
accecanti.
Per Glam fu come
attraversare una porta, inondato da luce ed energia purissime, percepite
nitidamente anche dagli astanti, assai sbigottiti.
Appena fu tutto finito,
Kevin arrancò sino alla lettiga, dove Geffen era riverso su Lula, il cui
battito era tornato regolare.
Le dita di soldino
tremolarono, così i suoi zigomi.
Infine aprì gli occhi,
richiudendoli subito.
Flayerty, accorso
prontamente, glieli coprì con una garza pesante – “Potrebbe rimanere cieco,
accidenti! Signor Geffen si svegli, Scott controlla che non sia un collasso!”
Scoppiò una confusione
notevole, ma Kevin volle rimanere accanto a Lula, ad ogni costo.
“E’ vivo … L’hai
salvato Glam!” – e lo scrollò vigoroso.
Geffen appoggiò la
fronte sul suo addome, stando seduto in disparte, con Kevin in piedi davanti a
sé.
“Amore …”
“Daddy, Lula è di nuovo
con noi, capisci?!” – e lo baciò, intenso, mentre l’ex era stordito ed
emozionato, ma non per Kevin, che, al contrario di lui, percepiva chiaramente
ciò che sentiva per Glam.
Così come stava
succedendo a Jared, al di là di quella lastra, nell’assistere a quanto
predettogli da Colin, poche ore prima.
Come
un cattivo presagio.
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