lunedì 2 marzo 2015

LIFE - CAPITOLO N. 97

Capitolo n. 97 – life



Una nuvola di borotalco ed i vagiti allegri di Layla si diffusero per la stanza, contagiando anche Tim e Niall.

I due si guardarono.

“Ma tu non dovevi portare il bicchiere di latte a Mark?” – chiese piano il marito di Kevin.

“Sì, tra un attimo … Volevo solo aiutarti con”

“A ma fa piacere se resti” – Tim lo interruppe al volo, rassicurandolo, dissolvendo così il suo imbarazzo.

Si sbirciarono, mentre cambiavano insieme la piccola, coordinandosi alla perfezione.

Poi accadde.

Un bacio.
Appena dopo la mezzanotte.




Le tre del mattino ormai, al largo dell’arcipelago di Haiti.

Geffen strinse la balaustra, a prua dello yacht di Mendoza.

Era un’autentica imbarcazione di lusso, altro che motoscafo, pensò il legale, guardandosi intorno, sorvegliato a vista dai quattro uomini del malavitoso.

Appena intravidero l’isola sul monitor dei radar interni, Ernando esultò.

“Ci siamo! Poche miglia e sbarcheremo con il gommone, avanti Massimo, prepara tutto! Muoviti!” – ed esortò il più anziano del gruppo a sbrigarsi.

Glam chiuse le palpebre, sperando che Lula fosse in salvo.
Pensò intensamente a lui.

Con sé non aveva nulla per difendersi o comunicare con gli amici, rimasti a Port au Prince.
Nulla.
O quasi.

Rossi aveva fatto impiantare anche a lui una micro spia sottocutanea, ma serviva relativamente: l’FBI conosceva le coordinate per giungere a quella destinazione speciale, con i propri mezzi, dislocati ad una distanza di sicurezza e pronti ad intervenire, nonostante il veto di Geffen.

Hotchner, comunque, era restio a dare ulteriori ordini: si fidava di lui, di quanto Geffen gli promise ed aveva anche un presentimento, sull’esito di quella missione, all’apparenza suicida, da parte dell’avvocato.

La salsedine ed i suoni dell’oceano, sembravano rimbombare, più si avvicinavano alla battigia: Massimo spense il motore del fuoribordo, invitando i soci a scendere in fretta, agguantare le corde e trascinare il canotto oversize a riva.

Gli altri gli ubbidirono, mentre Ernando afferrava per un braccio Glam, spintonandolo sulla sabbia con veemenza – “Fai strada maldido! Ti seguo molto volentieri!” – e rise sguaiato, premendo la punta del mitra in mezzo alle scapole del suo ostaggio.

“Non spingere, tanto il tuo tesoro dove vuoi che vada?!” – sbottò, indicando poi l’ingresso di una caverna, tra palme e canneti rinsecchiti.

Mendoza fece un cenno a Massimo e questi corse verso l’ingresso, illuminando quasi a giorno l’ambiente circostante, con un faro portatile e potenti torce, fornite in dotazione ai presenti, tranne che al boss ed a Glam, ora in silenzio.

Lo scagnozzo di Ernando entrò in quell’antro maleodorante, come se al suo interno stagnasse dell’acqua putrida, forse piovana.

Quel posto era praticamente poco più di un atollo, che all’alba avrebbe avuto, di certo, un aspetto incantevole.
Da cartolina.

Le esclamazioni di Massimo non tardarono ad arrivare: “Sì, sì!! L’oro è qui, sei casse, sei!!” – ed uscì allo scoperto, brandendo un lingotto, a conferma di quanto aveva appena constatato.

Mendoza scosse la testa – “Dio quanto ho aspettato questo momento … Geffen” – e lo girò a sé, con un gesto minaccioso.

Quanto il suo sguardo su di lui.
Adesso.

“In ginocchio” – gli intimò, puntandolo come una belva feroce e spietata.

Glam non mosse un muscolo.

“IN GINOCCHIO BASTARDO!!” – gli urlò l’altro.

I suoi tirapiedi si lanciarono delle occhiate veloci e perplesse.

Di solito Ernando manteneva gli impegni, ma qualcosa lo stava come divorando.

Geffen, lo accontentò, restando zitto.

“Tu hai ucciso mio fratello Alviero e questo non potrò mai perdonartelo Geffen” – sibilò acre.

“Puoi anche non credermi, Ernando, ma non sono stato io: l’ho trovato, esangue, questo è vero, ma non centro niente con il suo omicidio” – poi sorrise di sbieco – “… e mi rendo conto di quanto sia inutile la mia difesa, tanto non cambierai idea, vero?”

Mendoza annuì nervoso, facendo tremare l’indice sul grilletto.

“Ti farò saltare il cervello, manderò in brandelli questa tua bella faccia da schiaffi e getterò in pasto agli squali, ciò che ne resterà di te, dopo che ti avrò arso vivo!!” – gridò fuori di sé.

“Qualcuno dirà ai miei figli, ciò che stai per farmi e nessuno ti darà scampo, sappilo” – replicò fermo Geffen.

“Moriranno anche loro, uno ad uno, me ne occuperò personalmente, senza alcuna pietà” – ringhiò, sudando e fremendo.

“Tu credi …?” – ed inspirò, chiudendo le palpebre.

Un ronzio improvviso crepitò nell’aria, diventando da lieve ad assordante.

Migliaia, forse milioni di insetti uscirono dalla caverna, mescolati ad altrettanti pipistrelli, che in una nuvola nera, investirono sia i tirapiedi di Mendoza, sia quest’ultimo, con una violenza inaudita.

Le urla disperate di quei disgraziati lacerarono la notte, i fasci di luce delle torce vorticarono nel buio, come impazziti, i colpi delle armi partirono a casaccio, come a volersi opporre a quell’attacco, ma inutilmente.

Nessuna pallottola andò a segno e tanto meno colpì Glam, in piedi, davanti ad Ernando, tumefatto da morsi su ogni centimetro di pelle scoperta, sanguinante, terrorizzato – “Il … il potere di Lula … Maledetto … TU SEI UN DEMONIO!!” – ed afferrò la pistola, che teneva nascosta dietro al polpaccio destro, provando ad usarla, senza fortuna.

L’arma si era inceppata.

Geffen, nel frattempo, aveva recuperato un coltello d’assalto, dal fodero attaccato alla cintura di Massimo, ormai in shock anafilattico, per le punture di vespe e calabroni.

“No …” – gemette Mendoza, provando ad allontanarsi, carponi, verso le onde, sempre più impetuose, come se stesse arrivando un uragano.

Glam lo seguì, a passo cadenzato e risoluto.
Allo stesso modo lo afferrò per i capelli, sollevandolo di poco, con uno strattone energico.

“Per ciò che hai fatto subire al mio Lula, a colui che avevo ed ho di più caro al mondo, ora io non avrò alcuna pietà di te, credimi!” – ruggì, tagliandogli poi la gola di netto.




Le loro labbra collisero, come i rispettivi corpi, così vicini, in un abbraccio quasi soffocante.

Tim e Niall si stavano respirando, ora, sconvolti come se fossero due naufraghi.

“Scusami …” – disse sommesso Horan, scivolando via.
Fuggendo via.




Pepe si era accucciolato sul petto di Colin, mentre Jared, allungatosi accanto a loro, massaggiava la schiena al bimbo, che faticava ad addormentarsi.

“E’ adorabile … Un vero monello” – bisbigliò Farrell, cullandolo.

Leto sorrise.

“Ti adora … Certo lo capisco” – scherzò affettuoso.

“Il mio papà sta bene, vero?” – chiese lui, assonnato, ma non abbastanza.

“Certo, non preoccuparti” – gli rispose amorevole l’irlandese – “Ora riposati, è tardi”

“Ok ... Ti voglio bene zio Colin … Ti voglio bene zio Jay …” – e con un sospirone, provò a quietarsi, finalmente.




Glam non faticò a trovare nel vano attrezzi, la pistola lancia razzi.

Ne sparò un paio, colorando l’oscurità di rosso e blu vividi.

Ormai regnava uno strano silenzio, in quel luogo maledetto, se non fosse stato per i flebili lamenti dei sopravvissuti.

Il team di Hotchner e lui in persona, con Rossi, Morgan e Read, giunse di lì a poco.

Ben presto Morgan appurò la morte di Ernando: il patriarca dei Mendoza stringeva ancora in pugno il proprio revolver.

“Voleva farmi fuori: mi sono difeso come ho potuto” – affermò lucido e glaciale Geffen.

“Ok ne parleremo più tardi, come ti senti?” – domandò pacato David.

“Voglio tornare in città, per vedere Lula: lo hanno trovato?”

Rossi annuì – “Sì, è in ospedale, ci sono anche Scott, Steven ed il dottor Flayerty”

“Sono già arrivati?” – bissò con stupore – “E cosa dicono, qual è la loro diagnosi? E Kevin, è con loro?” – chiese più concitato.

“Certo, ci sono anche Jerome e Vincent, mentre Pepe è al sicuro da Colin e Jared, nel tuo alloggio Glam” – precisò calmo.

“Ma soldino?”

“Le sue condizioni sono molto gravi, inutile nascondertelo” – intervenne Hotch – “Andiamo pure da lui, così potrai riabbracciarlo …” – ed inspirò.

“Sì, non perdiamo altro tempo, qui, vi prego”

“Non agitarti Glam, faremo il più presto possibile” – “Ti ringrazio Dave.”




Il sole salì lento all’orizzonte, mentre stavano attraccando.

Era davvero presto, ma appena Glam vide Pepe scendere dall’hummer di Peter, con al seguito i suoi angeli custodi, corse loro incontro.

“Tesoro!”

Il bimbo gli volò tra le braccia – “Papà sei tornato!! Hai vinto tu!” – e rise gioioso.

Geffen guardò Jay, che si avvicinò lento – “E’ stato bravissimo, sai?”

La sua voce tradiva una forte emozione e non solo per Pepe.

“Sai qualcosa di Lula?”

“No Glam, non proprio … Però Scott ci sta aspettando, saliamo? Sono al terzo piano” – ed il cantante indicò l’entrata del pronto soccorso.

Geffen ripassò Peter a Farrell - “Grazie Colin, per ogni cosa”

“Figurati …” – e sorrise a metà, sapendo ciò che li stava attendendo.


Il volto di Scott era stanco e tirato, ma non esitò ad accelerare l’andatura, appena si accorse dell’arrivo del suo storico amico e non solo.

“Ciao Glam, bentornato”

Geffen lo abbracciò, istintivo.

“Dammi buone notizie, ti supplico”

“Io … Io vorrei farlo, davvero Glam …”

Continuava a ripetere il suo nome ed a Geffen le pulsazioni cominciarono ad accelerare.

Steven sopraggiunse con Flayerty, che prese la parola, con educazione.

“Signor Geffen, ne stavo parlando anche con il suo ex marito e padre di Lula … Purtroppo vostro figlio sta unicamente soffrendo, da un tempo persino incredibile, quindi …” – e prese fiato – “… Io propenderei per staccarlo dalle macchine, che lo tengono in vita, una non vita ad essere sinceri”

“Cosa …? Lula sente dolore?”

Flayerty fece un cenno di assenso mortificato – “Kevin è d’accordo, ma ne voleva discutere con lei, prima di procedere …”

“Daddy …”

Il bassista spuntò alle loro spalle.

“Kevin …” – Geffen lo strinse, ormai entrambi in lacrime – “… tesoro non possiamo essere così egoisti, se soldino sente male e se … Mio Dio …” – e si accasciò, con lui, come annientato da quella sentenza, apparentemente incontrovertibile.

Scott gli diede una pastiglia – “Glam prendila, per il tuo cuore”

“Il mio cuore …? … Il mio cuore, sta morendo in quella camera” – e vi si diresse, tenendo per mano Kevin.

L’equipe di Hotchner si era appena unita al resto del gruppo, così come Vincent e Jerome, giunti dall’hotel, dove avevano già preparato i bagagli per il rientro.

Geffen varcò la soglia, scrutando il corpicino inerme di Lula, coperto da una tunica verde.

Flayerty li seguì, in totale mutismo.

“Lo faccia pure dottore …”

Kevin cominciò a singhiozzare, rifugiandosi in un angolo, rifiutandosi di assistere a quella fine annunciata.

Fu lasciato unicamente il sensore per il tracciato cardiaco, al dito medio di Lula, un aggeggio così sproporzionato, nel suo palmo minuscolo.


Flayerty si apprestò ad uscire – “Vada pure da lui, gli parli, se vuole … Salutatelo e lasciatelo andare … Avete fatto la scelta giusta, credetemi”

Glam si accomodò sul bordo del letto, senza mai smettere di guardare soldino.

Gli raccolse le manine, non era cresciuto affatto in quel lungo periodo, come se il tempo si fosse fermato a due anni prima.

“Kevin vieni qui … per favore”

“Non ci riesco, non è possibile, ora che lo avevamo ritrovato daddy …” – e si lasciò cadere sul pavimento.

Geffen abbozzò un sorriso, carico di rammarico, salato di lacrime copiose – “Amor mio … Tu sei stato la mia forza Lula … La mia coscienza … Tu hai perdonato ogni mio errore … Ha ragione Kevin, è inconcepibile, come se ci venisse negata una seconda, meravigliosa, possibilità eppure …” – si ossigenò – “… eppure tu meriti di andare in pace … e di tornare nei miei, nei nostri sogni” – un singulto sembrò strozzarlo, ma non voleva crollare.

Lo avrebbe fatto dopo, semmai, quando l’ultimo bagliore di speranza si fosse spento.
Per sempre.

Un profumo di fiori selvatici gli intossicò le narici.

Glam pensò a Syria.

“Lei è … è venuta a prenderti, sai soldino?” – mormorò l’uomo, pensando alla madre di Isotta, cogliendo persino un luccichio intermittente, ma non si trattava di lei.

Voltandosi di lato, Glam si accorse della presenza della nonna di Lula, ma nessuno poteva vederla quanto lui.

La sua famiglia, era oltre un vetro, addossata quasi allo stesso, per seguire gli ultimi istanti di vita del bimbo, in una scena straziante.

Persino Pepe non si era mosso, contravvenendo alle esortazioni di Colin ad andarsene, per prendersi un gelato.


“Alaysa …?!” – reagì sbalordito Geffen.

“Fallo … Ridagli il suo potere, non esiste altro modo, avanti, fallo e basta!”

Il suo tono echeggiava tra le pareti, penetrando il cervello di Glam, che impose le proprie mani sul viso di Lula, innescando una sorta di transfer, fatto di mille colori accecanti.

Per Glam fu come attraversare una porta, inondato da luce ed energia purissime, percepite nitidamente anche dagli astanti, assai sbigottiti.

Appena fu tutto finito, Kevin arrancò sino alla lettiga, dove Geffen era riverso su Lula, il cui battito era tornato regolare.

Le dita di soldino tremolarono, così i suoi zigomi.
Infine aprì gli occhi, richiudendoli subito.

Flayerty, accorso prontamente, glieli coprì con una garza pesante – “Potrebbe rimanere cieco, accidenti! Signor Geffen si svegli, Scott controlla che non sia un collasso!”

Scoppiò una confusione notevole, ma Kevin volle rimanere accanto a Lula, ad ogni costo.

“E’ vivo … L’hai salvato Glam!” – e lo scrollò vigoroso.

Geffen appoggiò la fronte sul suo addome, stando seduto in disparte, con Kevin in piedi davanti a sé.

“Amore …”

“Daddy, Lula è di nuovo con noi, capisci?!” – e lo baciò, intenso, mentre l’ex era stordito ed emozionato, ma non per Kevin, che, al contrario di lui, percepiva chiaramente ciò che sentiva per Glam.

Così come stava succedendo a Jared, al di là di quella lastra, nell’assistere a quanto predettogli da Colin, poche ore prima.

Come un cattivo presagio.















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