martedì 17 marzo 2015

LIFE - CAPITOLO N. 102

Capitolo n. 102 – life



I due finirono in un motel in anticipo, rispetto a qualsiasi, logica o scontata, previsione.

C’era qualcosa di struggente, nel modo in cui Mark gli stava facendo l’amore ed a Kevin non importava nulla, di ciò che avrebbe pensato  la gente.

Così di Glam e dell’intera famiglia, prossima a riunirsi a casa Meliti, al primo imbrunire, di quella sera particolare.

Il bassista, invaso dalle spinte dell’altro, che conosceva a malapena, guardava gli occhi di Ruffalo, intensi, dolcissimi, profondi, come i baci dell’uomo, suo coetaneo.

La similitudine, che li legava, era incontrovertibile.

L’abbandono.

Crudo, violento, assoluto: lo avevano subito entrambi, ma non metabolizzato.

Quello che stava accadendo, non rappresentava un premio di consolazione, bensì la stipula di un tacito accordo, di un’intesa, mirata a riportarsi a casa i rispettivi compagni.

Un’impresa, che si sarebbe concretizzata a partire dall’incombente fine settimana, durante il quale avrebbero raggiunto in massa il Colorado.

La consueta vacanza sulle nevi, sarebbe divenuto teatro di strategie ed agguati sentimentali, dove si potevano correre rischi di ogni genere, pur di riavere nella loro vita Tim e Niall.

Un gioco pericoloso.
Un massacro annunciato, per i cuori, di chi sarebbe tornato a mani vuote da quel viaggio, con il peso di un’ulteriore sconfitta.


Durante la seduta con Brendan, Mark era rimasto in silenzio per quasi tutto il tempo.

Il dolore, che gli percorreva gli zigomi, le dita, l’addome, in un tremore più che visibile, avevano inquietato Laurie, come se ciò potesse riguardarlo, avendo un consorte più giovane.

Brendan si immaginò una situazione simile, capace di mandare in pezzi la sua unione con Brent, da un momento all’altro, come capitato a Kevin ed a Mark.

Questi provò a ripercorrere, faticosamente, il confronto avuto con l’ormai ex fidanzato: le parole di Niall, i suoi sguardi, la sua determinazione, così dissonanti, in toto, con ciò che avevano condiviso, sino al giorno prima.

Un incubo.

“E pensare che io credevo avesse preso una cotta per Geffen … O tuttalpiù per suo figlio”

“Ma chi, Richard? E’ gay?” – chiese l’analista incuriositosi in merito a quell’uscita del suo paziente.

“No … Non lo so, non ne ho idea, certo è un tipo interessante, da copertina e Niall si emozionava quando si incrociavano alla villa sull’oceano, senza contare la sua venerazione per Glam, nelle vesti di padre e di nonno … Insomma Geffen sembrava essere la risposta giusta, ai sogni del mio piccolo …” – e scoppiò a piangere.


Ora, Ruffalo, stava posando un bacio tra le scapole di Kevin, sfinito, a pancia in giù in mezzo al letto disfatto da un paio di amplessi, dove l’artista confermò la sua arte amatoria straordinaria.

Mark ne rimase turbato, nonostante il suo pensiero corresse impellente a come riconquistare Horan: non c’era bisogno di nasconderlo, anzi.

“Niall non mi appartiene” – gli sospirò sulla pelle il neo professore, appoggiandosi poi con la nuca alla schiena dell’altro – “… di sicuro non posso obbligarlo a tornare con me, però la sua scelta è stata avventata ed io vorrei dimostrargli di meritare ancora il suo amore, sai?”

Il musicista si lisciò il mento sull’avambraccio destro, incrociato sopra a quello sinistro, ossigenandosi, prima di replicare a tono basso e roco – “Io ho sbagliato un sacco di volte con Tim, l’ho esasperato e poi non sono riuscito a nascondergli le intenzioni, che il ritrovamento di Lula, avevano innescato in me ad Haiti”

“Risposarti con Geffen?”

“Sì, certo …” – inspirò greve – “… una follia … Non ho ancora imparato, quanto Glam non sia mai stato mio per davvero”

Ruffalo si girò, puntandosi sui gomiti, per poi scrutarlo nella semi oscurità.

“E di chi sarebbe?”

“Di Jared, da sempre” – bissò diretto, senza alcuna esitazione.




“Quella camicia è orrenda”

La voce di Leto lo investì, piacevole, alle spalle.

Geffen rise, specchiandosi nella cabina armadio.

“E’ un regalo, di Pamela, quindi se ti sentisse, sappi che non avresti più un solo tacos, da qui all’eternità” – Glam scherzò, giocando con i bottoni, per poi allacciarli sino a metà sterno.

In quel punto, caldissimo e dal buon sapore del suo dopobarba, Jared impresse un bacio, dopo avergli cinto il busto massiccio, con devozione e timidezza.

“Jay, ma cosa …” – gli sussurrò l’avvocato, che ben presto si arrese e cercò la sua bocca, per un bacio, a significare un’appartenenza totale e reciproca.

Se solo avessero potuto azzerare ogni cosa.
Ogni singola, fottuta, cosa.

Si distaccarono lievi, come se potesse fare male anche quello.

“Tesoro io … io temo sia il solito sbaglio …”

“E’ inutile parlarne Glam” – mormorò stanco il cantante – “… tu sei come una droga per me: sarò banale, ripetitivo, ti annoierò”

“No, questo mai” – lo interruppe brusco, per poi avvolgerlo fortemente a sé.

Un rumore strano li distrasse: proveniva dalla camera adiacente, una sorta di cigolio.

Era la sedia a rotelle di Lula.

Geffen si precipitò da lui.

“Amore sei qui”

Soldino annuì, togliendosi gli occhiali scuri, con un po’ di incertezza nei gesti.

“Aspetta ti aiuto, ma prima attivo il nuovo sistema di luci, non levarli ancora, ok cucciolo?”

Lula sorrise, guardandosi poi intorno, appena un riverbero blu invase l’ambiente e le tende si chiusero, come per magia.

“Ecco, in questo modo la tua retina si abituerà meglio e gradualmente alla luce” – e si inginocchiò ai suoi piedi, mentre glielo spiegava con tenerezza.

“Ok papà” – bisbigliò il bimbo, provando a schiarirsi la gola.

“Non sforzarti, vuoi del gelato?”

“Sì, grazie … Solo se ne mangi anche tu e zio Jay”

Leto si palesò – “Lula, Lula, non ti si può nascondere niente” – rise amorevole, avvicinandosi.

“Vorrei disegnare papà …”

“D’accordo, ma tra poco andiamo dal nonno, potresti colorare da lui, con Xavier, cosa ne pensi?” – propose sereno.

“Okkei!” – e gli diede una carezza, con il palmo, una sua tipica abitudine, che Geffen stava riscoprendo, con immensa gioia.






Fu come un tripudio di colori e risa, la corsa verso Lula, da parte dei bambini di quel clan così anticonvenzionale.

Geffen camminava lento, sul viale della residenza di Antonio, estremamente commosso nel ritrovare il suo nipotino preferito.

Soldino lo era per tutti, in fondo.

Era l’anima bella, di ognuno di loro.

Anche se ancora debole, Lula non risparmiava sorrisi a quel benvenuto corale ed entusiasta.

Violet, in un abitino rosso fiammante, fu l’ultima ad apparire sul viale.

Aveva tra le mani una catenina ed un ciondolo, dono di Lula.
L’ultimo, che il bambino le aveva consegnato, parecchio tempo addietro.

Pepe rispondeva ad ogni domanda, lasciando intendere che Lula gliele stesse trasmettendo nitide nella mente.

Probabilmente era così.

Robert si incrociò improvvisamente con Glam, ebbro di felicità, per come si erano risolte le cose.

Geffen gli accarezzò gli zigomi – “Mi concedi questo ballo?”

“Glam …?”

“La musica”

“Sì, la sento, un vecchio pezzo in Italiano, non capisco il testo”

“Non serve, è bellissima”

Downey annuì, lasciandosi avvolgere da quell’essere umano meraviglioso e controverso.

Cominciarono a danzare, ipnotizzati l’uno dall’altro.

“A volte, sai Rob, io penso di essere stato immensamente fortunato, nonostante tutto”

“Nonostante … me?”

Risero.

“No, no, tu sei …” – Glam prese un respiro – “… Tu sei una creatura così preziosa, con questi tuoi occhi liquidi, queste tue mani, bellissime, e poi le labbra, come petali di un fiore, che sanno schiudersi in sorrisi incantevoli … TU sei così Robert e lo sarai per l’eternità, per me”

Lo lasciò scivolare via, proseguendo in quel cammino, tra palloncini, coriandoli, stelle filanti.

Downey seguì ogni suo passo.
Quindi volse lo sguardo verso i cancelli.

Jude li aveva appena varcati, con la luce dell’amore, che nutriva per lui, nelle iridi e nell’abbraccio, che presto lo raggiunse, insieme alle emozioni, uniche, che esclusivamente Law sapeva infondergli.

Diverse da quelle di Glam.
Eppure simili.

Anche Robert, si sentì immensamente fortunato, in quell’attimo, quando chiuse gli occhi, ma non per non vedere o per non sentire.

Anzi …




Taylor avrebbe voluto andarsene subito, ma Colin quasi lo spinse giù dal suv, con una risata complice.

“E dai, non fare il difficile, presto o tardi l’avresti incontrato comunque: Jude è il mio migliore amico” – provò a convincerlo.

Kitsch sbuffò, passandosi le mani tra i capelli accorciati, per esigenza di scena.

Il suo profilo si stagliò contro gli ultimi raggi di quel tramonto: Farrell si soffermò a fissarlo: Taylor era davvero affascinante.

“Ok, andiamo Colin … Alle brutte, finiremo per picchiarci” – rise nervoso.

“Ma no … Oh guarda, sta arrivando Kevin … Con Mark?!” – su quella constatazione, il tono dell’irlandese si smorzò.

“Sì, in effetti sembrerebbe lui … anzi, è lui: che ne è stato di Niall e Tim?”

“Saranno già qui, Taylor …”

“Quei due sembrano usciti dal frullatore, sicuro non gli sia successo niente?”




Ricky scosse il capo, sulla battuta di Brent, in piedi dall’altra parte del bancone.

“Questo cocktail è dinamite, altro che all’acqua di rose!” – l’architetto rise fragorosamente, incontrando l’occhiata, che Tomlinson jr gli stava regalando, senza malizia.

Brendan, appena giunto nel locale, perse un battito.

Le coincidenze non gli erano mai piaciute.

“Ciao amore!” – lo salutò Brent, andandogli poi incontro – “Tu conosci Richard Geffen?”

“No … Piacere” – si presentò un po’ rigido.

“Il piacere è mio, sei fratello di Hugh, giusto? Ero andato ad una sua conferenza, secoli fa, mi pare a Boston, prima di trasferirmi in Australia”

Il maggiore dei Laurie lo avrebbe liquidato con un “E potevi pure restarci tra i canguri, non credi?!” – con acido sarcasmo, che ora ribolliva nello stomaco di Brendan.

“Rimarrai a Los Angeles?” – domandò lo psicologo, senza badare molto a Brent, che tornò a sbrigare un po’ di faccende, prima di chiudere.

“Sì, l’idea è questa, ho dei progetti, mi hanno offerto un lavoro … Bevi qualcosa?”

“No, cioè sì, una birra … Grazie” – ed abbozzò un sorriso tirato, appollaiandosi su di uno sgabello, come il suo interlocutore.

“Brent una Guinnes per tuo marito” – ordinò simpatico e Laurie aggrottò la fronte.

“Ok, arriva … E non fate pettegolezzi su di me, ok?”

“Figurati” – bissò secco Brendan, poi tornò ad analizzare ogni mossa di Ricky, che mise una banconota da venti dollari, in un piattino apposito.

“Tieni il resto, si sta bene qui, ci tornerò con mia moglie ed i miei figli, ok?”

“Ok, abbiamo menu per ogni età” – si affrettò a precisare Tomlinson, da ottimo commerciante.

“Bene, vado alla festa da Meliti, per Lula, venire anche voi più tardi?”

Brendan e Brent si guardarono.

“Non saprei …” – rispose incerto l’analista.

“Carmela e Pam faranno da mangiare per un esercito, poi ci sono giochi, clown, voi avete dei bambini?”

“No, non ancora, ma ci stiamo lavorando” – esclamò l’ex capitano, ammutolendo Laurie.

“Ben fatto, ora devo proprio scappare, ci si vede in giro” – e se ne andò, indossando un giubbotto da motociclista, che lo rendeva anche sexy, come i suoi jeans modaioli.

In effetti, oltre la pensilina del Dark Blue, era parcheggiata una HD splendida.

Ricky la avviò esperto e se ne andò sgommando.

“Carino …” – bofonchiò Brendan, riprendendo un minimo di controllo.

Quella sequenza lo aveva mandato in piena confusione emotiva e la cosa lo scocciava estremamente.

Brent, con nonchalance, azzerò la distanza e lo baciò con passione.

Bastava quello, a cancellare i malumori.
Almeno fino al prossimo ostacolo.





RICHARD GEFFEN

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