Mark realizzò di essere stato passivo solo un paio
di volte nella vita.
In un passato, peraltro, molto lontano.
Quel termine, passivo, lo aveva sempre fatto sorridere
e riflettere: lo decodificava come qualcosa di negativo, in un rapporto
sessuale, il che era sbagliato.
Di sicuro lo era con
Kevin: ad ogni sua spinta, Ruffalo perdeva la cognizione del tempo e di dove si
erano fermati, senza dare spiegazioni a nessuno, se non uno scarno sms a Vas,
responsabile della sicurezza, all’interno del loro gruppo vacanze.
Ecco, quel paio di
volte: la prima, uno zio acquisito, broker a Manhattan, sposato alla sorella
minore della madre.
La seconda, un professore
di Filosofia, tremendamente nerd, incasinato, che arrossiva quando Mark si
presentava per dare un esame e, anche se non avesse saputo nulla o stravolto
anche il più banale ed elementare concetto della sua materia, quello lo avrebbe
promosso.
Come si chiamava?
Chi se ne importa,
comunque lo zio era Maverick, un nome altisonante.
A Ruffalo piaceva, insomma,
come il suo dopobarba francese, piuttosto raffinato, come le maniere di quel
dandy.
Kevin era un’altra
storia.
Kevin era il presente,
nella stanza di una pseudo baita fuori Aspen, più che altro un motel di lusso,
con dei finti animali imbalsamati appesi alle pareti.
Un orrore.
Kevin si erse in
ginocchio, portandosi il polpaccio sinistro di Mark sulla spalla, aumentando il
ritmo, come un forsennato.
C’era rabbia, ora, in
quel movimento virile e dominante.
Mark lo lasciò fare,
provando un orgasmo assurdamente profondo, che gli arrivò dritto al cervello,
come un colpo di spada, come una scia di luce, che incendiò ogni sua
terminazione nervosa, arricciandogli mani e piedi alle estremità, già
tremolanti e sudate.
Poi tutto finì, con un
ansante ex ragazzo dai riccioli biondi, seppure sempre dorati ed arruffati, che
non voleva guardarlo più, anche se Ruffalo era bello, di una bellezza
rassicurante.
Come i suoi modi.
Come lo era stato zio
Maverick, ma Kevin non poteva saperlo.
L’ex di Glam e di Tim,
scattò giù dal materasso ovale, un’altra boiata, cercando un asciugamano nella
cassapanca, ai piedi del letto.
“Faccio una doccia,
scusa” – si giustificò, banalizzando il momento.
Era come un qualcosa di
sospeso, tra loro, quel non decidere di andare oltre, di prendersi un po’ di
tempo per scegliere se stare insieme o meno.
Fanculo Niall.
Fanculo Tim.
Eppure non ci
riuscivano.
Scaricavano la
frustrazione scopando o, almeno, era quanto aveva appena fatto Kevin.
Mark non aveva dubbi in
proposito.
Lo rincorse quasi,
addossandolo al muro, cingendolo da dietro, ma senza irruenza.
“Perché non ti calmi,
Kevin? Perché non ne parliamo?”
La sua proposta fu
pacata, avvolgente, come il suo abbraccio caldo, che sapeva di loro, di umori e
di lacrime.
Kevin aveva
ricominciato a piangere, piegandosi poi contro quella tappezzeria a quadri
arancio, ficcati dentro a rettangoli marroni, incastrati in cerchi panna.
Un po’ come lui, che
aveva assunto forme diverse, nelle sue relazioni più importanti.
Si era adattato,
cambiando, in funzione di chi amava: da zerbino con Glam, a consorte spesso
prepotente e sfacciato con Tim, ad amante succube del fascino di Colin e Jared.
Kevin, così fedele a
Geffen per anni, che si era trasformato in una puttana.
Il musicista si girò di
scatto, fissando Mark, come se dovesse comprendere quale forma era necessaria
per non deluderlo, per farsi amare incondizionatamente da qualcuno; e che
importava, se quel qualcuno poteva anche essere Ruffalo?
Chiunque avrebbe
pensato fosse il suo ripiego e viceversa: due falliti, che incollando i
frammenti dei rispettivi cuori calpestati, dalla giovinezza di Tim e Niall,
provavano a farsene una ragione, arrendendosi.
Per Kevin era
inconcepibile.
“IO rivoglio Tim nella
mia vita!” – ruggì inatteso.
Mark annuì,
impressionato dalla sua reazione – “Certo, io questo lo so e”
“E noi dovremmo
continuare a vederci sai?! Se anche tornassimo con loro, TU ED IO DOVREMMO
ESSERE AMANTI!” – sbottò esasperato.
Ruffalo lo strinse,
affettuoso.
“Ora calmati Kevin …
calmati” – gli disse piano, le mani tra i suoi capelli, la voce nella sua testa
confusa ed incazzata.
“Mi manca … lui, la
nostra Layla …”
“Posso immaginarlo” – e
gli sorrise, spostandogli quei filamenti dalla fronte madida e luminosa, nel
chiarore di un tramonto bellissimo, incastonato tra le vette, ben visibili
dalle enormi vetrate alle loro spalle.
Kevin fece un passo
verso quel panorama oltre ai vetri, prendendo per mano Mark, che lo seguì
assorto nell’osservare il suo atteggiamento mutato in pochi secondi.
“Sono stanco di lottare
contro le nuvole … Appena ci arrivo vicino, esse si sciolgono, come ogni mia
aspettativa e progetto, sai?” – mormorò afflitto.
Ruffalo lo baciò,
ricompattando un minimo la sua autostima.
Kevin gli sorrise.
Dopo.
Vincent scaricò i
bagagli, coadiuvato da Harry, che aveva viaggiato tutto il tempo al suo fianco.
Louis li aveva scrutati
a più riprese, relegato sui sedili intermedi del van ed impegnato a coccolare
Petra ed il bimbo di Liam, in ultima fila con Zayn, rintronato dal jet lag, dopo
essere rientrato con Payne da Londra, dove avevano trascorso parte delle
recenti festività.
Malik si avvicinò
guardingo e dispettoso a Tomlinson.
“Carini non trovi? E
come se la intendono e che due palle, che ci hanno fatto, con gli aneddoti su
Vinny, che ha salvato Haz sulle piste nere” – ridacchiò il paleontologo, mentre
Liam provava a carpire i loro discorsi complici, non senza provare un fastidio
estremo.
Lux e Styles non se ne
curavano minimamente in compenso, affamati come lupi – “Dio spero abbiano
preparato quell’arrosto, te lo ricordi Vincent? – esordì il legale, chiamando l’ascensore,
ormai giunti nella hall dell’albergo a cinque stelle, prenotato quasi
interamente da Geffen.
“Io adoro tutte quelle salsicce
affogate nel sugo, mi ricordano un piatto preparato da mia nonna” – replicò ispirato
il francese, sistemando la sciarpina a Petra, che voleva passare sul suo petto.
Louis, scocciato, la
accontentò.
“Ecco, vai dallo zio
carnivoro” – sbuffò scostante.
“Devi sapere che Boo è
nel suo periodo verde: insalate, cetrioli, carciofi, ramarri!” – sghignazzò Haz,
fulminato dalle occhiate di Zayn, che faceva finta di non cogliere l’irritazione
di Liam.
“Potresti aiutarmi
almeno con gli snowboard?” – li interruppe scocciato il vulcanologo,
rivolgendosi al compagno, che arrossì quanto un peperone.
Lux riportò la pace
immediatamente – “Su, siamo in vacanza, cosa sono questi musi?”
Louis abbozzò un
sorriso dei suoi – “Ma no, siamo un po’ stanchi per il viaggio”
“Ho guidato male,
forse, mon petit?”
“No, no, ma figurati,
tu sei un pilota provetto” – replicò imbarazzato Tomlinson, guadagnandosi un
bacio sulla fronte da parte del suo maturo interlocutore, che mai avrebbe
smesso di adorarlo.
Era palese.
“Non c’era bisogno di
rassicurarmi”
Leto ruppe il silenzio
tra loro, dopo un lungo bagno, a mollo con Farrell, che ora leggeva un giornale,
steso sul piumone, in attesa di ridiscendere per la cena.
“Comunque sei stato
carino a farlo” – Jared rise, azzerando la distanza tra loro, dopo essersi
spazzolato i lunghi capelli.
“Non tagliarli mai …” –
sospirò l’irlandese, accogliendolo sul petto – “… e per il resto, sei tu che mi
fai un effetto pazzesco, nelle circostanze più strane, altro che rassicurazioni
… E poi per cosa? Per Taylor?”
“Hai fatto centro” – sussurrò
serio, respirandogli sul capezzolo sinistro.
“Ti conosco ormai …” –
sorrise, baciandogli ispido la tempia destra.
“E tu non farti la
barba, mi fa venire i brividi” – lo provocò, giocando come un sedicenne.
“E tu mi farai venire e
basta se non la smetti di essere così come sei, Jay Jay Leto” – gli respirò
roco nella bocca, dopo esserci sceso con la propria, a cercarlo, per un bacio
mozzafiato.
Jared pensò a Glam, all’infedeltà,
che aveva segnato nuovamente il loro cammino.
Si sentì in colpa.
Sporco.
Sfuggì ai bicipiti di
Colin, con uno strattone convulso.
“Jay che ti prende, ho
fatto qualcosa di sbagliato?”
Farrell lo tratteneva
per gli avambracci ed il cantante avrebbe voluto sprofondare, per la dilagante
vergogna, che si era impossessata dei suoi pensieri.
“No, no, è che … Che
non mi sento a mio agio, con … con i nostri amici, ecco”
“Sì, capisco che Taylor”
“E basta parlare di
quello stronzo!”
“Jay … ma cosa …”
Leto era ormai in
piedi, nel mezzo della camera – “Vado a vestirmi, perdonami se ho rovinato
questa … questa cosa … tra noi …”
“E’ il nostro amore, se
te ne fossi dimenticato, ok?!” – reagì brusco l’attore, ma il consorte si era
già trincerato nella cabina armadio.
Un po’ infantile.
Come unicamente Jared,
sapeva essere, in fondo.
Robert gli fece fare il
battello tra le onde, un gioco, che a Pepe, piaceva da impazzire.
Le sue risa vivaci, si
diffusero nel salottino, antistante la camera dove Glam si stava cambiando, con
Lula.
Downey li raggiunse,
tenendo Peter in grembo – “Sicuro di lasciarlo con me e Jude per stanotte?” –
gli bisbigliò simpatico, con quelle sue espressioni facciali inconfondibili e
vivide.
“Certo, il nostro Pepe
adora zio Jude, vero birba?”
“Sì, sì e poi domani
dormo con zia Pam, Lula, Jay Jay, i gemelli e Drake, nel lettone con Tigro e
Brady!” – rise giocoso, mentre soldino non si ricordava come si allacciavano
gli scarponcini.
Robert se ne accorse al
volo, precipitandosi ad aiutarlo, coadiuvato dal suo fratellino – “Ah queste
stringhe, ti insegno un trucco, ok Lula? Anzi, una canzoncina” – propose dolce.
“Okkei!” – soldino rise
divertito.
Geffen gli avrebbe
regalato la luna.
A Robert.
Per come sapeva essere,
per quanto lo amava, anche se era stato devastante separarsene, mettendogli sotto
al naso le carte del divorzio.
Era successo in pratica
ieri, un ieri, che ora Glam avrebbe voluto cancellare.
E non senza pentirsene,
perché Law non si poteva escludere dall’esistenza di Robert, così come Colin da
quella di Jared.
Jared che ora gli stava
scrivendo qualcosa sul palmare, cancellando di continuo ogni frase, che avrebbe
ferito Farrell.
Irrimediabilmente.
“Ok fatto! Hai visto
Glam?”
“Eh … Cosa, sì,
perdonami Rob, ero distratto da … da una cosa di lavoro”
“Lavoro? Te lo sei
portato anche qui? Ma non volevi andare in pensione?” – lo canzonò dispettoso,
ma innocuo, perché mai Geffen si sarebbe offeso.
“Io … ecco io” – e lo
stava fissando, quella roccia fatta di carne, sangue, muscoli, pianti nascosti,
iridi turchesi, vaste come il mare.
“Glam …?” – un sussurro,
come un anelito di vento, fatto di schegge ambrate, galleggianti in quell’inchiostro,
che erano gli occhi di Downey, adesso.
E sempre.
Geffen abbassò lo
sguardo triste, per poi risollevarsi con un sorriso un po’ tirato.
“Ti voglio così bene,
Robert” – e gli accarezzò un fianco, per poi ripassargli Pepe, che li stava
studiando da un po’.
“Papà allora io vado da
zio Jude …” – e strofinò il nasino gelido, nel collo di Downwy, che non aveva
mai smesso di guardare Glam.
“Prima ceniamo tutti
allo stesso tavolo, no? Poi ci daremo la buonanotte, ok Pepe?” – disse con
tenerezza, portandosi sul cuore sia lui, che Lula, che Robert, legato a quell’intreccio,
come se fosse una gemma, appesa ad una catena d’oro massiccio, per come lo
stava facendo sentire importante Geffen, ora.
“Ovvio che faremo così”
– quasi balbettò Downey, incollandosi al busto dell’altro – “… e sceglieremo
tante cose buone, anche un dolce speciale, alla fine” – e non sapeva neppure
più cosa stesse dicendo.
Gli bastava sapere
che si sentiva felice.
Felice
e basta.
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