martedì 24 marzo 2015

LIFE - CAPITOLO N. 1O5

 Capitolo n. 105 – life



Mark realizzò di essere stato passivo solo un paio di volte nella vita.

In un passato, peraltro, molto lontano.

Quel termine, passivo, lo aveva sempre fatto sorridere e riflettere: lo decodificava come qualcosa di negativo, in un rapporto sessuale, il che era sbagliato.

Di sicuro lo era con Kevin: ad ogni sua spinta, Ruffalo perdeva la cognizione del tempo e di dove si erano fermati, senza dare spiegazioni a nessuno, se non uno scarno sms a Vas, responsabile della sicurezza, all’interno del loro gruppo vacanze.

Ecco, quel paio di volte: la prima, uno zio acquisito, broker a Manhattan, sposato alla sorella minore della madre.

La seconda, un professore di Filosofia, tremendamente nerd, incasinato, che arrossiva quando Mark si presentava per dare un esame e, anche se non avesse saputo nulla o stravolto anche il più banale ed elementare concetto della sua materia, quello lo avrebbe promosso.

Come si chiamava?

Chi se ne importa, comunque lo zio era Maverick, un nome altisonante.
A Ruffalo piaceva, insomma, come il suo dopobarba francese, piuttosto raffinato, come le maniere di quel dandy.

Kevin era un’altra storia.
Kevin era il presente, nella stanza di una pseudo baita fuori Aspen, più che altro un motel di lusso, con dei finti animali imbalsamati appesi alle pareti.

Un orrore.

Kevin si erse in ginocchio, portandosi il polpaccio sinistro di Mark sulla spalla, aumentando il ritmo, come un forsennato.

C’era rabbia, ora, in quel movimento virile e dominante.

Mark lo lasciò fare, provando un orgasmo assurdamente profondo, che gli arrivò dritto al cervello, come un colpo di spada, come una scia di luce, che incendiò ogni sua terminazione nervosa, arricciandogli mani e piedi alle estremità, già tremolanti e sudate.

Poi tutto finì, con un ansante ex ragazzo dai riccioli biondi, seppure sempre dorati ed arruffati, che non voleva guardarlo più, anche se Ruffalo era bello, di una bellezza rassicurante.
Come i suoi modi.
Come lo era stato zio Maverick, ma Kevin non poteva saperlo.

L’ex di Glam e di Tim, scattò giù dal materasso ovale, un’altra boiata, cercando un asciugamano nella cassapanca, ai piedi del letto.

“Faccio una doccia, scusa” – si giustificò, banalizzando il momento.

Era come un qualcosa di sospeso, tra loro, quel non decidere di andare oltre, di prendersi un po’ di tempo per scegliere se stare insieme o meno.

Fanculo Niall.
Fanculo Tim.

Eppure non ci riuscivano.

Scaricavano la frustrazione scopando o, almeno, era quanto aveva appena fatto Kevin.
Mark non aveva dubbi in proposito.

Lo rincorse quasi, addossandolo al muro, cingendolo da dietro, ma senza irruenza.

“Perché non ti calmi, Kevin? Perché non ne parliamo?”

La sua proposta fu pacata, avvolgente, come il suo abbraccio caldo, che sapeva di loro, di umori e di lacrime.

Kevin aveva ricominciato a piangere, piegandosi poi contro quella tappezzeria a quadri arancio, ficcati dentro a rettangoli marroni, incastrati in cerchi panna.

Un po’ come lui, che aveva assunto forme diverse, nelle sue relazioni più importanti.

Si era adattato, cambiando, in funzione di chi amava: da zerbino con Glam, a consorte spesso prepotente e sfacciato con Tim, ad amante succube del fascino di Colin e Jared.

Kevin, così fedele a Geffen per anni, che si era trasformato in una puttana.

Il musicista si girò di scatto, fissando Mark, come se dovesse comprendere quale forma era necessaria per non deluderlo, per farsi amare incondizionatamente da qualcuno; e che importava, se quel qualcuno poteva anche essere Ruffalo?

Chiunque avrebbe pensato fosse il suo ripiego e viceversa: due falliti, che incollando i frammenti dei rispettivi cuori calpestati, dalla giovinezza di Tim e Niall, provavano a farsene una ragione, arrendendosi.

Per Kevin era inconcepibile.

“IO rivoglio Tim nella mia vita!” – ruggì inatteso.

Mark annuì, impressionato dalla sua reazione – “Certo, io questo lo so e”

“E noi dovremmo continuare a vederci sai?! Se anche tornassimo con loro, TU ED IO DOVREMMO ESSERE AMANTI!” – sbottò esasperato.

Ruffalo lo strinse, affettuoso.

“Ora calmati Kevin … calmati” – gli disse piano, le mani tra i suoi capelli, la voce nella sua testa confusa ed incazzata.

“Mi manca … lui, la nostra Layla …”

“Posso immaginarlo” – e gli sorrise, spostandogli quei filamenti dalla fronte madida e luminosa, nel chiarore di un tramonto bellissimo, incastonato tra le vette, ben visibili dalle enormi vetrate alle loro spalle.

Kevin fece un passo verso quel panorama oltre ai vetri, prendendo per mano Mark, che lo seguì assorto nell’osservare il suo atteggiamento mutato in pochi secondi.

“Sono stanco di lottare contro le nuvole … Appena ci arrivo vicino, esse si sciolgono, come ogni mia aspettativa e progetto, sai?” – mormorò afflitto.

Ruffalo lo baciò, ricompattando un minimo la sua autostima.

Kevin gli sorrise.
Dopo.




Vincent scaricò i bagagli, coadiuvato da Harry, che aveva viaggiato tutto il tempo al suo fianco.

Louis li aveva scrutati a più riprese, relegato sui sedili intermedi del van ed impegnato a coccolare Petra ed il bimbo di Liam, in ultima fila con Zayn, rintronato dal jet lag, dopo essere rientrato con Payne da Londra, dove avevano trascorso parte delle recenti festività.

Malik si avvicinò guardingo e dispettoso a Tomlinson.

“Carini non trovi? E come se la intendono e che due palle, che ci hanno fatto, con gli aneddoti su Vinny, che ha salvato Haz sulle piste nere” – ridacchiò il paleontologo, mentre Liam provava a carpire i loro discorsi complici, non senza provare un fastidio estremo.

Lux e Styles non se ne curavano minimamente in compenso, affamati come lupi – “Dio spero abbiano preparato quell’arrosto, te lo ricordi Vincent? – esordì il legale, chiamando l’ascensore, ormai giunti nella hall dell’albergo a cinque stelle, prenotato quasi interamente da Geffen.

“Io adoro tutte quelle salsicce affogate nel sugo, mi ricordano un piatto preparato da mia nonna” – replicò ispirato il francese, sistemando la sciarpina a Petra, che voleva passare sul suo petto.

Louis, scocciato, la accontentò.

“Ecco, vai dallo zio carnivoro” – sbuffò scostante.

“Devi sapere che Boo è nel suo periodo verde: insalate, cetrioli, carciofi, ramarri!” – sghignazzò Haz, fulminato dalle occhiate di Zayn, che faceva finta di non cogliere l’irritazione di Liam.

“Potresti aiutarmi almeno con gli snowboard?” – li interruppe scocciato il vulcanologo, rivolgendosi al compagno, che arrossì quanto un peperone.

Lux riportò la pace immediatamente – “Su, siamo in vacanza, cosa sono questi musi?”

Louis abbozzò un sorriso dei suoi – “Ma no, siamo un po’ stanchi per il viaggio”

“Ho guidato male, forse, mon petit?”

“No, no, ma figurati, tu sei un pilota provetto” – replicò imbarazzato Tomlinson, guadagnandosi un bacio sulla fronte da parte del suo maturo interlocutore, che mai avrebbe smesso di adorarlo.

Era palese.




“Non c’era bisogno di rassicurarmi”

Leto ruppe il silenzio tra loro, dopo un lungo bagno, a mollo con Farrell, che ora leggeva un giornale, steso sul piumone, in attesa di ridiscendere per la cena.

“Comunque sei stato carino a farlo” – Jared rise, azzerando la distanza tra loro, dopo essersi spazzolato i lunghi capelli.

“Non tagliarli mai …” – sospirò l’irlandese, accogliendolo sul petto – “… e per il resto, sei tu che mi fai un effetto pazzesco, nelle circostanze più strane, altro che rassicurazioni … E poi per cosa? Per Taylor?”

“Hai fatto centro” – sussurrò serio, respirandogli sul capezzolo sinistro.

“Ti conosco ormai …” – sorrise, baciandogli ispido la tempia destra.

“E tu non farti la barba, mi fa venire i brividi” – lo provocò, giocando come un sedicenne.

“E tu mi farai venire e basta se non la smetti di essere così come sei, Jay Jay Leto” – gli respirò roco nella bocca, dopo esserci sceso con la propria, a cercarlo, per un bacio mozzafiato.

Jared pensò a Glam, all’infedeltà, che aveva segnato nuovamente il loro cammino.

Si sentì in colpa.
Sporco.

Sfuggì ai bicipiti di Colin, con uno strattone convulso.

“Jay che ti prende, ho fatto qualcosa di sbagliato?”

Farrell lo tratteneva per gli avambracci ed il cantante avrebbe voluto sprofondare, per la dilagante vergogna, che si era impossessata dei suoi pensieri.

“No, no, è che … Che non mi sento a mio agio, con … con i nostri amici, ecco”

“Sì, capisco che Taylor”

“E basta parlare di quello stronzo!”

“Jay … ma cosa …”

Leto era ormai in piedi, nel mezzo della camera – “Vado a vestirmi, perdonami se ho rovinato questa … questa cosa … tra noi …”

“E’ il nostro amore, se te ne fossi dimenticato, ok?!” – reagì brusco l’attore, ma il consorte si era già trincerato nella cabina armadio.

Un po’ infantile.
Come unicamente Jared, sapeva essere, in fondo.




Robert gli fece fare il battello tra le onde, un gioco, che a Pepe, piaceva da impazzire.

Le sue risa vivaci, si diffusero nel salottino, antistante la camera dove Glam si stava cambiando, con Lula.

Downey li raggiunse, tenendo Peter in grembo – “Sicuro di lasciarlo con me e Jude per stanotte?” – gli bisbigliò simpatico, con quelle sue espressioni facciali inconfondibili e vivide.

“Certo, il nostro Pepe adora zio Jude, vero birba?”

“Sì, sì e poi domani dormo con zia Pam, Lula, Jay Jay, i gemelli e Drake, nel lettone con Tigro e Brady!” – rise giocoso, mentre soldino non si ricordava come si allacciavano gli scarponcini.

Robert se ne accorse al volo, precipitandosi ad aiutarlo, coadiuvato dal suo fratellino – “Ah queste stringhe, ti insegno un trucco, ok Lula? Anzi, una canzoncina” – propose dolce.

“Okkei!” – soldino rise divertito.

Geffen gli avrebbe regalato la luna.
A Robert.

Per come sapeva essere, per quanto lo amava, anche se era stato devastante separarsene, mettendogli sotto al naso le carte del divorzio.

Era successo in pratica ieri, un ieri, che ora Glam avrebbe voluto cancellare.

E non senza pentirsene, perché Law non si poteva escludere dall’esistenza di Robert, così come Colin da quella di Jared.

Jared che ora gli stava scrivendo qualcosa sul palmare, cancellando di continuo ogni frase, che avrebbe ferito Farrell.

Irrimediabilmente.


“Ok fatto! Hai visto Glam?”

“Eh … Cosa, sì, perdonami Rob, ero distratto da … da una cosa di lavoro”

“Lavoro? Te lo sei portato anche qui? Ma non volevi andare in pensione?” – lo canzonò dispettoso, ma innocuo, perché mai Geffen si sarebbe offeso.

“Io … ecco io” – e lo stava fissando, quella roccia fatta di carne, sangue, muscoli, pianti nascosti, iridi turchesi, vaste come il mare.

“Glam …?” – un sussurro, come un anelito di vento, fatto di schegge ambrate, galleggianti in quell’inchiostro, che erano gli occhi di Downey, adesso.

E sempre.

Geffen abbassò lo sguardo triste, per poi risollevarsi con un sorriso un po’ tirato.

“Ti voglio così bene, Robert” – e gli accarezzò un fianco, per poi ripassargli Pepe, che li stava studiando da un po’.

“Papà allora io vado da zio Jude …” – e strofinò il nasino gelido, nel collo di Downwy, che non aveva mai smesso di guardare Glam.

“Prima ceniamo tutti allo stesso tavolo, no? Poi ci daremo la buonanotte, ok Pepe?” – disse con tenerezza, portandosi sul cuore sia lui, che Lula, che Robert, legato a quell’intreccio, come se fosse una gemma, appesa ad una catena d’oro massiccio, per come lo stava facendo sentire importante Geffen, ora.

“Ovvio che faremo così” – quasi balbettò Downey, incollandosi al busto dell’altro – “… e sceglieremo tante cose buone, anche un dolce speciale, alla fine” – e non sapeva neppure più cosa stesse dicendo.


Gli bastava  sapere  che si sentiva felice.

Felice e basta.
























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