Capitolo n. 95 – life
Nuvole.
Al di sotto il vuoto,
al di sopra un cielo, del colore dei suoi occhi, fissi, su di esso, così come
quelli di Glam, erano concentrati su Jared, da qualche attimo.
Era bellissimo.
Con i suoi capelli
lunghi, la barba accennata, ma ben curata.
Lui e Geffen erano
speculari, ma a modesta distanza.
Al loro fianco,
dormivano rispettivamente Colin e Kevin.
Il tempo sembrava
essere tornato indietro.
In maniera folle e
pericolosa.
Tim si asciugò in
fretta le lacrime, detestava essere compatito, anche se l’occhiata di Richard,
apparso improvvisamente in cucina, era del tutto affettuosa e comprensiva.
“Neanche tu riesci a
dormire?” – chiese paterno.
“No … E poi devo dare
da mangiare a Layla, così come tu stai per fare con Veronica” – replicò abbozzando
un sorriso.
“Sì, ci fanno fare dei
turni massacranti, le nostre principesse, ma se hai bisogno di aiuto Tim non
hai che da chiedere” – propose sorridente.
“Ok … Ne terrò conto” –
e tossì, cercando lo sterilizzatore.
“Volevi questo?”
La voce di Niall si
intromise tra loro, in modo allegro – “L’ho dovuto nascondere dai gemelli di
Glam, volevano giocarci a tutti i costi” – spiegò poi, porgendolo a Tim.
Le loro dita, sotto
quell’elettrodomestico, si sfiorarono, così i loro sguardi acerbi.
“Ti ringrazio, si sono
tremendi”
“Come il loro padre,
che poi sarebbe anche il mio” – Ricky rise, dosando il latte in un biberon.
“Già, bella differenza
di età” – notò Horan, ricevendo una gomitata leggera da Tim, che rise sotto ai
baffi, complice, mentre l’amico arrossiva come un peperone.
“Sì, bel casino” – il primogenito
di Geffen stette al gioco, senza scomporsi.
“Comunque tutti da
copertina!” – Niall peggiorò la situazione imbarazzante, dimostrando quanto l’avvenenza
di Richard lo avesse colpito da subito.
“Belle le mamme,
passabile il papà … Se mi sentisse il mio vecchio ahahahh”
“Oddio non ne dico una
giusta” – sussurrò il biondino e Tim si sentì come sollevato da un peso, in sua
presenza.
Per qualche minuto, non
aveva più pensato a Kevin ed alle recenti delusioni, metabolizzate anche per il
bene della figlia, appena adottata.
“Ok io salgo, voi che
fate?” – domandò l’architetto.
“Torno da Mark, sarà
già in pensiero, è un po’ ansioso e meno male che insegna psichiatria” –
scherzò, moltiplicando le sue gaffe.
“Preparo la pappa a
Layla e vada in camera di Pamela, l’ho lasciata da lei, è bravissima con i
neonati …”
“Sì Tim, è un po’ la
mamma di tutti” – osservò Ricky assorto, poi si congedò.
Fecero l’amore a lungo,
contemplandosi, gli occhi lucidi, tremolanti, stringendosi per i polsi, le
mani, mentre Jude affondava ritmico, tra le sue gambe, schiuse con il proprio
mondo al suo, che si univa a lui, con infinito amore e partecipazione.
Una sinergia di ansiti,
senza parole, ma unicamente baci, distacchi, altri baci, poi un gemito,
reciproco, più intenso, a lacerare l’aria.
Law lo sollevò,
incrociando le braccia dietro la schiena di Robert, portandoselo a sedersi
addosso a sé, che avrebbe voluto portarlo via da tutto quel dolore.
“Tu sei qui … sei qui
Rob” – ripeteva, fissando nello specchio poco distante, le loro figure madide,
toccando il compagno sotto alle scapole, scivolando poi veloce agli incavi,
sopra ai suoi glutei sodi.
Downey era in piena
estasi, non si erano ancora lasciati andare, Jude era dentro di lui e tornò a
muoversi, nuovamente eccitato, forse anche da quell’immagine così sensuale di
entrambi.
“Ju Jude mio Dio …”
Le falangi affusolate
dell’inglese gli cinsero la nuca e si infilarono tra le sue ciocche folte e
scure.
“Non ti lascerò più
andare via, sai?” – e gli sorrise, per poi baciarlo e venire, copioso, in un rinnovato
orgasmo così assurdamente profondo e devastante.
Ernando Mendoza andò ad
aprire personalmente la blindata, poco persuaso dalle parole di Alviero, che lo
seguì come un cane al guinzaglio.
Jerome e Vincent,
vestiti di bianco, dai Borsalino a tesa larga, alle scarpe, gli sorrisero
raggianti nei loro completi griffati, molto in contrasto con l’abbigliamento
trasandato di Dimitri, messo di lato e quello più sobrio di Peter, a chiudere
quella strana comitiva.
“Che onore, il grande
zio di Alviero in persona! Avete licenziato la servitù?” – li salutò Jerome,
con un’aria da mascalzone, pari solo a quella sfoggiata da Lux, che con
disinvoltura fece un passo avanti, guardandosi intorno e togliendosi il
cappello.
“Bel posticino amigo, è
tutto tuo qui?” – chiese altrettanto sfacciato.
“E sarebbero questi i
tuoi amici americani Alviero?” – chiese acido il boss, facendoli accomodare.
“Ce certo zio, sono
anche amici di Dimitri, è lui che me li ha raccomandati, perché risolveranno
tutti i nostri problemi, te lo assicuro!” – affermò inquieto.
“E lui sarebbe?” – ed indicò
Peter.
“E’ il nostro uomo di
fiducia” – spiegò pronto Jerome – “… Ognuno ha il sovietico che si merita, no?”
– e gli strizzò l’occhiolino.
“Capisco … Ok, sentiamo
cosa avete da vendermi: posso offrirvi un drink?” – e passarono in salotto,
notando del movimento in veranda.
“Costanza porta via i
bambini!” – esclamò Ernando e Pepe stampò il nasino sulle vetrate, cogliendo al
volo un cenno di Vincent.
Il cucciolo di Geffen
era molto sveglio e non tradì alcuna emozione, scappando via insieme agli
altri, verso la piscina, scortato dalla babysitter.
Jerome si accomodò,
mentre Lux restò in piedi.
Peter e Dimitri
piantonarono l’uscita, cercando di cogliere ogni minimo dettaglio intorno, come
stava facendo l’ex poliziotto.
“Noi siamo persone per
bene, investiamo, monetizziamo” – esordì Jerome, accendendosi un sigaro, senza
chiedere il permesso a nessuno.
“E allora?”
“Abbiamo saputo del tuo
tracollo, Ernando, a ventiquattro carati, hai presente? A New York sei davvero
famoso in certi ambienti” – Jerome ridacchiò, buttandogli il fumo quasi in
faccia.
Mendoza strinse i
braccioli della poltrona, posta accanto a quella del transalpino, senza perdere
la calma – “Cosa sapete, veramente?”
“Tutto ciò che serve” –
sussurrò Vincent, aprendogli sotto al naso una valigetta.
Il contenuto fece
sobbalzare Ernando.
“Dove l’avete trovato?!”
Un lingotto di oro
purissimo.
“Controlla il numero di
serie, prima di scaldarti” – gli suggerì Lux.
“Presto Alviero, prendi
l’elenco nella mia scrivania, avanti muoviti!” – ruggì.
Con quel foglio tra le
mani, Mendoza sembrò loro un assetato nel deserto, in vista di un’oasi
inattesa.
“Sì eccolo … 02565 …”
“E questi sono i numeri
sulle casse … Sei, esattamente, tutte ben sistemate in un luogo più che sicuro:
tu non hai idea di cosa abbiamo dovuto fare per trovarle” – affermò Jerome.
“Sì, corrispondono
anche questi codici …” – inspirò sollevato – “… non state mentendo, come
potreste?”
“Questo lo tengo io” –
Vincent richiuse la ventiquattrore – “… fa parte del nostro quaranta per cento”
– e rise.
“Trenta!” – sbottò Ernando
fissandolo.
“Quaranta e non
discutiamo oltre, se non di una spiacevole faccenda, che dovrà risolversi e
subito, se vorrai arrivare al tuo tesoro, è chiaro?” – disse con durezza
Jerome.
“Quali faccende?!”
“Prima ti abbiamo
spiegato quanto sia stato complesso avere queste informazioni”
“Sì, posso capirlo”
“Ebbene tu sai chi è
Geffen, vero? Ci tiene in pugno”
“Cosa?!”
“E’ lui che ci ha
fornito la prova, è lui che ha trovato il malloppo, non sappiamo come, ma ci è
riuscito” – spiegò Lux.
“Maledizione!! Come è
possibile, quello è un demonio, allora sono vere le voci su di lui!! Deve avere
parlato con Lula, non so come, telepaticamente, forse!!” – sbraitò Mendoza,
scattando in piedi.
Vincent e Jerome si
guardarono.
“Telepaticamente? Cosa
intendi? Lula è morto, da quanto ne so” – Jerome lo fronteggiò.
“Non proprio, è un … E’
stato, un grosso imbroglio …”
“Spiegati, sono curioso”
“Quella bomba, alla
fondazione Geffen, doveva servire solo a creare un diversivo per rapirlo: il
bimbo doveva conoscerla quella maledetta data, la sapete la storia, vero?”
“Sì, le coordinate per
arrivare al bottino, questo lo so, perché è Geffen che ce lo ha detto,
pretendendo ovviamente qualcosa in cambio, ma se anche Lula fosse in vita, noi
non vogliamo entrare in rapimenti di minori od omicidi del genere, sia chiaro!
Infatti dobbiamo consegnargli Peter, detto Pepe, ecco la sua foto, a me sembra
fosse lì fuori, cinque minuti fa”
“Certo, era lui, ma per
Lula … Non che non sia in vita, come hai appena detto tu, però è come se lo
fosse … Morto o quasi: è in coma, da mesi, da quando lo abbiamo portato via
dall’obitorio, grazie ad un nostro contatto interno, che si accorse di come il
nino fosse tornato a respirare … Una morte apparente, anche se era gravissimo:
non avete idea di quanto ci sia costato tenerlo attaccato a quei macchinari, li
abbiamo dovuti procurare tutti, è stato un delirio, una corsa contro il tempo!”
Lux intervenne a quel
punto.
“Mi sono accordato io
con Glam: abbiamo un appuntamento, dobbiamo riportargli Peter e lui ci
consegnerà la mappa completa, con la data e tutto il resto; se dovesse fare
scherzi, alzeremo la posta, rivelandogli ciò che tu ci hai appena raccontato di
Lula, che ne dite?”
“Sì, ottimo piano, del
resto sarà la nostra carta vincente, che ci metterà al riparo da qualsivoglia
sorpresa da parte sua: è un maledetto, Geffen, non ci si può fidare di lui” –
Mendoza sorrise bieco, versandosi altro whisky.
“Ok ora lo chiamo”
“Ma è a Port au Pirnce?”
“Certo Ernando, ci ha
preceduti di un paio di giorni, per recuperare la prova di quanto diceva”
Ovviamente Vincent
stava mentendo: durante il volo, una squadra dell’FBI aveva raggiunto una
minuscola isola dell’arcipelago di Haiti, repertando la refurtiva e fornendo il
lingotto al team di Hotch, appena il jet di Geffen atterrò in città, oltre a
tutti quei numeri, che esaltarono Mendoza, convincendolo sulla buona fede di
quei due stranieri dall’accento parigino.
“Sì, tutto quadra, ora
contattalo, io faccio preparare il nino, non gli abbiamo torto un capello,
avete capito?! Diteglielo!”
“Sarà fatto, non
temere.”
Jared accese il
frigorifero, sistemando le provviste.
“A Pepe piacciono i
budini alla vaniglia, sarà felice di trovarli” – disse sereno il cantante,
mentre Farrell osservava gli arredi del loft.
Quel posto lo ricordava
bene: lì aveva incontrato Syria e non solo.
Le memorie brutte, Colin,
avrebbe voluto invece cancellarle, come i messaggi, che un tempo Leto elencava
sulla lavagnetta magnetica.
Sans
souci.
Quella scritta era,
però, rimasta.
“Avresti dovuto venirci
da solo con Glam … qui intendo” – esordì lieve.
“Come scusa, amore?”
Farrell si girò di
scatto a guardarlo – “Questo posto, perfetto per nascondere Peter, appena sarà
liberato, lo sarebbe stato anche … anche per voi, in un certo senso” –
sottolineò, con pacatezza: non voleva litigare.
Jared gli si avvicinò.
“Questo posto, come lo
chiami tu, è stato testimone di eventi di ogni genere … Qui, tu ed io, ci siamo
perduti e ritrovati … Certo, è stato speciale per Glam ed il sottoscritto, se
lo negassi sarei uno squallido ipocrita e tu meriti quanto di meglio io possa
offrirti Colin, anche con i miei limiti, del resto è reciproco” – replicò dolce
amaro.
“Vorresti farmi credere
che abbiamo raggiunto un equilibrio, finalmente?”
“Non lo so Colin, forse
non voglio neppure saperlo … Quando mi tieni tra le tue braccia, io ritrovo me
stesso e ti scelgo … Ti scelgo ogni fottutissima volta” – ed i suoi zaffiri
vennero inondati dall’emozione.
Era sincero.
Farrell lo afferrò per
i fianchi, attirandolo a sé, per baciarlo irruente e focoso.
Stava bruciando dentro,
in ogni muscolo, in ogni cellula, dal cuore al cielo, incendiato da un tramonto
indescrivibile.
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