martedì 24 febbraio 2015

LIFE - CAPITOLO N. 95

Capitolo n. 95 – life



Nuvole.

Al di sotto il vuoto, al di sopra un cielo, del colore dei suoi occhi, fissi, su di esso, così come quelli di Glam, erano concentrati su Jared, da qualche attimo.

Era bellissimo.
Con i suoi capelli lunghi, la barba accennata, ma ben curata.

Lui e Geffen erano speculari, ma a modesta distanza.

Al loro fianco, dormivano rispettivamente Colin e Kevin.

Il tempo sembrava essere tornato indietro.
In maniera folle e pericolosa.




Tim si asciugò in fretta le lacrime, detestava essere compatito, anche se l’occhiata di Richard, apparso improvvisamente in cucina, era del tutto affettuosa e comprensiva.

“Neanche tu riesci a dormire?” – chiese paterno.

“No … E poi devo dare da mangiare a Layla, così come tu stai per fare con Veronica” – replicò abbozzando un sorriso.

“Sì, ci fanno fare dei turni massacranti, le nostre principesse, ma se hai bisogno di aiuto Tim non hai che da chiedere” – propose sorridente.

“Ok … Ne terrò conto” – e tossì, cercando lo sterilizzatore.

“Volevi questo?”

La voce di Niall si intromise tra loro, in modo allegro – “L’ho dovuto nascondere dai gemelli di Glam, volevano giocarci a tutti i costi” – spiegò poi, porgendolo a Tim.

Le loro dita, sotto quell’elettrodomestico, si sfiorarono, così i loro sguardi acerbi.

“Ti ringrazio, si sono tremendi”

“Come il loro padre, che poi sarebbe anche il mio” – Ricky rise, dosando il latte in un biberon.

“Già, bella differenza di età” – notò Horan, ricevendo una gomitata leggera da Tim, che rise sotto ai baffi, complice, mentre l’amico arrossiva come un peperone.

“Sì, bel casino” – il primogenito di Geffen stette al gioco, senza scomporsi.

“Comunque tutti da copertina!” – Niall peggiorò la situazione imbarazzante, dimostrando quanto l’avvenenza di Richard lo avesse colpito da subito.

“Belle le mamme, passabile il papà … Se mi sentisse il mio vecchio ahahahh”

“Oddio non ne dico una giusta” – sussurrò il biondino e Tim si sentì come sollevato da un peso, in sua presenza.

Per qualche minuto, non aveva più pensato a Kevin ed alle recenti delusioni, metabolizzate anche per il bene della figlia, appena adottata.

“Ok io salgo, voi che fate?” – domandò l’architetto.

“Torno da Mark, sarà già in pensiero, è un po’ ansioso e meno male che insegna psichiatria” – scherzò, moltiplicando le sue gaffe.

“Preparo la pappa a Layla e vada in camera di Pamela, l’ho lasciata da lei, è bravissima con i neonati …”

“Sì Tim, è un po’ la mamma di tutti” – osservò Ricky assorto, poi si congedò.




Fecero l’amore a lungo, contemplandosi, gli occhi lucidi, tremolanti, stringendosi per i polsi, le mani, mentre Jude affondava ritmico, tra le sue gambe, schiuse con il proprio mondo al suo, che si univa a lui, con infinito amore e partecipazione.

Una sinergia di ansiti, senza parole, ma unicamente baci, distacchi, altri baci, poi un gemito, reciproco, più intenso, a lacerare l’aria.

Law lo sollevò, incrociando le braccia dietro la schiena di Robert, portandoselo a sedersi addosso a sé, che avrebbe voluto portarlo via da tutto quel dolore.

“Tu sei qui … sei qui Rob” – ripeteva, fissando nello specchio poco distante, le loro figure madide, toccando il compagno sotto alle scapole, scivolando poi veloce agli incavi, sopra ai suoi glutei sodi.

Downey era in piena estasi, non si erano ancora lasciati andare, Jude era dentro di lui e tornò a muoversi, nuovamente eccitato, forse anche da quell’immagine così sensuale di entrambi.

“Ju Jude mio Dio …”

Le falangi affusolate dell’inglese gli cinsero la nuca e si infilarono tra le sue ciocche folte e scure.

“Non ti lascerò più andare via, sai?” – e gli sorrise, per poi baciarlo e venire, copioso, in un rinnovato orgasmo così assurdamente profondo e devastante.




Ernando Mendoza andò ad aprire personalmente la blindata, poco persuaso dalle parole di Alviero, che lo seguì come un cane al guinzaglio.

Jerome e Vincent, vestiti di bianco, dai Borsalino a tesa larga, alle scarpe, gli sorrisero raggianti nei loro completi griffati, molto in contrasto con l’abbigliamento trasandato di Dimitri, messo di lato e quello più sobrio di Peter, a chiudere quella strana comitiva.

“Che onore, il grande zio di Alviero in persona! Avete licenziato la servitù?” – li salutò Jerome, con un’aria da mascalzone, pari solo a quella sfoggiata da Lux, che con disinvoltura fece un passo avanti, guardandosi intorno e togliendosi il cappello.

“Bel posticino amigo, è tutto tuo qui?” – chiese altrettanto sfacciato.

“E sarebbero questi i tuoi amici americani Alviero?” – chiese acido il boss, facendoli accomodare.

“Ce certo zio, sono anche amici di Dimitri, è lui che me li ha raccomandati, perché risolveranno tutti i nostri problemi, te lo assicuro!” – affermò inquieto.

“E lui sarebbe?” – ed indicò Peter.

“E’ il nostro uomo di fiducia” – spiegò pronto Jerome – “… Ognuno ha il sovietico che si merita, no?” – e gli strizzò l’occhiolino.

“Capisco … Ok, sentiamo cosa avete da vendermi: posso offrirvi un drink?” – e passarono in salotto, notando del movimento in veranda.

“Costanza porta via i bambini!” – esclamò Ernando e Pepe stampò il nasino sulle vetrate, cogliendo al volo un cenno di Vincent.

Il cucciolo di Geffen era molto sveglio e non tradì alcuna emozione, scappando via insieme agli altri, verso la piscina, scortato dalla babysitter.

Jerome si accomodò, mentre Lux restò in piedi.

Peter e Dimitri piantonarono l’uscita, cercando di cogliere ogni minimo dettaglio intorno, come stava facendo l’ex poliziotto.

“Noi siamo persone per bene, investiamo, monetizziamo” – esordì Jerome, accendendosi un sigaro, senza chiedere il permesso a nessuno.

“E allora?”

“Abbiamo saputo del tuo tracollo, Ernando, a ventiquattro carati, hai presente? A New York sei davvero famoso in certi ambienti” – Jerome ridacchiò, buttandogli il fumo quasi in faccia.

Mendoza strinse i braccioli della poltrona, posta accanto a quella del transalpino, senza perdere la calma – “Cosa sapete, veramente?”

“Tutto ciò che serve” – sussurrò Vincent, aprendogli sotto al naso una valigetta.

Il contenuto fece sobbalzare Ernando.

“Dove l’avete trovato?!”

Un lingotto di oro purissimo.

“Controlla il numero di serie, prima di scaldarti” – gli suggerì Lux.

“Presto Alviero, prendi l’elenco nella mia scrivania, avanti muoviti!” – ruggì.

Con quel foglio tra le mani, Mendoza sembrò loro un assetato nel deserto, in vista di un’oasi inattesa.

“Sì eccolo … 02565 …”

“E questi sono i numeri sulle casse … Sei, esattamente, tutte ben sistemate in un luogo più che sicuro: tu non hai idea di cosa abbiamo dovuto fare per trovarle” – affermò Jerome.

“Sì, corrispondono anche questi codici …” – inspirò sollevato – “… non state mentendo, come potreste?”

“Questo lo tengo io” – Vincent richiuse la ventiquattrore – “… fa parte del nostro quaranta per cento” – e rise.

“Trenta!” – sbottò Ernando fissandolo.

“Quaranta e non discutiamo oltre, se non di una spiacevole faccenda, che dovrà risolversi e subito, se vorrai arrivare al tuo tesoro, è chiaro?” – disse con durezza Jerome.

“Quali faccende?!”

“Prima ti abbiamo spiegato quanto sia stato complesso avere queste informazioni”

“Sì, posso capirlo”

“Ebbene tu sai chi è Geffen, vero? Ci tiene in pugno”

“Cosa?!”

“E’ lui che ci ha fornito la prova, è lui che ha trovato il malloppo, non sappiamo come, ma ci è riuscito” – spiegò Lux.

“Maledizione!! Come è possibile, quello è un demonio, allora sono vere le voci su di lui!! Deve avere parlato con Lula, non so come, telepaticamente, forse!!” – sbraitò Mendoza, scattando in piedi.

Vincent e Jerome si guardarono.

“Telepaticamente? Cosa intendi? Lula è morto, da quanto ne so” – Jerome lo fronteggiò.

“Non proprio, è un … E’ stato, un grosso imbroglio …”

“Spiegati, sono curioso”

“Quella bomba, alla fondazione Geffen, doveva servire solo a creare un diversivo per rapirlo: il bimbo doveva conoscerla quella maledetta data, la sapete la storia, vero?”

“Sì, le coordinate per arrivare al bottino, questo lo so, perché è Geffen che ce lo ha detto, pretendendo ovviamente qualcosa in cambio, ma se anche Lula fosse in vita, noi non vogliamo entrare in rapimenti di minori od omicidi del genere, sia chiaro! Infatti dobbiamo consegnargli Peter, detto Pepe, ecco la sua foto, a me sembra fosse lì fuori, cinque minuti fa”

“Certo, era lui, ma per Lula … Non che non sia in vita, come hai appena detto tu, però è come se lo fosse … Morto o quasi: è in coma, da mesi, da quando lo abbiamo portato via dall’obitorio, grazie ad un nostro contatto interno, che si accorse di come il nino fosse tornato a respirare … Una morte apparente, anche se era gravissimo: non avete idea di quanto ci sia costato tenerlo attaccato a quei macchinari, li abbiamo dovuti procurare tutti, è stato un delirio, una corsa contro il tempo!”

Lux intervenne a quel punto.

“Mi sono accordato io con Glam: abbiamo un appuntamento, dobbiamo riportargli Peter e lui ci consegnerà la mappa completa, con la data e tutto il resto; se dovesse fare scherzi, alzeremo la posta, rivelandogli ciò che tu ci hai appena raccontato di Lula, che ne dite?”

“Sì, ottimo piano, del resto sarà la nostra carta vincente, che ci metterà al riparo da qualsivoglia sorpresa da parte sua: è un maledetto, Geffen, non ci si può fidare di lui” – Mendoza sorrise bieco, versandosi altro whisky.

“Ok ora lo chiamo”

“Ma è a Port au Pirnce?”

“Certo Ernando, ci ha preceduti di un paio di giorni, per recuperare la prova di quanto diceva”

Ovviamente Vincent stava mentendo: durante il volo, una squadra dell’FBI aveva raggiunto una minuscola isola dell’arcipelago di Haiti, repertando la refurtiva e fornendo il lingotto al team di Hotch, appena il jet di Geffen atterrò in città, oltre a tutti quei numeri, che esaltarono Mendoza, convincendolo sulla buona fede di quei due stranieri dall’accento parigino.

“Sì, tutto quadra, ora contattalo, io faccio preparare il nino, non gli abbiamo torto un capello, avete capito?! Diteglielo!”

“Sarà fatto, non temere.”




Jared accese il frigorifero, sistemando le provviste.

“A Pepe piacciono i budini alla vaniglia, sarà felice di trovarli” – disse sereno il cantante, mentre Farrell osservava gli arredi del loft.

Quel posto lo ricordava bene: lì aveva incontrato Syria e non solo.

Le memorie brutte, Colin, avrebbe voluto invece cancellarle, come i messaggi, che un tempo Leto elencava sulla lavagnetta magnetica.

Sans souci.

Quella scritta era, però, rimasta.

“Avresti dovuto venirci da solo con Glam … qui intendo” – esordì lieve.

“Come scusa, amore?”

Farrell si girò di scatto a guardarlo – “Questo posto, perfetto per nascondere Peter, appena sarà liberato, lo sarebbe stato anche … anche per voi, in un certo senso” – sottolineò, con pacatezza: non voleva litigare.

Jared gli si avvicinò.

“Questo posto, come lo chiami tu, è stato testimone di eventi di ogni genere … Qui, tu ed io, ci siamo perduti e ritrovati … Certo, è stato speciale per Glam ed il sottoscritto, se lo negassi sarei uno squallido ipocrita e tu meriti quanto di meglio io possa offrirti Colin, anche con i miei limiti, del resto è reciproco” – replicò dolce amaro.

“Vorresti farmi credere che abbiamo raggiunto un equilibrio, finalmente?”

“Non lo so Colin, forse non voglio neppure saperlo … Quando mi tieni tra le tue braccia, io ritrovo me stesso e ti scelgo … Ti scelgo ogni fottutissima volta” – ed i suoi zaffiri vennero inondati dall’emozione.

Era sincero.

Farrell lo afferrò per i fianchi, attirandolo a sé, per baciarlo irruente e focoso.

Stava bruciando dentro, in ogni muscolo, in ogni cellula, dal cuore al cielo, incendiato da un tramonto indescrivibile.

        





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