Capitolo n. 90 – life
Ci stavano mettendo
troppo.
Geffen strinse i pugni,
mentre Kevin rimaneva in un angolo, insieme ad un tecnico delle pompe funebri,
che, a bassa voce, gli stava spiegando il procedimento più corretto, per
estrarre il feretro di Lula dal loculo, all’interno della cappella di Meliti,
che li aveva appena raggiunti.
In quell’ambiente
gelido, fatto di marmi bianchi e neri, striati d’argento, con centinaia di
lumini accesi, la luce del temporale avvampava da feritoie a forma di croce,
alquanto suggestive.
Il rumore sordo di
tuoni, feriva l’aria, dove il respiro dei presenti, assumeva forme diverse, nel
gelo di quella sera ormai inoltrata.
“Grazie per essere
intervenuti nel giorno di Natale” – disse sommesso il bassista.
Antonio gli diede una
carezza sulla spalla destra.
Per lui Kevin era come
un figlio, almeno quanto Jared.
Il leader dei Mars era
rimasto alla Joy’s House, dove, con Colin, aveva riaccompagnato Tim e Layla,
scortati da Vassily e Peter.
Geffen non aveva voluto
al seguito i bodyguard, preferendo che rimanessero con lo sposo di Kevin e la
loro piccola.
Leto avrebbe voluto
unirsi a loro due, ma l’occhiata di Farrell fu esaustiva, nel trattenerlo,
senza alcuna protesta da parte del cantante.
“Non c’è modo di
velocizzare le operazioni?” – chiese impaziente Glam.
“Daddy calmati, hai
l’aspetto di uno che sta per avere un infarto”
Kevin non stava
scherzando, anche se in parte, la sua intenzione era quella di distrarre l’ex.
Inutilmente.
Appena la bara di
soldino venne posata sul pavimento a mosaico, l’avvocato si fece largo, per
provvedere personalmente alla rimozione dei quattro fermi in ottone, che ne
bloccavano il coperchio.
“Aspetti signor Geffen,
così la rovinerà”
“Non importa, ne
prenderemo un’altra se sarà necessario!” – esclamò, strappando con forza e
disperazione, l’ultima barriera tra sé e le spoglie di Lula.
Un gesto vigoroso,
bagnato da lacrime e furore, per scoprire la verità.
Glam emise un urlo
strozzato – “Noo!! No … non è possibile …”
Kevin gli si avvicinò
svelto, così Meliti.
“Sassi … sono … sono
solo sassi” – mormorò il giovane.
Geffen ne prese alcuni,
come se stesse scavando, ma non c’era nient’altro che pietre e nessun corpo.
Colin preparò una
tisana, per non pensare a quanto stava accadendo a pochi chilometri dalla
residenza di Tim e Kevin.
Jared gli andò vicino,
con cautela.
“Hai avuto notizie …?”
– chiese timido.
“Affatto” – poi rise
amaro, senza guardarlo – “E non credo che Glam si preoccupi di darle a me,
sai?” – aggiunse, disponendo a cerchio le tazze, su di un vassoio d’argento.
“Colin, che hai?”
“Nulla di nuovo, sul
fronte occidentale: tu sei sempre tu, Jay, e Glam altrettanto” – bissò secco,
provando ad andarsene.
“Ero dispiaciuto per
lui e Robert, ho solo provato a dirglielo” – obiettò.
“Provato? In che senso,
spiegami, perché dopo anni di questo tira e molla tra voi, di questa agonia,
PER NOI, ancora sono curioso, tu pensa!” – ringhiò ferito.
“Non devi vivere come
una minaccia, il nostro legame, tra Glam e me”
“Fai bene a precisarlo,
perché a volte mi escludi così tanto dal vostro mondo del cazzo, fatto di
bugie, segreti, sospiri, melodrammi, che io non so più neppure chi sono o cosa
centro in questo casino maledetto!!” – sbottò, lasciando cadere sul ripiano il
vassoio, con tutto il resto.
“Colin non fare così,
non estremizzare una situazione, che ti stai inventando di sana pianta!”
“Io mi inventerei
cosa??! Ci siamo fatti del male, ho reagito da immaturo, andando a scoparmi
Taylor, che, per inciso, è l’altro fregato della situazione
in corso, ma tu davvero non riesci a vederti, ad ascoltarti, mentre prendi
per il culo il sottoscritto, per l’ennesima volta?!” – ribadì con durezza.
“Ma non è successo
niente, miseria!!”
Farrell scrollò le
spalle, gli occhi lucidi – “A voi basta uno sguardo, avete un’intesa talmente
profonda, che potreste perdervi per un secolo e ritrovarvi, senza che un
briciolo, di ciò che provate, sia cambiato … Voi due vi amate, io non trovo
altre parole, per descrivere ciò che continuo a vedermi scorrere davanti, quasi
fosse un film … Peccato non sia il nostro film, Jared” – e se ne andò.
Kevin quasi si schiantò
contro la portiera posteriore dell’hummer, dopo una corsa, per fuggire da quel
luogo, dove non voleva più rimanere oltre.
Aprì lo sportello,
crollando poi sul sedile a divano, allungandosi a pancia in giù, come a volere
appiattirsi e sparire da un mondo, dove era come esploso un conflitto, di
dubbi, paure, angosce laceranti.
Continuava a ripetere
il nome di Lula, singhiozzando, atterrito da quell’amara scoperta.
Si chiedeva mentalmente
che fine avesse potuto fare il corpicino del figlio, in quella terra lontana,
dove albergava ogni sorta di magia, ben diversa dai poteri benevoli di soldino.
Meliti si era congedato
da Geffen, con un lapidario – “Risolviamo questa faccenda e risolviamola
subito, ok?”
Glam aveva annuito, per
poi precipitarsi da Kevin e sincerarsi di come stesse.
Uno schifo, quanto lui,
appena lo vide e lo strinse a sé.
“Tesoro calmati … Io …
Io scoprirò la verità” – lo rassicurò, senza crederci un minimo.
Il sentore che si
trattasse di un gioco più grande di loro, Geffen lo aveva capito da un pezzo,
ma adesso tutto gli apparve come un grottesco imbroglio, un massacro emotivo,
non solo ai suoi danni, purtroppo.
“Ri riportami Lula … o
ciò che ne resta di lui … è … è insopportabile que questo vuoto daddy” –
balbettò l’ex, come gli succedeva quando era sotto pressione.
Kevin lo stava
guardando, percorso dagli zigomi all’addome, da un fremito di spossatezza e
dolore ingestibili.
Geffen gli spostò le
ciocche dalle tempie, dove posò un bacio e poi un altro – “Non sopporto di
vederti così … Non dovevi seguirmi, tu non”
“Era il nostro bambino,
Glam, era anche mio” – protestò, come quando gli si scagliò contro, quando era
arrivato a detestarlo, per avergli nascosto la fine di Lula, ma ora era
diverso, ora entrambi volevano la verità, ne avevano un disperato bisogno.
Così come di fondersi,
madidi di pioggia e di quel pianto, che non accennava a placarsi, nemmeno con
le carezze, con successivi baci.
E non fu sufficiente a
nessuno.
Per riemergere da quel
baratro, per salvarsi dall’abisso, confortarsi, amandosi, come due animali
colpiti a morte e sanguinanti, divenne un epilogo inevitabile.
Sentire il corpo di
Glam, animarsi nel proprio, per Kevin, fu come un volo, dove non c’erano più
incubi, dove quell’oscurità era già giunta al termine, anche senza un’alba,
semplicemente un cielo, scheggiato del turchese di quegli occhi, che lo
penetravano e lo facevano rinascere.
Geffen lo sollevò,
sbattendolo poi contro lo schienale, spingendosi in lui, con una foga, che non
era amore, non era simbiosi, era unicamente follia.
La follia di un attimo,
capace di portare ulteriore sofferenza, a chi li amava.
Inevitabilmente.
Jared gli portò una
cioccolata calda, mentre Farrell stava sistemando una bambola, sotto la
trapunta di Isotta.
Erano finalmente
tornati alla End House.
“Dorme come un angelo,
lei non fa brutti sogni …” – disse sommesso l’irlandese, commuovendosi, in
presenza di quella cucciola, così somigliante al ragazzo che amava.
“Ti chiedo scusa Cole”
– sussurrò appena, ma con sincerità.
“Non devi …” – e lo
guardò – “Scusa per cosa, Jay?” - chiese piano, alzandosi.
Leto lo seguì, non
avrebbe lasciato quel discorso in sospeso.
Giunti nella loro
camera, iniziarono a spogliarsi, scrutandosi appena.
“Siamo ricascati in
vecchi problemi Colin, è insano, è illogico”
“Tiri il sasso e poi
nascondi la mano, Jared, non ti fa onore, non ad una persona intelligente quale
tu sei” – puntualizzò, infilando un pigiama.
“Hai freddo?”
“Ho mal di testa, devo
prendere le mie pastiglie e dormire il più possibile, lasciami in pace, per
favore” – replicò svilito.
“Io non ti lascio da
solo …” – bissò colpevole, ma poi sorrise, gli zaffiri vividi di blu ed argento
– “… dovrai sopportarmi Cole” – e tirò su dal naso, andando a stendersi accanto
al marito, speculare a lui.
“Ti ho rinnovato le mie
promesse, pensavo avesse un valore per te”
“Ok sfogati Colin,
posso sopportarlo e superarlo”
“Ma tu non mi devi
sopportare, sarebbe odioso”
“Mi hai frainteso”
“Ok smettiamola di
giocare con le parole, Jay!” – sbottò esausto.
“Non l’ho mai fatto,
sai cosa provo per te Cole, Dio se lo sai” – e gli passò il palmo sinistro
sulla guancia ispida – “… ehi ma scotti, hai la febbre” – e si mise seduto,
recuperando un termometro dal comodino – “ti cerco un’aspirina” – disse trafelato,
con apprensione.
“Jay …”
“Non agitarti, per la
pressione Cole, non”
Farrell lo afferrò per
le braccia, riportandolo a sé, per baciarlo, bollente.
“Colin tu non dovresti”
– gemette, sotto di lui.
“Non dovrei cosa? Fare
l’amore a mio marito? A chi più amo, a questo mondo, con i nostri bambini?” – e
lo raccolse a sé, virile, devastante nella sua irruente bellezza.
Jared ne era
ipnotizzato.
“Cole io ti amo …”
“Tu più mi fai
incazzare e più io ti voglio nella mia vita, cazzo” – gli ringhiò nel collo,
mentre Leto gli toglieva quel poco, che Farrell aveva addosso.
Sorrisero baciandosi.
Perdendosi.
Geffen accostò, nel
viale della Joy’s House.
“Eccoci …”
“Ti chiamo domani daddy”
– gli disse con freddezza Kevin, tirando la maniglia della portiera, pronto a
scendere, letteralmente in fuga da quella situazione, ormai soffocante.
“Io non volevo”
Il bassista lo fissò,
severo, ma con una nota di dolcezza, negli occhi puntati su di lui.
“Tu mi hai fatto male,
così tante volte Glam … Ma non questa notte” – e fuggì via.
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