lunedì 9 febbraio 2015

LIFE - CAPITOLO N. 89

Capitolo n. 89 – life


“Chiudi gli occhi Glam e pensa a qualcuno, che vorresti qui, ora, al posto mio …” – Hiroki glielo disse piano, con un sorriso – “… Non importa … Non è mai stato importante, non esserlo, per qualcuno, che non ci ama, ma al quale si vuole bene, come io a te” – e si lasciò trafiggere, a cavalcioni sopra le gambe di Geffen, immersi nella vasca idromassaggio.

Gli incensi, che il ragazzino accese un po’ ovunque, avevano un odore strano, che intorbidiva i sensi e la visione circostante, che l’avvocato percepiva, mentre Hiroki ondeggiava su di lui, esperto, sensuale.

Si baciarono, guardandosi.

Glam lo accarezzò, premuroso ed Hiroki si commosse, arrossendo, mentre veniva, tra bolle azzurrognole ed una schiuma sottile e biancastra.

Il maturo amante, volle farsi più partecipe, di quel dolcissimo supplizio carnale: brandì i glutei sodi e minuscoli del giovane, ergendone il busto, per portarselo alle labbra, all’altezza del suo ombelico ben disegnato ed ornato da un tatuaggio a forma di fiore.

Un fiore del deserto.
Fatto di sabbia incendiata dal sole e vento, carico di profumi.

Un luogo lontano, perduto nei sogni.

“Lo sapevo che ci saremmo persi Cole ed i cavalli hanno sete, accidenti!”
Leto inveii, spronando il suo destriero bianco, nella direzione opposta, a quella intrapresa dall’irlandese, che scoppiò a ridere.

“Ma sei sempre così melodrammatico, Efestione?!”

“E piantala, non stiamo girando!” – sbottò, dandogli ormai le spalle.

Farrell lo seguì, ridacchiando molesto – “Ho capito, hai le tue cose signorina”

Jared si bloccò, puntandolo irritato – “Se non la smetti con queste battute del cazzo, ti spacco la faccia, giuro!”

Il moro, in quel periodo biondo per ragioni di scena, si ammutolì – “Ti chiedo”

“Ma vai al diavolo!” – e partì al galoppo, allontanandosi.

“Ehi aspetta!”

La radura, dove si fermò finalmente, al cantante sembrò un vero miracolo.

Quando sentì il bip del navigatore dell’altro, Leto si innervosì nuovamente.

“Tu già lo sapevi, vero?” – domandò asciutto, facendo abbeverare l’animale, con molta delicatezza nei gesti.

Era bellissimo.

Colin lo stava fissando da cinque minuti buoni.

“Certo, non metterei mai a rischio la tua vita Jay …”

“Come se adesso ti importasse qualcosa di me …” – mormorò sconfitto.

La sera prima, come spesso accadeva, Farrell era rimasto a fare le ore piccole in un club, poco distante dall’hotel, dove Jared lo aspettò inutilmente sino quasi all’alba, per poi vederlo rientrare con un paio di ragazze, fradice di alcol quanto lui.

“Guarda che non è successo niente” – precisò il nuovo Alessandro Magno, di Oliver Stone, immaginando a cosa stesse pensando il suo splendido interlocutore.

“Lo credo bene, eri fatto di vodka e cocaina, ovviamente” – bissò severo.

Farrell annuì – “Non ne esco se non mi aiuti, pensavo di avertelo già detto Jay”

“Io ci ho provato” – e le iridi blu zaffiro, avvamparono di rammarico e lacrime, perché la rabbia era troppa

“So che l’hai fatto e so anche di averti ferito”

“Mi hai picchiato, non dovrei neppure più rivolgerti la parola e solo perché avevo buttato quella merda nel posto dove deve finire, nel cesso, miseria schifosa!”

Colin azzerò la distanza, stringendolo forte a sé, stavano singhiozzando entrambi e mescolare quegli ansiti di afflizione ed amore, divenne qualcosa di terribilmente speciale, per loro.

“Ti amo Jared …”

“Anch’io, pezzo di idiota che non sei altro” – e lo scrutò triste.

Farrell sorrise, poi si baciarono.
A lungo.




“Jared …”

“Ciao Glam, buon Natale” 

Il suo volto era sereno, Geffen ne rimase colpito, schiudendogli le porte a quel luogo quasi segreto.

“E’ una parte della tua casa, che non ho mai visto … Posso?”

“Certo Jay, accomodati pure ed auguri anche a te” – lo strinse lieve, premuroso, ma a disagio – “… Non sono da solo”

Hiroki spuntò con un vassoio, carico di tazze e biscotti, con addosso una tuta bianca, simile a quella di Geffen, che abbozzò un sorriso – “Ti ricordi di”

“Hiroki, sì certo” – lo interruppe Leto, andando ad abbracciare il giovane.

“Ciao Jared, come stai? Hai fame, qui ce n’è per tutti”

“Sì, vedo, però vorrei rimanere un po’ con Glam, magari in spiaggia, per una passeggiata, se ti va” – e si rivolse al legale.

“D’accordo … Mangerò più tardi Hiroki”

“Nessun problema” – e sorrise, senza lasciare trapelare alcuna emozione sgradevole – “… Posso tenere compagnia ai bimbi?”

“Sì, sì certo” – si affrettò a dirgli Geffen, dopo avere infilato calze e scarpe, pronto ad uscire con Jared, che si era già avviato, senza aggiungere altro.




I lunghi capelli del leader dei Mars, danzavano nel vento.

Lui e Glam avevano percorso un breve tratto, sulla battigia, ascoltando i rumori circostanti, tenendosi per mano, finché non si allacciarono, avanzando di poco, sino a fermarsi, speculari, a fissarsi.

Leto deglutì a vuoto, poi schiuse di poco le labbra, che Geffen stava scrutando, come in attesa, di una sentenza probabilmente.

A ciò che aveva fatto o meglio, all’esatto contrario.

“Volevo esprimerti il mio rammarico per come è finita, tra te e Robert” – esordì l’artista, come se stesse recitando un copione, fatto di compostezza e scarsa sincerità, in netto contrasto.

Fermi con le mani in tasca, adesso, ma Glam cercò con esse altri spazi.

Spostò le ciocche, ai lati del viso di Jared, che si dimenticò di respirare.

“Ho fatto i miei passi, mi sono assunto le responsabilità, che finalmente volevo, però era tutto sbagliato, a quanto pare Jay” – replicò serio, senza smettere di sfiorarlo ed intossicarlo con l’aroma di dopobarba, di cui sapevano le sue dita calde e forti.

Geffen era questo: una roccaforte, forse immersa, con le fondamenta, nell’argilla, ma dura ad affondare.
Ad arrendersi.
A morire.

“E non ti sembra uno spreco, ora? Un sacrificio inutile?”

Geffen sorrise a metà – “Ne ho fatti parecchi, uno più, uno meno, ne è valsa comunque la pena”

“Tu lo ami?”

“Amerò Robert e non solo perché abbiamo un figlio insieme. Con Kevin abbiamo perduto questa gioia, ma non ciò che ci lega, è palese ed ogni giorno suona più insistente al mio cuore, questa convinzione”

“E di me, cosa ti resta, Glam?” – domandò emozionato.

“Tu …” – chiuse le palpebre, sature di lacrime – “Sempre.”




Pamela andò loro incontro, un po’ trafelata.

“Ehi nina, che succede?”

“Ciao Glam, Jared …” – la donna esitò per un istante – “… E’ arrivato Sebastian, da Haiti e non è solo”

“Tuo fratello? … Non lo aspettavamo”

“Infatti, però è importante, c’è con lui una persona, una signora anziana, che vuole parlarti Glam: dice di chiamarsi Alaysa.”




Downey scartò il regalo di Jude con una certa impazienza.

“Ma cos’è …?” – mormorò assorto, aprendo una scatola, con stampata sull’involucro, una loro foto dal set di Holmes.

“E’ qualcosa che si può ricomporre e … scomporre, ma io mi auguro non avvenga mai più Rob” – e gli diede un bacio nel collo, seduti vicini sul tappeto, davanti al caminetto scoppiettante.

La casa di Sadie era un rifugio per Law.
La sua prima moglie lo aveva sostenuto in passato ed in molteplici occasioni, anche nella sua relazione con Robert, al contrario di Sienna Miller, che provò anche ad ostacolarli, inutilmente.

“Un … puzzle?” – esclamò il moro, notando che i pezzi, corrispondevano all’immagine del coperchio.

“Sì … E’ una moda del momento, sì insomma, forse più per ragazzini o bimbi” – e rise, solare, magnetico, nel suo pullover troppo leggero e scollato, tinta avorio, che lasciava trapelare il suo busto villoso, nonché il suo profumo speziato, dono del ritrovato compagno.

“No, no, è splendido Jude, è … è nostro” – e lo baciò intenso, commosso.

Appena si staccarono, Law fece aderire le loro fronti, in un connubio, capace di escludere qualsiasi forma dell’universo – “Dio non mi sembra vero Rob, che nessuno mi svegli, se questo è un sogno”

“Io non lo farò … Ci sveglieremo insieme e ci accorgeremo che è stato tutto vero, ok?” – gli sussurrò dolce, abbracciandolo con vigore.

“Ok … Che ne dici, proviamo a farlo? Io sono una frana, ma tu mi aiuterai, vero?”

Downey annuì, segnandogli con i pollici, gli zigomi arrossati.

Rovesciarono quindi il contenuto ed iniziarono ad assemblarlo, scherzando su quel periodo, ricordando alcuni aneddoti, come del resto capitava ad ogni Natale.

Una splendida abitudine ritrovata.
Per loro.




Era anziana, la carnagione bruciata dal sole di Port au Prince e dal trascorrere del tempo.

Le falangi asciutte di Alaysa scorsero i tratti somatici di Geffen, in piedi davanti a lei: era completamente cieca.

“Da quando avevo dodici anni, ma ciò non mi ha impedito di avere sei figli, sa?” – spiegò attenta al suo sembiante – “… Una di loro, era la madre di Lula e Josh” – puntualizzò, prendendo un lungo respiro, per poi tornare ad accomodarsi.

Geffen impallidì.

“E lei, Glam, è come soldino l’ha sempre descritta: forte, invulnerabile”

“Come fa a sapere come lo chiamavamo?” – chiese con un filo di voce il legale.

Kevin era alle sue spalle e stava tremando, sorretto da Colin, mentre Jared si era addossato ad una parete, sbigottito quanto il resto dei presenti.

“Lui parla con me” – sorrise.

“Dal mondo dei morti?”

“Morti …?” – sussurrò con stupore.

“Lula non è più con noi, forse lei non poteva saperlo”

Alaysa sorrise – “Se così fosse, lui non potrebbe parlarmi”

Geffen scosse il capo – “Vorrei poterle credere, ma l’ho seppellito più di un anno fa, dopo l’attentato alla mia Fondazione, forse ne avrà sentito parlare”

Alaysa artigliò il proprio bastone da passeggio, puntando l’uomo dalla poltrona, dove si era seduta, nel suo abito multicolore – “Quando uno di noi muore, non può mettersi in contatto con chi lo ha generato o con i suoi parenti, come me”

“Vede” – e gli si avvicinò pacato, inginocchiandosi ai suoi piedi – “… Lula è rimasto con me, in un certo senso, per mesi: tutti lo vedevano, ci parlavano, come se esistesse ancora, ma Lula si stava sacrificando, per salvarmi da un cancro inguaribile, prima di passare nell’aldilà, senza più la possibilità di palesarsi in alcun modo: fu soldino a spiegarmelo, capisce?”

“So cosa ha fatto Lula: è con il nostro sostegno, di chi è sopravvissuto, che è potuto rimanere accanto a lei, glielo garantisco” – ribatté seria e decisa.

Geffen si rialzò lento, tendendo la mano a Kevin, raggiunto da Tim, che si unì a lui, avvolto dalle ali dell’avvocato – “Cosa sta cercando di dirci Alaysa?”

“Semplicemente che da qualche parte, Lula vive, ma il suo pensiero è debole, si sta come spegnendo e le mie percezioni sono vaghe, lui non sa spiegarmi dove si trova”

Kevin scoppiò a piangere – “La smetta, non dica assurdità, mio marito le ha appena detto che il nostro bambino è morto!!”

Quel lapsus ferì Tim, ma solo in superficie.
La reazione del bassista era più che legittima, così la sua confusione.

Oltre le vetrate, una pioggia cominciò a crepitare sui davanzali, illuminati a tratti da lampi inquietanti.


Si era fatta sera.

All’improvviso.




 LULA

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