domenica 19 gennaio 2014

ZEN - CAPITOLO N. 238

Capitolo n. 238 – zen



Shannon sgattaiolò dal retro della End House, come un ladro.

La similitudine gli calzava perfetta, anzi, gli martellava in testa, tanto da nausearlo.

Accostò di botto, rischiando un tamponamento, per dare di stomaco.

Precipitatosi fuori dalla vettura, fece appena in tempo a sentire il suono del cellulare, dimenticato sul sedile.

Era Jared.


“Sì?” – rispose concitato.

“Shan …? Ehi, sono io, tutto bene?”

“Sì … cioè no, devo avere mangiato qualcosa di guasto alla festa di Rice”

“Ci sei andato?” – Jared rise – “Strano, pensavo chiudessi Tomo nello sgabuzzino e rigassi l’auto ad Owen” – scherzò sereno.

“No figurati … Sono orgoglioso del suo talento … Non lo merito” – mormorò amaro.

“Che diavolo blateri? L’indigestione ti ha fuso il cervello fratellone? Sabato sono da te, voglio raccontarti di questo viaggio e coccolarti: ti ho trascurato troppo” – affermò con tenerezza.

“Mio Dio …” – singhiozzò il batterista, soffocato dall’ennesimo conato.

“Shan ma cosa ti prende?!”

“Sto da cani … scusa, ma devo chiudere, torno a casa”

“Ti mando qualcuno?” – bissò allarmato.

“No, ce la faccio e poi sono solo due isolati … Non preoccuparti, ok? Ti voglio bene Jared”

“Anch’io Shan … Chiamami subito appena arrivi, ok? Prometti!”

“Te lo prometto … ciao tesoro” – e riattaccò, in lacrime.



L’odore del sesso e di Shannon gli stava intossicando le narici.

Farrell tossì, lasciando scivolare sul parquet il plaid, con il quale il cognato lo aveva coperto in fretta, prima di andarsene.

“Cazzo …” – sussurrò l’irlandese, mettendosi seduto.

Era nudo come un verme.
Si sentiva un verme, in effetti.

Senza “se” e senza “ma”.

Certo poteva ben immaginare cosa stessero combinando Jared e Glam ad Haiti: seppure debole e malconcio, Geffen era pieno di risorse quando si trattava del leader dei Mars, per cui avrebbe approfittato di ogni singolo istante insieme a lui, di ogni briciolo di energia rimastagli.

Quella bilancia iniziava a scricchiolare pericolosamente: tutti avevano ragione, chi prima, chi dopo, ma nessuno ne sarebbe uscito indenne.



Downey si provò l’abito per il matrimonio.

Aveva fatto shopping con Jude, ritrovando un minimo di allegria e complicità.

“Ti sta una favola Robert … Cavoli, sei uno schianto”

“Nonostante la mia veneranda età?” – sorrise.

“I tuoi anni sono stupendi Rob … e spero tu li voglia condividere ancora con me” – e lo cinse da dietro, allacciandogli al polso sinistro un bracciale d’oro bianco, con una piastrina di brillanti.

Un gioiello raffinato, come l’americano, del resto.

“Miseria Jude, ma cosa …?” – e si girò, con stupore e gioia.

Si baciarono intensi.

Law appoggiò poi la fronte a quella del consorte, commuovendosi.

“Ti ricoprirei di doni se solo potessi … potessi riavere la tua fiducia … il tuo conforto Robert” – e lo strinse forte.


“Io sono qui … e voglio restarci Jude” – gli disse convinto, tornando a fissarlo, innamorato.

C’era pace e silenzio, intorno, un buon profumo, la luce del tramonto: forse si poteva ricominciare, senza più fingere, senza più arrancare.

Sarebbe stato così bello.

Lo pensarono entrambi, senza dirselo.




Geffen riconobbe la sagoma, oltre il vetri dell’accettazione, deserta a quell’ora del mattino.

“Kevin …?!”

“Daddy!”

Il bassista gli corse incontro, abbracciandolo con entusiasmo.

“Glam io non resistevo più a Los Angeles senza avere notizie certe, figurati Lula … ed anche Tim, ovvio” – e sorrise pulito, guardandolo.

“Avete portato qui soldino?” – domandò frastornato da quell’improvvisata.

“Certo, non avremmo potuto fare altrimenti …” – replicò perplesso davanti alla sua reazione.


“Dov’è ora?”

“Vieni daddy” – e lo prese per mano, conducendolo ad una finestra, che dava sul cortile della fondazione – “Eccolo, con gli altri bimbi, giocano con i palloncini …”

In effetti Lula e Tim li stavano gonfiando, aiutati da Sebastian.


“Sì … lo vedo …”

“Pensavo di renderti felice portandoti nostro figlio …”

“No, è che io … ecco sarei tornato domani Kevin, credevo di avertelo detto … Non fraintendermi, sono … sono contento che voi siate qui” – e lo avvolse amorevole.


“Meno male, avevo creduto il contrario …” – abbozzò scherzoso, anche se con un nodo alla gola, appena si rese conto di quanto l’ex fosse provato ed instabile sulle gambe, senza il bastone dimenticato accanto al davanzale.

“Aspetta daddy, ora ti aiuto, meglio sedersi, che ne pensi?” – propose gentile.

“Sì, dovrei prendere anche delle pastiglie … Sai, ho avuto dei problemi gastro intestinali non da poco … Mi sono sentito uno schifo …”

Kevin sorrise timido – “Per fortuna che Jared ti ha seguito … Sono certo che non ti lascia solo un attimo …” – disse incerto.

“Infatti è … è straordinario, si sacrifica, come hai sempre fatto tu con questo coglione …” – e gli diede un bacio sulla guancia destra, facendolo avvampare.

Geffen era emozionato ed affettuoso, in quel modo che faceva sentire Kevin così speciale, come al centro del mondo.

Eppure quel mondo, dove ora Glam stava camminando, era una continua insidia, un perenne cadere, per l’uomo che aveva tenuto in pugno la propria esistenza, come nessuno.


“Oh eccolo … arriva Jay” – sussurrò l’avvocato, indicando il corridoio.

Kevin gli si avvicinò veloce, gli occhi lucidi.

“Cavoli, ma sei tu!” – Leto lo strinse solare e come sollevato dalla sua presenza.

“Ciao Jared … siamo venuti a recuperarvi … Ecco …”

“Fantastico … Siete? Ci sono Tim e Lula?”

Kevin annuì, tornando poi, senza scollarsi da Jared, da Geffen, che li accolse a sé, restando nel mezzo, sopra a quel divanetto spazioso.


“Tra poche ore decolleremo, ho quasi sbrigato tutto … Vorrei solo andare al cimitero, a salutare Syria, se non vi spiace ragazzi …”

“No, anzi, le ho preso dei fiori” – intervenne Jared.

“Per me nessun problema, lo dico a Tim … Magari Lula lo lasciamo qui …”

“Assolutamente sì” – disse di un fiato Geffen, alzandosi poi, piuttosto rinfrancato da quella pausa.



Tomo lo ritrovò rannicchiato sotto ad un piumone, con la bottiglia di whisky, mezza vuota, sopra al comodino.

“Cazzo Shan …”

“Ehi … Ti va un goccio?”

“Perché sei così stronzo?? Solo per la mostra, per Rice?? Oh accidenti Shannon!”

“Non fare tutto questo casino … ho un’emicrania spaventosa …” – si lamentò, biascicando la frase e nascondendosi sotto le coltri.

“Faccio una doccia e ti raggiungo … idiota”

Il croato si allontanò, imprecando qualcosa nella sua lingua, ma Shan ormai aveva perso i sensi.

Avrebbe voluto sparire, ben consapevole che nessuno gli avrebbe impedito prima di farlo, di dire la verità a Jared: era un peso insopportabile da metabolizzare o dimenticare.

Se ne sarebbe liberato al più presto.



Geffen si fermò per qualche minuto a parlottare con un omino, piuttosto elegante, lasciando andare avanti Jared, Kevin e Tim, senza spiegare loro chi fosse.

Quando furono tutti davanti alla lapide di Syria, Leto gli chiese spiegazioni, ma Glam rimase sul vago.

Kevin non diede peso alla cosa, allo stesso modo Tim, molto premuroso a mettere in ordine i fiori e spolverare delle lanterne, che Jared riaccese senza più aggiungere una sola parola.

Era concentrato nel ricordo della ragazza, che gli aveva donato Isotta.

Dissero alcune preghiere, poi si congedarono da quel luogo così particolare.


“Comunque era delle pompe funebri”

Geffen ruppe il suo mutismo, appena risaliti sull’hummer, alla cui guida si mise Kevin.

“Chi, il tale con cui discutevi?”

“Sì Jared e poi non stavano mica discutendo … Mi stava facendo incazzare per alcuni passaggi burocratici, di certo risolvibili con un po’ di dollari …”

“Di cosa parli daddy?”

“Della mia … sì, insomma, della mia sepoltura … Ho scelto Port au Prince per svariate ragioni …” – rivelò assorto.


Tutti e tre lo puntarono, sbigottiti.

Leto sentì un brivido tra le scapole; inforcò i Ray-Ban e si ammutolì.

Tim diede una carezza alla gamba di Kevin, invitandolo con un’occhiata a proseguire, senza porre ulteriori quesiti.

Lula li stava aspettando.

Appena Geffen lo scorse, seduto su di una panchina, nei giardini del centro, scoppiò a piangere.

Senza freni.





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