Capitolo n. 236 – zen
Geffen si svegliò nel
cuore della notte.
Completamente sudato
e non solo.
“Cristo …” – e si
toccò i pantaloni del pigiama.
“Come un poppante” –
ringhiò, agitandosi poi, nel sentirsi indolenzito dalla vita in giù.
Si muoveva a fatica,
ma riuscì a mettersi seduto, provando a recuperare un asciugamano.
Jared venne destato
dalle sue lamentele.
“Dio è da vomito” –
aggiunse l’uomo, gli occhi pieni di lacrime.
“Glam calmati” – lo
rassicurò immediato Leto, andando a prendere un accappatoio, delle salviette e
del talco.
“Co cosa diavolo stai
facendo Jared?!”
“Ti aiuto, con tutti
i neonati che”
“Ma io non lo sono
accidenti!!” – esplose, alzandosi finalmente.
Riuscì a guadagnare
la porta del bagno, ma Jared non lo mollò.
Lui non abbandonava
mai nessuno al proprio destino.
Così come gli aveva
insegnato Geffen.
“Piantala di fare
così!” – quasi gli impose il cantante, anche se il suo fiato era spezzato e non
certo per lo spettacolo triste, a cui stava assistendo.
Glam prese una sedia,
per poi infilarsi nel box ed aprire i getti; non voleva cadere, ma neppure che
Jared lo lavasse.
Era così umiliante.
Usò un terzo del gel
al cocco, facendo una marea di schiuma.
Jared sorrise, gli
occhi lucidi – “Mi sembri Yari … faceva così, le prime volte che” – ma si
interruppe, per avvicinarsi e frizionare la pelle di Geffen, esausto,
nonostante i pochi movimenti appena fatti.
“Jay …”
“Hai un cancro Glam e
questo viaggio dovrebbe aiutarci ad accettarlo, io senza rompere il cazzo con
le mie seghe mentali, perché quello malato sei tu e puoi anche romperlo il
cazzo, sia chiaro …” – disse ridendo e piangendo.
Geffen lo strinse
forte, allineando le loro fronti – “La finezza è la tua qualità di punta” –
sospirò, accennando un sorriso e provando a dimenticarsi le fitte alla schiena,
dove Leto posò anche un bacio, per poi aggiungerne un secondo, sulla bocca
dell’uomo che continuava ad amare.
Sempre di più, dai
battiti del suo cuore accelerati.
Come impazziti.
Jude gli aprì la
casacca del pigiama, ma Robert si ritrasse.
“Hai ancora sonno …?”
– gli chiese gentile Law, abbracciandolo da dietro.
“No è che … mi sento
poco bene … Forse ho la febbre” – si giustificò il moro, rannicchiandosi.
“Non mi sembra …
misuriamola, vuoi?”
“Certo … Un’influenza
fuori stagione … che palle” – e sbuffò, accendendo il termometro digitale.
Pochi secondi e la
supposizione di Jude fu confermata.
“Visto, non ne hai …
Ti preparo un caffè? Hai appetito?”
Era ossequioso e gli
dava pure fastidio, ma poi ciò che Downey avvertiva era semplice tenerezza,
perché il compagno si stava sforzando a risolvere le cose, anche se sarebbe
stato meglio separarsi.
L’americano ci aveva
riflettuto, non ci aveva dormito a dire il vero.
Sentire i rumori di
quella casa, Jude che si muoveva tra le stanze con disinvoltura, l’aroma di
espresso, il vocio delle loro bimbe: gli sarebbe mancato da morire quel
quotidiano, anche se di recente non ricordava una sola giornata realmente
serena in famiglia.
Forse il problema era
solo il suo cuore spaccato a metà.
Da troppo tempo.
“Il nostro amore ha
la data di scadenza, lo sai questo Jared?”
Geffen ridacchiò
provando a passargli la canna, con quell’erba procuratagli da Kiro; una vera
bomba, bofonchiò il legale dei vip.
“Come uno yogurt? No,
grazie ho smesso di farmi” – e rifiutò di dare un tiro, anche se ne aveva una
voglia terribile.
“Più o meno Natale
prossimo, se Mason ci ha preso” – e rise, aggiustandosi la camicia nei
pantaloni.
“Non pensarci Glam” –
replicò teso, provando a distrarsi in cucina.
“Ma che cazzo fai,
alle cinque di mattina, tagli pomodori?”
“Sì”
“Come vuoi Jay … un
tempo avremmo fatto l’amore su quel tavolo”
Leto diede
un’occhiata veloce al ripiano, poi sorrise – “Lo abbiamo fatto”
“Sì, rammento, non
sono rinco …” – mormorò sconfortato.
Jared li condì con
salsa di soia, aceto, olio, poi assaggiò ed aggiustò di sale.
“Buoni?”
“Abbastanza … avevo
fame”
“Hai mangiato
parecchio a cena …”
“Anche tu Glam, ero
contento”
“Sì, per poi
scaricare tutto in quel modo … Dissenteria … ops scusa, stai mangiando” – rise
meno convinto.
Leto continuava a
masticare, nervosamente, come se volesse ingozzarsi e poi dare di stomaco, così
da liberarsi da quel peso, che proprio lì lo stava tormentando.
“Me ne dai un po’,
Jared?”
“Magari non ti fanno
bene …” – esitò, poi gli passò l’insalatiera in plastica arancio.
“Buoni …” – disse
Geffen, come un bambino.
Jared si asciugò una
lacrima, dandogli le spalle, di scatto – “Ne faccio ancora, se vuoi” – disse altrettanto
svelto.
“No … mi bastano
questi … Ti ringrazio” – e li finì, compostamente.
Louis nascose una
foto in bianco e nero, all’interno del libro, sul quale stava studiando.
Tolse gli occhiali
spessi, che a chiunque sarebbero stati malissimo, tranne che a lui.
Harry imprecò piano,
gettando le chiavi nel portaoggetti in argento dell’ingresso, scalciando poi
uno scatolone da parte “E questo cosa ci
fa ancora qui?”
Era l’ultimo da
disfare.
“Ehi … che ti prende?”
– domandò Boo, scocciato.
Aveva mal di testa e,
proprio lì, l’immagine di Vincent, che lo faceva venire con la bocca, non
voleva andarsene.
“Niente, abbiamo
perso la causa … Ci resta l’appello, magra consolazione. Scusa” – e gli fece
quello sguardo da cucciolo spettinato, capace di fare ripiombare Harry all’età
dei pannolini, per quanto faceva tenerezza e Boo sciogliere come neve al sole,
per come ne era innamorato.
“Ti prendo un succo
di frutta” – sospirò Lou, aprendo il frigo e notando che era mezzo vuoto – “Usciamo
a fare la spesa?”
“Non dovevi studiare?
Guarda che tomo” – Haz rise, sollevando il volume, dal quale cadde quella
Polaroid, che Boo avrebbe voluto non mostrargli mai.
Styles la raccolse,
scrutandola.
“Carini … dovresti
incorniciarla” – mormorò aspro, scagliandola sulla scrivania.
“Harry …”
“Io esco” – replicò brusco,
scostandosi dal suo tentativo di abbracciarlo.
Louis si ammutolì,
poi sbottò – “E’ solo una foto!”
Harry si bloccò sulla
porta e tornò indietro.
“So che lo ami
ancora!!”
“Io … io amo Vincent
in un modo diverso … Non è più come prima. O mi credi o non mi credi, non hai
alternative” – disse lento, fissandolo.
Harry allargò le
braccia – “E noi dovremmo sposarci? Con queste premesse?”
“Quali premesse? Ti
ho appena detto che”
“Taci!” – e strizzò
le palpebre, con in gola quel rospo, che voleva rivelare ad ogni costo, almeno per
fare chiarezza e decidere se andare avanti o meno.
Poi si trattenne,
pensando che quella scopata con Sylvie era stata archiviata e che, forse, anche
Louis aveva fatto sesso con Lux, giusto in quella Spa, dove, peraltro, doveva
andare anche lui.
Insomma erano pari.
Ragionamenti squallidi,
pensò Styles, ma se li fece andare bene.
Il rospo tornò giù,
sciogliendosi nell’acido gastrico, che gli ribolliva dentro.
“Boo io non volevo
essere così sgradevole … E’ stata una pessima giornata …”
Louis tirò su dal
naso, strappando l’immagine di lui e Lux, abbracciati, davanti al Mediterraneo,
in un autoscatto denso della loro gioia di stare insieme.
Harry parlava come un
vecchio, pensò, come tutte le volte che sarebbe tornato così dal lavoro, magari
scolandosi un cognac d’annata, dono di Hopper o Geffen, i vecchi leoni, che lo
avrebbero spronato ad essere più aggressivo, più spietato.
Perché solo se mordi,
sentirai le urla nel silenzio.
“Lou …?”
“Eh?” – ebbe un
sussulto – “Cosa …?” – disse smarrito, in quel groviglio di previsioni
deprimenti.
“Usciamo Boo …?” –
domandò esitante.
“Ok … prendo il
giubbotto” – gli sorrise timido, guardando i frammenti di quel ricordo, sparsi
sul pavimento.
Nessuno li raccolse.
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