mercoledì 15 gennaio 2014

ZEN - CAPITOLO N. 236

Capitolo n. 236 – zen



Geffen si svegliò nel cuore della notte.
Completamente sudato e non solo.

“Cristo …” – e si toccò i pantaloni del pigiama.

“Come un poppante” – ringhiò, agitandosi poi, nel sentirsi indolenzito dalla vita in giù.

Si muoveva a fatica, ma riuscì a mettersi seduto, provando a recuperare un asciugamano.

Jared venne destato dalle sue lamentele.

“Dio è da vomito” – aggiunse l’uomo, gli occhi pieni di lacrime.

“Glam calmati” – lo rassicurò immediato Leto, andando a prendere un accappatoio, delle salviette e del talco.

“Co cosa diavolo stai facendo Jared?!”
“Ti aiuto, con tutti i neonati che”

“Ma io non lo sono accidenti!!” – esplose, alzandosi finalmente.

Riuscì a guadagnare la porta del bagno, ma Jared non lo mollò.

Lui non abbandonava mai nessuno al proprio destino.

Così come gli aveva insegnato Geffen.


“Piantala di fare così!” – quasi gli impose il cantante, anche se il suo fiato era spezzato e non certo per lo spettacolo triste, a cui stava assistendo.

Glam prese una sedia, per poi infilarsi nel box ed aprire i getti; non voleva cadere, ma neppure che Jared lo lavasse.

Era così umiliante.

Usò un terzo del gel al cocco, facendo una marea di schiuma.

Jared sorrise, gli occhi lucidi – “Mi sembri Yari … faceva così, le prime volte che” – ma si interruppe, per avvicinarsi e frizionare la pelle di Geffen, esausto, nonostante i pochi movimenti appena fatti.


“Jay …”

“Hai un cancro Glam e questo viaggio dovrebbe aiutarci ad accettarlo, io senza rompere il cazzo con le mie seghe mentali, perché quello malato sei tu e puoi anche romperlo il cazzo, sia chiaro …” – disse ridendo e piangendo.

Geffen lo strinse forte, allineando le loro fronti – “La finezza è la tua qualità di punta” – sospirò, accennando un sorriso e provando a dimenticarsi le fitte alla schiena, dove Leto posò anche un bacio, per poi aggiungerne un secondo, sulla bocca dell’uomo che continuava ad amare.

Sempre di più, dai battiti del suo cuore accelerati.
Come impazziti.



Jude gli aprì la casacca del pigiama, ma Robert si ritrasse.

“Hai ancora sonno …?” – gli chiese gentile Law, abbracciandolo da dietro.

“No è che … mi sento poco bene … Forse ho la febbre” – si giustificò il moro, rannicchiandosi.

“Non mi sembra … misuriamola, vuoi?”
“Certo … Un’influenza fuori stagione … che palle” – e sbuffò, accendendo il termometro digitale.

Pochi secondi e la supposizione di Jude fu confermata.

“Visto, non ne hai … Ti preparo un caffè? Hai appetito?”

Era ossequioso e gli dava pure fastidio, ma poi ciò che Downey avvertiva era semplice tenerezza, perché il compagno si stava sforzando a risolvere le cose, anche se sarebbe stato meglio separarsi.

L’americano ci aveva riflettuto, non ci aveva dormito a dire il vero.

Sentire i rumori di quella casa, Jude che si muoveva tra le stanze con disinvoltura, l’aroma di espresso, il vocio delle loro bimbe: gli sarebbe mancato da morire quel quotidiano, anche se di recente non ricordava una sola giornata realmente serena in famiglia.

Forse il problema era solo il suo cuore spaccato a metà.
Da troppo tempo.



“Il nostro amore ha la data di scadenza, lo sai questo Jared?”

Geffen ridacchiò provando a passargli la canna, con quell’erba procuratagli da Kiro; una vera bomba, bofonchiò il legale dei vip.

“Come uno yogurt? No, grazie ho smesso di farmi” – e rifiutò di dare un tiro, anche se ne aveva una voglia terribile.

“Più o meno Natale prossimo, se Mason ci ha preso” – e rise, aggiustandosi la camicia nei pantaloni.

“Non pensarci Glam” – replicò teso, provando a distrarsi in cucina.

“Ma che cazzo fai, alle cinque di mattina, tagli pomodori?”

“Sì”
“Come vuoi Jay … un tempo avremmo fatto l’amore su quel tavolo”

Leto diede un’occhiata veloce al ripiano, poi sorrise – “Lo abbiamo fatto”

“Sì, rammento, non sono rinco …” – mormorò sconfortato.

Jared li condì con salsa di soia, aceto, olio, poi assaggiò ed aggiustò di sale.

“Buoni?”
“Abbastanza … avevo fame”

“Hai mangiato parecchio a cena …”

“Anche tu Glam, ero contento”

“Sì, per poi scaricare tutto in quel modo … Dissenteria … ops scusa, stai mangiando” – rise meno convinto.

Leto continuava a masticare, nervosamente, come se volesse ingozzarsi e poi dare di stomaco, così da liberarsi da quel peso, che proprio lì lo stava tormentando.

“Me ne dai un po’, Jared?”

“Magari non ti fanno bene …” – esitò, poi gli passò l’insalatiera in plastica arancio.

“Buoni …” – disse Geffen, come un bambino.

Jared si asciugò una lacrima, dandogli le spalle, di scatto – “Ne faccio ancora, se vuoi” – disse altrettanto svelto.

“No … mi bastano questi … Ti ringrazio” – e li finì, compostamente.



Louis nascose una foto in bianco e nero, all’interno del libro, sul quale stava studiando.

Tolse gli occhiali spessi, che a chiunque sarebbero stati malissimo, tranne che a lui.

Harry imprecò piano, gettando le chiavi nel portaoggetti in argento dell’ingresso, scalciando poi uno scatolone da parte  “E questo cosa ci fa ancora qui?”

Era l’ultimo da disfare.

“Ehi … che ti prende?” – domandò Boo, scocciato.

Aveva mal di testa e, proprio lì, l’immagine di Vincent, che lo faceva venire con la bocca, non voleva andarsene.


“Niente, abbiamo perso la causa … Ci resta l’appello, magra consolazione. Scusa” – e gli fece quello sguardo da cucciolo spettinato, capace di fare ripiombare Harry all’età dei pannolini, per quanto faceva tenerezza e Boo sciogliere come neve al sole, per come ne era innamorato.

“Ti prendo un succo di frutta” – sospirò Lou, aprendo il frigo e notando che era mezzo vuoto – “Usciamo a fare la spesa?”

“Non dovevi studiare? Guarda che tomo” – Haz rise, sollevando il volume, dal quale cadde quella Polaroid, che Boo avrebbe voluto non mostrargli mai.

Styles la raccolse, scrutandola.

“Carini … dovresti incorniciarla” – mormorò aspro, scagliandola sulla scrivania.

“Harry …”

“Io esco” – replicò brusco, scostandosi dal suo tentativo di abbracciarlo.

Louis si ammutolì, poi sbottò – “E’ solo una foto!”

Harry si bloccò sulla porta e tornò indietro.

“So che lo ami ancora!!”

“Io … io amo Vincent in un modo diverso … Non è più come prima. O mi credi o non mi credi, non hai alternative” – disse lento, fissandolo.

Harry allargò le braccia – “E noi dovremmo sposarci? Con queste premesse?”

“Quali premesse? Ti ho appena detto che”

“Taci!” – e strizzò le palpebre, con in gola quel rospo, che voleva rivelare ad ogni costo, almeno per fare chiarezza e decidere se andare avanti o meno.

Poi si trattenne, pensando che quella scopata con Sylvie era stata archiviata e che, forse, anche Louis aveva fatto sesso con Lux, giusto in quella Spa, dove, peraltro, doveva andare anche lui.

Insomma erano pari.

Ragionamenti squallidi, pensò Styles, ma se li fece andare bene.

Il rospo tornò giù, sciogliendosi nell’acido gastrico, che gli ribolliva dentro.


“Boo io non volevo essere così sgradevole … E’ stata una pessima giornata …”

Louis tirò su dal naso, strappando l’immagine di lui e Lux, abbracciati, davanti al Mediterraneo, in un autoscatto denso della loro gioia di stare insieme.

Harry parlava come un vecchio, pensò, come tutte le volte che sarebbe tornato così dal lavoro, magari scolandosi un cognac d’annata, dono di Hopper o Geffen, i vecchi leoni, che lo avrebbero spronato ad essere più aggressivo, più spietato.

Perché solo se mordi, sentirai le urla nel silenzio.


“Lou …?”


“Eh?” – ebbe un sussulto – “Cosa …?” – disse smarrito, in quel groviglio di previsioni deprimenti.

“Usciamo Boo …?” – domandò esitante.
“Ok … prendo il giubbotto” – gli sorrise timido, guardando i frammenti di quel ricordo, sparsi sul pavimento.

Nessuno li raccolse.







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