giovedì 9 gennaio 2014

ZEN - CAPITOLO N. 233

Capitolo n. 233 – zen



C’erano proprio tutti.
I suoi figli, i nipotini, le ex, Pamela e Sveva, le ultime a dargli dei bimbi meravigliosi, che Geffen cullava amorevole, senza distrarsi da nessun altro.

Aveva un sorriso per ognuno di loro, una parola, un ricordo, in un misto di malinconia e rassegnazione, lambito dai suoni dell’oceano, che Robert, nello stesso preciso momento, percepiva dalla terrazza all’ultimo piano, della villa di Palm Springs.

Jude arrivò in silenzio alle sue spalle, senza fare rumore.


“Ciao tesoro … finalmente ti ho ritrovato” – esordì timido l’inglese, mantenendo una breve distanza dal consorte, ancorato alla balaustra, i capelli mossi da vento, lo sguardo perso in riflessioni a tratti amare.

“Non me ne sono mai andato, anche se avrei voluto” – e si girò a guardarlo fisso.

“Tu qui stai bene, Rob?” – chiese, deglutendo a vuoto.

“Sì, finchè ci sarà Glam, sì” – replicò composto, le mani sudate.

Law sorrise a metà, scrutando in basso, mentre si affiancava a lui – “Mancherà a tutti … amici e nemici, complici ed amanti”

“Devo andare Jude” – lo interruppe, scostandosi brusco.

Quando lo afferrò per un braccio, lo sguardo di Downey si scontrò con il suo, mortificato e vivido.

Law lo liberò subito – “Perdonami, non so più quello che faccio Rob, anzi … non lo so mai, quando ci sei di mezzo tu e la nostra storia” – e si tamponò le guance, con le maniche del pullover, che gli oltrepassavano i polsi.

Downey lo abbracciò, attirandolo a sé quasi con uno scatto, prendendolo per la nuca con la destra e cingendogli il busto con il braccio sinistro, aprendo poi, sulla schiena di Jude, la mano a stampo, come se dovesse trattenerlo.

Nessuno se ne sarebbe andato da quell’abbraccio.

“Robert …” – gli singhiozzò nel collo, affranto.

Aveva così bisogno di lui, da stare male, da non riuscire neppure a respirare.

“Jude ora calmati … ok?” – quasi gli impose, ma con le iridi velate di dolcezza.

Quella di quei sette anni, che li separavano, che facevano di Downey un uomo solido all’apparenza in frangenti come questi, ma anche prossimo a sgretolarsi in mille pezzi, perché non aveva più molte certezze.



Geffen levò il calice, alzandosi al capotavola, dove era stata sistemata una poltrona, che ricordava simpaticamente un trono.

Lula era lì accanto e Glam lo teneva vicino, sorridendogli, mentre prendeva un lungo respiro.

Gli invitati fermarono il loro chiacchiericcio in un silenzio statico.

“Bene … Non credevo fosse possibile vedervi qui, tutti, oggi, ma è un giorno speciale e di sicuro … irripetibile” – sorrise.

Quindi proseguì.


“Se potessi fermare il tempo e tornare ad un giorno preciso” – fissò Lula – “io lo farei, sapete? Invece è un’utopia e così io guardo il tempo, adesso, nei vostri occhi, lo sento arrivarmi addosso, come l’affetto e l’amore, che mi avete riservato e che proprio oggi sento ancora più nitidi … Ho commesso troppi errori eppure mi avete perdonato … Sempre.” – inspirò, scuotendo un po’ la testa rasata, quindi la sua espressione venne pervasa da una tenerezza infinita.

La tribù di bambini lo circondò, festante e commossa, perché in parte sapevano che zio Glam era malato, anche se nessuno dei genitori aveva voluto spiegare loro quanto fosse grave la situazione.


“Facciamo una foto, che ne dite? Poi aprirò i regali … ok?”

I cuccioli esultarono, lanciando coriandoli dorati e porgendo a Geffen anche dei bouquet di rose bianche e celesti, come le sue iridi, ormai invase da un pianto, non più rimandabile.

Lo mascherò alla meglio, sedendosi, per prendere sulle ginocchia Isotta, Jay Jay, Alexander e Sebastian, mentre Lula sistemava come poteva anche gli altri cuginetti ed il fratello Josh.

Shannon e Tomo si improvvisarono reporter, mentre Jared e Robert spostavano bicchieri e stoviglie, agglomerando pacchi e pacchetti sulla tovaglia in seta avorio.

Era tutto così bello.
Così perfetto, pensò Geffen, mentre faceva correre la sua vista, annebbiata dalle lacrime, tra quelle testoline cariche di sogni e di innocenza.
Il futuro apparteneva a loro.



Louis si grattò nervosamente la nuca, abbozzando un sorriso, mentre Vincent lo informava di una novità.

“Africa … Ma starai via molto?” – chiese il giovane, un po’ smarrito.

“Un paio di mesi mon petit … E’ volontariato, mi farà bene …” – aggiunse quasi imbarazzato, poi chiarì ulteriormente la sua scelta.

“Sai Louis, quando Jacques morì, questo progetto mi salvò … Ed anche ora, in occasione del tuo matrimonio, per me, sarà come una sorta di lutto, capisci? Non volermene, non sto tracciando un paragone con mio figlio e quanto accaduto a lui: quella è stata una disgrazia terribile, mentre voi vi avviate alla felicità, che meritate a pieno, sia chiaro” – e sorrise, dandogli una carezza sugli zigomi asciutti.

“Sì, sì, io so di avere pretesto troppo da te e” – tremò.

Lux gli spostò le ciocche dalla fronte, dove posò un bacio d’impeto, sussurrandogli – “No, no, sai che ogni cosa che faccio, per te, viene da qui” – e portò le mani di Boo, intrecciate alle proprie, su quel cuore, che gli aveva consegnato da un pezzo.


“Ora non piangere Lou … Sta arrivando Harry, dai …”

“Ok, ok” – tirò su dal naso, infantile ed irresistibile – “Ma potremo sentirci, al telefono, al pc?” – domandò trafelato.

“Temo di no … Avrò un satellitare, però la zona è davvero isolata”
“Ma non pericolosa vero?”

“No … a parte qualche leone” – e rise di gusto, alzandosi dalla panchina bianca, per accompagnare Louis verso il futuro coniuge, che non capì cosa stesse succedendo.


“Boo che hai?” – e lo strinse a sé, puntando Lux, un po’ torvo.

L’affarista, senza scomporsi, illustrò anche a lui quanto aveva deciso ed Harry approvò, anche se perplesso – “Un’iniziativa lodevole Vincent … Tornerai per fine maggio, quindi?”

“Sì, l’idea è questa … Ora vi lascio” – e con le mani in tasca, senza più guardarsi indietro, ma con i cieli di Louis ficcati tra le scapole, Lux si allontanò verso il centro della festa.



C’era uno spicchio di azzurro, tra le tavole di legno, dipinte di bianco; il ricovero per gli attrezzi era isolato, rispetto alla villa, ci si arrivava da un sentiero, che attraversava la caletta privata di Geffen.

Lui non c’era.

C’era Jude e le sue mani grandi, a tenerlo sollevato.

C’erano le sue spalle smagrite, ma sufficientemente robuste, per aggrapparsi e sentirsi sospeso, per Robert, che non voleva essere guardato da Jude, mentre questi, gli risaliva dentro.

Così lo teneva saldato al proprio busto, percependo quello di Law febbrile, nudo, nel bloccarlo contro la parete ruvida, senza avere tolto a Downey la casacca scura, perché non si facesse male.

Robert non voleva nemmeno baciarlo.

Voleva semplicemente ricordarlo in luoghi diversi, dove la scena si incastrava a meraviglia, intrisa d’amore e non di disperazione, come in quell’istante.



Lula raggiunse con una corsetta il gazebo, dove Farrell restava seduto sugli scalini da più di venti minuti.

“Ciao zio!” – lo salutò vivace.

“Tesoro … ciao, come stai?” – lo accolse gradevole.

“Ho mangiato due fette di torta!”

“Bravissimo …” – sospirò, con un sorriso spento.

“Senti io … volevo ringraziarti per quello che stai facendo per il mio papà” – gli disse più serio.

“Ti ringrazio soldino … Ma non ho alcun merito, sai?”
“Oh no sbagli …” – e fece una faccina buffa.

“Il tuo papà è felice quando c’è Jared, chi più di me può capirlo?”
“Sì, però …”

“Lo so Lula … Ho accettato questa … questa cosa, questo periodo, perché trovo giusto sia così … anche se sono geloso e” – sorrise più leggero.

“Lo sarei anch’io!” – puntualizzò il bimbo, con la consueta vivacità.

“Sì … Tu non sei spaventato, Lula?”

“No”

“Sai qualcosa, che non puoi dire a nessuno?” – domandò curioso, dandogli un buffetto.

“So che siete meravigliosi … E che papà non potrebbe essere più fortunato”

“Una strana fortuna …”



Geffen chiuse il trolley, controllando il passaporto ed i documenti, che Hopper gli aveva consegnato.

“Dove stai andando?”

“Jared …”

“Glam, che stai facendo?” – ed entrò nella stanza dell’avvocato, chiudendo la porta.

“Vado ad Haiti: il jet di Antonio decolla tra un paio d’ore, in serata dovrei essere a destinazione”

“Ma scherzi?!” – sbottò il cantante incredulo.

“No Jay, perché dovrei? Devo sistemare un miliardo di cose al centro e”

“Nelle tue condizioni?” – protestò.

“Ora o mai più, Jared” – rise, arrossendo.

“Ma … Ma le tue terapie, la cura e le chemio”

“Starò via pochi giorni, torno per le nozze di Harry e Louis, domenica prossima, le hai dimenticate?” – e lo abbracciò, quasi a consolarlo.

“No, io non le ho dimenticate, ma tu lo hai fatto con la tua salute ed il buon senso a quanto pare!”

Glam lo baciò, rimescolandosi al suo sapore ed a quei capelli lunghi, dai riflessi dorati.


Quando si staccarono, Jared era sconvolto.

“Sono incorreggibile, giusto?” – bisbigliò Geffen, dandogli ancora una carezza, prima di andare via.











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