Capitolo n. 237 – zen
Colin aprì la video
chiamata con un sorriso.
“Amore ciao, come
stai?”
“Cole … ciao” – Leto
gli sorrise, con il pianto in gola.
Era in spiaggia,
seduto sopra ad uno scoglio isolato.
“Ehi … Ci sono
problemi, vero?” – chiese triste.
“Glam peggiora”
“Lo immaginavo” –
inspirò – “Quando tornate?”
“Dopo domani … Sì,
insomma sabato” – precisò, mordendosi le unghie della mano sinistra, mentre con
l’altra reggeva il cellulare.
“Ok … Vuoi che ti
venga a prendere? Posso aiutarti?”
“Preferisco tu
rimanga con i bimbi, Colin, ma ti ringrazio … Sei incredibile e non ti sarò mai
abbastanza riconoscente … Sono talmente confuso” – e scoppiò a piangere.
“Jared guardami”
“Scusami” – balbettò
– “Scusami Cole, non so cosa pensavo di fare o di risolvere” – sottolineò
rabbioso e sconfortato.
“Nessuno può
riuscirci, però tu gli dai sollievo, rendi tutto meno difficile, a Glam, ne
sono certo … Altrimenti non avrei” – e si interruppe, prendendo fiato.
“Tu non avresti
accettato questa situazione … Come darti torto, mi sento ignobile”
“Perché lo ami
ancora?” – bissò senza inveire, anzi, dimostrando comprensione ed affetto, come
mai prima di allora.
Jared annuì – “Forse
anche ciò che sento è una malattia … Ne guarirò quando Glam sarà … sarà morto?”
– non aveva neppure il coraggio di dirla questa parola.
“No Jay … non
illuderti” – sorrise amaro – “Fa parte di te … e di noi. Sarà così sino alla
fine di lui ed anche dopo … Solo che dovremo consolarci e superare anche quel
tempo, in cui ti sembrerà di impazzire senza Glam … Non voglio neppure
pensarci” – concluse assorto.
“Cole”
“Sì tesoro?” – gli
sorrise, bellissimo.
“Ti amo …”
“Anch’io Jared. A
presto.”
Harry avrebbe voluto
aprirsi e svuotare il cuore di quel peso.
Guardava Boo,
muoversi tra gli scaffali, scegliendo solo i cibi migliori per loro: dovevano
mantenersi sani, anche se ingozzarsi di schifezze, ogni tanto, sopra il divano,
guardando un dvd, restava un’abitudine così cara ad entrambi.
Peccato averne perse,
di consuetudini, in quel loft extra lusso, con vista mozzafiato sull’oceano.
Da quelle cattedrali
in mattoni a vista e cristallo, uscivano professionisti, in giacca e cravatta,
valigetta firmata, scarpe italiane.
Avvocati, fiscalisti,
manager, medici.
Loro erano i più
giovani, a giudicare da chi incrociavano in ascensore o nel garage riscaldato.
Era cambiato tutto
troppo in fretta.
“Louis …”
“Sì amore?” – e gli
sorrise; aveva già dimenticato tutto, Louis, il suo Louis.
Quello stupido
litigio, le invettive di Haz, la sua insana gelosia.
Louis, che non
portava rancore, che sapeva perdonare.
Come nessuno.
Farrell aprì
svogliatamente la porta della biblioteca.
Miss Wong gli aveva
annunciato la visita di Shannon.
“Ehi … da dove arrivi
cognato?” – chiese mesto, lasciandolo avanzare, in quel suo angolo della End
House, dove spesso l’attore si ritirava a riflettere o piangere.
Aveva appena smesso e
si strofinò la faccia tirata, provando a nascondere il suo imbarazzo.
Leto senior sembrava
un damerino.
“Ma lascia stare … La
mostra alle gallerie Rice: con Tomo hanno fatto … pace” – ringhiò,
accomodandosi.
In compenso era
davvero carino, sbarbato, pettinato alla perfezione.
Colin lo scrutò.
“E non guardarmi come
se fossi un alieno!” – esclamò ridendo, togliendosi i mocassini.
“Anche quelli …
ahahhaha non sono da te” – l’irlandese indicò le calzature lucide, così i calzini
in seta, un po’ ridicoli ed in contrasto con i tatuaggi, quando il batterista
lì scoprì, levandosi anche la camicia immacolata.
“Ok, ora sto meglio …
Posso avere una birra, orso?”
“Va bene … Ne prendo
un paio … analcoliche”
“Oddio che scempio …
Ma se è per la salute” – scherzò, brindando al nulla.
Erano entrambi
tristi.
“Tomo ed Owen? Cos’è
questa storia?”
“Che vuoi che ti
dica: in effetti Tomo ha creato una bella raccolta di sculture nuove di zecca e
le ha messe on line. Chiama la segretaria di Rice, gli dice di farle sparire
dalla rete, che c’è pronto un assegno per lui ed in bianco” – raccontò veloce,
scolandosi la chiara.
“Interessante … Owen
ha buon fiuto …”
“Oh sì, anche una
caterva di moine, dovevi vederlo oggi al party … Ero nauseato e così me la
sogno svignata!” – rise.
“Tomo ci sarà rimasto
male …”
“Affatto … E’ stato …
tollerante” - ed assottigliò le palpebre, un po’ buffo quanto sarcastico.
“Contenti voi” –
sbuffò Farrell.
“E Jared, l’hai
sentito?” – domandò Shan, prendendo fiato.
“Sì”
“Mmmm sento puzza di
guai”
“No, ormai quei guai appartengono ad un’altra epoca
Shannon … Rammenti quando ne parlavamo, di Jay e Glam, insieme ad Haiti?”
“Più o meno … Un anno
assurdo”
“Almeno quanto questo
… Eppure preferirei tornarci a quei momenti, anche se dolorosi, sai?”
“Non dire fesserie,
Colin!” – sbottò.
Ne seguì un silenzio
strano: l’irlandese fissava il vuoto, lacerato dalla lontananza del marito, eppure
convinto di avere preso la decisione giusta.
Faceva tenerezza, non
compassione: Shan l’aveva spesso odiato, per come trattava il fratello, però,
giunti a quel punto del cammino, Farrell stava dimostrando un sentimento
completo ed assoluto per il cantante dei Mars.
Senza ombre, senza
limiti.
Leto tamburellava su
quel pacco, dopo averlo appoggiato sul tavolo da lavoro di Geffen, seduto alla
sua postazione di comando.
“Credevo di averti
detto di non essere un poppante” – esordì l’uomo, un po’ torvo.
“Sono per la notte,
nel caso capitasse di nuovo, Glam” – ribatté composto.
“Tu … tu davvero non
capisci, eh Jay? Non capisci che un malato dovrebbe avere almeno diritto a
conservare la propria dignità? Non penso di chiedere molto, visto che in cambio
sono condannato a sopportare un disagio fisico logorante e tremendo”
“Se dipendesse da me,
ciò che ti sta succedendo, allora sarebbe giusto subire le tue proteste, ma non
è così” – precisò fermo.
“Ma almeno potresti
starmi alla larga con le tue iniziative, i tuoi assorbenti, no, chiamiamo le
cose con il loro nome, i tuoi pannoloni da indigente!” – si incazzò parecchio.
“Ok, non mi farò
problemi a lavarti e pulirti, cosa credi che mi tirerò indietro, che darò
forfait, che mi arrenderò alle tue lagne??!” – lo provocò.
Geffen appoggiò i
gomiti alla lastra levigata, spostando i dossier, che stava analizzando.
Si massaggiò le
tempie, ad occhi chiusi – “Come mi sono ridotto … Che argomenti mettiamo in
discussione, adesso, tu ed io, Jay … Che desolazione …” – e rialzò il capo,
disfatto nelle iridi da quanto era costernato.
“Glam …” – mormorò
Leto, raggiungendolo, per abbracciarlo.
“Dio ti prego … non
voglio la tua pietà” – gli tremò la voce, così le palpebre, traboccanti di lacrime.
“Amore …” – gli sussurrò
il ragazzo di Bossier City, oltre modo commosso.
Glam inclinò il viso,
sorridendo appena, mentre le loro labbra si sfioravano, salate.
“Amore …” – bissò Geffen,
in un anelito di struggente dolcezza.
“Amore …” – quasi singhiozzò
Jared, accennando un bacio, poi un successivo, corrisposto da Glam.
“Amore” – disse ancora
una volta il padre di Lula, che arrideva nelle fotografie, dalle mensole.
Era ovunque.
Come i loro respiri,
ora, i loro gesti, che li resero nudi, che li fecero salire sopra a quel
giaciglio scomodo, dopo avere gettato od allontanato fogli, cartelline, penne a
sfera o di pregio, tagliacarte ed un posacenere, che rotolò sul tappeto.
Stavano facendo l’amore,
come neppure avrebbero creduto esserne capaci.
Come in un sogno.
Un’ultima illusione.
Shannon era fatto di
carne, di muscoli solidi, di baci al profumo di menta.
Erano i suoi occhi,
così diversi e così simili a quelli di Jared, a specchiarsi in quelli di Colin,
mentre questi affondava tra le sue gambe, ritmando i propri fianchi, dapprima
incerti, poi sempre più ingordi.
Era strano baciarlo,
ma anche Farrell aveva un buon sapore, avvinghiato a lui, sudato come lui, che
non riusciva a crederci.
Eppure lo aveva
baciato per primo, dopo essersi guardati per un secondo di troppo.
E sarebbe stato troppo complicato, spiegare a Jared, ciò
che stava accadendo, ora, tra loro.
Quello, a cui
nessuno, avrebbe tangibilmente creduto.
Il tradimento totale.
Vennero una prima volta,
poi il mondo si capovolse, per scopare Colin, cambiando posizione,
sodomizzandolo un po’ brutalmente, mentre i suoi denti affondavano nella nuca
del marito di suo fratello, fatto della sua stessa carne e sangue, pensò per
una frazione Shannon, così come il morso del Re d’Irlanda segnava il bracciolo
del sofà damascato, in un ringhio sordo ed un po’ volgare.
Eccitante e subdolo.
Così toccarlo,
masturbandolo sino a riempirsi la mano, un po’ ruvida, mentre lo faceva sentire
intrappolato, sotto di sé: a Shan sembrò un delirio di onnipotenza distorta.
Malevola.
Se ogni cosa, in
quella dimensione, aveva un prezzo, quello che il destino avrebbe presentato loro
presto, sarebbe stato il peggiore mai immaginato.
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