mercoledì 3 giugno 2015

LIFE - CAPITOLO N. 126

Capitolo n. 126 – life



Jared si prese un caffè alle macchinette, appartandosi tra una colonna ed una vetrata in plexiglass, attraverso la quale poteva guardare l’andirivieni di persone, pronte a partire oppure appena arrivate al Lax.

Il fatto è che non riusciva a muoversi, ad andarsene da lì, dopo avere visto sparire Colin dalla propria vista.

Gli sembrò di scorgerlo almeno un paio di volte ancora, prima di rassegnarsi e provare ad alzarsi, ma la debolezza vinceva sul suo desiderio di vaporizzarsi, per non sentire più quel logorante assillo, tra la gola e lo sterno, dove appoggiò l’enorme bicchiere della sua bevanda, oltre modo bollente ed intatta.

Poi si accorse di lui, appena giunto in quel caos di teste e voci, la barba incolta, gli occhi assonnati, ma apparentemente soddisfatti per essere tornato in quella città di folli.


“Mark …” – e fu unicamente un sussurro, quello del leader dei Mars, mentre posava esitante i polpastrelli sul vetro.

Fu un attimo e Ruffalo gli si parò davanti, dopo avere aggirato quell’ostacolo tra loro.

“Jared ciao, ma cosa ci fai tu qui?” – domandò con un sorriso, non rendendosi subito conto del suo stato di disagio.

“Cole è andato … Sì, per lavoro, in Francia, ma è andato … senza di me, non ha voluto che lo seguissi ed io volevo salutarlo, ma non ci sono riuscito” – spiegò alienato nei toni, come se avesse ingerito degli psicofarmaci.

“Jared hai preso qualcosa? Dei barbiturici?!” – chiese allarmato il docente.

“No, no … E’ la mia tristezza a farmi sembrare così … E’ l’abbandono, ma lo merito sai?” – e si scompose in un pianto, comunque dignitoso, senza alcun eccesso.

Ruffalo lo raccolse, con la sua innata gentilezza nei modi garbati, anche di chi era abituato ad assistere i più deboli.

“Tesoro ora ti porto a casa, chiamo un taxi, ok?”

Leto annuì, seguendolo docile, sentendosi più in forze, in sua presenza.

Ruffalo era rassicurante e sapeva dire le cose giuste, anche se quell’approccio affettuoso ed intimo, andava ben oltre la loro semplice conoscenza.

Chiamarla amicizia, adesso, sembrò ad entrambi la forma migliore, da donare alla reciproche sensazioni di fiducia e complicità, ormai solide.


Il breve spostamento, verso il loft di Mark, fu come un galleggiare, per Leto, in sensazioni sempre più deprimenti.

Riuscì a mala pena a spiegare che non avevano litigato, lui ed il marito, che era stato Colin a motivare con la massima calma, ciò di cui aveva bisogno: “Starsene senza di me, in santa pace, direi … Giusto?”

Così i suoi zaffiri diventarono più guardinghi, un po’ nervosi ed arrabbiati.

“Tu l’hai visto, Glam, con Kevin?” – domandò brusco, mentre salivano in ascensore, ma Ruffalo non aveva voglia di parlarne; non subito.




“Ci mettono tanto …”

Downey si tormentava le dita, l’anello nuziale, la fede del rinnovo delle promesse, insomma tutto ciò che di simbolico, aveva rimesso all’anulare sinistro, segno tangibile di come Jude fosse rientrato nella sua vita, per non andarsene più.

“No Robert, è normale …” – provò a rassicurarlo Geffen, mentre Kevin fremeva per andarsene.

Odiava quel posto, l’odore di ospedale, le chiamate per le emergenze, che interrompevano la filodiffusione, gracchiante di musica obsoleta e tediosa.

“Daddy io andrei” – li interruppe di colpo.

Perché si ostinava a chiamarlo in quel modo?
Semplicemente perché era un qualcosa, che gli viveva dentro, pensò Downey, senza alcun astio o rivalità.

Con Kevin era più semplice, era come un ulteriore figlio, per Glam, nulla di paragonabile allo spettro di Jared: e poi non erano più affari suoi.

Lui amava Jude.
Voleva Jude.
Avrebbe risposato Jude.
Molto presto.


“Sì tesoro, magari stai con i bimbi, che ne pensi Kevin?” – propose dolce l’uomo, che non avrebbe smesso di corteggiarlo.

Kevin era suo.
Suo e basta.

“Penso che dovresti telefonare a Jared” – lo sorprese, come un colpo basso.

“Come, scusa?!”

“Perché ti ostini a trattarmi in questo modo? A farmi sentire importante, quando tutti sappiamo che è Jared quello che desideri, che è lui al primo posto, anche se ora l’hai relegato al ruolo di amante? Un po’ squallido, non credi Glam? O pensi di non essere mai visto o notato, nelle tue manovre, come ad Aspen? Gli ronzavi intorno come un’ape sul miele!”

“Forse ne ho fatto indigestione di questo miele, ci hai mai pensato?” – bissò secco, ma nei suoi turchesi c’era un coinvolgimento, che turbava Kevin, come mai ci era riuscito nessuno.

“Sei … Sei insopportabile!” – scoppiò, fuggendo poi, senza esitare oltre.




Mark gli massaggiò l’interno dell’avambraccio destro, disinfettando una porzione di pelle, esente da tatuaggi.

“E’ un blando tranquillante, dopo ti sentirai meglio: ti fidi di me, Jared?” – e sorrise, preparando un’iniezione.

“Sei tu il dottore …”

Ruffalo rise leggero, dando un pizzicotto alla siringa – “Non mi sono laureato, non in quello almeno, con grande delusione da parte di Scott … Bei tempi o quasi” – ed inspirò.

Una foto dei due, spiccava su di un mobile, in tinta noce scuro, molto in contrasto con gli arredi moderni circostanti.

Leto si era allungato sul divano centrale, quello a quattro posti, più penisola, dove Mark aveva lasciato uno scatolone, pieno zeppo di test di ammissione da correggere e vistare.


“Non sapevo che vi conoscevate così bene, tu e Scott”

“Non hai risposto alla mia domanda …”

“Quale Mark?”

“Se ti fidi di me”

“Certo” – ed un bel sorriso sostenne quell’affermazione del leader dei Mars, che inclinò la testa, affondando un po’ di più nel cuscino tinta porpora.

“Ok … Fatto, ora piegalo, così, non dovrebbe sanguinare”

“Non ho sentito nulla”

“Bene … Con Scott, comunque, eravamo un bel team: certo io studiavo, lui dedicava un po’ di tempo all’insegnamento e poi entrare in ospedale a fargli da aiuto, rappresentava un obiettivo estremamente ambito, tra noi pivelli” – narrò assorto.

“E poi cosa accadde?”

“Una disgrazia … Il mio compagno di stanza morì di overdose: voleva vincere ogni competizione, ma per sostenere certi ritmi iniziò ad abusare di certe droghe … Io me ne resi conto, ma non riuscii a fermarlo: avrei dovuto denunciarlo al rettore, fare qualcosa, spingerlo a ricoverarsi, però non …” – si adombrò, commuovendosi.

Jared gli accarezzò la spalla – “Era il tuo ragazzo?”

“No, no, lui non era gay … Però ci volevamo bene, lui mi difendeva, sapeva ogni dettaglio di me … Era un tipo in gamba, massiccio, una roccia, pronta a sgretolarsi, ma io non volevo ammetterlo, a quanto pare … Me ne tornai a casa, dopo la sua morte, non ne volli più sapere di Los Angeles e del dottorato in chirurgia”

“Tu sei un Ruffalo, quelli del petrolio …”

“Oh sì, i re del barile, mai sopportati … Mio padre e mio zio sono così tronfi, che non sono mai riuscito a stare nella stessa stanza con loro per più di dieci minuti”

“Ti hanno ripudiato?”

“No, per carità, per poi doversi giustificare? Ogni rampollo maschio è prezioso in casa Ruffalo e poi mio nonno ha lasciato ad ogni nipote un fondo fiduciario: a ventuno anni me ne sono rifuggito via, dopo avere fatto qualsiasi lavoro per mantenermi e specializzarmi come infermiere, nel settore psichiatrico … Lavavo i piatti, ero uno sguattero, ho fatto di tutto” – rise – “… ed ogni tanto il mio vecchio arrivava con le sue Mercedes, facendomi fare certe figure … Mentivo sul mio cognome o meglio usavo quello di mamma”

“Lei ti vuole bene?”

“Insomma … Non le ho dato nipoti, con cui sentirsi utile, sai com’è” – sospirò – “… del resto questa circostanza mi ha fatto perdere anche Niall”

“Niall e Kevin sono due idioti …” – mormorò assonnato.

“Sta facendo effetto … Ora rilassati …”

“Sto bene qui … E’ una casa davvero bella, sai Mark?”

“Sì, i soldi dei Ruffalo sono stati ben spesi, credo … In ogni caso, Niall è stato sincero con me ed io non rispondevo alle sue aspettative … Con Kevin invece … Non so, fa ancora male, ci siamo incontrati nel modo sbagliato, temo”

“Lo sarà in eterno … Il modo sbagliato, con Glam presente”

“Quando si ama così visceralmente una persona, non si riesce a dimenticarla, ad accantonarla, ad andare avanti … Tu dovresti saperlo Jay, sia per Colin, che per Geffen …” – asserì dolce, inforcando gli occhiali, per spostarsi verso quella montagna di scartoffie.

“Dove vai?” – chiese apprensivo il cantante.

“Rimango qui, tu dormi, ok? Devo smaltire questa rogna … Per i miei studenti”

“Ok … Poi ordiniamo del sushi, ti va? Offro io Mark” – propose con rinnovata vivacità.

“D’accordo” – replicò pacato Ruffalo, smarcando le risposte sbagliate sui fogli, che teneva tra le dita, saldamente.




La bimba tese le manine verso quel filo, non abbastanza lungo, tra lei ed il suo palloncino, fermatosi tra i rami di un albero maestoso.

Kevin la stava osservando, così la madre, incurante delle sue lamentele, perché troppo impegnata a litigare con qualcuno al telefonino.

Il bassista stava per alzarsi, ma si fermò, notando l’arrivo di Geffen, che sorrise alla piccola, prendendola in braccio, sino a portarla a quel suo agognato gioco, per il quale si stava disperando.

Glam era anche così: ti permetteva di avere successo, con il suo sostegno amorevole, così com’era accaduto con la carriera di Kevin, ai tempi di Haiti.

Il musicista precipitò per pochi istanti in quei ricordi, relativamente lontani, finché almeno non percepì l’aroma buono, di chi ancora amava, contro ogni buon senso di preservazione sentimentale.

“Ti ricordi di questo posto, Kevin?” – domandò lui, sereno, accomodandosi al suo fianco, senza avvicinarsi più di tanto.

L’ex fece un cenno veloce, con il volto contratto, quanto il resto del suo corpo muscoloso e tonico.

“Come potrei dimenticarlo?”

“Dovresti solo in parte, sai? Quella parte da quel periodo ad oggi, un periodo in cui mi ripeti sempre, sei stato felice, con me, Kevin, giusto?”

“Certo … Io non rinnego nulla …”

“Bene” – Geffen sorrise – “… io non mi arrendo con te”

“Prima o poi troverai qualcuno, che ti dirà di no, Glam” – e rise scostante.

“Ma non sarai tu” – concluse.

Fissandolo.




Forse aveva dormito ore, forse molto meno, ma quando Jared aprì le palpebre, un po’ gonfie, Ruffalo aveva appena finito di sbrigare il proprio lavoro da prof.

“Ehi, bentornato” – e gli sorrise, gli occhi liquidi.

“Ciao … Sono svenuto?”

“Non credo, stavi russando” – e la sua risata riempì la stanza, mescolata ad un secondo suono.

Quello della suoneria di Jared.

“E’ il mio … E’ nel taschino del giubbotto, me lo prenderesti Mark?” – chiese gentile.

“Certo, tu rimani lì, potresti avere un leggero capogiro” – si raccomandò premuroso, porgendogli il cellulare ultra piatto.

“E’ Colin … Sì pronto?”

“Ciao Jay, volevo avvisarti che siamo arrivati … Ti avevo cercato a casa e”

“Mi controlli?” – lo interruppe brusco.

Ci fu un breve silenzio.

“No … No, affatto, ma …” – Farrell deglutì a vuoto – “… Ma vorrei sapere dove ti trovi, ecco” – e tentò di mantenere la calma.

“Sono con Mark, nel suo loft” – replicò secco.

“Mark?”

“Mark Ruffalo, ci siamo incontrati per caso al Lax, io ero lì per parlarti, per … Per niente, visto che tu sei a Parigi ed io qui”

“Potevi farti vedere, cazzo!”

“Avevi l’aria di uno che non vedeva l’ora di andarsene, quindi l’ho considerato inutile e poi stavo da cani, se proprio vuoi saperlo Cole!”

I toni schizzarono al soffitto, davanti all’imbarazzo di Ruffalo.

“Ora come stai? E perché sei da lui, non sapevo vi frequentaste …”

“Ma cosa vai a pensare??! Mark è un amico, è una persona straordinaria, mi ha letteralmente soccorso! Cosa credi che stavamo scopando?? Finiscila di trattarmi di merda, ok Colin?!” – ruggì.

Era paonazzo.

“Passamelo miseria schifosa, voglio parlare con lui!” – ribatté livido l’irlandese.

“No tu parli con me, non con Mark!”

Ruffalo gli tese la mano e Jared si ammutolì, ripassandogli l’Iphone.

“Sì, sono Mark, buonasera Colin …” – lo salutò pacato.

“Buonasera Mark … Non volevo alzare la voce, potresti dirlo a Jared?”

“Sì lo farò, appena tornerà qui: sta fumando una sigaretta sul balcone e trema come un pulcino”

Quella descrizione fu tenera e Farrell ebbe una fitta allo stomaco.

“Grazie per esserti preso cura di mio marito”

“Nessun problema, però dovreste stare un po’ insieme, chiarirvi, se posso permettervi di dire la mia … Voi che potete, fatelo”

“Sono via per lavoro, non certo per … Lasciamo stare”

“Siete distanti, questa è l’unica verità e sei tu ad averlo voluto, anche se a piena ragione, da come dice Jared”

“Avete una bella confidenza se”

“No: no, Colin, è che con uno sconosciuto si parla a ruota libera, senza condizionamenti”

“Sconosciuto? A me non sembra” – obiettò aspro.

Mark sorrise – “La vostra reciproca gelosia è segno che vi amate, nonostante qualsiasi crisi, dopo tutto questo tempo, sai?”

“Vorrei dirti che ci arrivavo anche per conto mio a questa conclusione, ma non voglio litigare con te!”

“Fare l’antipatico con il sottoscritto serve a ben poco, infatti: non metterti al livello di Geffen, ho già ricevuto la mia dose di tracotanza, da parte sua, in Svizzera. Abbiamo un nemico comune, tu ed io, a quanto pare”

“Sei andato da Kevin …?!” – quasi sussurrò, perplesso.

“Se ci tieni a qualcuno, non devi mai perdere tempo … A me è andata male, spero non sia così anche per te, Colin. Arrivederci.”









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