Capitolo n. 126 – life
Jared si prese un caffè
alle macchinette, appartandosi tra una colonna ed una vetrata in plexiglass,
attraverso la quale poteva guardare l’andirivieni di persone, pronte a partire
oppure appena arrivate al Lax.
Il fatto è che non
riusciva a muoversi, ad andarsene da lì, dopo avere visto sparire Colin dalla
propria vista.
Gli sembrò di scorgerlo
almeno un paio di volte ancora, prima di rassegnarsi e provare ad alzarsi, ma
la debolezza vinceva sul suo desiderio di vaporizzarsi, per non sentire più
quel logorante assillo, tra la gola e lo sterno, dove appoggiò l’enorme
bicchiere della sua bevanda, oltre modo bollente ed intatta.
Poi si accorse di lui,
appena giunto in quel caos di teste e voci, la barba incolta, gli occhi assonnati,
ma apparentemente soddisfatti per essere tornato in quella città di folli.
“Mark …” – e fu
unicamente un sussurro, quello del leader dei Mars, mentre posava esitante i
polpastrelli sul vetro.
Fu un attimo e Ruffalo
gli si parò davanti, dopo avere aggirato quell’ostacolo tra loro.
“Jared ciao, ma cosa ci
fai tu qui?” – domandò con un sorriso, non rendendosi subito conto del suo
stato di disagio.
“Cole è andato … Sì,
per lavoro, in Francia, ma è andato … senza di me, non ha voluto che lo
seguissi ed io volevo salutarlo, ma non ci sono riuscito” – spiegò alienato nei
toni, come se avesse ingerito degli psicofarmaci.
“Jared hai preso
qualcosa? Dei barbiturici?!” – chiese allarmato il docente.
“No, no … E’ la mia
tristezza a farmi sembrare così … E’ l’abbandono, ma lo merito sai?” – e si
scompose in un pianto, comunque dignitoso, senza alcun eccesso.
Ruffalo lo raccolse,
con la sua innata gentilezza nei modi garbati, anche di chi era abituato ad
assistere i più deboli.
“Tesoro ora ti porto a
casa, chiamo un taxi, ok?”
Leto annuì, seguendolo
docile, sentendosi più in forze, in sua presenza.
Ruffalo era
rassicurante e sapeva dire le cose giuste, anche se quell’approccio affettuoso
ed intimo, andava ben oltre la loro semplice conoscenza.
Chiamarla amicizia,
adesso, sembrò ad entrambi la forma migliore, da donare alla reciproche
sensazioni di fiducia e complicità, ormai solide.
Il breve spostamento,
verso il loft di Mark, fu come un galleggiare, per Leto, in sensazioni sempre
più deprimenti.
Riuscì a mala pena a
spiegare che non avevano litigato, lui ed il marito, che era stato Colin a
motivare con la massima calma, ciò di cui aveva bisogno: “Starsene senza di me,
in santa pace, direi … Giusto?”
Così i suoi zaffiri
diventarono più guardinghi, un po’ nervosi ed arrabbiati.
“Tu l’hai visto, Glam,
con Kevin?” – domandò brusco, mentre salivano in ascensore, ma Ruffalo non
aveva voglia di parlarne; non subito.
“Ci mettono tanto …”
Downey si tormentava le
dita, l’anello nuziale, la fede del rinnovo delle promesse, insomma tutto ciò
che di simbolico, aveva rimesso all’anulare sinistro, segno tangibile di come
Jude fosse rientrato nella sua vita, per non andarsene più.
“No Robert, è normale
…” – provò a rassicurarlo Geffen, mentre Kevin fremeva per andarsene.
Odiava quel posto,
l’odore di ospedale, le chiamate per le emergenze, che interrompevano la
filodiffusione, gracchiante di musica obsoleta e tediosa.
“Daddy io andrei” – li
interruppe di colpo.
Perché
si ostinava a chiamarlo in quel modo?
Semplicemente perché
era un qualcosa, che gli viveva dentro, pensò Downey, senza alcun astio o
rivalità.
Con Kevin era più
semplice, era come un ulteriore figlio, per Glam, nulla di paragonabile allo
spettro di Jared: e poi non erano più affari suoi.
Lui amava Jude.
Voleva Jude.
Avrebbe risposato Jude.
Molto presto.
“Sì tesoro, magari stai
con i bimbi, che ne pensi Kevin?” – propose dolce l’uomo, che non avrebbe
smesso di corteggiarlo.
Kevin era suo.
Suo e basta.
“Penso che dovresti
telefonare a Jared” – lo sorprese, come un colpo basso.
“Come, scusa?!”
“Perché ti ostini a
trattarmi in questo modo? A farmi sentire importante, quando tutti sappiamo che
è Jared quello che desideri, che è lui al primo posto, anche se ora l’hai
relegato al ruolo di amante? Un po’ squallido, non credi Glam? O pensi di non
essere mai visto o notato, nelle tue manovre, come ad Aspen? Gli ronzavi
intorno come un’ape sul miele!”
“Forse ne ho fatto
indigestione di questo miele, ci hai mai pensato?” – bissò secco, ma nei suoi turchesi
c’era un coinvolgimento, che turbava Kevin, come mai ci era riuscito nessuno.
“Sei … Sei
insopportabile!” – scoppiò, fuggendo poi, senza esitare oltre.
Mark gli massaggiò
l’interno dell’avambraccio destro, disinfettando una porzione di pelle, esente
da tatuaggi.
“E’ un blando
tranquillante, dopo ti sentirai meglio: ti fidi di me, Jared?” – e sorrise,
preparando un’iniezione.
“Sei tu il dottore …”
Ruffalo rise leggero,
dando un pizzicotto alla siringa – “Non mi sono laureato, non in quello almeno,
con grande delusione da parte di Scott … Bei tempi o quasi” – ed inspirò.
Una foto dei due,
spiccava su di un mobile, in tinta noce scuro, molto in contrasto con gli
arredi moderni circostanti.
Leto si era allungato
sul divano centrale, quello a quattro posti, più penisola, dove Mark aveva
lasciato uno scatolone, pieno zeppo di test di ammissione da correggere e
vistare.
“Non sapevo che vi
conoscevate così bene, tu e Scott”
“Non hai risposto alla
mia domanda …”
“Quale Mark?”
“Se ti fidi di me”
“Certo” – ed un bel
sorriso sostenne quell’affermazione del leader dei Mars, che inclinò la testa,
affondando un po’ di più nel cuscino tinta porpora.
“Ok … Fatto, ora
piegalo, così, non dovrebbe sanguinare”
“Non ho sentito nulla”
“Bene … Con Scott, comunque,
eravamo un bel team: certo io studiavo, lui dedicava un po’ di tempo
all’insegnamento e poi entrare in ospedale a fargli da aiuto, rappresentava un
obiettivo estremamente ambito, tra noi pivelli” – narrò assorto.
“E poi cosa accadde?”
“Una disgrazia … Il mio
compagno di stanza morì di overdose: voleva vincere ogni competizione, ma per
sostenere certi ritmi iniziò ad abusare di certe droghe … Io me ne resi conto,
ma non riuscii a fermarlo: avrei dovuto denunciarlo al rettore, fare qualcosa,
spingerlo a ricoverarsi, però non …” – si adombrò, commuovendosi.
Jared gli accarezzò la
spalla – “Era il tuo ragazzo?”
“No, no, lui non era
gay … Però ci volevamo bene, lui mi difendeva, sapeva ogni dettaglio di me …
Era un tipo in gamba, massiccio, una roccia, pronta a sgretolarsi, ma io non
volevo ammetterlo, a quanto pare … Me ne tornai a casa, dopo la sua morte, non
ne volli più sapere di Los Angeles e del dottorato in chirurgia”
“Tu sei un Ruffalo,
quelli del petrolio …”
“Oh sì, i re del
barile, mai sopportati … Mio padre e mio zio sono così tronfi, che non sono mai
riuscito a stare nella stessa stanza con loro per più di dieci minuti”
“Ti hanno ripudiato?”
“No, per carità, per
poi doversi giustificare? Ogni rampollo maschio è prezioso in casa Ruffalo e
poi mio nonno ha lasciato ad ogni nipote un fondo fiduciario: a ventuno anni me
ne sono rifuggito via, dopo avere fatto qualsiasi lavoro per mantenermi e
specializzarmi come infermiere, nel settore psichiatrico … Lavavo i piatti, ero
uno sguattero, ho fatto di tutto” – rise – “… ed ogni tanto il mio vecchio
arrivava con le sue Mercedes, facendomi fare certe figure … Mentivo sul mio
cognome o meglio usavo quello di mamma”
“Lei ti vuole bene?”
“Insomma … Non le ho
dato nipoti, con cui sentirsi utile, sai com’è” – sospirò – “… del resto questa
circostanza mi ha fatto perdere anche Niall”
“Niall e Kevin sono due
idioti …” – mormorò assonnato.
“Sta facendo effetto …
Ora rilassati …”
“Sto bene qui … E’ una
casa davvero bella, sai Mark?”
“Sì, i soldi dei Ruffalo
sono stati ben spesi, credo … In ogni caso, Niall è stato sincero con me ed io
non rispondevo alle sue aspettative … Con Kevin invece … Non so, fa ancora
male, ci siamo incontrati nel modo sbagliato, temo”
“Lo sarà in eterno … Il modo sbagliato, con Glam presente”
“Quando si ama così
visceralmente una persona, non si riesce a dimenticarla, ad accantonarla, ad
andare avanti … Tu dovresti saperlo Jay, sia per Colin, che per Geffen …” –
asserì dolce, inforcando gli occhiali, per spostarsi verso quella montagna di
scartoffie.
“Dove vai?” – chiese
apprensivo il cantante.
“Rimango qui, tu dormi,
ok? Devo smaltire questa rogna … Per i miei studenti”
“Ok … Poi ordiniamo del
sushi, ti va? Offro io Mark” – propose con rinnovata vivacità.
“D’accordo” – replicò
pacato Ruffalo, smarcando le risposte sbagliate sui fogli, che teneva tra le
dita, saldamente.
La bimba tese le manine
verso quel filo, non abbastanza lungo, tra lei ed il suo palloncino, fermatosi
tra i rami di un albero maestoso.
Kevin la stava
osservando, così la madre, incurante delle sue lamentele, perché troppo
impegnata a litigare con qualcuno al telefonino.
Il bassista stava per
alzarsi, ma si fermò, notando l’arrivo di Geffen, che sorrise alla piccola,
prendendola in braccio, sino a portarla a quel suo agognato gioco, per il quale
si stava disperando.
Glam era anche così: ti
permetteva di avere successo, con il suo sostegno amorevole, così com’era
accaduto con la carriera di Kevin, ai tempi di Haiti.
Il musicista precipitò
per pochi istanti in quei ricordi, relativamente lontani, finché almeno non
percepì l’aroma buono, di chi ancora amava, contro ogni buon senso di
preservazione sentimentale.
“Ti ricordi di questo
posto, Kevin?” – domandò lui, sereno, accomodandosi al suo fianco, senza
avvicinarsi più di tanto.
L’ex fece un cenno
veloce, con il volto contratto, quanto il resto del suo corpo muscoloso e
tonico.
“Come potrei
dimenticarlo?”
“Dovresti solo in
parte, sai? Quella parte da quel periodo ad oggi, un periodo in cui mi ripeti
sempre, sei stato felice, con me, Kevin, giusto?”
“Certo … Io non rinnego
nulla …”
“Bene” – Geffen sorrise
– “… io non mi arrendo con te”
“Prima o poi troverai
qualcuno, che ti dirà di no, Glam” – e rise scostante.
“Ma non sarai tu” –
concluse.
Fissandolo.
Forse aveva dormito
ore, forse molto meno, ma quando Jared aprì le palpebre, un po’ gonfie, Ruffalo
aveva appena finito di sbrigare il proprio lavoro da prof.
“Ehi, bentornato” – e gli
sorrise, gli occhi liquidi.
“Ciao … Sono svenuto?”
“Non credo, stavi
russando” – e la sua risata riempì la stanza, mescolata ad un secondo suono.
Quello della suoneria
di Jared.
“E’ il mio … E’ nel
taschino del giubbotto, me lo prenderesti Mark?” – chiese gentile.
“Certo, tu rimani lì, potresti
avere un leggero capogiro” – si raccomandò premuroso, porgendogli il cellulare
ultra piatto.
“E’ Colin … Sì pronto?”
“Ciao Jay, volevo
avvisarti che siamo arrivati … Ti avevo cercato a casa e”
“Mi controlli?” – lo interruppe
brusco.
Ci fu un breve
silenzio.
“No … No, affatto, ma …”
– Farrell deglutì a vuoto – “… Ma vorrei sapere dove ti trovi, ecco” – e tentò
di mantenere la calma.
“Sono con Mark, nel suo
loft” – replicò secco.
“Mark?”
“Mark Ruffalo, ci siamo
incontrati per caso al Lax, io ero lì per parlarti, per … Per niente, visto che
tu sei a Parigi ed io qui”
“Potevi farti vedere,
cazzo!”
“Avevi l’aria di uno
che non vedeva l’ora di andarsene, quindi l’ho considerato inutile e poi stavo
da cani, se proprio vuoi saperlo Cole!”
I toni schizzarono al
soffitto, davanti all’imbarazzo di Ruffalo.
“Ora come stai? E perché
sei da lui, non sapevo vi frequentaste …”
“Ma cosa vai a
pensare??! Mark è un amico, è una persona straordinaria, mi ha letteralmente
soccorso! Cosa credi che stavamo scopando?? Finiscila di trattarmi di merda, ok
Colin?!” – ruggì.
Era paonazzo.
“Passamelo miseria
schifosa, voglio parlare con lui!” – ribatté livido l’irlandese.
“No tu parli con me,
non con Mark!”
Ruffalo gli tese la
mano e Jared si ammutolì, ripassandogli l’Iphone.
“Sì, sono Mark,
buonasera Colin …” – lo salutò pacato.
“Buonasera Mark … Non
volevo alzare la voce, potresti dirlo a Jared?”
“Sì lo farò, appena
tornerà qui: sta fumando una sigaretta sul balcone e trema come un pulcino”
Quella descrizione fu
tenera e Farrell ebbe una fitta allo stomaco.
“Grazie per esserti
preso cura di mio marito”
“Nessun problema, però
dovreste stare un po’ insieme, chiarirvi, se posso permettervi di dire la mia …
Voi che potete, fatelo”
“Sono via per lavoro,
non certo per … Lasciamo stare”
“Siete distanti, questa
è l’unica verità e sei tu ad averlo voluto, anche se a piena ragione, da come
dice Jared”
“Avete una bella
confidenza se”
“No: no, Colin, è che
con uno sconosciuto si parla a ruota libera, senza condizionamenti”
“Sconosciuto? A me non
sembra” – obiettò aspro.
Mark sorrise – “La
vostra reciproca gelosia è segno che vi amate, nonostante qualsiasi crisi, dopo
tutto questo tempo, sai?”
“Vorrei dirti che ci
arrivavo anche per conto mio a questa conclusione, ma non voglio litigare con
te!”
“Fare l’antipatico con
il sottoscritto serve a ben poco, infatti: non metterti al livello di Geffen,
ho già ricevuto la mia dose di tracotanza, da parte sua, in Svizzera. Abbiamo
un nemico comune, tu ed io, a quanto pare”
“Sei andato da Kevin …?!”
– quasi sussurrò, perplesso.
“Se ci tieni a
qualcuno, non devi mai perdere tempo … A me è andata male, spero non sia così
anche per te, Colin. Arrivederci.”
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