Capitolo n. 130 – life
La scena andò a
ripetersi più volte, tutte uguali.
Pochi passi, sopra ad
un terreno indefinibile, per consistenza e colore, poi il vuoto ed una mano,
che Jared non riusciva mai ad afferrare.
Una mano minuscola.
Ed infine la propria
voce, che rimbombava distante, per poi divenire un urlo di angoscia, mentre
vedeva intorno a sé volti sconosciuti e non, anche quel Coleman, il fratello di
lui e persino lo zio, che aveva abusato di Leto ragazzino.
Persone
cattive.
Cattive.
E quell’urlo, in un’unica
parola.
§
Papà!! §
Jared era terrorizzato,
perché le loro mani si agitavano a scatti, intorno al suo corpo martoriato di
ferite, come a volerlo catturare e non lasciarlo andare più via da quel luogo
orribile.
Di
nuovo la luce, i passi e quella manina.
Inafferrabile.
“Soldino …”
La voce di Glam era
esausta.
Il bimbo se ne stava
composto, su di un davanzale, le palpebre tremolanti ed infine schiuse di
colpo, sul padre angosciato.
“E’ troppo lontano
adesso … E’ … difficile papà … E’ così spaventato”
“Mio Dio …” – inspirò Geffen,
crollando ai suoi piedi.
Quel corridoio era
deserto e le sedie in fila, vuote.
“Dobbiamo salire in
reparto, voglio parlare con Colin, chiedere se gli hanno detto qualcosa: sono
otto ore che Jay è sotto ai ferri!” – sbottò agitato.
Soldino lo prese per
mano, alzandosi – “Vedrai che troverò un modo …” – e gli sorrise, ma nulla
riusciva a rassicurare l’uomo.
In compenso Lula
sciolse le sue bende, cancellando i segni delle ferite, che Glam si era procurato,
nel vano e disperato tentativo di estrarre Jared dall’auto accartocciatasi nell’urto,
con il camion dei pompieri.
Una suora, in transito,
si accorse di quella manovra, facendosi il segno della croce, per poi
rifugiarsi in un anfratto, bisbigliando impaurita – “…Vous êtes un diable ou un
ange?!”
Soldino non le diede
alcuna risposta, andandosene svelto insieme al padre verso gli ascensori, che,
provvidenziali, erano già fermi al loro piano.
I numeri scorrevano,
illuminandosi sulla tastiera in acciaio ed una voce metallica annunciò che
erano arrivati in chirurgia d’urgenza.
Una volta scesi, Lula
raggiunse con una corsetta Robert e Pepe, in una sezione dedicata ai piccoli,
che non potevano accedere oltre una porta scorrevole, al di là della quale si
entrava in corsia degenze, dove un letto vuoto, alla 317, stava ancora
aspettando Jared.
Farrell stava
aggiornando il cognato, appoggiato al muro, senza più energie e non solo per
quel trasferimento precipitoso, insieme a Tomo.
“Jay è sempre stato
prudente alla guida, non so come mai non si sia fermato ai semafori, di sicuro
non era ancora scattato il rosso e poi io stavo accostando, lui di certo
avrebbe parcheggiato, come me, perché dovevamo vederci”
“Sì, ok Colin, però non
capisco come mai ti seguisse … Cioè avevi sbagliato strada?” – chiese confuso,
accorgendosi di Geffen, a pochi metri da loro.
“Ero … ero arrivato
dalla direzione opposta” – e deglutì a vuoto – “ed ho fatto inversione, dopo
averlo visto, ma non era solo” – il suo ricordo si cristallizzò, in una realtà,
che non collimava con il suo resoconto.
Eppure l’irlandese si
sentì in buona fede, parola dopo parola, come se una parte di sè avesse rimosso
un senso di colpa lancinante, che non poteva condividere con Glam, non del
tutto, almeno.
Farrell non sapeva cosa
fosse accaduto, tra questi e Jared, davanti a quell’edicola.
Si girò di scatto,
percependo la presenza del suo eterno avversario.
“Tu … Tu non devi
rimanere qui” – sibilò acre, gettandosi su Geffen, per colpirlo e vomitargli
addosso il proprio dolore ingestibile.
“Perché l’hai baciato,
cosa gli hai detto per farlo piangere, avanti dimmelo!!?”
Era fuori controllo,
completamente.
Shan e Tomo si
guardarono, straniti.
Poi il batterista andò
a dividerli, aiutato anche da Ruffalo, appena sopraggiunto.
Colin lo scaraventò da
una parte, come un furia – “E tu cosa cazzo vuoi??! Cosa centri tu con Jared,
con me, CON NOI??!!”
Mark non proferì una
sillaba, incassando quella spinta e gli insulti, che ne seguirono.
Geffen non si oppose
all’attacco di Farrell, subendo a propria volta pugni e schiaffi.
Ne avrebbe presi a
centinaia, se solo fosse servito a riportare Jared ad un minuto prima di quel
semaforo, a farlo accostare oppure a non farlo ripartire in quella maniera,
tenendolo tra le braccia: l’unico posto, dove Leto si sarebbe sentito sicuro,
per l’ennesima volta.
“Ci siamo incontrati
per caso … Ma cosa cambia, ora?” – rivelò in lacrime l’avvocato.
“TU cambi le cose, ogni
dannata volta che ti metti in mezzo!!”
Erano finiti tutti sul
pavimento, tranne Tomo e Shannon, che si adoperarono per sollevarli e sedare
gli animi.
Ruffalo era
mortificato, mentre Geffen lo scrutava, interrogativo.
“Sei tu che sei rimasto
accanto a Jay, in questo periodo?” – domandò di botto.
Mark annuì – “Io non ho
fatto nulla di male, nulla di ciò che state pensando voi, sì, anche tu, Colin”
“Nessuno ti ha chiesto
niente!” – ringhiò, mentre un’equipe in camice bianco, si stava avvicinando.
Il primario, l’uomo più
maturo del gruppo, si rivolse a Mark, in un Inglese perfetto.
“Lei è Ruffalo? E’ un
piacere conoscerla, appena mi hanno detto che era qui, ho interrotto il mio
lavoro per venirla a ringraziare: almeno uno della sua famiglia, intendo, perché
suo padre e suo zio sono dei filantropi davvero riservati; tutta questa nuova
ala, la dobbiamo a loro, come di certo saprà” – e gli sorrise, stringendogli la
mano.
“Sì, mia madre me ne ha
parlato, anche se ci sentiamo di rado”
Era sincero.
Come al solito.
“Bene, so che ha un parente
qui da noi, il terribile incidente in centro”
“No, no, è un caro
amico, però qui ci sono il fratello ed il marito di Jared Leto, glieli
presento, professor Cotain …”
Il clima si rasserenò
per forza.
“Il signor Farrell e
lui è Shannon Leto …” – Mark fece le presentazioni.
“I miei figli sono
vostri fans” – il luminare sorrise bonario – “… e del vostro caro, ma adesso
veniamo alle buone notizie, anche se minime, però occorre aggrapparsi ad ogni
filo di speranza, perché è già un miracolo, che il paziente sia vivo” –
puntualizzò più serio.
“La prego, mi dica che
Jared se la caverà” – lo implorò Colin.
Il medico ebbe un’esitazione,
guardando Tomo e Glam.
“Parli pure, loro sono
mio cognato e …” – Farrell prese un respiro, fissando Glam – “… e lui è Geffen,
Glam Geffen, una delle persone più importanti nella vita di Jared, come un
padre, per capirci”
Glam rimase zitto.
“Va bene … Insomma
siete la sua famiglia, è giusto che sappiate a cosa andrete incontro: Jared
riesce a respirare da solo, la pressione arteriosa è un po’ alta, per lo shock,
ma anche per un turbamento emotivo, che neppure i farmaci riescono a stemperare”
“Si rende conto di
quanto gli è capitato? Soffre?” – chiese concitato Shan.
“Direi che è
consapevole, sì, ma per il dolore stiamo facendo il possibile: ha una caviglia
rotta, tre costole incrinate ed una spezzata, che gli ha perforato il polmone
destro, una lesione non grave, a cui abbiamo rimediato chirurgicamente con
esito più che buono …”
“Quindi il problema è
il trauma cranico?”
“Sì Mr. Farrell”
“Mi chiami Colin, la
prego”
“Colin lei deve mettere
in conto anche il peggio, anche se l’ematoma subdurale è stato aspirato, non
potremo sciogliere la prognosi per le prossime trentasei, quarantotto ore”
“Fate ciò che va fatto
e non abbandonate il mio Jared … Non permettete che ci lasci, io non posso
neppure pensarci” – singhiozzò, sorretto da Tomo.
Shannon si era
accovacciato contro la parete.
Geffen era rimasto
fermo e dimenticato, contro ai vetri della camera sterile, che avrebbe accolto
da lì a pochi minuti, ciò che rimaneva del ragazzo, di cui era ancora perdutamente
innamorato.
Cotain scosse il capo
brizzolato d’argento – “Tra un paio di giorni sapremo se Jared vivrà, dopo di
che capiremo se come prima oppure …” – e si morse le labbra – “… Oppure in una
condizione vegetativa … Irreversibile.”
I tetti della città
stavano per essere inghiottiti dalle prime tenebre, di quell’interminabile
giornata.
Geffen si era seduto su
di un muretto, lo sguardo assente, nel cui turchese, si specchiavano le luci,
che andavano ad accendersi, ad intervalli quasi regolari, sotto di lui.
L’odore di una
sigaretta, lo distrasse.
Era Mark.
“Ne vuoi una?”
“No, grazie …” – disse piano.
Era come se stesse
disturbando il mondo, come se fosse tutta colpa sua.
Una sensazione
sgradevole, che spesso lo aveva colto in passato, nelle più disparate
circostanze.
Talvolta senza ragione
alcuna.
Ruffalo sbuffò,
buttando fuori il fumo – “Avevo smesso … Per il cuore, anche se questo vizio
non può aggravare la mia malformazione”
“Non l’avevi risolta?” –
domandò con indifferenza.
Neppure capiva perché Mark
si trovasse lì.
“I dottori dicono di
sì, ma mai fidarsi completamente” – sorrise intimidito dalla sua figura
massiccia, ora in piedi, le braccia muscolose e tatuate, tese verso la
balaustra, le dita artigliate ad essa, un anello, cimelio di famiglia, pensò l’ex
infermiere, un orologio costoso, un bracciale, intrecciato da un bimbo, all’apparenza.
“Non ti fidi neppure di
Cotain?” – bissò brusco, puntandolo esigente di ottenere una risposta
esaustiva.
“Brancola nel buio, non
potrebbe essere altrimenti: nonostante i progressi dell’ultimo decennio, il
cervello umano resta un mistero inviolabile”
“So di persone
risvegliatesi dal coma dopo anni”
“Certo, la più recente
un mese fa, una donna, trentasei mesi di eclissi … Io preferisco definirla così
… Altri, una morte senza sogni”
“No, Jared sta
sognando, sta tentando di tornare indietro, di salvarsi e Lula” – poi si
interruppe di netto.
“Lula?” – sussurrò Ruffalo,
incuriosito.
“Kevin non ti ha mai
detto niente, di nostro figlio?”
“So che è uscito da una
situazione del genere, ma l’ho letto sui giornali Glam: come vedi, qualcuno
riesce a ristabilirsi al cento per cento” – ed arrise a quell’epilogo, da
augurare anche a Jared, senza riserve.
“No, non si tratta di
questo … In parte sì, però …” – e si strofinò la faccia stanca ed ispida.
“Perché non ti riposi
un po’?” – propose dolce il texano, non insistendo su Lula.
Questo piacque a
Geffen: l’indole di Mark era saggia e di buon senso: ecco perché Jared gli si
era affezionato così tanto, dedusse, senza gelosie.
“Lula possiede un dono,
la sua è una stirpe dotata di un potere, legato ai suoi antenati ed ai riti di
magia bianca: soldino farà il possibile, per riportarci Jay, te lo assicuro” –
svelò, con emozione, commuovendosi.
“Io ti credo Glam … Ora
scendiamo a prenderci un caffè e poi andremo da Jared: lui mi ha raccontato che
tu gli sei stato accanto nei periodi più oscuri della sua esistenza, come
avrebbe fatto un genitore premuroso e capace: lui ti ama, visceralmente ed ha
bisogno sia si te, che di Colin, non ho dubbi” – affermò con pacatezza e
maturità solide.
“Colin non me lo
permetterà” – replicò affranto, senza più trattenere le lacrime, al pensiero di
perdere Leto.
“Lui farà cosa va
fatto: il bene di Jared. Dovrete parlare con lui, fargli sentire la vostra
presenza costante, il vostro amore”
“Sia Colin che io,
paradossalmente, abbiamo vissuto l’esperienza dell’incoscienza, lui per un
ictus, io per un cancro”
“So anche questo …
Jared è stato un fiume di confidenze, lo ammetto”
“Sì, lui è così … Parla
già al mattino presto, ti ubriaca con la sua gioia di”
Fu come un flash ad
ammutolirlo: l’immagine dello schianto e di Jared, privo di sensi, martoriato
tra lamiere, fumo, pioggia, fu come un proiettile, al centro del suo petto
spazioso.
Geffen si accasciò, la
vista debole, il respiro in affanno.
“Non può morire … Non
deve …”
Mark lo raggiunse e lo
strinse.
“Il tuo dolore non è
meno importante: Colin e chiunque dovrà averne rispetto Glam. Io so cosa hai
fatto per loro, per ognuno di loro. Cerca di ricordartene anche tu, ok?”
Geffen annuì sconvolto.
Dopo un minuto se ne
andarono.
Aveva ricominciato a
piovere.
Di
nuovo.
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