Capitolo n. 129 – life
Pioggia.
Traffico congestionato,
ora di punta, ma Jared non si lasciò spaventare da quei dettagli.
Aveva noleggiato
un’auto, dotata di un sistema satellitare semplice da usare: stava infatti
accompagnando Mark al simposio, dopo di che si sarebbe recato all’incontro con
Farrell.
“Colin sta girando, penso
ne avrà ancora per un po’…” – spiegò il cantante, con una febbre gioiosa nella
voce.
“Come ha reagito al tuo
arrivo qui?”
“Al telefono era
emozionato, quanto me … Come se ci dessimo un primo appuntamento, ecco” – e
quasi arrossì.
Ruffalo lo stava
fissando.
Era incantevole ed era
persino riuscito a mangiare decentemente, a bordo del jet di Meliti, senza che
il professore insistesse più di tanto.
“Eccoci arrivati, ti
ringrazio Jay … In bocca al lupo” – e fece per scendere, un po’ troppo
velocemente, come se il suo sedile scottasse.
All’improvviso.
“Ehi, aspetta un attimo
Mark” – Leto lo frenò, brandendogli l’avambraccio sinistro.
L’uomo si voltò,
ricevendo un bacio a fiori di labbra, innocente, ma colmo di gratitudine.
“Non dimenticherò ciò
che hai fatto per me … Per noi, Mark”
Ruffalo arrise al suo
candore.
“Non ho fatto nulla di
speciale: a questo penserete voi, tu e Colin, ne sono certo” – e se ne andò,
dopo averlo abbracciato forte.
Gli sarebbe mancato,
una volta tornati a Los Angeles, dove le tessere del mosaico sarebbero tornate
a posto, così loro, alle rispettive vite ed abitudini, perdendosi di vista.
Ruffalo ne era quasi
sicuro.
Senza rancore.
Lula sgranò i propri
fanali, sul rammarico di Kevin, in ginocchio davanti a lui, rimasto in piedi,
al centro di una saletta, all’interno dell’aeroporto parigino.
“Tu salirai su di un
nuovo aereo, vero papà? E succederà adesso, non rimarrai con noi, giusto?”
Geffen e gli altri
erano poco distanti, ad attendere soldino, senza fretta.
Senza lacrime, per
quanto potevano, almeno Glam, solido nella sua benevolenza verso l’ex, con il
quale aveva scambiato un saluto civile, composto.
Quasi una formalità,
dopo il loro dialogo al bistrot, dove il bassista non gli aveva risparmiato
niente.
Come Geffen, del resto,
sapeva di meritare.
“Amore mio, non starò
via molto … Ho solo bisogno di un po’ di tempo e questo tempo lo dedicherò a
bambini come sei tu, come lo eri ad Haiti, orfani, in Africa, al campo base
dove zio Scott va ogni anno …”
“Ci sono stati anche
zio Jay e zio Colin” – Lula sorrise a metà.
“Già … Forse è un luogo
di espiazione oppure di pace, non so ancora”
“Tu sarai all’altezza e
tornerai da noi, con tanto amore nel cuore, con i loro sorrisi, le voci e …” –
Lula chiuse gli occhi, riaprendoli, un po’ sognante – “… penso che incontrerai
una persona speciale” – e fece un saltello, mentre le loro dita erano
saldamente intrecciate.
Kevin lo avvolse, con
il vigore della disperazione, che lo stava logorando.
“Mi perdoni Lula?” –
chiese commosso.
“Per cosa?” – e la
carezza, che il figlio gli donò, era il gesto migliore, di cui Kevin avesse
bisogno.
“Ora vado”
“E’ giusto così papake …
Fai buon viaggio.”
Richard era livido di
rabbia, così Taylor, nello scorrere le pagine di quell’articolo, sul proprio
tablet.
Si erano barricati nel
loft di Kitsch, assediati dai fotografi di altre testate, nonché dal legale di
Sonia, che minacciava querele per comportamento inadeguato e la revoca della
patria potestà, per Geffen jr.
“Non lo farà mai …” –
provò a tranquillizzarlo Taylor.
“E’ così incazzata, tu
non hai idea amore” – e si rifugiarono l’uno nel petto dell’altro, sul divano.
“Dobbiamo andarcene da
qui Tay” – aggiunse l’architetto, svuotato di energie.
Il cellulare di Michael
risultava inesistente, la sua sim era stata quindi annullata, pensò Ricki, ma
per Antonio non sarebbe stato difficile scovarlo.
“Lascia perdere Meliti,
non scherziamo! Anche tuo padre può adire a vie legali, senza azioni di forza e
ti prego di giurarmi che questo casino non degenererà oltre, Ricky!” – quasi lo
implorò.
“Devo parlare con papà,
lui è in Europa, forse questo macello non gli è ancora arrivato alle orecchie …
Io gli ho scritto una e-mail per aggiornarlo sulle mie scelte, però non mi ha
dato risposta”
“Forse è concentrato su
Jude, del resto ha dei problemi di salute, che vengono prima di qualsiasi
gossip, ritengo”
Richard lo scrutò.
“Hai provato a
sentirlo? Law, intendo”
“No … Perché dovrei?” –
e rise nervoso.
“Ok … Perdonami, non è
il caso di lasciarmi prendere dalla gelosia retroattiva”
“Non ce n’è motivo,
Ricky, te lo assicuro.”
Hopper gli fece una
sintesi di quanto stava infuocando i tabloid locali.
“Ora stai calmo, ok
Glam?”
Erano in video chiamata
e tutti ascoltavano, dopo avere preso posto su di un van, guidato da Vas verso
la clinica privata, dove Jude sarebbe rimasto ricoverato per una settimana.
“Hai parlato con Ricky?”
“Sì, è da Taylor e sto
curando il suo fascicolo, per il divorzio da Sonia, credo tu lo sappia”
“Sì, mi ha informato,
però non ci siamo ancora sentiti, non c’è stato il tempo” – ed inspirò greve.
“Come pensi di agire?”
“L’unico problema è
Flemming, sta patrocinando la mia ex nuora, delira sull’affido dei miei nipoti”
“E questo Michael? E’
impazzito, forse? Sta dando sfogo al suo livore verso Richard, perché ha
lasciato la moglie per Taylor e non per lui, mi pare evidente”
“Fai ragionare
Flemming, io penserò a Michael ed a quel maiale del suo direttore, è da un
pezzo, che mi perseguita!” – sbottò acre.
Lula e Pepe si
guardarono.
Il loro papà faceva
davvero paura, quando si alterava così, si bisbigliarono reciprocamente.
Geffen percepì il loro
disagio e li raggiunse, raccogliendoli tra le sue ali, con un sorriso ritrovato
in una frazione di secondo – “Ehi cuccioli, non fate caso a me, sapete che
nessuno deve toccare chi amo”
“Okkeiii papi, ma noi i
compiti li abbiamo fatti eh!” – esclamò Peter, facendo ridere l’intera
compagnia.
Jared si guardò
intorno.
Le nuvole nel cielo si
stavano diradando, però soffiava un vento sostenuto e ben presto un nuovo
temporale si sarebbe abbattuto sulla città, così vociava la gente intorno.
L’edicolante ritirò
alcune ceste, colme di giocattoli e peluche.
Il leader dei Mars si
ripromise di comprarne alcuni, per il suo rientro alla End House.
Insieme a Colin.
Colin che non si vedeva
ancora, imbottigliato in una coda, causata dai lavori in corso sul boulevard
principale.
L’irlandese imprecò, provando
ad avvisare il compagno, ma le linee funzionavano a singhiozzo, già dalla sera
precedente.
“Nessun segnale,
maledizione!”
Quel rendez vous lo
faceva scalpitare: Jared gli mancava troppo, era come in carenza di ossigeno e
di pessimo umore, dal suo arrivo, anche sul set, dove persino il regista si era
lamentato con Claudine.
Jared aveva l’aria un
po’ smarrita, con il passare dei minuti ed una lieve angoscia si stava
impadronendo delle sue sensazioni, che entrarono in fibrillazione, appena si
accorse di Geffen, scendere da un furgone e dirigersi verso di lui.
“Glam …?!”
“Tesoro, ma cosa ci fai
tu qui?!”
Ormai erano vicini, sul
marciapiede, tra una folla, che stava fuggendo a causa di un acquazzone già
annunciato.
Loro rimasero immobili,
mentre Vas ripartiva, su istruzioni del suo capo.
“Sono qui per Colin” –
puntualizzò secco, come se si fosse ripreso da un torpore estatico.
“Robert mi ha detto che
è nei paraggi, per un film, però non credevo che tu”
“Parlate alle mie
spalle, che carini che siete!” – bissò caustico.
Il front man pensò che
Kevin fosse su quel pulmino, che si fosse riappacificato con l’ex, pensò una
marea di cose, senza sapere se avessero fondamento o meno: dall’atteggiamento
di Geffen, tutto gli apparve confuso.
“Nessuno di noi ha
certe abitudini … Sei di pessimo umore, vedo”
“No, affatto, anzi, sto
trepidando di riabbracciare mio marito, se proprio vuoi saperlo” – e deglutì a
vuoto, cercando Farrell con lo sguardo.
Inutilmente.
“D’accordo, io credevo
fossi in difficoltà e”
“Quella in cui tu mi
hai lasciato? Ho avuto accanto degli amici meravigliosi, non sono poi così solo
come credete tu ed i tuoi soci, Glam”
“Perché sei così acido?!”
“Io non voglio più
discutere con te, non serve ad un cazzo, tanto mi tratti come uno zerbino ed io
non ci sono né abituato e neppure condannato quanto Kevin!”
“E’ lui il problema?
Non temere, mi ha piantato ed era ciò che anche tu speravi, visto che in quello
siete perfettamente identici!”
“A chi frega chi ha
mollato chi, tanto sei tu quello che tiene i fili, ma noi non siamo più i tuoi
burattini, vai a rifarti altrove, ok? E lasciami in pace!” – gli urlò a muso
duro.
Geffen rimase immobile,
per un istante, poi gli sfiorò un fianco e Jared tremò, ormai fradicio quanto
lui.
“Non ci capiremo mai,
tu ed io, Jay …” – disse con il fiato spezzato.
“Glam …”
“No, va bene così,
anche se comportarsi in questo modo, proprio dove ci siamo detti per la prima volta
ti amo, fa così male, tu non ne hai idea, pensi a Colin, lui mi ha sempre
sopraffatto e tu mi hai schiacciato sotto una montagna di sensi di colpa”
“Non rimproverarmi, non
serve: ci siamo fatti troppo male e non riusciamo che a darci il peggio”
“Non è vero Jay e tu lo
sai, ma stai rinnegando ogni cosa, pazienza … Ne ho ancora, sai?” – e rise
mesto, tamponandosi gli zigomi roventi.
Leto si ossigenò,
chiudendosi nelle spalle, le braccia incrociate sull’addome.
Sentiva un freddo
assurdo.
Geffen si spostò verso
il chiosco, ormai in chiusura, diede del denaro al gestore ed acquistò
qualcosa.
Era un ombrello.
Lo aprì, porgendolo a
Jared, che avvampò.
“Tieni, servirà più a
te, che a me” – poi alzò la mano, facendo un gesto ad un taxi in transito, che
accostò.
“Glam …”
L’ombrello cadde e Leto
si appese al suo collo, singhiozzando.
Geffen gli diede un
bacio, staccandolo poi da sé, come se si strappasse il cuore, per come lo stava
guardando.
Così Farrell, appena parcheggiatosi
al lato opposto della carreggiata.
Aveva abbassato il
finestrino, per chiamare Jared, ma quella scena lo bloccò.
Ripartì, sgommando e
facendo un’inversione a U, che attirò l’attenzione di Leto, come se gli
avessero appena dato una frustata ad un centimetro dal viso, sfigurato dalla
tensione emotiva.
“Cole … Colin!!”
Salire in macchina fu
un attimo, mettere in moto, accelerare, prendendosi qualche insulto dai pochi
automobilisti in transito.
Il taxi era ancora
fermo, su richiesta di Geffen, che non riusciva ad abbandonare quel luogo.
“Senta, segua quella
Ford, per favore …”
“Oui monsieur”
L’autista si avviò, più
cauto, perché di prendersi multe non se ne parlava: ne aveva già a sufficienza
per un prossimo ritiro della patente, se avesse ulteriormente sgarrato.
“Non può andare un po’
più forte, le pagherò un supplemento!” – domandò, agitandosi l’avvocato.
L’andatura di Jared era
pericolosa, soprattutto su quel fondo scivoloso ed infido, tra tombini e
dissesti di ogni genere.
“Ci sono i semafori, si
dovrà fermare, così lo raggiungeremo, non si preoccupi”
Farrell li aveva appena
oltrepassati, in uno spiazzo piuttosto largo, dove si immettevano ben quattro
vie laterali.
Jared schiacciò sull’acceleratore,
pensando – “Ce la faccio è ancora arancione” – e poi gli sembrò non ci fosse
nessuno.
Colin rallentò,
concentrato sullo specchietto retrovisore: era meglio chiarirsi e smetterla di
giocare a guardie e ladri.
Quella similitudine gli
balenò nella mente, perché era stato il gioco preferito di James ed Henry.
La memoria gli stava
giocando il più classico degli scherzi, inquinando di malinconia e suggestione,
quella sua rabbia così genuina ed istintiva, addirittura territoriale, quando
si trattava di Jared.
Jared che non era poi
così distante.
Jared che si sarebbe
fermato poco dietro di lui, scendendo per precipitarsi da Colin: era questo il
fotogramma impresso nelle iridi scure dell’attore.
Doveva
essere così.
Se non fosse stato per
quel boato sordo.
Una camionetta dei
pompieri, con le sirene guaste, che si stava immettendo in quel maledetto
incrocio, centrò in pieno la vettura del leader dei Mars.
Così avrebbero
raccontato le edizioni serali, alla radio, in tv, online.
Gli airbag erano
esplosi, proteggendo come potevano il corpo di Leto, non assicurato alla sua
postazione dalle cinture di sicurezza.
Un’imprudenza, che lo
fece schiantare contro il parabrezza, come un manichino senza alcuna
resistenza.
Completamente inerme.
Colin Farrell avrebbe
ricordato per sempre le pulsazioni alla nuca ed alle tempie, mentre correva
sulla scena dell’incidente, così i rumori ovattati e poi roboanti, come le
grida di Glam, che tentò inutilmente di aprire le portiere, tagliandosi mani e
polsi, per la foga di liberare Jared.
Il
suo Jared.
Le cui gote pallide,
erano tempestate da un reticolato di graffi e lesioni, non certo pericolosi
come l’emorragia interna, che stava per farlo morire.
Quello che ne seguì fu
il caos.
Un vigile del fuoco
impugnò la sega circolare, recuperata dal suo mezzo in fiamme e cominciò a tagliare
le lamiere, insultando chiunque lo ostacolasse.
Le ambulanze arrivarono
immediatamente.
Glam e Colin furono
spinti in un angolo, sotto ad una pensilina dei bus, perché non servivano.
Venne loro ripetuto,
come una sentenza, pensò Geffen.
Un infermiere gli
medicò i tagli, l’unico essere umano con una parvenza di gentilezza, in quel
delirio.
“In quale ospedale lo
state portando?” – chiese Colin, sconvolto ed alienato.
“Al Saint Louis è il
più vicino ed è attrezzato per questo tipo di emergenze, hanno da poco allestito
due sale operatorie all’avanguardia ed un centro di rianimazione d’eccellenza …
Potete seguirci, stiamo per partire …”
“Jared!!” – Farrell fece
uno scatto verso la barella, ma c’era troppa gente intorno, a reggere flebo, un
monitor, un defibrillatore senza fili: era stato usato almeno un paio di volte.
Il cuore di Jared si
era fermato.
Due volte.
Una
per Colin.
Una
per Glam.
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