venerdì 12 giugno 2015

LIFE - CAPITOLO N. 129

Capitolo n. 129 – life



Pioggia.
Traffico congestionato, ora di punta, ma Jared non si lasciò spaventare da quei dettagli.

Aveva noleggiato un’auto, dotata di un sistema satellitare semplice da usare: stava infatti accompagnando Mark al simposio, dopo di che si sarebbe recato all’incontro con Farrell.

“Colin sta girando, penso ne avrà ancora per un po’…” – spiegò il cantante, con una febbre gioiosa nella voce.

“Come ha reagito al tuo arrivo qui?”

“Al telefono era emozionato, quanto me … Come se ci dessimo un primo appuntamento, ecco” – e quasi arrossì.

Ruffalo lo stava fissando.
Era incantevole ed era persino riuscito a mangiare decentemente, a bordo del jet di Meliti, senza che il professore insistesse più di tanto.


“Eccoci arrivati, ti ringrazio Jay … In bocca al lupo” – e fece per scendere, un po’ troppo velocemente, come se il suo sedile scottasse.

All’improvviso.

“Ehi, aspetta un attimo Mark” – Leto lo frenò, brandendogli l’avambraccio sinistro.

L’uomo si voltò, ricevendo un bacio a fiori di labbra, innocente, ma colmo di gratitudine.

“Non dimenticherò ciò che hai fatto per me … Per noi, Mark”

Ruffalo arrise al suo candore.

“Non ho fatto nulla di speciale: a questo penserete voi, tu e Colin, ne sono certo” – e se ne andò, dopo averlo abbracciato forte.

Gli sarebbe mancato, una volta tornati a Los Angeles, dove le tessere del mosaico sarebbero tornate a posto, così loro, alle rispettive vite ed abitudini, perdendosi di vista.

Ruffalo ne era quasi sicuro.
Senza rancore.




Lula sgranò i propri fanali, sul rammarico di Kevin, in ginocchio davanti a lui, rimasto in piedi, al centro di una saletta, all’interno dell’aeroporto parigino.

“Tu salirai su di un nuovo aereo, vero papà? E succederà adesso, non rimarrai con noi, giusto?”

Geffen e gli altri erano poco distanti, ad attendere soldino, senza fretta.

Senza lacrime, per quanto potevano, almeno Glam, solido nella sua benevolenza verso l’ex, con il quale aveva scambiato un saluto civile, composto.

Quasi una formalità, dopo il loro dialogo al bistrot, dove il bassista non gli aveva risparmiato niente.
Come Geffen, del resto, sapeva di meritare.

“Amore mio, non starò via molto … Ho solo bisogno di un po’ di tempo e questo tempo lo dedicherò a bambini come sei tu, come lo eri ad Haiti, orfani, in Africa, al campo base dove zio Scott va ogni anno …”

“Ci sono stati anche zio Jay e zio Colin” – Lula sorrise a metà.

“Già … Forse è un luogo di espiazione oppure di pace, non so ancora”

“Tu sarai all’altezza e tornerai da noi, con tanto amore nel cuore, con i loro sorrisi, le voci e …” – Lula chiuse gli occhi, riaprendoli, un po’ sognante – “… penso che incontrerai una persona speciale” – e fece un saltello, mentre le loro dita erano saldamente intrecciate.

Kevin lo avvolse, con il vigore della disperazione, che lo stava logorando.

“Mi perdoni Lula?” – chiese commosso.

“Per cosa?” – e la carezza, che il figlio gli donò, era il gesto migliore, di cui Kevin avesse bisogno.

“Ora vado”

“E’ giusto così papake … Fai buon viaggio.”




Richard era livido di rabbia, così Taylor, nello scorrere le pagine di quell’articolo, sul proprio tablet.

Si erano barricati nel loft di Kitsch, assediati dai fotografi di altre testate, nonché dal legale di Sonia, che minacciava querele per comportamento inadeguato e la revoca della patria potestà, per Geffen jr.


“Non lo farà mai …” – provò a tranquillizzarlo Taylor.

“E’ così incazzata, tu non hai idea amore” – e si rifugiarono l’uno nel petto dell’altro, sul divano.

“Dobbiamo andarcene da qui Tay” – aggiunse l’architetto, svuotato di energie.

Il cellulare di Michael risultava inesistente, la sua sim era stata quindi annullata, pensò Ricki, ma per Antonio non sarebbe stato difficile scovarlo.

“Lascia perdere Meliti, non scherziamo! Anche tuo padre può adire a vie legali, senza azioni di forza e ti prego di giurarmi che questo casino non degenererà oltre, Ricky!” – quasi lo implorò.

“Devo parlare con papà, lui è in Europa, forse questo macello non gli è ancora arrivato alle orecchie … Io gli ho scritto una e-mail per aggiornarlo sulle mie scelte, però non mi ha dato risposta”

“Forse è concentrato su Jude, del resto ha dei problemi di salute, che vengono prima di qualsiasi gossip, ritengo”

Richard lo scrutò.

“Hai provato a sentirlo? Law, intendo”

“No … Perché dovrei?” – e rise nervoso.

“Ok … Perdonami, non è il caso di lasciarmi prendere dalla gelosia retroattiva”

“Non ce n’è motivo, Ricky, te lo assicuro.”




Hopper gli fece una sintesi di quanto stava infuocando i tabloid locali.

“Ora stai calmo, ok Glam?”

Erano in video chiamata e tutti ascoltavano, dopo avere preso posto su di un van, guidato da Vas verso la clinica privata, dove Jude sarebbe rimasto ricoverato per una settimana.

“Hai parlato con Ricky?”

“Sì, è da Taylor e sto curando il suo fascicolo, per il divorzio da Sonia, credo tu lo sappia”

“Sì, mi ha informato, però non ci siamo ancora sentiti, non c’è stato il tempo” – ed inspirò greve.

“Come pensi di agire?”

“L’unico problema è Flemming, sta patrocinando la mia ex nuora, delira sull’affido dei miei nipoti”

“E questo Michael? E’ impazzito, forse? Sta dando sfogo al suo livore verso Richard, perché ha lasciato la moglie per Taylor e non per lui, mi pare evidente”

“Fai ragionare Flemming, io penserò a Michael ed a quel maiale del suo direttore, è da un pezzo, che mi perseguita!” – sbottò acre.

Lula e Pepe si guardarono.

Il loro papà faceva davvero paura, quando si alterava così, si bisbigliarono reciprocamente.

Geffen percepì il loro disagio e li raggiunse, raccogliendoli tra le sue ali, con un sorriso ritrovato in una frazione di secondo – “Ehi cuccioli, non fate caso a me, sapete che nessuno deve toccare chi amo”

“Okkeiii papi, ma noi i compiti li abbiamo fatti eh!” – esclamò Peter, facendo ridere l’intera compagnia.




Jared si guardò intorno.

Le nuvole nel cielo si stavano diradando, però soffiava un vento sostenuto e ben presto un nuovo temporale si sarebbe abbattuto sulla città, così vociava la gente intorno.

L’edicolante ritirò alcune ceste, colme di giocattoli e peluche.

Il leader dei Mars si ripromise di comprarne alcuni, per il suo rientro alla End House.

Insieme a Colin.

Colin che non si vedeva ancora, imbottigliato in una coda, causata dai lavori in corso sul boulevard principale.

L’irlandese imprecò, provando ad avvisare il compagno, ma le linee funzionavano a singhiozzo, già dalla sera precedente.

“Nessun segnale, maledizione!”

Quel rendez vous lo faceva scalpitare: Jared gli mancava troppo, era come in carenza di ossigeno e di pessimo umore, dal suo arrivo, anche sul set, dove persino il regista si era lamentato con Claudine.


Jared aveva l’aria un po’ smarrita, con il passare dei minuti ed una lieve angoscia si stava impadronendo delle sue sensazioni, che entrarono in fibrillazione, appena si accorse di Geffen, scendere da un furgone e dirigersi verso di lui.

“Glam …?!”

“Tesoro, ma cosa ci fai tu qui?!”

Ormai erano vicini, sul marciapiede, tra una folla, che stava fuggendo a causa di un acquazzone già annunciato.

Loro rimasero immobili, mentre Vas ripartiva, su istruzioni del suo capo.

“Sono qui per Colin” – puntualizzò secco, come se si fosse ripreso da un torpore estatico.

“Robert mi ha detto che è nei paraggi, per un film, però non credevo che tu”

“Parlate alle mie spalle, che carini che siete!” – bissò caustico.

Il front man pensò che Kevin fosse su quel pulmino, che si fosse riappacificato con l’ex, pensò una marea di cose, senza sapere se avessero fondamento o meno: dall’atteggiamento di Geffen, tutto gli apparve confuso.

“Nessuno di noi ha certe abitudini … Sei di pessimo umore, vedo”

“No, affatto, anzi, sto trepidando di riabbracciare mio marito, se proprio vuoi saperlo” – e deglutì a vuoto, cercando Farrell con lo sguardo.

Inutilmente.

“D’accordo, io credevo fossi in difficoltà e”

“Quella in cui tu mi hai lasciato? Ho avuto accanto degli amici meravigliosi, non sono poi così solo come credete tu ed i tuoi soci, Glam”

“Perché sei così acido?!”

“Io non voglio più discutere con te, non serve ad un cazzo, tanto mi tratti come uno zerbino ed io non ci sono né abituato e neppure condannato quanto Kevin!”

“E’ lui il problema? Non temere, mi ha piantato ed era ciò che anche tu speravi, visto che in quello siete perfettamente identici!”

“A chi frega chi ha mollato chi, tanto sei tu quello che tiene i fili, ma noi non siamo più i tuoi burattini, vai a rifarti altrove, ok? E lasciami in pace!” – gli urlò a muso duro.

Geffen rimase immobile, per un istante, poi gli sfiorò un fianco e Jared tremò, ormai fradicio quanto lui.

“Non ci capiremo mai, tu ed io, Jay …” – disse con il fiato spezzato.

“Glam …”

“No, va bene così, anche se comportarsi in questo modo, proprio dove ci siamo detti per la prima volta ti amo, fa così male, tu non ne hai idea, pensi a Colin, lui mi ha sempre sopraffatto e tu mi hai schiacciato sotto una montagna di sensi di colpa”

“Non rimproverarmi, non serve: ci siamo fatti troppo male e non riusciamo che a darci il peggio”

“Non è vero Jay e tu lo sai, ma stai rinnegando ogni cosa, pazienza … Ne ho ancora, sai?” – e rise mesto, tamponandosi gli zigomi roventi.

Leto si ossigenò, chiudendosi nelle spalle, le braccia incrociate sull’addome.

Sentiva un freddo assurdo.

Geffen si spostò verso il chiosco, ormai in chiusura, diede del denaro al gestore ed acquistò qualcosa.

Era un ombrello.

Lo aprì, porgendolo a Jared, che avvampò.

“Tieni, servirà più a te, che a me” – poi alzò la mano, facendo un gesto ad un taxi in transito, che accostò.

“Glam …”

L’ombrello cadde e Leto si appese al suo collo, singhiozzando.

Geffen gli diede un bacio, staccandolo poi da sé, come se si strappasse il cuore, per come lo stava guardando.

Così Farrell, appena parcheggiatosi al lato opposto della carreggiata.

Aveva abbassato il finestrino, per chiamare Jared, ma quella scena lo bloccò.

Ripartì, sgommando e facendo un’inversione a U, che attirò l’attenzione di Leto, come se gli avessero appena dato una frustata ad un centimetro dal viso, sfigurato dalla tensione emotiva.

“Cole … Colin!!”

Salire in macchina fu un attimo, mettere in moto, accelerare, prendendosi qualche insulto dai pochi automobilisti in transito.

Il taxi era ancora fermo, su richiesta di Geffen, che non riusciva ad abbandonare quel luogo.

“Senta, segua quella Ford, per favore …”

“Oui monsieur”

L’autista si avviò, più cauto, perché di prendersi multe non se ne parlava: ne aveva già a sufficienza per un prossimo ritiro della patente, se avesse ulteriormente sgarrato.

“Non può andare un po’ più forte, le pagherò un supplemento!” – domandò, agitandosi l’avvocato.

L’andatura di Jared era pericolosa, soprattutto su quel fondo scivoloso ed infido, tra tombini e dissesti di ogni genere.

“Ci sono i semafori, si dovrà fermare, così lo raggiungeremo, non si preoccupi”


Farrell li aveva appena oltrepassati, in uno spiazzo piuttosto largo, dove si immettevano ben quattro vie laterali.

Jared schiacciò sull’acceleratore, pensando – “Ce la faccio è ancora arancione” – e poi gli sembrò non ci fosse nessuno.

Colin rallentò, concentrato sullo specchietto retrovisore: era meglio chiarirsi e smetterla di giocare a guardie e ladri.

Quella similitudine gli balenò nella mente, perché era stato il gioco preferito di James ed Henry.

La memoria gli stava giocando il più classico degli scherzi, inquinando di malinconia e suggestione, quella sua rabbia così genuina ed istintiva, addirittura territoriale, quando si trattava di Jared.

Jared che non era poi così distante.

Jared che si sarebbe fermato poco dietro di lui, scendendo per precipitarsi da Colin: era questo il fotogramma impresso nelle iridi scure dell’attore.

Doveva essere così.

Se non fosse stato per quel boato sordo.

Una camionetta dei pompieri, con le sirene guaste, che si stava immettendo in quel maledetto incrocio, centrò in pieno la vettura del leader dei Mars.

Così avrebbero raccontato le edizioni serali, alla radio, in tv, online.

Gli airbag erano esplosi, proteggendo come potevano il corpo di Leto, non assicurato alla sua postazione dalle cinture di sicurezza.

Un’imprudenza, che lo fece schiantare contro il parabrezza, come un manichino senza alcuna resistenza.

Completamente inerme.

Colin Farrell avrebbe ricordato per sempre le pulsazioni alla nuca ed alle tempie, mentre correva sulla scena dell’incidente, così i rumori ovattati e poi roboanti, come le grida di Glam, che tentò inutilmente di aprire le portiere, tagliandosi mani e polsi, per la foga di liberare Jared.

Il suo Jared.

Le cui gote pallide, erano tempestate da un reticolato di graffi e lesioni, non certo pericolosi come l’emorragia interna, che stava per farlo morire.

Quello che ne seguì fu il caos.

Un vigile del fuoco impugnò la sega circolare, recuperata dal suo mezzo in fiamme e cominciò a tagliare le lamiere, insultando chiunque lo ostacolasse.

Le ambulanze arrivarono immediatamente.

Glam e Colin furono spinti in un angolo, sotto ad una pensilina dei bus, perché non servivano.

Venne loro ripetuto, come una sentenza, pensò Geffen.

Un infermiere gli medicò i tagli, l’unico essere umano con una parvenza di gentilezza, in quel delirio.

“In quale ospedale lo state portando?” – chiese Colin, sconvolto ed alienato.

“Al Saint Louis è il più vicino ed è attrezzato per questo tipo di emergenze, hanno da poco allestito due sale operatorie all’avanguardia ed un centro di rianimazione d’eccellenza … Potete seguirci, stiamo per partire …”

“Jared!!” – Farrell fece uno scatto verso la barella, ma c’era troppa gente intorno, a reggere flebo, un monitor, un defibrillatore senza fili: era stato usato almeno un paio di volte.


Il cuore di Jared si era fermato.

Due volte.

Una per Colin.


Una per Glam.






Nessun commento:

Posta un commento