Capitolo n. 251 – zen
Louis fu svegliato
dalle carezze di Harry.
Il compagno,
assonnato e caldissimo, lo stava baciando nel collo, dove aveva dimenticato le
proprie labbra dalla sera prima, dopo avere fatto l’amore con Boo almeno due
volte.
I suoi singulti
arrivavano al cuore del giovane, ormai rapito da ogni sua attenzione scabrosa,
che lo invadeva tra le gambe, nella bocca, opprimendo dolcemente il suo corpo
più esile, rispetto a quello di Styles, sempre più palestrato.
Ci teneva ad essere
al meglio per il suo Louis, ma anche per un misto di vanità personale, di cui
non si vergognava affatto.
Era cambiato.
Come Louis del resto.
“Dobbiamo impegnarci,
sai …? Per il nostro bambino ... Boo sei così … Dio mio!” – gemette forte,
traboccando nell’altro, con il vigore dei suoi anni acerbi, ma consapevoli.
Louis aveva perso il
senso del tempo e dello spazio.
Tutto ruotava intorno
ad Harry e lui ne era felice.
Le paure le aveva
lasciate alle spalle.
Forse.
Brent era indeciso
tra una cravatta rosso cardinale ed una seconda blu notte.
“Quale scelgo?” –
rise, scrutando poi il fratello piuttosto silenzioso, durante quello shopping
fuori programma.
“Ehi, sei qui con me,
Boo?”
“Scusami Brent è che
pensavo a stamattina, ad Harry” - ed arrossì.
“Ah, la faccenda
dell’adozione …” – replicò perplesso.
“So che non ti
convince la cosa Brent …” – e storse le labbra, facendo scorrere una fila di
giacche appese.
“Queste le guardiamo
dopo … Dai vieni, andiamo a berci qualcosa.”
Scesero al bar del
centro commerciale, colorato di gente e chiasso.
Si accomodarono,
ordinando bibite e patatine.
“Quindi Harry vuole
un figlio” – esordì l’ex capitano.
“Sì, ma anch’io lo
voglio” – precisò schietto Louis, controllando il cellulare.
“E’ la decima volta …
Aspetti una telefonata?” – Brent rise solare.
“No … Cioè non
saprei, ho scritto a Vincent, ma niente, anche se so che è difficile
comunicare, me lo aveva detto … E sono preoccupato”
“Volevi confidarti
con lui sull’argomento? Dovrai accontentarti di me, fratellino” – scherzò, non
senza una punta di gelosia.
“Ma dai … E’ che la
zona in cui si trova è pericolosa … Ho sentito alla tv che c’è una guerriglia
…” – bissò triste.
Brent lo scrutò.
“Sei ancora così
legato a lui … A Lux intendo”
Boo annuì sincero –
“Mi è stato accanto in un momento delicato, ha preso il posto di Haz, di papà …
Forse anche il tuo, ero terribilmente solo, mentre ora …” – e si illuminò.
“Non per questo devi
dimenticare Vincent, io questo lo capisco, credimi” – ribatté sereno.
“Non accadrà mai …
Per il progetto con Harry, comunque, non voglio affrettare i tempi … Lui dice
che avrà presto una promozione allo studio, con un aumento di stipendio …
Insomma è cresciuto così in fretta, ma sono io quello più vecchio”
“Tuo marito è sempre
stato precoce o sbaglio?”
“No, Brent … Non ti sbagli
…”
Colin domrì nell’ala
ovest anche quella notte.
Con Jared avevano
avuto una lunga discussione, appena tornati da Palm Springs.
I toni, dapprima
pacati, si erano via via infervorati, quando il confronto andò ad incagliarsi
su Kurt.
Il gesto del leader
dei Mars, poteva sembrare una semplice vendetta, ma in realtà andava ben oltre.
Nella sostanza ed in
una forma assai deprimente, Farrell paragonò la loro situazione ad una nave da
crociera, che si ostinava a solcare un mare dai fondali troppo bassi e
pericolosi.
Gli scogli
rappresentavano le tentazioni, ma si poteva oltremodo richiamare la bellezza
della barriera corallina, in cui si intrecciavano i reciproci tradimenti, con
persone avvenenti e sensuali, quali appunto Kurt, Kevin, Justin e Jimmy, amanti
addirittura di entrambi in coniugi, in un passato mai così vicino e devastante.
Glam e Shannon,
invece, rappresentavano un discorso a sé stante.
Un oceano dove, senza
alcun appiglio, il loro matrimonio rischiava di affogare definitivamente.
Inutile fuggire,
questo giro e tanto meno apporre l’ennesima rappezzatura, con un’adozione.
Di bambini a rischio
di divorzio genitoriale, ce n’erano già a sufficienza, gli aveva urlato contro l’irlandese.
Quest’ultimo, se mai
si fosse illuso, comprese sino a che punto, il loro rapporto aveva subito una
frattura insanabile, dopo Shan.
Le iridi di Jared lo
trafissero ed il peso delle colpe, su quella metaforica bilancia, oscillò dalla
parte di Colin.
Per l’ennesima volta.
L’arrivo di Geffen
allo studio, fu una gradita sorpresa per i suoi collaboratori.
Aveva lasciato alla
villa Jude e Robert con le cucciole, Diamond e Camilla, accompagnate da Pamela,
Xavier e Derado, per ricongiungersi ai padri convalescenti e terribilmente
felici di poterle riabbracciare.
Sylvie e Flora lo
accolsero entusiaste, portando tè e pasticcini, nell’ufficio di Glam, che
nessuno osava occupare.
“Fateci almeno un
archivio gente” – propose allegro l’avvocato, mentre Hopper e Denny lo
aggiornavano sommariamente sui casi recenti.
Sylvie piazzò sotto
al naso di Glam i vari dossier, puntando i dolci sul vassoio, senza sapere
resistere.
“Noto con piacere che
non badi più alla dieta” – Geffen rise e lei avvampò, smettendo di masticare
regolarmente.
“No, è che non ho
fatto colazione …”
“Non ti strozzare
Sylvie e non fare caso a me, ormai sono un brontolone … E comunque non sono
mica qui per lavorare, mi sono ritirato, queste scartoffie ve le lascio
volentieri …” – aggiunse più mesto.
Marc riempì le tazze
– “Ecco qui, come delle megere inglesi … Non era meglio un brandy o dello
champagne?”
“Per me sono vietati
… o quasi” – sottolineò con un’espressione delusa Glam, assaggiando una
ciambella alla crema – “Deliziosa … Denny che fai, digiuni?”
“No, è che devo
andare in tribunale, se mi macchio sarebbe un guaio …”
“Figurati, abbiamo
decine di cambi, vero Flora?”
“Sì, abituati
com’eravamo ai tuoi macelli Glam …” – replicò con una commossa tenerezza.
Geffen sospirò – “Tutto
cambia, mia bella signora …Tutto.”
Jared stava
assemblando un enorme puzzle.
Era stato ricavato da
una foto ingrandita di lui, Colin ed i bimbi: al termine ne avrebbe potuto fare
un quadro da appendere.
Diecimila pezzi.
Diecimila frammenti
di loro.
Se ne stava al centro
della camera dei giochi, dove venivano scartati i doni di Natale, in ginocchio
sul parquet.
Quella stanza
rappresentava un posto magico, almeno per lui.
Le finestre erano
spalancate ed i lunghi tendaggi avorio, sembravano danzare, nella brezza di
maggio inoltrato.
Colin lo osservò per
circa cinque minuti, poi chiese permesso.
“Scusami, volevo solo
avvisarti che sto per uscire Jay … Ho una riunione agli studi” – mormorò
educato.
Leto fece un cenno,
senza distrarsi, ma tirando su dal naso, il volto nascosto dai lunghi capelli
castani, dai riflessi dorati.
“Vorrei fosse pronto
per il tuo b-day Cole … mancano tante tessere … A volte non riesco a
ricomporre, ciò che mi sembra semplice … Come la tua faccia … od il tuo sorriso
…” – balbettò sul finale, come soffocato da un odioso nodo alla gola.
Farrell si piegò,
inginocchiandosi a propria volta, alle sue spalle, con il timore di toccarlo.
Accadeva di rado, ma
il senso di colpa sembrò frenare il suo innato istinto a dargli un conforto,
anche se, magari, non richiesto o gradito.
Sbagliava.
Nella sua mente,
Jared, pregava ogni singolo istante di riavere la sua comprensione, anche se
una parte di lui detestava Colin e, come in quel mosaico di cartapesta,
continuava a non comprendere i motivi di quel tradimento insieme a Shannon.
Il batterista, in
compenso, aveva preferito trasferirsi in un residence sulla costa, in attesa
che Tomo cambiasse idea sulla loro unione spezzata senza appello.
Il suo tentativo di
calmare il croato era miseramente fallito.
Il chitarrista,
infatti, non intendeva passare sopra quell’atto di puro egoismo, di insana
follia, di cui Shan si era macchiato, privo di giustificazioni valide.
Perdonarsi sarebbe
stato così bello eppure la tela era stata deturpata dalla loro scelta di non
fermarsi, di non cadere: Tomo sembrò irremovibile, ma Shan non avrebbe
rinunciato a lui tanto facilmente.
Così Farrell a Jared,
con i suoi zigomi tremanti, appena il tepore di quel mattino li sfiorò,
evidenziando delle rughe di espressione appena accennate, ma che lo facevano
sembrare ancora più sofferente.
Arrendersi a
quell’emozione, nonostante il terrore di ricevere un rifiuto, di ascoltare
l’ennesima invettiva, sembrò a Colin l’unica soluzione per non smettere di
respirare, sedando le fitte nelle tempie e nel petto, dove il suo cuore
reclamava la possibilità di andare avanti, dopo avere fatto mille sacrifici,
per non perdere Jared.
Il suo Jared.
Scivolarono di lato,
intrecciandosi gambe e braccia, baciandosi con un abbandono speculare e
bellissimo.
Infine si guardarono,
raccogliendo dal pavimento due sezioni di un fotogramma, custodito da quel
tempo, in cui nulla era impossibile.
Diversamente non
sarebbero arrivati dov’erano in quell’istante.
Nel bene e nel male.
Anzi, nel peggio.
I profili collisero,
armoniosi e perfetti.
Jared si asciugò una
lacrima, poi una seconda.
“Ci hai ritrovati
subito, Cole …”
“Ritroverei il tuo
sorriso, tra mille facce Jay … Questo dovresti saperlo …” – sorrise lieve, ma
senza più la paura di dire o fare la cosa sbagliata.
E senza neanche il
bisogno di dirgli ti amo.
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