One
shot – Il mare è blu come un’arancia
Premessa ed omaggio.
Doveroso, a Philip
Seymour Hoffman, visto il richiamo di una parte del film “Onora il padre e la
madre”, nella quale si vede un ragazzo (asiatico credo) accogliere i propri
clienti in un lussuoso loft di New York, dove dispensa loro preziose dosi di
eroina, iniettandola direttamente in vena ai diversi professionisti,
appartenenti alla categoria di “gente per bene ed in carriera” nella grande e
marcia mela.
Relativamente
all’attore, l’avevo scoperto ed adorato in Magnolia, in un’interpretazione
intensa e dolce, amato nell’irritante ruolo di giornalista del Tattler, in Red
Dragon, poi non l’ho mai seguito più di tanto, ma, alla sua morte, i vari
canali tv l’hanno ricordato, trasmettendo, tra gli altri, anche il film sopra
detto.
Un’interpretazione
notevole, dove, appunto, lo si vedeva come frequentatore di questo posto
particolare, in fuga dalla realtà, che gli andava sempre più stretta.
Nella shot, il
giovane diventa il nostro Jared Leto (semplicemente Jared), mentre gli
avventori hanno il volto di Colin Farrell, Matthew McConaughey, che impersonano
loro stessi, Chris Meloni (che anche qui sarà l’avvocato Glam Geffen, ma di
NYC) per poi arrivare a Shannon Leto (semplicemente Shan), fratello del
protagonista, ma, entrambi, in vesti totalmente diverse dalla realtà.
Il titolo, è una
battuta di un’attrice, nell’ambito di un episodio del Commissario Maigret,
senza dimenticare l’opera “Blu come un’arancia”, della straordinaria poetessa
Alda Merini.
Buona lettura e
grazie per le recensioni.
New
York, primavera del 2005
Il loft era al
ventiquattresimo piano, in quel lussuoso palazzo al centro della città.
Di solito ci si
arrivava in taxi, solo su appuntamento.
Quell’attore se ne
stava sdraiato a pancia in su, a fissare il soffitto da circa dieci minuti.
Jared, il ragazzo
dell’appartamento, gli aveva appena iniettato una dose e stava ripulendo il
ripiano in ebano, dove di solito posizionava il fornellino, per scaldare
l’eroina, in un cucchiaio, sempre di acciaio e sempre sterile.
Siringhe monouso,
ampolla di cristallo, dove spiccava il colore rosa di un liquido infiammabile,
dall’aroma persino gradevole e poi accanto, a quel piccolo arsenale, un vassoio
in argento, con la mazzetta di soldi, che Colin Farrell gli aveva appena
elargito.
Si pagava in
anticipo.
Ordine tassativo di quelli.
Jared parlava poco,
il meno possibile.
Era solito non dare
confidenza, ma lo sguardo di quel tizio lo turbava dalla prima volta, che Colin
aveva varcato la soglia di quello strano posto, segnalatogli da un collega,
Matthew McConaughey: erano entrambi ad inizio carriera artistica, frequentavano
la gente giusta della grande mela, però l’ambiente era saturo di squali e
tentazioni.
Farrell ne aveva una
paura fottuta del successo, Matt non era da meno, anche se il suo carattere
sembrava più coriaceo e strafottente.
Per esserlo, Colin,
invece, doveva attaccarsi alla bottiglia oppure alla sua razione settimanale di
polvere bianca.
Ormai ne usava di
ogni tipo, il suo armadietto in bagno sembrava una farmacia.
Tremava e sudava,
solo, nelle camera d’albergo, ma, con Jared, era tutto diverso.
“Ehi … perché non
vieni qui un attimo …?” – biascicò, strofinandosi la faccia sudata.
Gli avventori erano
soliti farsi un giro per le stanze, bere qualcosa, spogliarsi quasi
completamente e poi assopirsi su di un letto ampio, dove Jared cambiava il
lenzuolo di sotto, marcio di sudore, ad ogni giro.
Era una giostra
macabra, tendeva spesso a pensare.
Lui pensava troppo,
stando zitto, guardando quei relitti, che all’apparenza avevano tutto, ma non
possedevano altro che la propria disperazione quotidiana.
Lavori che non
piacevano, mogli che li tradivano, figli che deludevano ogni minima
aspettativa.
Jared faceva finta di
ascoltarli o meglio, di interessarsi un minimo ai loro problemi.
Dava quelle che
soleva definire come risposte standard, ad ogni loro casino, confessato senza
il timore di essere traditi.
“Allora ci vieni qui
… sì o no …?” – insistette il moro, ridacchiando e mettendosi a pancia in giù.
“No”
Jared rimase seduto
su di uno sgabello, alternando lo sguardo da un diario al panorama esterno.
Le vetrate davano su
di una vista mozzafiato.
“Cosa scrivi, le tue
memorie, ragazzino?” – Farrell storse la bocca, deluso.
“Non lo sono”
“Cosa? Memorie o tu
non sei un ragazzino?” – chiese serio.
“Entrambi” – lo
tagliò secco, sparendo in una sorta di anfratto, per riporre il denaro in
cassaforte.
“Jared … cazzo torna
qui!” – insistette debole Colin, nel suo accento di Dublino, inconfondibile.
“Ma cosa vuoi?” –
replicò un po’ stanco.
“Posso chiederti una
cosa?”
“Oggi non dormi? Non
ho voglia di parlare”
“Io sì Jared … senti
…”
Il giovane si mise a
distanza, cambiandosi quello che sembrava un kimono od una vestaglia, rivelando
un corpo asciutto e tonico.
Andò poi ad
allungarsi sopra un davanzale spazioso.
“Ti sto a sentire …”
“Ok … Ok, volevo
sapere se anche tu … sei finocchio come me”
Quel termine gli
sembrò così volgare, poi ridicolo, infine patetico.
Com’era Farrell, in
fondo.
“A scuola non ti
hanno insegnato a dire gay?”
“Cosa cambia? …
Allora lo sei o”
“No.” – replicò
secco, sparendo di nuovo chissà dove.
***
Era un uomo
bellissimo.
Anche se gli teneva
aperte le gambe, con l’arroganza della sua fisicità, ma Jared non gli opponeva
alcuna resistenza.
Glam Geffen si piegò
in avanti, sino a baciarlo.
Jared si appese al
suo collo taurino, capendo che stavano per venire.
Insieme.
In un certo senso,
poteva anche essere diverso da quell’insegnante di pallacanestro, che quando
Jared aveva sedici anni, con la scusa di un allenamento fuori orario, lo tenne
chiuso in uno sgabuzzino sino a mezzanotte, facendogli di tutto.
La cosa non finì lì.
Andò avanti per mesi.
Infine Jared lo disse
finalmente a qualcuno.
E fu un errore.
A suo fratello Shan.
“Cazzo … tu sei
incredibilmente stretto … e caldo”
Geffen gli ansimò
nella bocca, tirandolo su come se Jared fosse di carta.
Tutti gli scrivevano
addosso qualcosa o lasciavano un segno.
Incancellabile.
Jared lo baciò ancora,
forse cercando un po’ di tenerezza, perché in Glam esisteva, nascosta da
qualche parte.
Lui ne era sicuro o
voleva esserlo a tutti i costi.
Geffen preferì fargli
scendere quelle labbra perfette sino al proprio inguine.
Senza riguardo.
“Ti voglio ancora,
non vedi?” – sorrise un po’ bieco.
Perché doveva essere
così squallido?
Jared provò rabbia,
ma non si ribellò.
Era il suo migliore
cliente, era il suo legale, gratis, lo copriva passando mazzette alla polizia,
senza contare che mediava con quelli, che
costringevano Jared a fare ciò che faceva da un decennio.
Un’eternità.
Il debito, però, era
quasi estinto.
Quasi.
“Tu sei meglio di
questa merda … peccato io non riesca a fare a meno di lei e di … di te …”
Jared gli sfilò il
laccio emostatico; Geffen era quasi andato.
“Ora riposati …” –
gli disse timido, dandogli persino una carezza sulla guance arrossate.
“Non trattarmi bene,
Jared, non ci sono abituato” – rise.
“Hai litigato di
nuovo con Amber?”
“No … delle mie
cinque ex mogli è la più simpatica …” – scherzò alienato.
Jared scosse la
testa, tornando al suo trespolo.
In quel kimono
multicolore sembrava un pappagallo raro, di quelli che si vedono allo zoo.
Geffen gli fece la
battuta alla seconda seduta.
Dalla terza
cominciarono anche a scopare.
Jared non si faceva
toccare da altri.
Geffen lo avrebbe
ammazzato: glielo disse una sola volta, fatto ed ubriaco di vodka.
Eppure l’avvocato non
scherzava.
Ed a Jared fece
piacere, interessare a qualcuno.
“Torna qui …” –
l’uomo gli tese la mano.
“Per oggi basta,
Glam, sono stanco …”
“Che hai capito?
Voglio che tu stia qui e basta, cazzo” – Geffen si innervosì, ma stava per
piangere, inspiegabilmente.
Gli obbedì.
Glam lo fissò.
“Tu … tu hai gli
occhi come il mare Jared … un mare blu, come un’arancia”
***
Matthew preferiva
tirare di coca, prima di farsi.
Jared gli aveva
consigliato di smettere.
“Dovrebbe bastarti
questa”
“Figurati, per
sballarmi al meglio ho bisogno di tutte e due!” – ribatté già un po’ alterato,
saltellando sul materasso, in boxer, abbronzato ed in forma strepitosa.
Faceva un sacco di
palestra.
Era per un ruolo.
“Hai già iniziato il
film?” – domandò Jared, incolore.
“No, settimana
prossima, a Los Angeles … Non ci vedremo per un paio di mesi … dove posso
trovare qualcosa di simile anche lì?” – bissò inginocchiandosi al centro di
quel giaciglio dove nessuno sognava mai.
Jared rise.
Era insolito.
“Sono unico, mi
spiace … Comunque chiederò in giro” – lo rassicurò.
Matt lo scrutò,
inclinando di poco il volto verso destra.
Era un bel tipo.
“Che c’è?”
“Nulla … Allora è
pronta?”
Jared annuì,
avvicinandosi – “Mettiti giù, rilassati …”
“Sì ok …” – mormorò,
tirando su dal naso.
Appena Matt chiuse
gli occhi, il mondo nel suo cervello divenne viola.
Jared stava guardando
un film.
Matt dormiva.
Era inutile stargli
accanto.
Quando spuntò dal
corridoio, avvolto in un telo bianco, dalla vita in giù, Jared ebbe un
sussulto.
“Ah sei qui … Scusa,
mi sono fatto una doccia, puzzavo come una capra” – scherzò l’attore.
“Nessun problema. Hai
sete?”
“Parecchia … Mi dai
una tonica? – e si grattò la nuca, affiancandolo sopra il divano in alcantara
nero pece.
“Che guardi Jared? Ah
c’è Colin in questa pellicola qui …”
“Sì … Come sta? Non
lo vedo da giorni …” – domandò incerto.
“L’ho beccato ieri in
un club, scopa nei cessi … Era con una bionda …”
“Una donna?”
“Sì … Quando è sobrio
neppure le guarda, ma pieno di Jack Daniel non se ne lascia scappare una …” –
rivelò assorto.
“Contento lui …” –
deglutì a vuoto, passandogli la bibita.
“Grazie Jay … Ti
posso chiamare così?”
“Fai come ti pare …
Comunque dovresti andartene … tempo scaduto e c’è un’altra persona, tra poco …”
“Ma chi quel ciccione
della city? Lo becco in ascensore, puntualmente, quando scendo, sai?” – rise
fragoroso.
“Sì, lui … E’ martedì
…”
“Già … Magari ti
telefono dalla California … Che ne dici?” – domandò nervoso, mentre Jared gli
porgeva gli abiti firmati.
“Ok …”
“Che entusiasmo …”
“Fallo alla sera,
quando sono da solo …”
“Sei da solo alla
sera? Allora magari usciamo, ti va un cinema, una pizza, robe così?”
Il suo accento texano
rimbombava tra le scapole di Jared, che aveva preferito riporre la cassetta,
piuttosto che sostenere lo sguardo di Matt.
“No, scusami, non
posso … Quando torni ne riparliamo” – si voltò abbozzando un sorriso – “Ok
Matt?”
“D’accordo …” – bissò
flebile, poi si avvicinò, abbracciandolo furtivo, come il bacio, che gli stampò
sulla fronte spaziosa – “Abbi cura di te ragazzino”
***
Il campanello lo
svegliò nel cuore della notte.
Jared si precipitò al
citofono, per scoprire chi fosse.
“Sono Colin, per
favore fammi salire!!”
Era angosciato, ma
non sembrava fumato o sbronzo.
“Che cazzo ti
succede?”
“Ho fatto una
stronzata … Credo di avere investito qualcuno”
“Come credi? Eri
fatto?”
“No Jared … No, ma
stavo parlando al cellulare … questi maledetti affari!” – e scagliò il
portatile contro la parete, mandandolo in frantumi.
Anche lo stomaco di
Jared si trovava nelle stesse condizioni.
Mangiava poco e quel
poco lo vomitava, da un paio di settimane.
Aveva fatto le
analisi, anche una tac, ma, alla fine, lo specialista di turno lo definì “stato
di somatizzazione acuta”.
Da lì una valanga di
domande, un questionario, per capire le abitudini e gli stress di quel ragazzo
dagli occhi così penetranti.
Jared se ne fuggì via
dall’ambulatorio, senza esaudire la legittima curiosità del medico e senza
risolvere niente.
“Adesso datti una
calmata Colin … Miseria, ti prendo un valium”
“No, no, non prendo
quella roba, non voglio più questo schifo!!” – urlò, per poi azzerare la
distanza tra loro, fermi nel living, per abbracciarlo forte.
Forse Jared stata
solo immaginando la scena.
***
Un mese dopo …
Shannon arrise alla
sua vista, appena individuò Jared sulla panchina in fondo a quel parco, nei pressi
della clinica privata Delaware.
Si corsero incontro,
stringendosi.
“Mi ero quasi perso …
Cavoli che posto JJ …” – solo lui lo apostrofava in quel modo, da quando erano
bambini.
“Colin esce domani …
Te l’avevo scritto … Dai sediamoci …”
“Sì c’era anche
questo nella tua lettera … Oltre al resto … Non riesco ancora a crederci, che
ne siamo usciti …” – e gli cinse i polsi, scostando senza volerlo i
braccialetti, che Jared non toglieva mai: erano perfetti a celare le cicatrici,
mai sparite del tutto.
Fuori e dentro di
lui.
Solo quando venne
ricoverato, dopo essersi tagliato le vene, Shannon scoprì il suo segreto.
La sera stessa,
quell’insegnante, benvoluto, stimato, accasato con prole, finì la sua vita, tra
le mani di Shannon, che gli spezzò il collo, senza alcuna pietà.
Purtroppo non senza
testimoni.
Shan frequentava un
brutto giro, per mantenere sé stesso e Jared, abbandonati dal padre e
trascurati dalla madre, che si barcamenava tra mille lavori inconcludenti ed
umili, i cui proventi finivano puntualmente in bottiglie e sigarette.
Un’esistenza ai
margini, la loro, in un degrado malsano, da cui Jared voleva emergere andando a
scuola e non rinunciando agli studi, come il fratello.
Un contesto così
diverso, nel quale Shan lo credeva al sicuro.
I capi di quella
piccola, ma pericolosa organizzazione, lo tennero in pugno per un po’,
minacciandolo di denunciare l’omicidio e farlo marcire in galera.
Quando, però, si
accorsero di Jared, proposero un’alternativa e questi accettò, al fine di
ripagare Shannon, non solo per il cibo, i vestiti, i libri, che mai gli aveva
fatto mancare, ma, soprattutto, per averlo vendicato e liberato da
quell’incubo.
Peccato che da
quell’istante, se ne apriva uno peggiore.
Con un prezzo stimato
e stabilito, che Jared poteva estinguere adattandosi alle loro esigenze.
Era avvenente, era
scrupoloso, non si metteva nei guai e piaceva alla clientela.
Quella mattina, nei
giardini della Delaware, c’era il sole.
Un sole caldissimo.
“Colin ha pagato la
differenza … Ha saldato insomma, a Geffen direttamente …” – spiegò in lieve
imbarazzo, mentre Shan gli spostava i capelli dalle tempie.
“Geffen … Lo
frequenti ancora?”
“No … Sì è di nuovo
sposato … credo …”
“E con Colin come
va?”
“Ci stiamo conoscendo
…” – arrossì.
“Ok …” – Shan
inspirò.
“Tu e Debra? Mio
nipote quando nasce?” – domandò trepidante.
“Tra un mese … Perché
non venite a Chicago da noi, tu e Colin … Ormai è pulito, no?”
“Assolutamente sì ...
In ogni caso la nostra destinazione è Hollywood … Il suo agente dice che ho un
certo carisma … Secondo te mi prende per il culo?” – rise, tormentandosi le
dita affusolate.
“Non sbaglia … In
compenso, non credi sia una pessima idea? Hollywood intendo”
“Chissà … A me sembra
di non avere neppure vissuto in questi dieci anni, Shan … Ero come segregato,
anche se ero libero di andarmene quando volevo … Non senza lasciarti in pasto a
quelli …”
“Hai fatto troppo per
me JJ …”
“No” – e guardò oltre
le sue spalle, sorridendo – “C’è Colin”
Gli andò incontro,
lasciandosi avvolgere dalle sue braccia robuste.
Shannon li guardò a
lungo, prima di aggregarsi alle loro risa, ai discorsi carichi di aspettative.
A quel mare blu, come
un’arancia, che dalle iridi di Jared, lambiva il futuro.
Finalmente.
The End
Nessun commento:
Posta un commento