lunedì 27 aprile 2015

LIFE - CAPITOLO N. 116

Capitolo n. 116 – life



Farrell si aggiustò l’auricolare, mentre guidava e parlava con Taylor.

I gemelli dormivano sul sedile posteriore, controllati di tanto in tanto da Jared, assorto a fissare oltre il finestrino, il paesaggio che fuggiva via e mutava, chilometro dopo chilometro, dal Colorado alla California.

Si sentiva allo stesso modo, sospeso tra Colin e Glam, che li seguiva a distanza di sicurezza, ma mai abbastanza per uscire dalla vita della coppia.

Jude, Robert, Cami e Dadi condividevano l’abitacolo del suv dell’irlandese, che ora rideva, alle confidenze di Kitsch, con il quale sarebbe tornato sul set il giorno dopo.

Law dormiva, la testa appoggiata sulla spalla sinistra di Downey, che di tanto in tanto lo baciava sulla tempia, girandosi di quel poco, per scrutare Geffen, sorridente a quel contatto, mentre chiacchierava con un loquace Lula ed un vivace Pepe, impegnato a corteggiare Luna, coccolata da Tom e Chris, unitisi a loro per il rientro.

Sveva e Pam avevano preferito il van di Vas e Peter, con il resto dei bimbi, oltre a Phil e Xavier, che badavano a loro volta ai guapiti, come li definiva affettuoso lo scultore.

Harry, Louis, Liam e Zayn, con Petra ed Eric, avevano noleggiato un’auto, abbandonati ad Aspen da Lux, appena ripartito dal resort con Taylor.

Kevin e Mark avevano preso a bordo Scott e Jimmy, mentre Tim, Niall e Layla, avevano scelto lo scassatissimo fuoristrada di Hugh, che con Jim e Nasir, erano in coda, strombazzanti, in vani tentativi di sorpasso, che, in compenso, riuscivano benissimo a Brendan e Brent, solitari ed allegri sulla loro Aston Martin, comoda esclusivamente per due.


“Tutto bene tesoro?”
Ruffalo ruppe il silenzio, anche nella testa di un Kevin assente, dalla partenza.

“Sì … Sì, certo, scusami non sono di compagnia”

“Non sei l’unico” – bisbigliò simpatico, indicando con gli occhi Jimmy, con le cuffiette e Scott immerso nella lettura di un manuale di chirurgia, ricevuto il Natale precedente dalla sua equipe di infermiere.


Kevin sorrise a metà, inspirando greve, come se avesse un peso sul cuore.

“Forse preferivi viaggiare con Glam e Lula …” – accennò il professore.

“No, no, assolutamente … I miei figli, come vedi, stanno benissimo con altri” – e si riferì soprattutto a Layla.

Mark scosse il capo riccioluto e nuovamente folto – “Nessuno ti ha estromesso dalle loro vite e puoi portare i tuoi bambini da me quando vuoi, sai che li adoro” – rivelò sincero.

“Sì, sarebbe bello …” – replicò inquieto.

Ruffalo gli prese la mano, appoggiata al bracciolo, percependola gelida.

“Tu con me puoi parlare di ciò che vuoi Kevin, ok?” – aggiunse comprensivo e disponibile.

“Ok … E’ … E’ un momento delicato, ecco … Tu mi … Mi prendi parecchio” – e rise nervoso.

“E’ reciproco” – ed arrise alla propria constatazione, con un pizzico di senso di colpa, nel ricordare l’espressione di Niall, appoggiato a quello stipite, solo poche ore prima, al suo bacio sfuggente, ai suoi fanali lucidi e vibranti.

“Siamo in bilico entrambi tra due relazioni finite male, nelle quali credevamo, io poi sono reduce da un bel divorzio ed è il secondo … Fallisco puntualmente, come vedi ed ho una paura fottuta di imbarcarmi nella terza catastrofe sentimentale della mia vita” – quasi si sfogò, limpido.

“Allora sarà come la terza guerra mondiale”

“Cioè?”

“Non ci sarà mai.”




Richard era partito all’alba da Aspen, con i suoi, per raggiungere prima possibile la città.

Ormai accumulava scuse e bugie con Sonia, compresa quella levataccia mattutina, per non rimandare impegni di lavoro tanto urgenti quanto immaginari.

Usando un escamotage piuttosto ridicolo, strappò a Flora, la storica segretaria del padre, l’indirizzo di Kitsch, essendo l’attore tra i clienti dello studio, che curava la parte legale delle produzioni dove lavorava Farrell.

In quel frangente, l’architetto si sentì alla stregua del famigerato genitore, capace di ottenere qualsiasi cosa, quando si prefissava un obiettivo preciso.

E Taylor era là, ora, a pochi metri dalla sua vettura bipower, ecologica ed all’avanguardia quanto la sua attività, sempre attenta alla salvaguardia dell’ambiente e delle risorse energetiche.

Quante belle parole era in grado di dire l’affascinante architetto, anche davanti a platee numerose, ai vari congressi, dove il primogenito di Geffen era spesso ospite d’onore, per le sue ricerche costantemente innovative.

Chissà se con quel giovane, Ricky, avrebbe saputo sfoderare lo stesso carisma: il dubbio lo attanagliava, accartocciato dietro al volante, che con le dita stava stritolando.

La ragione di quel disagio, gli stava contorcendo lo stomaco.

Kitsch era sceso dalla jeep di Lux, pronto a prendergli il bagaglio e porgerglielo con gentilezza, se non che Taylor gli si appese al collo, per stampargli un bacio sulla bocca, di quelli che di dubbi non te ne lasciano.

Vincent era persino arrossito, ma, nonostante le iridi dell’altro erano un invito sfacciato a salire da lui, l’affarista sembrò rinunciarvi, congedandosi trenta secondi dopo.

Trenta secondi durante i quali Ricky non riuscì a riorganizzarsi mentalmente un discorso logico, per chiedere scusa a Taylor.

Era troppo incazzato.
Troppo geloso.
Geloso marcio.

Se ne rese pienamente conto appena raggiunse il pianerottolo dell’amico, all’attico del palazzo elegante, in cui abitava Taylor, ma in una zona lontana da quelle più  in  di L.A.

Con una spinta, Richard lo buttò nell’ingresso, costringendolo in un angolo, nella penombra, dopo avergli brandito i polsi, in una morsa febbrile, come i suoi occhi, le sue esternazioni, i suoi baci.

“Ma sei impazzito!?” – esclamò spaventato Kitsch.

“Sei stato anche con lui, avanti dimmelo!!”

“Ricky lasciami, stai dando i numeri e” – però un ulteriore bacio smorzò le sue deboli proteste.

Aveva il cuore a mille, per la sorpresa, per la gioia di sentirsi trattare in quel modo, anche se brutale ed imprevedibile.

Richard poteva essere uno psicopatico, per quanto ne poteva sapere Taylor, ma quella supposizione neppure lo sfiorò lontanamente.

“Sei una … una puttana ragazzino” – gli ansimò nel collo, infuriato, come le sue mani, nel cercare di spogliarlo.

“A te andava bene, quando è stato il tuo turno, non ho niente da rimproverarmi, ok?!” – si ribellò a quelle ingiurie, lasciandosi toccare dappertutto.

Crollarono sul parquet, seminudi, aggrovigliati e sudati.

Richard non aveva mai abbandonato le sue labbra, continuando ad inveire contro di lui ed il suo modo di comportarsi – “Ti lasceresti scopare da chiunque, non hai una morale, non hai un minimo di vergogna”

“Quello che si deve vergognare sei tu, stronzo di un bugiardo e vigliacco!” – strepitò, scalciando e punendolo con dei pugni sulla schiena, nonostante lo stesse stringendo forte a sé, con la paura che finisse, che se ne andasse, vinto dalla sua eterna paura di volare.

“Non puoi dirlo, ora sono qui!” – la sua voce si spezzò.

“E cosa vuoi da me, fottuto bastardo viziato??!” – gemette, avvolgendolo come se fossero l’uno il riflesso dell’altro, per tante ragioni, mentre lo fissava esigente.

“Io voglio te Taylor … Voglio … fare l’amore con te”

La sua risposta, rimbombò nell’addome di Kitsch, ormai senza più barriere, per arginare l’invasione virile di Ricky, che si inebriò di lui e di come fosse già bagnato e pronto a riceverlo: prepararlo fu pressoché inutile, mentre saziarsi di lui, indescrivibile, per intensità e passione.

Le stesse con cui Richard lo marchiò, con il proprio ritmo incessante, con i jeans scesi alle caviglie, mentre quelli di Taylor erano stati strappati via dalla sua furia di averlo.

Vennero insieme.
Piangendo.




La pausa per un caffè alla stazione di servizio, fu l’occasione per Ruffalo di rimanere da solo con Kevin.

Si guardarono, un po’ smarriti.

“La terza guerra mondiale … Quindi non accadrà mai, ma cosa Mark? Una nostra relazione?”

“No, mi hai frainteso: io mi riferivo all’esatto contrario, per te e per me, senza alcuna catastrofe annunciata o scontata” – gli sorrise.

“Vuoi darci questa opportunità, quindi?”

“Di cosa hai paura, Kevin? Che io ti lasci per un capriccio o chissà cosa?” – obiettò sereno.

Davanti al loro mezzo, transitarono in quell’istante Geffen, che teneva per le orecchie, divertito, Lula e Pepe, rei di qualche marachella, pensò il bassista, facendo loro un cenno.

Ruffalo deglutì a vuoto, ma non perse il proprio equilibrio.

Il passato di Kevin sarebbe stato un eterno presente, con cui fare i conti ogni giorno.

Doveva unicamente capire se ne sarebbe valsa la pena e sino a che punto.



https://www.youtube.com/watch?v=fZpMrm1YQts


Jared si appoggiò ad un muretto, dove scorrevano pubblicità, dietro ad un pannello luminoso, inserito tra la base ed il ripiano, in mattoni pieni, dove il cantante si mise seduto, le mani in tasca, gli zaffiri perduti nella brezza del tardo pomeriggio.

Il tramonto stava bussando tra le nuvole.

Forse era in arrivo un temporale.

Robert lo guardò, poi scese, dicendo a Law che avrebbe preso delle bibite per lui e le bimbe.

L’artista gli si avvicinò, con quei carboni liquidi, capaci di incantarti, come la sua dialettica, le sue espressioni tipiche ed incisive.

“E’ come se tu ed io dovessimo dirci delle cose e non ne fossimo più capaci, Jay … Cosa ci è successo?” – esordì, affiancandolo, per scrutare, quanto lui, l’orizzonte, azzurro ed arancio.

“Non lo so Rob … Tu che pensi?”

“Penso che dovremmo ritrovarci Jay … Eravamo uniti, eravamo complici” – sorrise.

“E poi? Siamo diventati rivali per colpa di Glam?” – chiese secco.

“Sicuramente sì, era inevitabile”

“E siamo stati incapaci di recuperare, dopo?”

“Dopo, Jared?” – Downey rise sarcastico – “Il dilemma, per noi, è che non ci siamo lasciati nulla alle spalle, riguardo a Glam!” – sibilò, mostrando ai passanti il suo profilo migliore.

“Parla per te!”

“Dio, ma sei ridicolo!!”

Colin li interruppe, bruscamente – “Volete un arbitro?”

Leto avvampò e Downey si ammutolì, andandosene, stizzito.

“Perché litigavate?”

“No … Noi stavamo … Lasciamo perdere Cole … Non vedo l’ora di essere a casa nostra, chiudere la porta ed archiviare questa vacanza del cazzo!”

“Devi dirmi qualcosa, Jay?” – domandò, sollevandogli il mento, con il pollice e l’indice mancini.

“Assolutamente … Mi dispiace sono irritabile, ho l’emicrania e la nausea da quando ci siamo messi in viaggio” – si lamentò, senza mentire comunque.

Farrell lo avvolse, con la consueta tenerezza – “Penso sarà l’ultima volta Jay”

“L’ultima volta per cosa, scusa?”

“Temo che l’armonia dei vecchi tempi, non tornerà più, per una serie di circostanze” – replicò tranquillo.

“E’ … è solo un periodo di crisi, di tensioni, ma la nostra famiglia ne uscirà più solida di prima!” – affermò con decisione il leader dei Mars.

Solo in apparenza: non ci credeva più neppure lui, in fondo.





 RICHARD



 ROBERT





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