Capitolo n. 113 – life
Lux si tamponò il naso
dolorante, con la salvietta, che Scott gli passò, isolatosi con lui nel bagno del
medico.
“Come sta Louis?” –
domandò assorto il francese.
“Meglio, era solo
disidratato e … brillo” – sorrise, dandogli una pacca sulla schiena – “E tu
come ti senti?”
“Uno straccio, ma ho
visto di peggio” – rise mesto – “… essere preso a pugni da un ragazzino
ipervitaminico mi mancava, comunque, nemmeno ai tempi delle ronde a Parigi”
Qualcuno bussò.
Era Styles.
“Posso?”
Scott lo fissò,
inarcando un sopracciglio, in segno di disapprovazione.
Vincent lo notò, ma
intervenne al posto suo – “Ma no, lascialo entrare, tanto ho quanto mi occorre:
disinfettante, kleenex” – provò a scherzare, amareggiato.
“Vorrei parlarti, non
prenderti a cazzotti, anche se non concepisco come ti sia potuto approfittare
di Boo ubriaco e”
“Louis ti ha raccontato
questo?” – si intromise Scott, brusco.
“Harry ha ragione, è
colpa mia, non ho saputo trattenermi” – Lux si alzò di scatto – “… quindi
chiedo scusa e me ne vado, ok? Finiamola qui!”
Styles rimase
interdetto – “Pertanto lo ammetti”
“Certo! E ti confesso
che ne ho abbastanza di voi e di questi giochetti! Salutami tuo marito e
cercate entrambe di starmi alla larga, ok?!” – ribadì aspro, puntandolo a pochi
centimetri dal volto tirato.
Harry annuì, facendolo
passare.
Faceva male, male da
morire: Vincent non capì neppure come riuscì ad arrivare all’uscita della
suite, per infilarsi nella propria, due numeri avanti a quella di Scott, con il
cuore a mille ed una voglia di urlare incontenibile.
Doveva succedere, prima
o poi ed a certe situazioni non si poteva che dare un taglio netto.
Per non soffrire più.
Per non morirne per
davvero.
Geffen si sfilò la
cravatta, slacciandosi anche quel colletto troppo stretto, mentre se ne stava
seduto nella penombra della camera di Pepe, in attesa di lui e Robert, che dopo
qualche secondo si palesò.
L’avvocato rimase
immobile sopra al bracciolo di una poltrona, sistemata vicino ad un ampio
davanzale, invaso da peluche e giocattoli.
L’attore lo colse
perduto in chissà quali pensieri, a fissare il buio, oltre ai vetri, così la
neve, ora più fitta e la fiaccolata dei maestri di sci, allineati in una
serpentina perfetta.
“Eccoci qui” – mormorò Downey,
per non svegliare la loro birba.
“Ehi …” – Glam si voltò
finalmente, sorridendo ad entrambi – “… E’ crollato?” – sussurrò amorevole,
mentre il moro glielo passava delicatamente.
“Eh già, ha fatto
merenda tardi, non so se gli andrà la pizza con Lula, Kevin e Layla”
“La mangeranno Peter e
Vas”
“Ci saranno anche loro?”
“Sai che non abbasso
mai la guardia Robert …”
“Pensi di essere ancora
in pericolo per i Mendoza?”
“Non si sa mai … Però
tu non angosciarti, d’accordo? Sono io ad essere paranoico”
“No, affatto, tu sei
semplicemente protettivo e …” – inspirò, mentre lo fissava – “… meraviglioso,
Glam”
“Credi?” – sorrise a
metà.
Pepe si stava muovendo,
sul suo petto, la testolina spalmata sulla spalla sinistra dell’avvocato – “… i
miei papà …”
“Siamo qui tesoro … Ci
saremo sempre per te, lo sai” – disse dolcemente Geffen, stringendolo un po’ di
più.
Downey guardò in basso,
poi una carezza sul proprio fianco destro, riportò i suoi pozzi liquidi su
Glam.
“Sei dimagrito …”
“Ma no … Forse qualche
chilo …” – scherzò l’artista – “… Ho qualche timore, per Jude, ad essere
sinceri”
“Come mai?”
“La sua schiena, ecco …
Ha delle fitte, dopo il trapianto e non me l’ha detto subito”
“Anche lui, come vedi,
è protettivo e vorrebbe evitarti ogni disagio, io lo capisco” – disse limpido.
“Appena torniamo a Los
Angeles vorrei si sottoponesse a delle visite, ma lui diventa scontroso sull’argomento”
– si lamentò.
“Perché ha sofferto
parecchio, in quegli ospedali, non è semplice e poi si ha paura di scoprire
chissà cosa, ma Jude starà bene, te lo garantisco: ho un amico in Svizzera, che
si occupa di queste patologie, potremmo andarci subito, anche domani Robert” –
lo rassicurò.
Downey sorrise – “Tu
sei … unico … Non mi stancherò mai di dirlo”
“A scoppio ritardato,
ma sì, lo sono, giusto un pochino”
“Glam … Stai ancora
rimuginando sulla sfuriata di Richard?”
“Sì … E’ stata dura,
non potevo difendermi, perché lui aveva ragione su ogni rimprovero”
“E sia, hai commesso
degli errori, ma adesso tu sei ciò che sei, anche grazie a questi sbagli, lo
sai, vero?”
“So di potere contare
su di te, questo è il mio immenso conforto Robert e mi auguro lo sarà anche in
futuro”
Downey tremò – “Certo …
Assolutamente Glam”
Si abbracciarono,
tenendo Pepe tra loro, che sorrise, senza farsi vedere.
Tim e Niall stavano
ballando, scatenati, con Xavier, al centro della pista, ricavata nel mezzo del
salone delle feste dell’albergo.
La cena era più che
altro in piedi ed ognuno cercava poi posto un po’ ovunque, anche in salette più
appartate.
Farrell si fece largo
tra una folla di invitati, palesemente attirati dalla sua eleganza e da una
bellezza ormai più matura ed affascinante.
Anche Kevin lo
intercettò, distraendosi per un attimo dallo spettacolo, che il suo ex stava
dando a pochi metri da lui.
“Ciao Colin … Anche tu
solo?”
“Ciao … Ah no, Jared
sta mettendo a letto i gemelli, arriverà a minuti, beviamo un drink?”
“Mi andrebbe di
traverso” – e riguardò Tim, ora allacciato ad Horan, per una danza più lenta e
suadente.
“Mi dispiace … Eravate
una bella coppia”
“Non abbastanza … Ora,
però, con Mark sto … carburando” – ed arrossì.
Colin lo osservò,
inclinando la testa – “Lo dici come se fosse un problema, Kevin, invece è una
cosa bellissima, non credi?”
“Sono spaventato, ecco …
E se fallissi di nuovo?”
“Non succederà, se hai
messo sul serio della distanza, tra te e Glam”
“Sì, l’ho fatto” – e,
nell’affermarlo secco, il musicista guardò oltre Colin, che si girò,
istintivamente, accorgendosi anche lui dell’arrivo di Geffen, in compagnia di
Robert.
“Buonasera …” – li salutò
perplesso il legale, avendo notato il loro scambio di confidenze e l’imbarazzo
dell’ex – “Lula ti sta aspettando …” – disse educatamente, rivolgendosi a lui.
“Lo so Glam, ci stavo
andando infatti” – bissò asciutto – “… buona serata Colin, ciao Rob”
“Ciao …” –
contraccambiò un po’ stranito Downey, esitante davanti a quella tensione, non
ancora sopita, da parte di Kevin nei confronti dell’uomo, che entrambi avevano
sposato.
In
un’altra vita.
Taylor quasi si scontrò
con Richard, impegnato al tavolo dei dolci, con diversi piattini, per accontentare
i suoi pargoli e la moglie.
“Dov’eri finito?” –
domandò brusco il giovane interprete.
L’architetto gli lanciò
un’occhiata storta – “Ero con i miei e poi con mio padre, abbiamo chiarito”
“Bene … Almeno con lui
ci sei riuscito”
“Non è stato piacevole,
però mi sono tolto un bel po’ di sassolini dalla scarpa”
“E cosa hai deciso di
fare?” – chiese con una velata speranza nel tono, sin troppo esaustivo per
Ricky, che sembrò volere tagliare corto.
“Non ora, c’è Sonia,
con i bimbi e”
“Ok, ho capito”
“Cosa hai capito, scusa?”
Kitsch fece un sorriso
di circostanza, gli occhi lucidi, odiandosi per quanto fosse fragile ed
evidentemente ingenuo.
“Sei solo un coglione,
uno senza palle” – gli bisbigliò – “Hai fatto la voce grossa con il leone capo
branco, ma hai lasciato le cose a metà e così sarà per sempre, vero Richard?”
L’arrivo della
consorte, pose fine a quello scambio di battute, divenuto ormai aspro e
pericoloso.
“Salve” – l’apostrofò
Taylor, sparendo tra i presenti, senza aggiungere altro.
“Tutto a posto, amore?”
– domandò lei, incuriosita da quella situazione.
“Certo … Hai lasciato
da soli i piccoli?”
“Ma no, figurati, ci
sono Pam e Sveva, sono delle zie straordinarie” – puntualizzò lei, aiutandolo
con un secondo vassoio.
“Ok … Io devo fare una
telefonata, torno tra cinque minuti” – disse trafelato.
“Una telefonata,
proprio ora?”
“Sì, non posso
rimandare, abbi pazienza Sonia, ok?”
“Ok … A più tardi
allora, noi non ci muoviamo da qui”
Lux schiacciò
nervosamente il pulsante dell’ascensore, imprecando nella sua lingua madre.
Un rumore dal fondo del
corridoio lo distrasse.
Era Kitsch, intento a
dare un calcio al trolley, che si era messo di traverso, inciampando in una
corsia rossa, posta al centro del parquet a scacchi.
“Stai tornando in città
Vincent?”
“Sì … anche tu?”
“Già, ma sono senza
auto, mi ha portato qui Colin”
“Ok … Se ti va ti posso
dare un passaggio, ma ti avverto, non sarò una buona compagnia”
“Nemmeno io, se è per
questo …”
Le ante si aprirono.
“Oh finalmente, non
vedo l’ora di andarmene” – sbuffò l’affarista, entrando in cabina, con un
bagaglio piuttosto leggero.
Il resto dell’attrezzatura
l’aveva già caricata al mattino.
Al piano terra i due
vennero visti dalla balconata superiore unicamente da Ricky, che si precipitò
lungo la scalinata, inutilmente.
Il suv di Lux era già sotto
ad una pensilina, grazie ad un inserviente molto solerte-
La partenza fu
immediata.
Richard rimase come
invischiato, in una marea di persone chiassose e poco sobrie, intente a
festeggiare al meglio quell’occasione mondana, che lui in realtà detestava.
Forse fu meglio così,
pensò, con un nodo alla gola, che difficilmente si sarebbe sciolto presto.
TIM
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