Capitolo n. 115 – life
Ruffalo lo abbracciò
teneramente, prima di farlo uscire in corridoio.
“Grazie per avermi
tenuto un po’ qui con te, Mark …”
Horan gli sorrise,
appoggiato allo stipite, guardandolo intenso.
Parlava in libertà,
chiedendosi come mai usasse quelle parole e non era di sicuro sbronzo.
“Qualunque cosa accada,
chiunque potrà entrare nei miei giorni, tu avrai sempre un posto speciale nella
mia vita e questo lo sai Niall, vero?”
Il ragazzino annuì,
emozionato, poi gli diede un bacio veloce e caldissimo, tra il colletto della
casacca e la porzione di pelle profumata di uomo e dopobarba costoso, prima di
fuggire verso gli ascensori.
Qualcuno stava salendo
e quando le porte si aprirono, il sorriso di Tim, collise con il suo, in quella
tipica armonia, che gli innamorati portano con loro, nel ritrovarsi.
“Tesoro sei qui,
pensavo stessi male”
“Ero accaldato, ho
cercato un bagno, ma ho sbagliato piano” – si giustificò, senza timore, mentre
Ruffalo li stava spiando, dalla porta socchiusa.
“Anch’io come vedi, il
nostro è il prossimo” – Tim rise, stringendolo forte, per poi rientrare in
cabina, tenendosi per mano.
Erano così uniti.
Così incantevoli.
Anche Mark riuscì a
pensarlo, ricordandosi di respirare.
Il profumo di caffè lo
fece svegliare di buon umore: Taylor arrise alla vista di Lux, che gliene stava
versando una tazza.
“Ciao …”
“Ehi, ma abbiamo
dormito così?” – chiese il giovane, sedendosi contro i cuscini.
“Così come?” – anche Vincent
sorrise.
“Vestiti!”
“Già, siamo stati
entrambi galantuomini …”
“Grazie …” – disse piano,
brandendo il bevanda fumante – “… Tu saresti un papà ideale, sai?”
“Forse” – inspirò il
francese – “… come mai lo dici?”
“Sei così, mi sembri
attento ecco” – arrossì, sorseggiando e cercando con lo sguardo una brioche
vuota sul vassoio.
“Temo non basti … anzi,
non basta mai, in generale”
“E’ un’allusione ai
Geffen?” – bissò Kitsch, incuriosito.
“Sì, anche, però nel
loro caso hanno recuperato o sbaglio?”
“Non lo so ad essere
sinceri, con Ricky ci siamo lasciati male” – rivelò assorto.
“Hai avuto una storia
con lui?”
Taylor scosse la il
capo spettinato, con un’espressione buffa – “Si vede che sei un ex poliziotto:
poni quesiti diretti e senza sfumature”
“Hai ragione, era il
mio mestiere e non sempre avevo molta … delicatezza”
“Eri un fanatico della
divisa, del distintivo?”
Lux ammiccò simpatico,
con le gambe accavallate, mentre se ne stava sul bordo del letto, come a
distanza di sicurezza dall’altro – “Volevo farmi valere, certo, emergere:
Parigi non è una metropoli semplice da masticare e digerire”
“Che immagine cruda,
non certo da paradiso degli innamorati, come recitano ancora oggi i volantini
turistici, che poi sono solo cazzate”
“Non saprei, mai stato
innamorato a Parigi … O quasi” – e ripensò sfuggente a Louis ed al breve
soggiorno del ragazzo, in quel di Francia, alla sua villa.
Kitsch lo scrutò – “Io
non sopporto quelli come Ricky, comunque”
“Lui è un codardo,
secondo te?”
“Certo”
“Non mi va di
giudicarlo, non è semplice quando hai dei bimbi, una moglie, una carriera,
bisogna mettersi nei suoi panni insomma”
“E’ un infelice” – e si
alzò, un po’ brusco.
“E tu come lui, vero?
Per colpa sua, immagino” – disse pacato.
Taylor lo fissò, mentre
si denudava – “A me non va più di perderci del tempo” – affermò disinvolto,
come i suoi gesti naturali – “La fai una doccia con me?”
“Ok …” – mormorò quasi
impercettibile l’affarista.
Infine lo seguì.
Kevin posò il suo
sguardo su Ruffalo, ancora nel mondo dei sogni.
Era tornato da lui,
dopo avere preparato Lula molto presto, al ritorno in California.
Il docente aggrottò la
fronte, mordendo poi un lembo del cuscino – “… che cavolo di ore sono …?” –
domandò roco, ma unicamente a sé stesso; non si era accorto del bassista.
“Le nove”
“Ehi … sei qui” – ed andò
ad abbracciarlo, portandoselo sotto le coltri tiepide ed accoglienti.
Kevin si lasciò
spogliare e trafiggere, dal desiderio dell’uomo, che sembrava muoversi in una
sorta di sogno ad occhi aperti, su Kevin, sul suo corpo asciutto e palestrato.
Era dimagrito molto
negli ultimi mesi e gli allenamenti continui, lo avevano reso ancora più attraente.
“Ma Mark …” – ansimò.
Gli era troppo dentro,
in ogni senso, senza infondergli alcuna sicurezza concreta.
Erano partiti per
quella vacanza, con l’intento di riconquistare Tim e Niall, anche se il loro
livello di confidenza, era trasceso da complici ad amanti, estremamente in
fretta.
Il problema di salute
di Ruffalo, poi, sembrava avere consolidato un legame da esplorare, non senza
rischi.
Un camminare sulle
sabbie mobili, di cui Kevin non aveva assolutamente bisogno.
La sua fragilità
turbava esclusivamente Glam, che lo conosceva meglio di chiunque, ma Geffen era
stato buttato fuori dai giochi.
Forse un errore, pensò
Kevin.
Pensava ancora a lui,
mentre faceva l’amore con Mark.
Un tunnel senza fine.
Kitsch gli frizionò la
schiena, prima di girarlo a sé, mentre scendeva con le dita e con la bocca, al
suo inguine, inginocchiandosi sopra la ceramica zampillante e lucida.
“Taylor non … non
dovresti” – Lux gemette, poi farfugliò qualcosa di incomprensibile, rimescolato
alla musica della filodiffusione, attivata prima di entrare in quel comodo box.
Gli occhi del ragazzo
erano colmi di devozione, almeno quanto le sue guance del sesso di Vincent, che
non riuscì a trattenersi, nel brandirgli i capelli ed ondeggiare i fianchi, per
avere il meglio da quel rapporto sessuale, rimandato ad oltranza e, forse,
stupidamente.
Ne avevano il diritto,
di stare bene.
Come nessuno, in fondo.
Jared si era
concentrato a guardare le piste nuovamente affollate.
Il suo profilo si
stagliava contro la luce delle ampie finestre, contro le quali si era come
bloccato, con uno dei cappelli di Colin, calato sulle tempie, dove Geffen posò
un bacio leggero – “Buongiorno, ben alzato”
“Ciao Glam” – il cantante
lo guardò, con un sorriso incerto.
Era bellissimo.
“Allora ce ne andiamo?”
– chiese mesto il legale.
“Sei di cattivo umore?”
“E tu?”
“Abbastanza”
Risero senza
entusiasmo.
“Ci vediamo a Los
Angeles, Glam?”
“Perché, non partite
con noi?”
“Non in quel senso …
Dovevo dire, ci vedremo a Los Angeles,
Glam?” – e sospirò.
Era strano, ma non più
del solito.
“Certo …” – l’avvocato
tossì – “… Ho dei casini da risolvere, spero di dedicarti abbastanza tempo”
“Quali casini, scusa?”
“Niente di preoccupante
Jay”
“Se ti riferisci a
Richard, io me ne starei fuori”
Geffen abbozzò un
sorriso di circostanza – “Lui è una delle mie priorità: non mi darò pace finché
non lo vedrò felice”
“Ok, ma non fare il
caterpillar, in questi casi non servirebbe”
“Sai che farò di testa
mia, vero?”
“Appunto” – replicò rassegnato
– “… da me non accetti consigli, a quanto pare, del resto non sono Robert”
“Tu hai un problema con
Rob e questo non mi piace, sai?”
“E tu ci tieni tutti in
gioco, come un allenatore esperto e consumato” – ribatté secco il leader dei
Mars.
“Hai litigato con
Colin?”
“No, lo sto facendo con
te, Glam accidenti e lascia fuori mio marito dalle nostre discussioni, cazzo!” –
sibilò acre.
Era ferito e Geffen non
sapeva neppure per cosa, realtà.
La gelosia verso Downey
in parte lo gratificava, ma blandamente.
I pensieri di Geffen
erano rivolti a cose più importanti e Jared non sembrava esserlo a sufficienza,
per spronarlo ad un conforto, che ora gli appariva come imposto.
“Forse sarebbe
meglio non vederci per un po’ Jay”
“Come al solito decidi
tu, vero?” – ringhiò alterato – “Come baciarmi fregandotene delle conseguenze
oppure mollarmi e riprendermi a piacimento!”
“Io non ho mai deciso
un tubo, se vogliamo affrontare l’argomento, ma non ti conviene Jay, accidenti!”
Leto provò ad
andarsene, ma la morsa intorno al suo avambraccio destro, non gli diede scampo.
Così l’essere travolto
e trascinato dalla forza di Geffen, come se un’alta marea lo avesse colto di
sorpresa, sino a giungere in un angolo buio, distante dal belvedere panoramico
dell’hotel, in una stanza completamente vuota o quasi, se non fosse stato per
quel tavolo, dove Jared sembrò schiantarsi, con il peso del suo amante addosso.
Perché Glam Geffen era
quello e nulla di più, arrivati a quel punto, sospeso ed inconsistente, quanto
una nuvola.
Una nuvola carica di
pioggia, con le proprie lacrime nel collo di Jared, a rimescolarsi con le sue,
di fulmini, come il suo agire febbrile, nell’aprirgli i vestiti e le labbra,
sublimato da un bacio rovente, che gli stava dirompendo sino in gola, almeno
quanto un tuono fragoroso.
“Ti amo Glam …” – e nel
dirglielo, intossicato dal suo sapore, nel succhiargli le dita, Jared se le
portò tra le gambe esili, perché Geffen lo toccasse ad una profondità assoluta.
Era il suo modo di
appartenergli, senza mai essere stato suo.
Si accarezzarono con
veemenza e frenesia reciproche, venendo copiosi, al solo sfiorarsi, senza
donarsi in alcun amplesso.
Senza
mai smettere di guardarsi.
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