giovedì 23 aprile 2015

LIFE - CAPITOLO N. 115

Capitolo n. 115 – life



Ruffalo lo abbracciò teneramente, prima di farlo uscire in corridoio.

“Grazie per avermi tenuto un po’ qui con te, Mark …”
Horan gli sorrise, appoggiato allo stipite, guardandolo intenso.

Parlava in libertà, chiedendosi come mai usasse quelle parole e non era di sicuro sbronzo.

“Qualunque cosa accada, chiunque potrà entrare nei miei giorni, tu avrai sempre un posto speciale nella mia vita e questo lo sai Niall, vero?”

Il ragazzino annuì, emozionato, poi gli diede un bacio veloce e caldissimo, tra il colletto della casacca e la porzione di pelle profumata di uomo e dopobarba costoso, prima di fuggire verso gli ascensori.

Qualcuno stava salendo e quando le porte si aprirono, il sorriso di Tim, collise con il suo, in quella tipica armonia, che gli innamorati portano con loro, nel ritrovarsi.

“Tesoro sei qui, pensavo stessi male”

“Ero accaldato, ho cercato un bagno, ma ho sbagliato piano” – si giustificò, senza timore, mentre Ruffalo li stava spiando, dalla porta socchiusa.

“Anch’io come vedi, il nostro è il prossimo” – Tim rise, stringendolo forte, per poi rientrare in cabina, tenendosi per mano.

Erano così uniti.
Così incantevoli.
Anche Mark riuscì a pensarlo, ricordandosi di respirare.




Il profumo di caffè lo fece svegliare di buon umore: Taylor arrise alla vista di Lux, che gliene stava versando una tazza.

“Ciao …”

“Ehi, ma abbiamo dormito così?” – chiese il giovane, sedendosi contro i cuscini.

“Così come?” – anche Vincent sorrise.

“Vestiti!”

“Già, siamo stati entrambi galantuomini …”

“Grazie …” – disse piano, brandendo il bevanda fumante – “… Tu saresti un papà ideale, sai?”

“Forse” – inspirò il francese – “… come mai lo dici?”

“Sei così, mi sembri attento ecco” – arrossì, sorseggiando e cercando con lo sguardo una brioche vuota sul vassoio.

“Temo non basti … anzi, non basta mai, in generale”

“E’ un’allusione ai Geffen?” – bissò Kitsch, incuriosito.

“Sì, anche, però nel loro caso hanno recuperato o sbaglio?”

“Non lo so ad essere sinceri, con Ricky ci siamo lasciati male” – rivelò assorto.

“Hai avuto una storia con lui?”

Taylor scosse la il capo spettinato, con un’espressione buffa – “Si vede che sei un ex poliziotto: poni quesiti diretti e senza sfumature”

“Hai ragione, era il mio mestiere e non sempre avevo molta … delicatezza”

“Eri un fanatico della divisa, del distintivo?”

Lux ammiccò simpatico, con le gambe accavallate, mentre se ne stava sul bordo del letto, come a distanza di sicurezza dall’altro – “Volevo farmi valere, certo, emergere: Parigi non è una metropoli semplice da masticare e digerire”

“Che immagine cruda, non certo da paradiso degli innamorati, come recitano ancora oggi i volantini turistici, che poi sono solo cazzate”

“Non saprei, mai stato innamorato a Parigi … O quasi” – e ripensò sfuggente a Louis ed al breve soggiorno del ragazzo, in quel di Francia, alla sua villa.

Kitsch lo scrutò – “Io non sopporto quelli come Ricky, comunque”

“Lui è un codardo, secondo te?”

“Certo”

“Non mi va di giudicarlo, non è semplice quando hai dei bimbi, una moglie, una carriera, bisogna mettersi nei suoi panni insomma”

“E’ un infelice” – e si alzò, un po’ brusco.

“E tu come lui, vero? Per colpa sua, immagino” – disse pacato.

Taylor lo fissò, mentre si denudava – “A me non va più di perderci del tempo” – affermò disinvolto, come i suoi gesti naturali – “La fai una doccia con me?”

“Ok …” – mormorò quasi impercettibile l’affarista.

Infine lo seguì.




Kevin posò il suo sguardo su Ruffalo, ancora nel mondo dei sogni.

Era tornato da lui, dopo avere preparato Lula molto presto, al ritorno in California.

Il docente aggrottò la fronte, mordendo poi un lembo del cuscino – “… che cavolo di ore sono …?” – domandò roco, ma unicamente a sé stesso; non si era accorto del bassista.

“Le nove”

“Ehi … sei qui” – ed andò ad abbracciarlo, portandoselo sotto le coltri tiepide ed accoglienti.

Kevin si lasciò spogliare e trafiggere, dal desiderio dell’uomo, che sembrava muoversi in una sorta di sogno ad occhi aperti, su Kevin, sul suo corpo asciutto e palestrato.

Era dimagrito molto negli ultimi mesi e gli allenamenti continui, lo avevano reso ancora più attraente.

“Ma Mark …” – ansimò.
Gli era troppo dentro, in ogni senso, senza infondergli alcuna sicurezza concreta.

Erano partiti per quella vacanza, con l’intento di riconquistare Tim e Niall, anche se il loro livello di confidenza, era trasceso da complici ad amanti, estremamente in fretta.

Il problema di salute di Ruffalo, poi, sembrava avere consolidato un legame da esplorare, non senza rischi.

Un camminare sulle sabbie mobili, di cui Kevin non aveva assolutamente bisogno.

La sua fragilità turbava esclusivamente Glam, che lo conosceva meglio di chiunque, ma Geffen era stato buttato fuori dai giochi.

Forse un errore, pensò Kevin.
Pensava ancora a lui, mentre faceva l’amore con Mark.

Un tunnel senza fine.




Kitsch gli frizionò la schiena, prima di girarlo a sé, mentre scendeva con le dita e con la bocca, al suo inguine, inginocchiandosi sopra la ceramica zampillante e lucida.

“Taylor non … non dovresti” – Lux gemette, poi farfugliò qualcosa di incomprensibile, rimescolato alla musica della filodiffusione, attivata prima di entrare in quel comodo box.

Gli occhi del ragazzo erano colmi di devozione, almeno quanto le sue guance del sesso di Vincent, che non riuscì a trattenersi, nel brandirgli i capelli ed ondeggiare i fianchi, per avere il meglio da quel rapporto sessuale, rimandato ad oltranza e, forse, stupidamente.

Ne avevano il diritto, di stare bene.
Come nessuno, in fondo.




Jared si era concentrato a guardare le piste nuovamente affollate.

Il suo profilo si stagliava contro la luce delle ampie finestre, contro le quali si era come bloccato, con uno dei cappelli di Colin, calato sulle tempie, dove Geffen posò un bacio leggero – “Buongiorno, ben alzato”

“Ciao Glam” – il cantante lo guardò, con un sorriso incerto.

Era bellissimo.

“Allora ce ne andiamo?” – chiese mesto il legale.

“Sei di cattivo umore?”

“E tu?”

“Abbastanza”

Risero senza entusiasmo.

“Ci vediamo a Los Angeles, Glam?”

“Perché, non partite con noi?”

“Non in quel senso … Dovevo dire, ci vedremo a Los Angeles, Glam?” – e sospirò.

Era strano, ma non più del solito.

“Certo …” – l’avvocato tossì – “… Ho dei casini da risolvere, spero di dedicarti abbastanza tempo”

“Quali casini, scusa?”

“Niente di preoccupante Jay”

“Se ti riferisci a Richard, io me ne starei fuori”

Geffen abbozzò un sorriso di circostanza – “Lui è una delle mie priorità: non mi darò pace finché non lo vedrò felice”

“Ok, ma non fare il caterpillar, in questi casi non servirebbe”

“Sai che farò di testa mia, vero?”

“Appunto” – replicò rassegnato – “… da me non accetti consigli, a quanto pare, del resto non sono Robert”

“Tu hai un problema con Rob e questo non mi piace, sai?”

“E tu ci tieni tutti in gioco, come un allenatore esperto e consumato” – ribatté secco il leader dei Mars.

“Hai litigato con Colin?”

“No, lo sto facendo con te, Glam accidenti e lascia fuori mio marito dalle nostre discussioni, cazzo!” – sibilò acre.

Era ferito e Geffen non sapeva neppure per cosa, realtà.

La gelosia verso Downey in parte lo gratificava, ma blandamente.
I pensieri di Geffen erano rivolti a cose più importanti e Jared non sembrava esserlo a sufficienza, per spronarlo ad un conforto, che ora gli appariva come imposto.

“Forse sarebbe meglio  non vederci  per un po’ Jay”

“Come al solito decidi tu, vero?” – ringhiò alterato – “Come baciarmi fregandotene delle conseguenze oppure mollarmi e riprendermi a piacimento!”

“Io non ho mai deciso un tubo, se vogliamo affrontare l’argomento, ma non ti conviene Jay, accidenti!”

Leto provò ad andarsene, ma la morsa intorno al suo avambraccio destro, non gli diede scampo.

Così l’essere travolto e trascinato dalla forza di Geffen, come se un’alta marea lo avesse colto di sorpresa, sino a giungere in un angolo buio, distante dal belvedere panoramico dell’hotel, in una stanza completamente vuota o quasi, se non fosse stato per quel tavolo, dove Jared sembrò schiantarsi, con il peso del suo amante addosso.

Perché Glam Geffen era quello e nulla di più, arrivati a quel punto, sospeso ed inconsistente, quanto una nuvola.

Una nuvola carica di pioggia, con le proprie lacrime nel collo di Jared, a rimescolarsi con le sue, di fulmini, come il suo agire febbrile, nell’aprirgli i vestiti e le labbra, sublimato da un bacio rovente, che gli stava dirompendo sino in gola, almeno quanto un tuono fragoroso.

“Ti amo Glam …” – e nel dirglielo, intossicato dal suo sapore, nel succhiargli le dita, Jared se le portò tra le gambe esili, perché Geffen lo toccasse ad una profondità assoluta.

Era il suo modo di appartenergli, senza mai essere stato suo.

Si accarezzarono con veemenza e frenesia reciproche, venendo copiosi, al solo sfiorarsi, senza donarsi in alcun amplesso.

Senza mai smettere di guardarsi.








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