Capitolo n. 83 – life
Geffen si fece una
lunga doccia, come a togliersi di dosso quel fetore, che si sentiva sulla
pelle, da quando Mendoza se n’era andato via, come un ladro dalla sua suite.
L’avvocato aveva
mantenuto la sua promessa: cinquantamila dollari in contanti, ai quali non ne
sarebbero seguiti di ulteriori, se non in caso di un convincente apporto di
informazioni nuove alle sue indagini.
Era sua intenzione
rimettersi in contatto con Dimitri, per farlo infiltrare nel covo di Ernando,
lo zio di Alviero jr.
In fondo il sovietico
era sacrificabile, senza troppi rimorsi, pensò Geffen, tamponandosi l’addome
nuovamente palestrato, dopo essersi avvolto i fianchi in un telo bianco, lungo
sino ai piedi scalzi.
Stava gocciolando sulla
preziosa moquette, ma non ci badava, troppo concentrato su quelle elucubrazioni
mentali: uscì sul terrazzo, a godersi la brezza serale.
Il panorama era
incantevole, sulla città di notte, tempestata di migliaia di luci, persino
simile a Los Angeles, dove aveva lasciato Pepe e Robert.
Robert
…
Gli mancava da morire.
Stava per comporre il
suo numero, ma qualcuno bussò alla porta: era Kevin.
“Tesoro ciao … credevo
dormissi”
“A quest’ora? Veramente
abbiamo ordinato la cena in camera daddy, se vuoi unirti a noi, ci farebbe un
immenso piacere”
“Su entra, vado a
vestirmi allora …”
“Che entusiasmo, brutta
giornata? Si può sapere dove sei finito?” – chiese ripiegandogli gli abiti su
di una seggiola, una vecchia abitudine, molto cara al bassista.
Dalla giacca cadde la
pistola.
“Daddy … Cristo santo,
cos’è questo ferro?!!” – sbottò l’ex, fissandolo, mentre tornava dal bagno in
boxer.
Kevin avvampò.
Geffen era in piena
forma, abbronzato e tonico.
Era da un pezzo che il
giovane non lo vedeva così, anche se la confidenza tra loro non era mai venuta
meno.
“Perché mi guardi in
quel modo?” – domandò l’uomo, infilandosi i primi pantaloni pescati
dall’armadio semi vuoto.
“No … No, è che non mi
piace l’artiglieria, lo dovresti sapere!” – ed uscì sul balcone, versandosi da
bere dalla caraffa di succo ai frutti tropicali, dimenticato sulla balaustra da
Glam stesso, che non tardò a raggiungerlo.
“Kevin non fare
piazzate inutili, tu sai come funziona a Port au Prince” – disse afflitto, poi
lo abbraccio, a dorso nudo.
“Daddy io … Io non so
in quale guaio ti stai cacciando, ma io ho paura per te” – sussurrò emozionato
ed in crisi di ossigeno, per il buon odore di dopobarba, che lo aveva
investito, in quella stretta intensa, ma innocente, nelle intenzioni di Glam.
“Lo so, ma non posso
tirarmi indietro, non adesso Kevin: c’è in gioco la sicurezza della nostra
famiglia, l’incolumità del sottoscritto, ma, soprattutto, la vostra serenità …
Non voglio che vi accada più nulla e questa gente non ha scrupoli: chiunque mi
stia accanto, è potenzialmente in pericolo”
“Ora ti fai delle
paranoie inutili” – e si distaccò lieve.
“No, non credo, vorrei
tu avessi ragione, Dio sa quanto … accidenti” – ed inspirò, andando a finire di
coprirsi con una t-shirt.
Kevin seguì i suoi
movimenti, attento alle sue espressioni.
“Anche con Rob ci sono
problemi, vero?”
“Si sta allontanando,
sempre di più, anche se gli dispiace, è evidente”
“Avete appena adottato
Pepe …”
“No, non è esattamente
così … La pratica giace sulla mia scrivania da pochi giorni: Miss. Gramble ha
sciolto la sua riserva, possiamo procedere, ma Robert non lo sa”
“E cosa aspetti a
dirglielo? Potrebbe significare una svolta per voi!” – e sorrise fiducioso.
“Accadrà a Londra …
Solo che” – e si morse le labbra.
“Che c’è daddy …?”
“No, nulla” – e forzò
un sorriso, era bellissimo, nei suoi sessantuno anni – “… Avanti andiamo, Tim e
Layla ci stanno aspettando e voglio coccolare quella cucciolina fantastica”
“Ok … Come vuoi tu
Glam. Andiamo.”
Law si grattò la nuca,
saldando, con la spalla, il cellulare all’orecchio sinistro.
Se ne stava poco
distante da Taylor, impegnato a prendere i bagagli dal rullo apposito.
“Certo che potevi
venire con noi Rob, insieme a Pepe” – si lagnò l’inglese, abbozzando sorrisi in
direzione di Kitsch.
“No, preferisco
aspettare Glam, useremo il suo jet credo”
“Hai pensato a ciò che
ti ho detto?”
“Non ho mai smesso, da
quando ci siamo visti” – bissò sincero, detestava i giochetti e le stupide
strategie dell’amore e del corteggiamento.
Con Jude non erano mai
servite: si innamorarono dalla loro prima stretta di mano.
“Ok, ne riparleremo, è
ovvio amore”
Amore
…
“Sì …” - replicò il moro, con un filo di voce.
“Devo lasciarti, ci
vediamo nel fine settimana: non perderti Rob, ti voglio bene”
Fu sbrigativo, ma salvò
Downey da quell’imbarazzo, che lo stava distruggendo.
A poco, a poco.
Ruffalo lo cinse a
cucchiaio, così amava dormire allacciato a Niall.
“Siamo stati bravi” –
sussurrò il ragazzino.
“Direi che ci meritiamo
un premio” – replicò lui sensuale.
“Mark c’è la bimba
nell’altra stanza” – puntualizzò ridendo.
“Appunto è di là, mica
qui tra noi” – sbuffò, ma complice, non voleva certo discutere, anzi.
In compenso, voltò a sé
Horan, aprendogli la casacca del pigiama, per spargere baci ovunque potesse
arrivare, con le sue labbra letteralmente infuocate.
Niall si inarcò
ripetutamente, provando a resistere ai suoi attacchi, ma poi si arrese, appena
la sua erezione finì dritta sino alle tonsille del più adulto.
“Dio Mark … no non
puoi” – balbettò tremandogli tra la lingua ed il palato.
Ruffalo sorrise con gli
occhi, ma poi sussultò nel percepire la vocina di Petra, oltre l’uscio chiuso a
chiave.
Stava tuonando da
alcuni minuti ed il temporale avrebbe spaventato qualsiasi cucciolo.
Horan si ricompose
avvampando.
“Zii posso venire nel
lettone con voi?” – chiese lei, restando educatamente immobile, con l’orsetto
premuto sulla stoffa di una vestaglia in pile, stampata di farfalle e fiori
giganti.
Ruffalo andò ad aprirle
– “Sì, certo piccola”
“Grazie!” – e con una
corsetta buffa, si gettò tra le ali di Niall, che la cullò subito.
“Non spaventarti,
vedrai che passa presto”
“Speriamo di no, vorrei
fare nanna qui sino a domattina!” – e rise divertita, anche dalla faccia
stranita del professore, che tornò mesto al proprio posto.
Downey si rannicchiò
sotto al piumone, fissando il visore, che si stava illuminando del volto
sorridente del marito.
Adorava quella foto ed
adorava ogni cosa di lui, così come si stava detestando, per cosa sarebbe
accaduto in Inghilterra, da lì a breve, durante le festività ormai prossime.
“Ciao Glam …” – si
decise a rispondere.
“Tesoro ti ho
svegliato? Non ho controllato il fuso orario …”
“No, è solo mezzanotte
non preoccuparti … Come state? La bimba?”
“Ti mando un’immagine
quando riattacco, così vedi quanto è carina” – e sorrise.
“Ok …”
“Mi manchi” – disse di
rimando, esprimendo anche il pensiero del consorte, che non riusciva ad essere
spontaneo.
“Anche tu … anche a
Pepe”
“Siete pronti? Domani
torno e sabato decolliamo per Heatrow”
“Jude e Taylor sono già
là, mi hanno avvisato ecco”
“Sì, so che avresti
preferito unirti a loro e”
“Non ho mai detto
questo Glam” – rise in piena tensione – “… Io voglio andarci con te”
“D’accordo, mi rendi
felice”
Lo avrebbe amato oltre
sé stesso, pur sapendo che Downey era pronto a lasciarlo, da mille sensazioni,
che ormai Geffen non contava neppure più.
“E con i Mendoza?” –
domandò tossendo.
“Ce l’hai l’acqua sul
comodino?” – sorrise, pensando che a quel dettaglio provvedeva sempre lui.
“No, l’ho dimenticata …
Come al solito” – sbuffò.
“Ho avuto un contatto,
tutto liscio, non stare in pena, niente rappresaglie” – scherzò, ricordando la
loro brutta discussione prima di partire.
“Allora non ti sei
arreso”
“A volte capita anche a
me Rob … Da non credere, vero?”
Io
sono Glam Geffen e sono tornato.
Quella frase, anche un
po’ per canzonarlo amorevolmente, Robert gliela aveva fatta incidere su di una
targa, appendendogliela poi accanto al letto.
Ora l’attore la stava
scrutando.
“Ti voglio bene Glam …
Tu ci salverai tutti, a costo di”
“A qualsiasi costo
Robert” – lo interruppe, senza irruenza, solo con sconfinato amore.
“Io ti amo” – e si
asciugò una lacrima, guardandosi intorno, in quella reggia, che Geffen aveva
acquistato e desiderato insieme a lui, come ogni loro scelta, senza mai
prevaricarlo.
“Perché stai
piangendo?” – domandò altrettanto triste.
“Perché vorrei tu fossi
già qui” – ed era vero, almeno in parte.
“Ci sarò presto e lo
sai … Fammi un sorriso, vuoi?”
“Sì Glam … Lo sto
facendo …”
“Sicuro? Dovrei
chiederlo alla luna se stai dicendo una bugia, per rassicurarmi” – replicò
dolce, avvolgendolo con il proprio timbro, caldo e presente.
Downey si mise seduto,
raccogliendo le gambe, nella semioscurità.
“Nessuno ti merita
Glam”
Era un’amara
constatazione.
O conclusione.
Matt non riusciva a
crederci, al recente cambiamento, dal loro arrivo in quel loft, di proprietà di
Meliti, decentrato, ma all’interno di un comprensorio più che signorile.
“Ti decidi?!” – rise Dimitri,
invocandolo dalla stanza accanto, dove si era immerso in una vasca
idromassaggio, comoda per entrambi.
Miller aveva acceso
diverse candele avorio e pesca, disponendole sul parquet lucido, all’interno di
ampolle in cristallo trasparente.
Si creò presto un’atmosfera
suggestiva e carica di profumi esotici.
“Sì arrivo Dim” –
mormorò innamorato, con il timore di svegliarsi, se avesse alzato il tono delle
sue risposte, perché quello era di sicuro un sogno.
Oppure un’allucinazione,
non faceva che ripeterselo.
Le carezze del
mercenario, però, lo riportarono alla realtà e quando il suo membro, lo impalò
delicatamente, scivolando tra schiuma ed acqua all’interno della sua apertura
pulsante di bramosia, Matt si avvinghiò a lui, con l’eterna paura di rimanere
da solo.
Muovendosi capace,
Miller piangeva senza lamentarsi, perché a cavalcioni sopra l’amante ed invaso
da quest’ultimo e dalla sua virilità, voleva unicamente procurargli piacere,
come se bastasse per legarlo definitivamente a sé.
Dimitri gli massaggiava
la schiena, accompagnandolo ora in quel movimento ipnotico, sollevandolo con i
palmi, per i glutei sodi e così Matt aumentò il ritmo, divenuto ormai sinergico
con quello dei fianchi caparbi dell’altro, che non si dimenticò, nonostante l’estasi,
di masturbarlo, affinché raggiungessero il culmine quasi all’unisono.
Esplosero, tra emozioni
e spasmi.
Si baciarono,
sorridendosi con gli occhi, accesi da un certo stupore.
Al pomeriggio avevano
anche fatto la spesa, comprato cianfrusaglie in uno store di asiatici, ora
stavano facendo l’amore.
Come una coppia
qualunque.
Come se nulla potesse
essere ancora terribile, annidato nel reciproco passato, che avrebbero voluto
seppellire in fondo all’oceano.
Per sempre.
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